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Lavoro per tutti

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Academic year: 2021

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Titolo originale dell'opera ; Sixty million jobs by Henry A. Wallace

Copyright 1945 di The Wallace Fund edito da Simon and Schuster, ine., New-York, U. S. A.

(7)

LASC

t

X ^ O f i

Henry A. Wallace

Lavoro per tutti

Traduzione di Guido Olivetti

to INVENTARIO fRÉ

1946

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Indice

Prefazione . . . . . . . . . pag. 9

Parte prima • La Pace del Popolo . . . » 11 1. Il clima dell'occupazione integrale e della pace . » 13

2. Fissare le mète . . . 19

3. L'alto prezzo dell'insuccesso . . . 29 Parte seconda - I 60 milioni di posti di lavoro . . » 35 1. Gli elementi costitutivi . . . y> 37 2. L'interdipendenza degli elementi . . . » 49 Parte terza - La soluzione americana del problema

dell'abbondanza . . . . . . . y> 19

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Prefazione

Desidero attestare il mio debito di riconoscenza verso i molti buoni amici, nell'ambito del Governo e fuori di esso, che hanno voluto prestarmi il loro cordiale e validissimo concorso alla pre-parazione del presente libro. Ho avuto la fortuna, durante questi ultimi tredici anni della mia vita ufficiale a Washington, di cono-scere le idee e di condividere le aspirazioni di molti uomini e donne d'ingegno, appartenenti agli ambienti governativi e a quelli dell'industria, del lavoro e dell' agricoltura; uomini e donne che sono interamente dediti al bene comune. Mi è gradito esprìmere a loro tutti quanto io apprezzi l'opera da loro svolta per rafforzare la fede del nostro paese nella saggézza di un'opera concorde per il benessere generale.

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1.

Il clima dell'occupazione integrale e della pace

La mèta.

In questo libro mi servo dell'espressione « 60 milioni di posti » come equivalenza del fabbisogno occorrente in tempo di pace per conseguire l'occupazione integrale. Ma il sostenere, come io faccio, che il nostro paese può procurare la continua occupazione integrale nel quadro del nostro sistema di libera iniziativa, impone una re-sponsabilità che non consente di cavillare o di ragionare demagógi-camente su fatti e cifre, o equivalenze e simboli.

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14 Capitolo secondo

esatta equivalenza aritmetica, dell'occupazione integrale che

po-tremo raggiungere, dell'occupazione integrale che dovremo

rag-giungere per salvaguardare il nostro illimitato avvenire di popolo libero contro i nemici della nostra libertà nel nostro stesso paese. Io credo che potremo raggiungere questa mèta senza una « eco-nomia pianificata », senza una disastrosa inflazione e senza un bi-lancio definitivo deficitario che pregiudicherebbe il nostro credito nazionale. Darò la definizione dei miei termini, calcolerò i costi, peserò le diverse alternative e presenterò un elenco di dettagli. Non mi accontenterò di enumerare i vantaggi dell'occupazione integrale, ma esporrò nei loro particolari, anche minuti, i sistemi e la politica di bilancio che sarà necessario seguire per toccare la mèta.

Ma la nostra occupazione integrale, proprio come la nostra pace, ha bisogno del clima appropriato per poter prosperare. Non potremo avere né continua occupazione integrale, né pace continua, se non ci libereremo dai due mali gemelli che sono la disunione e il disfattismo.

Il clima dell'unità.

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L'occupazione integrale e la pace 15 Le tensioni sociali, poche o tante che fossero, non sarebbero tollerabili nella nostra vita nazionale per nessuna ragione. Ma quando 13 milioni dei nostri concittadini sono negri, 23 milioni cattolici e 5 milioni ebrei — con un totale equivalente al terzo circa della nostra popolazione — l'esistenza di tensioni sociali dev'essere affrontata con audacia e coraggio. Se l'America deve conseguire l'occupazione integrale e la pace durevole in casa pro-pria, non può permettersi il caos sociale derivante dalle discrimi-nazioni razziali e religiose.

La barbarie nazista ebbe inizio con questi stessi pregiudizi ed odi razziali e religiosi. E nel loro fanatismo i terroristi nazisti giunsero a negare Cristo e a distruggere la moralità cristiana quale forza atta a produrre l'unità fra i popoli della terra. È evidentis-simo che qualsiasi gruppo organizzato il quale, mediante una propaganda fomentatrice di pregiudizi ed odi di razza e di reli-gione, cercasse di dividere il popolo, sarebbe colpevole della peggior specie di frode e di delitto contro l'umanità e la società.

Abbiamo imparato — e abbiam pagato la lezione con sa-crificio di vite e di ricchezze — che chiunque danneggia inten-zionalmente una qualsiasi parte della società, danneggia irrepara-bilmente tutta quanta la società stessa. Abbiamo, nella legge, dei rimedi contro la frode in commercio. È certo che l'intolleranza razziale e religiosa fomentata da gruppi organizzati, facenti uso di mezzi propagandistici, non rappresenta né più né meno che una frode sociale, un delitto contro la società. Io credo ferma-mente, pertanto, che il Congresso dovrebbe decretare un provve-dimento legislativo che rendesse siffatti delitti sociali passibili di pena, con la debita tutela, beninteso, delle nostre libertà civili. Il clima della pace.

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16 Capitolo secondo

pregiudizi, sull'ignoranza e sui sospetti. Non è discutibile la ne-cessità del nostro pieno ed intero concorso con le Nazioni Unite nell'opera intesa ad assistere altri paesi a conseguire un più elevato tenore di vita, giacché io credo che questo ufficio di buon vicinato sia reciprocamente vantaggioso. E voglio qui sottolineare la ne-cessità di evitare o rimuovere la tensione disfattista nei rapporti internazionali, dovuta alla costante attesa che qualcun altro abbia ad aggredirci. A questo proposito ho in mente specialmente il nostro atteggiamento verso la Russia.

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cit-L'occupazione integrale e la pace 17 tadini russi, comprendente persone che vanno dai funzionari ai lavoratori di fabbrica, sono fermamente convinto che il popolo russo ha una grande ammirazione ed amicizia per il popolo degli Stati Uniti e che esso vuol vivere e prosperare con noi in pace. Naturalmente, il sistema russo di governo non è fatto per noi. È probabile che, per anni avvenire, il governo russo non con-sentirà ai suoi cittadini certe libertà fondamentali che sono a noi tanto care. Ma ora i russi sono indubbiamente persuasi che senza Stalin e senza il governo sovietico la Russia sarebbe stata distrutta in questa guerra. Ed io sono anche certo che, come tutti noi altri, i russi vogliono avere la certezza che la pace sia assicu-rata. Dobbiamo rispettare l'atteggiamento russo, e i russi debbono rispettare il nostro atteggiamento per quanto concerne la conser-vazione della nostra propria forma di governo. È questo reci-proco rispetto che significa la pace, che apporta la sicurezza della pace. Se si deve avere negli Stati Uniti una vita migliore per tutti, è necessario che abbiamo questa sicurezza della pace. Non dobbiamo permettere che coloro i quali hanno dei rancori da sod-disfare ci spingano ad assumere un atteggiamento ostile. Il mondo si attende dalle grandi potenze collaborazione e guida politica, economica e morale, ma non sospetti, odio e guerra.

Infine, ricordiamoci che non abbiamo nulla da temere dal comunismo nel nostro paese, se il nostro sistema di libera ini-ziativa si dimostrerà all'altezza delle sue possibilità. Prosperiamo con il nostro proprio sistema democratico in casa nostra, e prospe-riamo con quei popoli esteri che, quale che sia il sistema che già hanno o che vogliono avere, desiderano tuttora e si sforzano di vivere in una pace non aggressiva con il resto del mondo.

La civiltà, uscendo da questa guerra, si è guadagnato i] diritto ad una nuova possibilità di conseguire la pace permanente. Può darsi che non ne abbia mai più un'altra.

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2. Fissare le mète

Franklin D. Roosevelt indicò per la prima volta i 60 milioni di posti come mèta della nazione dopo la guerra nel suo stimo-lante discorso tenuto al Soldiers Field di Chicago la sera del 28 ottobre 1944. Le lezioni apprese nei dodici anni dei miei intimi rapporti con questo grande e pratico filantropo avrebbero dovuto rendermi cauto nel discutere le sue mète. Nondimeno, la mia prima idea fu che egli avesse mirato un po' troppo alto. E quella sera gli telegrafai quanto segue:

« La vostra mèta di 60 milioni di posti è forse troppo alta, ma io sono fiero della vostra audacia e, come dite, l'America può fare quello che sembra impossibile. Vi prediciamo che vincerete in trentasei Stati e che avrete una schiacciante maggioranza di tre mi-lioni di voti ».

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20 Capitolo secondo

il popolo. E quella sola garanzia era stata sufficiente a dare al popolo nuova fede nel suo avvenire. L'uomo che diede quella ga-ranzia è morto. Ma noi dobbiamo giustificare la sua fede. Lo dob-biamo fare, non per far onore alla garanzia di Franklin Roosevelt, ma per giustificare la nostra fede in noi stessi e nel nostro paese. Nei mesi trascorsi da quella giornata elettorale io ho dedicato più della metà del mio tempo allo studio della meccanica dell'oc-cupazione integrale postbellica. Ho utilizzato l'ampio e splendido materiale statistico degli enti federali e le eccellenti risorse di enti non governativi, quali l'Associazione per i piani nazionali e il Comitato per lo sviluppo economico, l'uno e l'altro dediti allo studio di piani per la libertà; ed ho discusso tutti gli aspetti del problema con coloro che dentro o fuori del governo si sono dati alla ricerca di un'equa soluzione, ivi compresi rappresentanti dell'industria, dell'agricoltura e del lavoro.

Il mio scopo ili tutto ciò era di affrontare il problema del-l'occupazione integrale — che, dopo tutto, è il problema della conservazione del nostro sistema democratico della libera inizia-tiva — sulla base dei fatti e senza sentimentalismi. Ed il risultato ne è che io so adesso che Franklin Roosevelt aveva ragione nel valutare a 60 milioni di posti il nostro fabbisogno post-bellico, come era giusta la mia predizione elettorale che egli avrebbe vinto in trentasei Stati ed avrebbe avuto una maggioranza popolare di tre milioni di voti.

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Fissare le mète 21 Pertanto, l'occupazione integrale postbellica e i 60 milioni di posti sono tutt'uno per me. Sono come il diritto e il rovescio di una medaglia.

Potremo raggiungere questa mèta? Io credo che lo potremo, sempreché i « gruppi influenti », che rappresentano gli elementi più articolati della vita nazionale, collaborino insieme e con il governo per il bene comune di tutto il popolo, e sempreché agiamo tempestinomeli te.

Ma, per vincere la pace, le nostre mire devono essere altret-tanto alte quanto lo furono per vincere la guerra. Noi tutti ricor-diamo che vi fu gente che rise quando, subito dopo Pearl Harbor, Franklin Roosevelt stabili la mèta di 50.000 aeroplani all'anno. Sappiamo ora quanto egli avesse ragione. Sarebbe ora altrettanto pericoloso mirare a meno di 60 milioni di posti nel dopoguerra quanto lo sarebbe stato allora il mirare a meno di 50.000 aero-plani all'anno. Parlare di 50 milioni di posti equivale a parlare di perpetuare la disoccupazione in massa ed il conseguente caos. Io penso a quella pace di abbondanza che dobbiamo costruire come alla Pace del Popolo, le fondamenta della quale sono già state gettate per noi. Franklin Roosevelt gettò queste fondamenta con i solidi blocchi del suo Progetto di Legge sui Diritti economici. Com'era detto nel suo discorso del gennaio 1944 sullo stato della Nazione, tali diritti sono:

— il diritto ad una utile e rimunerativa occupazione nelle industrie, o nei commerci, o nei poderi, o nelle miniere della nazione ;

— il diritto a guadagnare abbastanza da potersi convenien-temente nutrire, vestire e ricreare;

— il diritto di ogni agricoltore a coltivare e vendere i suoi prodotti con un ricavo tale che consenta a lui ed alla sua famiglia di vivere decentemente;

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Siamo diventati una nazione con 60 milioni di

posti di lavoro

Milioni di posi, di lavoro

Il numero delle persone disponibili per il lavoro è venuto continuamente cre-scendo. L'Ufficio del Cen-simento degli S. U. stima che ve ne saranno più di 62 milioni nel 1950.

L'occupazione effettiva se-gue da vicino il crescere della forza di lavoro, ma nel 1930-1940 fu molto in-feriore ad e s B O . Negli anni di

guerra, come nel 1918e 1944, molte persone che normal-mente non facevano parte della forza di lavoro sono state collocate in impieghi connessi con la guerra.

Per conseguire l'occupazio-ne integrale l'occupazio-nel 1950 avre-m o bisogno di posti di la-voro per 60 milioni di per-sone.

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Siamo diventati una nazione di 200 miliardi di

dollari

Questo avveniva negli S. U. nei 50 anni prima del 1930. La produzione si raddop-piava ogni 20 anni.

Negli anni 1930-1940 scen-d e m m o molto al scen-disotto della nostra normale po-tenzialità di produzione, ma durante la guerra l'ab-biamo superata.

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24 Capitolo secondo — il diritto di ogni famiglia ad un'abitazione decente • — il diritto a convenienti cure mediche ed alla possibilità di essere e mantenersi in buona salute;

— il diritto ad un'adeguata protezione dai timori economici della vecchiaia, della malattia, degli infortuni e della disoccu-pazione;

— il diritto ad una buona istruzione.

Questi diritti, però, vanno oltre a quelle che sarebbero le mere esigenze essenziali della Pace del Popolo. Essi ci fanno ve-dere la portata del nostro compito. Essi fanno appello al nostro sistema democratico della libera iniziativa perché faccia si che il tanto vantato tenore di vita americano diventi una realtà per tutto il nostro popolo. E sarà soltanto rispondendo a questo appello in uno spirito di equità ed immediatamente ed audacemente — e soltanto pensando positivamente al consumo in massa, anziché negativa-mente temendo la disoccupazione in massa — che potrà soprav-vivere il nostro regime di libertà.

Come nazione abbiamo costruito al limite delle nostre fron-tiere geografiche. Certo che, se vogliamo essere un popolo pro-spero, dovremo adoperarci sempre più attivamente per costituire una realistica base per la nostra partecipazione allo sviluppo eco-nomico di paesi esteri e per fare del nostro commercio estero qualche cosa di più di mia via a circolazione in senso unico. Ma anzitutto dobbiamo pensare a noi. Dobbiamo fare qualche cosa per portare la metà meno agiata della nostra popolazione entro i limiti del nostro migliore ambiente interno. Inoltre, col fatto stesso di render possibile a tutto il nostro popolo di godere un'abita-zione decente, un miglior stato di salute ed una buona istruun'abita-zione — di rendere possibile a tutto il nostro popolo di avere le cose che rappresentano il frutto del suo lavoro — noi creeremo quelle mag-giori possibilità di lavoro che occorrono j^er conseguire l'occupa-zione integrale postbellica.

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Fissare le mète 25 problema a lunga scadenza. 11 giorno della vittoria in Europa ci impose il problema immediato di effettuare il ritorno all'economia di pace con le minori dislocazioni e rovine possibili, mentre conti-nuavamo la lotta sino alla vittoria finale contro il Giappone.

Per vincere la guerra, il governo dovette assumere virtual-mente l'assoluto dominio sull'economia. Per vincere la pace, noi dobbiamo liberarci il più rapidamente possibile da questo dominio governativo sulla struttura economica; ma con la medesima rapi-dità dobbiamo anche determinare a quali enti spetti la funzione di provvedere per la piena occupazione nel periodo del trapasso dalla guerra alla pace. Quali sono veramente le autorità che de-vono svolgere tale funzione: quelle federali, quelle statali o quelle locali? Quali sono le funzioni dell'industria, dell'agricoltura e del lavoro? Qual'è la funzione delle comunità locali?

Era per mettere in chiaro a chi spettassero quelle funzioni che Franklin Roosevelt appoggiò la proposta di unificare il bi-lancio nazionale come mezzo pratico per orientare la nostra pro-duzione nazionale per la pace. Secondo lui, l'attuale limitato bi-lancio federale apparteneva ad un'epoca sorpassata. Egli si ren-deva conto che la somma delle possibilità di lavoro in ciascun anno dipende necessariamente dall'ammontare complessivo speso in beni e servizi da tutti i consumatori, dall'industria e dal com-mercio, nonché dalle pubbliche autorità (federali, degli Stati, lo-cali). Ed egli credeva che soltanto pubblicando periodicamente delle stime comprensive del potere d'acquisto complessivo del-I intiera nazione fosse possibile conoscere la nostra situazione esatta in qualsiasi momento dato, nonché quello che dovessimo attenderci nell'avvenire, e quali provvedimenti fossero da adot-tarsi "dagli imprenditori privati e dalle autorità per mantenere l'occupazione integrale.

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26 Capitolo secondo

naturalmente dei dissensi circa i sistemi precisi da seguire, giacché noi siamo un popolo democratico. Ma non possiamo permetterci di dissentire circa l'entità e l'urgenza del compito da assolvere. Questo libro espone le mie idee personali sulle necessarie fun-zioni per conseguire e mantenere l'occupazione integrale, nonché sulla natura dei poteri che il popolo dovrebbe concedere al go-verno e di quelli che esso, in quanto industriale e commerciante e consumatore, dovrebbe riservare per sé. Non ho tentato di spe-cificare minutamente quello che dovremmo fare e come dovremmo farlo. Nel nostro regime democratico è questa una funzione del Congresso. Ho cercato piuttosto di dare un qualche orientamento al pubblico su quelli che considero essere i nostri bisogni come popolo, i bisogni di tutto il nostro popolo. E ho cercato di met-ter bene in evidenza il fatto che il popolo americano non sarà mai soddisfatto se noi produrremo meno e consumeremo meno di quanto lo consentano le nostre possibilità. D'ora in avanti il popolo domanderà: Viviamo noi secondo le nostre possibilità? Utilizziamo noi tutte le nostre risorse, tutta la nostra mano d'opera e tutto il nostro sapere? Ci stiamo noi adoperando altrettanto accanitamente per elevare il tenore di vita del nostro popolo quanto ci siamo adoperati per distruggere la crudele potenza degli aggres-sori della razza che si credeva chiamata a dominare il mondo?

Io credo che occorreranno verso il 1950 circa 60 milioni di posti per elevare del 100% il livello di vita di coloro che si tro-vano attualmente più in basso: e che per effetto di questo processo noi altri tutti vedremo i nostri redditi resi più sicuri, e noi tutti avremo la soddisfazione di vivere per la prima volta in una democrazia a larghissima base.

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Fissare le mète 27 Invece, il pericolo è che noi non ci rendiamo conto dell'im-portantissimo fatto che vincere la ¡^ace sarà assolutamente altret-tanto difficile, esigerà dal nostro patriottismo non minori sacri-fici che il vincere la guerra. E potrà essere anche più difsacri-ficile.

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3.

L'alto prezzo dell'insuccesso

Uomini dall'animo affranto, donne che aspettano a casa con indicibile angoscia, bimbi trascurati e denutriti: ecco il vero costo della disoccupazione.

Troppi, troppi milioni di famiglie americane hanno pagato questo terribile prezzo.

I risparmi svaniscono; e degli uomini vanno per le vie silen-ziose da un negozio all'altro, dal cancello di una fabbrica chiusa ad un altro, e non riescono che a consumare il cuoio delle loro scarpe. I piani delle dispense sono vuoti e i camini senza fumo; e mogli e figli si associano alla ricerca di lavoro, di un qualunque lavoro, per guadagnare il soldo indispensabile, ma invano. E i corpi e gli animi si indeboliscono; ed aumentano il delitto e le malattie man mano che si allungano le code per la minestra. Nessuno potrà mai sondare le profondità della tragedia che si verifica quando il disinganno e la delusione prendono il posto della dignità umana nell'animo di un uomo.

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30 Capitolo secondo

farlo apparire altrettanto importante ed urgente quanto quello della guerra.

Dobbiamo sentirci altrettanto stretti gli uni agli altri per vincere la pace quanto lo fummo per vincere la guerra. Dobbiamo rendere la pace altrettanto provocante — e stimolante — quanto la guerra. Io spero che il presente libro possa recare un qualche contributo a tal fine.

Il mezzo migliore per renderci conto dell'importanza di questo appello è di misurare il costo della disoccupazione sotto l'aspetto finanziario e sotto l'aspetto dei dolori di cui essa è causa.

Nel quarto decennio di questo secolo, noi, e come nazione e come popolo, abbiamo sopportato il massimo costo della disoc-cupazione. Nei dodici anni dal 1930 a tutto il 1941 la media delle persone atte al lavoro fu di 52.000.000, numero equivalente ad un dodicesimo di 624.000.000 di lavoratori. Ma il numero medio degli individui effettivamente occupati nel citato dodicennio non lia raggiunto che una cifra equivalente ad un dodicesimo di 519.000.000 di persone all'anno.

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Il caro prezzo della disoccupazione

|f O c c u p a z i o n e

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32 Capitolo secondo

Quindi, per i dodici anni di disoccupazione, la detrazione di questa perdita normale di circa un milione e mezzo all'anno dalla nostra forza di lavoro lascerebbe un costo della depressione am-montante ad 88.000.000 di anni-uomo.

In quanto alla produzione nazionale, questi 88.000.000 di anni-uomo perduti hanno causato, tenendo conto dei prezzi attuali, una perdita di circa 350 miliardi di dollari.

La mente umana si confonde all'enunciazione di una tal somma; riesce difficile renderci conto della sua effettiva entità in termini di cose che noi comprendiamo.

Essa basterebbe a pagare per intero 70.000.000 di abitazioni del costo di 5000 dollari, quantità superiore di tre volte a quella che sarebbe necessaria per eliminare tutti i tuguri, urbani e rurali, degli Stati Uniti.

Essa basterebbe a raddoppiare, ed oltre, il capitale azionario di tutte le Società anonime degli Stati Uniti.

Essa basterebbe a costituire 350 enti per la valorizzazione di bacini fluviali delle dimensioni del T.V.A. 1

E, come ultimo esempio, supera il totale che il debito pub-blico federale raggiungerà il giorno della vittoria sul Giappone.

Come ha potuto il nostro sistema della libera iniziativa so-pravvivere ad un tale collasso della produzione? Francamente, io sono uno di quelli che credono che abbiamo potuto sopravvivere soltanto perché l'audace e coraggiosa azione del New Deal di Roosevelt restituì al popolo la fiducia in se stesso e la fede nelle sue libere istituzioni. Sorretta da questa rinata fede, la nazione ha ripreso la marcia verso il conseguimento di una più larga base per lo sviluppo della sua vita economica. Ripetutamente il popolo

1 Tennessee Valley Aulhority (Enle per il Bacino del Tennessee). Questo

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33 ha approvato con schiacciante maggioranza l'indirizzo progres-sista seguito a Washington, ed ha riconfermato il suo mandato per ulteriori progressi. Noi abbiamo fatto maggiori progressi eco-nomico-sociali negli anni dal 1933 a tutto il 1941 che con qual-siasi nostro governo precedente. Ma contemporaneamente anche le forze di aggressione in tutto il mondo volgevano all'inevitabile guerra globale. Cosi, anche prima della fine del quarto decennio, il nostro progresso subì una grave interruzione. Noi dobbiamo ora riprendere il cammino là dove fummo costretti a sostare, dob-biamo consolidare i progressi ottenuti e sviluppare un mezzo pra-tico per evitare la disoccupazione massiccia.

In questo nostro procedere dobbiamo scansare gli allarmisti. Ma è necessario che c'informiamo bene dei pericoli che ci stanno davanti e che ce ne preoccupiamo costantemente. Già nel 1943 il Ministero del Commercio ci avverti che nel 1946 potremmo pro-durre la stessa quantità di merci prodotta nel 1940, pur avendo ancora 19 milioni di lavoratori disoccupati. Troppo spesso non badiamo a questi indicatori statistici. Poi, ci guardiamo intorno e diciamo: Fummo avvisati. Perché non abbiamo agito prima che fosse troppo tardi?

Siffatti indicatori ci avvertono di un fatto ineluttabile, ed è che se non prepariamo i nostri piani adesso, con coraggio e sag-gezza, noi ci esponiamo ad avere non una perdita di 88.000.000 di anni-uomo di lavoro, non una perdita di 350 miliardi di produ-zione nazionale, ma una perdita di più di 500 miliardi di dollari.

Tutti possono facilmente immaginare che cosa ne sarebbe delle nostre libere istituzioni il giorno che dovessero subire la prova di tanta disoccupazione e miseria e rovina.

È questo, dunque, l'appello al quale il popolo deve rispon-dere nello sforzo comune per vincere la pace.

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1. Gli elementi costitutivi

Alcuni critici dell'obbiettivo dei 60 milioni di posti sono abbastanza onesti, ma non sono che dei timidi per natura. Altri sono favorevoli a parole all'occupazione integrale, ma in realtà tol-lererebbero diversi milioni di disoccupati permanenti nell'erronea credenza che la concorrenza dei disoccupati mantenga bassi i sa-lari ed alti gli utili.

Questa gente, invero, considera la disoccupazione come qual-cosa di simile all'antico giuoco delle « sedie musicali », con le regole del giuoco economico stabilite in modo che un certo nu-mero di persone venga sempre lasciato a piedi nella gara per ottenere un posto. Per loro il solo quesito è quello relativo al numero di coloro che devono restare in piedi, e non si pon-gono il problema del come possano evitarsi le rovine che la disoc-cupazione cagiona agli individui ed alla società intera.

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38 Capitolo secondo

Essa comprende coloro che già lavoravano prima della guerra, coloro che successivamente furono disoccupati ma trovarono poi lavoro e vogliono conservarlo, coloro che sono entrati nei ranghi dei lavoratori in seguito al normale accrescimento della popola-zione, e coloro che sono occupati nelle forze armate. I 60 milioni di posti non costituiscono, naturalmente, una cifra definitiva. Sarà all'incirca giusta per il 1949 ed a tutto il 1951 o 1952, ma sarà probabilmente troppo esigua per il 1955.

In realtà vi saranno più di 60 milioni di lavoratori nel 1950, giacché si stima che abbiano a continuare a voler lavorare non meno di due milioni di coloro che furono tratti dalle loro case o dalle scuole per essere addetti ad attività connesse con la guerra. Ma se teniamo conto di circa un milione e mezzo di persone che non lavorano neanche negli anni prosperi — si tratta ancora della cosiddetta « disoccupazione da attrito» — torniamo ai 60 milioni di persone che saranno nel 1950 nei ranghi dei lavoratori e per le quali avremo bisogno di 60 milioni di posti. Una media di 60 milioni di persone attive in occupazioni di ogni specie, compreso il servizio militare, non sarebbe superiore nel 1950 (quando la nostra popolazione di 14 anni e più di età ammonterà a 110 milioni d'individui) alla media di 49 milioni di persone attive nel 1929, quando la nostra popolazione di 14 anni e più di età ammontava soltanto a 90 milioni; poiché la media delle persone attive sarebbe di pochissimo inferiore al 55 % nei due casi.

•Gli elementi più stabili.

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indù-39 strie nelle quali l'occupazione sarebbe più incerta qualora tornas-simo alla « normalità » (Vedi il diagramma seguente).

Da 47 milioni di lavoratori occupati nel 1940... a

60 milioni nel 1950

Distribuzione dei lavoratori degli Stati Uniti fra le principali categorie di occupazione.

HIMMMMIMMMMI

J|i§IÉɧllI

SS

PfofeiiionUti' l Indui

MI MM MttMttlH MWtóÉMiilEMflllSifflfflitó

1950

In base all'esperienza del passato ed a tendenze abbastanza evidenti del nostro fabbisogno, io riterrei che dei 60 milioni di posti circa 23 milioni si troverebbero nell'agricoltura, nei servizi domestici e nella categoria degli industriali indipendenti e dei professionisti, dei direttori e funzionari privati, e negli enti pub-blici (federali, statali e locali) e nelle forze armate.

Questi 23 milioni di possibilità di lavoro sarebbero, all'in-grosso, divisi come segue:

posti di lavoro gli enti pubblici e le forze armate fornirebbero circa . 7.000.000

l'agricoltura fornirebbe circa 8.000.000 i servizi domestici fornirebbero circa . . . 2.000.000

gli indipendenti (industriali e professionisti) i direttori e

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40

Nel 1940 poco più di 4 milioni di lavoratori erano impiegati dalle autorità federali, statali e locali. Durante la guerra gli im-pieghi civili in questi tre rami sono saliti complessivamente a 6 milioni. Vi saranno, e comunque vi dovrebbero essere, delle ri-duzioni in questo settore dell'occupazione. Direi che una cifra da 4,5 a 5 milioni rappresenta una ragionevole stima del numero dei posti disponibili presso gli enti pubblici nel dopoguerra. In quanto all'entità delle forze armate, non è ancora dispo-nibile una stima definitiva al riguardo. Ma sembra che si sia abbastanza d'accordo nel ritenere che il totale permanente delle forze armate in tempo di pace debba necessariamente essere di circa 2 milioni e mezzo di uomini. Il totale di 7 milioni sarebbe quindi ima cifra ragionevole per il complesso degli enti pubblici e delle forze armate.

La stima di 8 milioni di posti di lavoro nell'agricoltura post-bellica è di circa 2 milioni inferiore alla cifra di anteguerra ed uguaglia approssimativamente il numero attuale dei lavoratori rurali. L'occupazione nell'agricoltura può crescere un poco al di-sopra dei livelli constatati nel periodo bellico a mano a mano che i soldati vengono congedati. Ma non è probabile, salvo il caso di disoc-cupazione massiccia, che essa abbia a raggiungere il livello prebel-lico. Un gran numero di lavoratori rurali, maschi e femmine, con-tinueranno a cercare occupazione nelle città.

I due milioni di addetti ai servizi domestici, previsti nel dopo-guerra, rappresentano una cifra alquanto superiore al numero degli occupati in tali servizi durante gli anni della guerra, ma è infe-riore al numero di coloro che affluivano in massa in questo settore durante la crisi quando non erano disponibili occupazioni meglio retribuite in altri campi.

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GJi elementi costitutivi 41 in rapporto al totale di 60 milioni di posti, un'importanza molto maggiore di quella che risulta dalle comuni classificazioni per categorie. Giacché circa la metà di quei 6 milioni comprende il gruppo dei datori di lavoro — coloro che assumono e licenziano il personale — coloro che od occupano direttamente lavoratori o stabiliscono le direttive commerciali che influiscono sulla occu-pazione dei rimanenti 37 milioni di persone.

Gli elementi meno stabili.

Ed in quanto a questi 37 milioni di persone, le loro possibilità di occupazione devono trovarsi nelle fabbriche e nelle miniere, nell'industria edilizia, nei trasporti ed altri servizi pubblici, nei commerci di ogni specie e negli istituti finanziari, nell'industria dello spettacolo e nelle industrie fornitrici di servizi (alberghi, trattorie, garages, posti di rifornimento, lavanderie, negozi di par-rucchiere e istituti di bellezza, smacchiatorie e tintorie, ecc.). Queste industrie, e specialmente la manifatturiera, la mineraria e l'edilizia, sono i settori di occupazione più incostanti. Le cifre dell'occupazione in tali settori costituiscono sensibilissimi indici della fiducia degli ambienti economici. Se si riduce notevolmente l'occupazione nell'industria manifatturiera, nella mineraria e nel-l'edilizia, se ne hanno immediatamente ripercussioni negli altri settori dell'attività economica. E per quanto io non creda che in definitiva la distribuzione dell'occupazione integrale nei vari set-tori abbia a variare sensibilmente dalla ripartizione qui sotto esposta, voglio tuttavia sottolineare che nuove invenzioni e modi-ficazioni tecniche possono alterare in molti modi la situazione di concorrenza nei settori suddetti.

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42 Capitolo secondo

all' estero, per i prodotti del loro lavoro, allora l'occupazione nei settori in questione sarebbe in media la seguente:

in milioni Industria manifatturiera e mineraria . . 15

Industria edilizia 3,5 Servizi pubblici e trasporti 3,5

C o m m e r c i o : . . 9

Finanza, servizi e diversi 6 Totale 37

È nell'industria manifatturiera, nell'edilizia e nella mineraria dove gli alti e i bassi si sono verificati con maggior violenza. Nel-l'industria manifatturiera si è avuta la maggiore espansione du-rante la guerra. È qui che la disoccupazione si fa sentire più presto e più duramente. Nell'ultima depressione, nel 1932, non vi erano che circa 6 milioni di lavoratori nelle fabbriche. Tanto nel 1929 quanto nel 1940 ve n'erano più di 10 milioni, e nel 1943, nel punto massimo toccato durante la guerra, la cifra era di quasi 17 milioni. Nel dopoguerra appare ragionevole la previsione di almeno 14 milioni di posti nell'industria manifatturiera.

L'industria mineraria procurerà circa un milione di posti nel dopoguerra. Questa cifra è all'incirca la stessa del 1929 ed è un po' più elevata di quella del 1940. Cosi dovremo avere in totale 15 milioni di persone occupate nell'industria manifatturiera e nella mineraria. Una occupazione in questi due settori inferiore ai 14 milioni significa l'inizio della disoccupazione massiccia, 15 mi-lioni o più vogliono dire la prosperità.

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GJi elementi costitutivi 43 siano tali da dar lavoro a 3-3,5 milioni di lavoratori all'anno nel-l'immediato periodo postbellico. Varie persone che seguono da vi-cino l'industria edilizia mi dicono che sarà forse bassa questa mia stima. Se cosi risulterà, sarà tanto meglio per noi tutti.

Si può prevedere che i trasporti ed i pubblici servizi procure-ranno nel dopoguerra da 3,5 a 4 milioni di posti di lavoro. Questa cifra è lievemente più elevata di quella del 1940 e pochissimo dif-ferente da quella del 1929. L'occupazione dei lavoratori nelle fer-rovie dipende direttamente dall'attività dell'industria manifatturiera, della mineraria e dell'edilizia.

Il numero dei posti nel commercio dipende direttamente dalla prosperità dei rimanenti lavoratori. Nel 1929 lavora-vano nei commercio circa 6 milioni di persone (cioè: impiegati, contabili, commessi e simili, addetti alle aziende all'ingrosso e al minuto, alle ditte importatrici ed esportatrici, ecc.). Anche negli anni della guerra, nonostante la chiusura della massima parte dei posti di rifornimento benzina e dei saloni di vendita di automobili, la cifra è stata di circa 7 milioni. Con l'occupazione integrale dopo la guerra, e con il ritorno alla più breve settimana lavorativa di anteguerra, è ragionevole prevedere che vi saranno circa 9 milioni di posti di lavoro nel commercio.

I rimanenti 6 milioni di posti saranno distribuiti fra i settori degli istituti finanziari, delle industrie produttrici di servizi, dell'industria dello spettacolo e di attività diverse. Nel 1929, circa 4 milioni di persone erano occupate in queste categorie. Nel cul-mine della produzione bellica la cifra era inferiore ai 4 milioni, ma il fatto è che la guerra rendeva impossibile, a molta gente che avrebbe voluto assumerli, di trovare lavoratori di questi rami. Con l'occupazione integrale e i più brevi orari lavorativi del dopo-guerra, prevedo che la richiesta di lavoratori in questo campo am-monterà a 5 e probabilmente a 6 milioni di individui.

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occor-44 Capitolo secondo

renti, questi settori di occupazione — dalle industrie manifatturiere a quelle produttrici di servizi — davano lavoro nel 1940 soltanto a 25 milioni di persone e che non possiamo far assegnamento su una cifra molto maggiore negli anni postbellici.

Ma per me il punto importante è il seguente: io sono certo che nessun uomo d'affari sensato, come nessun uomo di governo sensato, sia disposto a considerare il 1940 come un anno normale. Io non ho mai ammesso che la disoccupazione del 1939 o del 1940 sia cosa alla quale noi dobbiamo adattarci in un paese di possibi-lità illimitate come il nostro. Né sono disposto ad ammetterlo adesso.

Coloro che parlano di 50 milioni di posti come della occu-pazione integrale, parlano in realtà in favore di un reddito nazionale di almeno 35 miliardi di dollari inferiore a quello che potremmo procurarci se soltanto avessimo il coraggio di produrre i beni che il popolo effettivamente vuole e di cui ha bisogno. Io mi rifiuto di ammettere che sia inevitabile questa perdita di 35 mi-liardi del nostro reddito nazionale. Sarà soltanto producendo questi 35 miliardi di dollari in piti all'anno che noi potremo pa-gare la guerra senza imporre un carico troppo gravoso alla nostra economia. Cinquanta milioni di posti non sono proprio sufficienti quando le forze del lavoro superano i 60 milioni di persone. È pazzia il credere che potremo pagare questa guerra condannando gente alla disoccupazione.

Nel trapasso dalla guerra alla pace dovremo essere preparati ai rapidi cambiamenti. Vi saranno dislocazioni in molte zone ed in-dustrie. I fronti della pace richiederanno subitanei cambiamenti, proprio come li richiedevano i fronti della guerra. Non soltanto le forze del lavoro, ma anche gli uomini che si trovano nei posti di-rettivi, dovranno essere pronti ai rapidi spostamenti, cosi da un'in-dustria ad un'altra, come da una regione geografica ad un'altra.

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GJi elementi costitutivi 45 settori, ed anche nel senso che sono le zone nelle quali la politica e l'azione governativa hanno efficacia fondamentale agli effetti dell'occupazione integrale.

L'ima è l'industria manifatturiera, dove il governo può o acce-lerare od impedire il processo del trapasso, dove esso può o aiutare a mantenere occupati 14 milioni di persone o può precipitare un declino che sarebbe difficilissimo arrestare. L'altra è l'industria edi-lizia, dove il governo può agire direttamente, come ha tradizional-mente agito, al fine di creare possibilità di lavoro con la costru-zione di opere pubbliche necessarie.

Per garantire la continuità dell'occupazione integrale, il po-polo deve, attraverso il Congresso, munire il governo del potere di agire in collaborazione diretta con gli imprenditori privati non appena l'incipiente disoccupazione faccia prevedere il pericolo di una disoccupazione massiccia. Vi sono, naturalmente, delle oneste divergenze di opinione circa il momento preciso nel quale si rag-giunge il punto pericoloso nella nostra economia. Negli anni pre-cedenti in cui avemmo brevi periodi di occupazione integrale, si ebbero, come fu già rilevato, da 1,5 a 2 milioni di disoccupati (in conseguenza di perfezionamenti tecnologici, della disoccupa-zione stagionale nell'industria edilizia e dei normali spostamenti da un posto di lavoro all'altro). Io credo che non dovremmo tol-lerare un più largo margine neanche con una forza di lavoro ammontante a 62 milioni, totale che secondo le nostre statistiche demografiche sarà raggiunto nel 1950. Ciò vuol dire che se il totale dei posti civili e militari scende al disotto di 59 milioni, vi sarà motivo di vera preoccupazione, e se quel totale scenderà al disotto di 58 milioni, dovremo guardarci da seri guai.

A chi andranno i posti di lavoro.

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46

La massa dei 60 milioni sarà costituita da lavoratori tra i 20 e i 65 anni di età; quasi 55 milioni saranno compresi in questa classe di età. Poi, 3 milioni consteranno di giovani, maschi e fem-mine, di età inferiore ai 20 anni, fra cui saranno dei lavoratori ad orario intero che avranno finito le scuole e degli studenti che si guadagnano la vita lavorando parte della giornata. All'ingrosso 2 milioni saranno uomini e donne di età superiore ai 65 anni. Queste stime per i lavoratori di più di 65 e di meno di 20 anni sono fondate sulla presunzione che abbia ad esservi una forte riduzione nella proporzione delle persone che lavoreranno a tali età, per effetto della tendenza ad allungare il periodo scolastico e ad anti-cipare il momento dell'andata a riposo.

Dei 60 milioni, circa 48 milioni saranno bianchi nazionali, circa 6 milioni saranno bianchi di origine straniera e circa 6 mi-lioni saranno negri. Vi saranno approssimativamente 42 mimi-lioni di uomini e 18 milioni di donne. Prima della guerra lavoravano in occupazioni retribuite 17 milioni di donne. Dei 3 milioni di donne, giovani e vecchie, che sono state addette ad attività connesse con la guerra, molte torneranno alle loro case e alle loro scuole. Ma almeno un milione e forse un milione e mezzo di esse vorranno continuare a lavorare in occupazioni retribuite.

Le donne che lavoreranno dopo la guerra saranno soprattutto della classe di età dai 20 ai 44 anni, nella quale rientreranno circa 12 milioni sui 18 milioni di donne al lavoro. Saranno per la maggior parte donne nubili o maritate senza figli. Si prevede che dopo la guerra, come prima di essa, ben poche madri di figli in tenera età saranno al lavoro fuori delle pareti domestiche.

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GJi elementi costitutivi 47 trasporti ferroviari è di circa il 95%. Tuttavia l'occupazione inte-grale può accelerare l'organizzazione dei lavoratori di settori non ancora organizzati, allo stesso modo che l'attività del tempo di guerra ha accelerato la loro organizzazione nell'industria mani-fatturiera.

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(51)

2.

L'interdipendenza degli elementi

Ho detto clie la mèta di 60 milioni di posti di lavoro è raggiun-gibile, sempreché i « gruppi influenti » collaborino per il bene generale. Questa può essere una condizione difficile ad avverarsi. È vero, ma è pure una condizione realistica e non dettata dal solo desiderio.

Non può esservi durevole occupazione integrale in un qual-siasi gruppo o settore della nostra vita nazionale se non vi sia durevole occupazione integrale in tutti. La nostra sopravvivenza comune quale popolo libero e democratico dipende dal fatto che ci rendiamo ben conto della nostra interdipendenza economica

(vedi diagrammi a p. 49). Lo sfruttamento economico da parte di un gruppo o di una coalizione di gruppi, sorretto dallo sfrut-tamento politico, può riuscire per un certo tempo, senza danno del nostro sistema di economia libera. Ma vi è sempre una fine, ed anche una triste fine, per la maggior parte degli sfruttatori. La nostra storia è piena di « venerdì neri » \ che hanno la costante tendenza a farsi sempre più numerosi e disastrosi.

' È un processo intollerabilmente pericoloso. Ma veniamo con-tinuamente spinti lungo questo sentiero pericoloso da coloro che

1 II venerdì 24 settembre 1869 si verificò una catastrofica caduta dei valori

di borsa negli Stati Uniti. Perciò è ricordato c o m e il «venerdì n e r o » (Black

Friday) [N. d. T.].

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50 Capitolo secondo

deridono le mète che dovremmo prefiggerci per la nostra propria sicurezza.

Per penetrare il significato della interdipendenza dei gruppi nella nostra vita nazionale, per vedere che cosa voglia dire la mèta dei 60 milioni di posti per ciascun gruppo e quale sia la reciproca importanza dei gruppi, diamo un breve sguardo ad al-cuni di tali gruppi.

L'importanza dell'occupazione integrale per l'industriale. In primo luogo, l'industriale; vi sono 3 milioni di industriali che devono procurare occupazione a 37 milioni di persone e le cui direttive ed atteggiamenti influiscono sull'occupazione di tutti.

iL'industriale è il proprietario della drogheria all'angolo ed è il presidente della United States Steel Corporation. Egli fab-brica e vende tutta la moltitudine degli strumenti di produzione, quali gli altiforni e i mescolatori di cemento, i laminatori e le fornaci di laterizi, le trattrici e le trebbiatrici, le seminatrici ed aratrici, le zappe e le scuri, e le fucine e le macchine-utensili del salone di montaggio di automobili. Egli costruisce la vostra casa e vi fornisce i combustibili, l'energia, i mezzi di comunicazione e di trasporto. Egli assume i lavoratori e compra i prodotti dell'a-gricoltore e li trasforma in prodotti alimentari e articoli di ve-stiario. Ed occupa lavoratori per fornirvi tutto quant'altro occorre per supplire alle necessità ed ai comodi della vostra vita quoti-diana: apparecchi radio e ghiacciaie, un buon fornello in cucina ed un buon impianto termico nello scantinato, e tutti gli altri comodi di una vita confortevole.

(53)

Gli alti e bassi della occupazione toccano noi tutti

Il livello dell'occupazione determina...

M i l i o n i di posti di l a v o r o

Livello d e l l ' o c c u p a z i o n e

... il reddito dei lavoratori...

b i l i o n i di posti di l a v o r o M i l i a r d i di d o l l a r i

...il reddito

M i l i o n i di posti d i

degli agricoltori...

l a v o r o M i l i a r d i d i dollari

Reddito netto degli agricoltori indi-pendenti più salari e stipendi dei la-voratori agricoli.

Reddito netto (dedotte le imposte) delle società azionarie, reddito netto delle altre aziende e degli indipendenti. ...e il reddito dell' industria

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52 Capitolo secondo

Ma che cosa farebbe l'industriale senza noi altri? Poiché, anche se qualcuno di noi può essere egli pure industriale, noi tutti siamo clienti, con vario potere d'acquisto.

Sia grande o piccolo — sia che attenda alla sua macelleria in maniche di camicia o governi un impero industriale dal suo ufficio magnificamente arredato in uno dei piani superiori di un grattacielo di Nuova York — l'industriale ha bisogno di noi tutti. Ha bi-sogno di buoni e costanti clienti, ed ha bibi-sogno che se ne accresca continuamente il numero. Ha bisogno di un mercato che si venga sempre più allargando.

Naturalmente l'industriale guarderà all'estero per l'espan-sione del suo mercato. E deve farlo. Ma deve pure ricordarsi dei « mercati esteri » che si trovano entro i nostri propri confini. Vi è ancora abbondanza di zone poco sviluppate in casa nostra. L'ele-vamento del tenore di vita in paesi esteri vorrebbe dire nuovi mer-cati per noi; ma uguale risultato avrebbe l'elevamento del tenore di vita, poniamo, nello Stato del Mississipi o del Dakota setten-trionale, o nei quartieri di tuguri di Nuova York e di Chicago.

Ci compiacciamo nel vantare il tenore di vita americano. Ci è descritto in migliaia di avvisi pubblicitari: la linda casetta con ambienti soleggiati ed il bagno maiolicato, i bimbi che ruzzano sul prato ombroso e ben tenuto e l'automobile ferma lungo il marciapiedi. L'uomo d'affari guarda intenerito all'America come a un mercato bell'e pronto per apparecchi radio, orologi da polso e pagliericci elastici, nonché pezzi scelti di carne e dolciumi. Milioni di persone godono infatti un simile tenore di vita.

(55)

L'interdipendenza degli elementi 53 come avrebbe dovuto esserlo. In realtà, per lo meno i tre quarti delle famiglie americane sono ancora lontane dall'essere in tutto e per tutto i clienti che dovrebbero essere.

Non potranno mai esserlo fino a quando la periodica disoc-cupazione massiccia creerà delle violente fluttuazioni nella loro capacità di acquistare i prodotti dell'industria. Per essere buoni clienti, esse devono essere clienti costanti, e per essere clienti co-stanti devono avere un'occupazione costante. È una ineluttabile reciprocanza di causa ed effetto: un unico e indissolubile mondo economico.

Durante tutto il periodo bellico noi abbiamo visto che cosa voglia veramente dire il consumo massiccio. Abbiamo prodotto una somma di beni anche maggiore di quella che potevamo sperare di produrre, e tuttavia vi sono state costanti e gravi deficienze. Perché? Non soltanto perché abbiamo inviato oltre oceano enormi riforni-menti alimentari alle nostre Forze armate ed a quelle dei nostri alleati. Non soltanto perché abbiamo contribuito ad alimentare i popoli liberati. Ma anche, ed in larghissima misura, perché mi-lioni di persone nell'interno hanno avuto danaro per comperare una maggior quantità di generi alimentari, e di qualità migliore, di quanto non avessero mai potuto permettersi prima.

I registratori di cassa delle drogherie e delle macellerie dei quartieri pili poveri hanno quotidianamente messo in evi lenza questo fatto vantaggioso.

Vi sono due modi di far danaro in affari. Il primo modo è quello di effettuare poche vendite a prezzi elevati e con larghi margini di profitto. Molti hanno avuto buon successo in questo genere di affari. Ma presto o tardi si verifica l'una o l'altra di queste due cose: o costoro sono cacciati via dalla concorrenza, oppure addivengono insieme ad accordi monopolistici al fine di eliminare la concorrenza.

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54 Capitolo secondo

efficienza e salari più elevati per una enorme massa di lavoratori. Per me, è questo il modo americano di intendere gli affari. Non v'è salario troppo alto, se il lavoratore lo merita. Anclie soli cinque centesimi di dollaro all'ora sono troppi, se il lavoratore non li merita.

Nel 1926, per esempio, il prezzo medio di una ghiacciaia mec-canica era di 400 dollari, ed in quell'anno se ne vendettero circa 200.000 unità. Ma dieci anni dopo l'industria produceva un pro-dotto molto migliore, che si vendeva al prezzo medio di soli 160 dollari, e in quell'anno essa esitò 2 milioni di ghiacciaie.

E che dire degli apparecchi radio? Ancora nel 1926, l'indu-stria vendeva 1.750.000 apparecchi al prezzo medio unitario di 54,50 dollari. E nel 1941 il totale delle unità vendute raggiungeva i 13 milioni al prezzo medio di 35 dollari. Questa cifra, beninteso, comprende cosi i modelli che si possono mettere sul tavolino da notte come i costosi apparecchi con mobile, ma comprende pure il complesso de i perfezionamenti tecnici conseguiti in quest'epoca elettronica.

Tanto per l'industria degli apparecchi radio quanto per quella delle ghiacciaie — per le automobiline le macchine per lavare e per una quantità dei più diversi prodotti — la consultazione delle statistiche rivela la stessa storia di profitti accresciuti attraverso l'incremento delle vendite a prezzi ridotti.

In conseguenza delle restrizioni dovute alla guerra si è ve-nuta accumulando una domanda di enorme entità, che alla fine del 1944 comprendeva: 11 milioni di vetture automobili, 41 mi-lioni di apparecchi radio, 1 milione di macchine per cucire, 82 milioni di orologi grandi e da tasca, 10 milioni di ghiacciaie, 6 milioni di macchine per lavare, 17 milioni di ferri da stiro elet-trici e 8 milioni di tostapane.

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L'interdipendenza degli elementi 55 effettiva dei mercati deve procedere da un incremento del potere d'acquisto di quelle famiglie che, prima della guerra, facevano parte dei gruppi aventi i più bassi redditi.

Prima della guerra un terzo delle famiglie di tutto il paese aveva redditi inferiori ai 1000 dollari, con una media di circa 500 dollari; il 40% aveva redditi tra i 1000 e 2000 dollari, con una media di 1400 dollari; il 17% aveva redditi tra i 2000~e 3000 dollari; e il restante 10% aveva redditi superiori ai 3000 dollari. Durante la guerra è salita l'intera scala della distribuzione dei redditi famigliari e, se questo progresso potrà essere mantenuto dopo la guerra, sarà ridotta della metà rispetto all'anteguerra la percentuale delle famiglie con redditi inferiori ai 1000 dollari, e vi sarà un grande aumento nella proporzione di quelle con redditi tra i 2000 e i 3000 dollari.

È questo un esempio dell'incremento del potere d'acquisto di cui l'industriale ha bisogno per l'espansione dei suoi mercati. È questa la tendenza ascensionale che dovremo mantenere con la continua occupazione integrale nella pace avvenire, ed è questo che farà sorgere più numerosi e migliori clienti. E con questo au-mento del reddito nazionale conseguente alla continua occupazione integrale con buoni salari, si apre per l'industriale un prospero ciclo di favorevoli possibilità.

Gli si offre la possibilità e di un più costante volume delle vendite e di più stabili profitti. Nel 1929 il totale degli utili netti (risultanti dopo deduzione delle tasse) di tutte le società per azioni fu di 7 miliardi di dollari, mentre tre anni più tardi queste stesse società ebbero una perdita netta totale di mezzo miliardo di dol-lari. Dovendo affrontare e il rischio della concorrenza e il rischio della disoccupazione massiccia, l'industriale, in passato, banchettava in previsione della futura carestia. E noi tutti sappiamo per l'espe-rienza del passato, dove siffatto comportamento ci può portare.

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mi-56 Capitolo secondo

liardi di dollari di produzione nazionale, vi sarebbe la possibilità di raddoppiare l'investimento, o l'uso annuale, dei risparmi da noi realizzati nel 1929.

L'occupazione integrale vuol dire anche maggiori possibilità per il piccolo industriale. Negli anni in cui gli affari vanno bene, il piccolo industriale può reggere di fronte al grosso; ma quando vengono tempi tristi, il grosso ha tutti i vantaggi. La storia delle depressioni del passato dà a vedere che troppo spesso il piccolo industriale si è trovato in stato di fallimento senza sua colpa.

Prima della guerra vi erano circa 3 milioni di aziende nel nostro paese, le quali impiegavano tre persone o meno, e si occu-pavano di commercio al minuto, assumevano piccoli appalti, eser-civano lavanderie, fornivano servizi per automobilisti, ecc. Le aziende di questo genere sono la spina dorsale del nostro sistema di libera iniziativa. Duratile la guerra è scomparso un mezzo mi-lione di queste aziende, a causa delle condizioni create dal periodo bellico. Ma se dovremo mantenere il nostro sistema di libera ini-ziativa, è essenziale non soltanto che venga ristabilito quel mezzo milione, ma anche che abbiamo varie centinaia di migliaia di nuove aziende di queste dimensioni. Fortunatamente, sta il fatto che la situazione creata dall'occupazione integrale darà per il 1950 a circa un altro milione di persone la possibilità di dedicarsi ad una attività economica indipendente.

La piccola azienda industriale e il podere familiare sono sempre stati e devono continuare ad essere il vivaio della libera iniziativa democratica americana. L'occupazione integrale offrirà al piccolo industriale l'occasione di cui ha bisogno; allora spet-terà a lui di profittare nel miglior modo della flessibilità, della iniziativa e dello spirito di intraprendenza che procedono dalla giovinezza.

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L'interdipendenza degli elementi 57 vuol dire aprire l'azienda in un'annata prospera, e che cosa vuol dire trovarsi, pochi anni dopo, a dover lottare per sopravvivere a tempi duri e per continuare a crescere.

A somiglianza di molti altri, io ero un piccolo uomo, che cre-deva di avere un'idea nuova, veramente una grande idea nel suo genere. Avevo « sognato » un miglior granturco da semina, e co-minciai a fare esperimenti, allevando dapprima piante di gran-turco delle stesse razze e poi incrociandole. Una volta che gli espe-rimenti ebbero dato un miglior seme ibrido, mi volsi all'applica-zione pratica dell'idea. In unione con Simon Cassady jr. progettai il primo impianto del mondo per l'essiccazione ed il trattamento del granturco da semina. Per il commercio del granturco da se-mina organizzai una società e procurai io stesso il capitale. Ciò era nel 1926. Io fui presidente e direttore della società fino a quando me ne venni a Washington nel 1933. La società possiede ora degli impianti nell'Iowa, nellTllinois, nell'Indiana e nell'Ohio, e noi vendiamo granturco da semina per 4 milioni di dollari all'anno. Ma io non fondai soltanto un'azienda, poiché ebbi parte co-spicua nell'iniziare una nuova industria. La nostra società ha adesso tre grandi concorrenti; inoltre, varie migliaia di agricoltori o pro-ducono piccole quantità di granturco da semina ibrido che ven-dono nelle rispettive località, oppure fungono da rappresentanti locali di una delle quattro società.

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58

economico. Li tutti questi anni mi sono sempre domandato perché mai tanti cosiddetti pratici capitani dell'industria continuino a vivere secondo i manuali economici di un'epoca sorpassata. Mi sono do-mandato perché mai tanti di essi abbiano creduto di rafforzare le loro probabilità di sopravvivenza mediante prezzi alti, salari bassi e con volume di affari men che normale; e rimpinzandosi nei tempi prosperi per riuscire a vivere nei tempi cattivi.

È questa una negativa e non democratica filosofia degli affari. È la filosofia di coloro i quali credono che la nostra sia un'eco-nomia matura; i quali credono che i limiti del nostro ambiente economico coincidano con le nostre frontiere geografiche. Essa nega la nostra interdipendenza e le possibilità inerenti proprio a quello che ha fatto della nostra una grande nazione industriale, voglio dire: una produzione di massa per un consumo di massa. E questo in un momento in cui abbiamo appena incominciato a grattare la superficie delle nostre possibilità di consumo di massa. Se dovesse prevalere questo modo di considerare gli affari, allora l'attività economica starebbe soltanto combattendo un'a-zione di retroguardia, il che equivarrebbe a fare una continua riti-rata e ad abbandonare il campo alle forze del totalitarismo.

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L'interdipendenza degli elementi 59 Che cosa significa Voccupazione integrale per Voperaio.

Sia che attenda ad un tornio verticale in una officina o che trasporti un carico su di una banchina — sia che si tratti di un minatore o di un bracciante agricolo, di un agente ferroviario o di un impiegato di società d'assicurazione, d'un trivellatore di pozzo di petrolio o del conduttore del camioncino di una lavan-deria — qualunque sia, infine, la natura della sua occupazione, l'operaio vuole e deve avere la possibilità di ottenere un lavoro di genere elevato. Egli vuole che si avveri appieno il sogno ameri-cano di una tale possibilità per tutti.

E questa possibilità egli la può avere soltanto con l'occupa-zione integrale.

Nel pieno fervore della produzione bellica, l'operaio aveva acquistato la sicurezza di poter sempre lavorare. Sapeva che, se circostanze indipendenti dalla sua volontà lo avessero privato di un posto, poteva trovarne sicuramente un altro.

Mi sono trovato frequentemente con operai in tutte le parti del paese: nelle loro officine e nelle loro case. Ho veduto i loro volti a migliaia nelle fabbriche di aeroplani e negli arsenali e nei cantieri navali. E su quei volti io ho sorpreso sguardi non soltanto di orgoglio del proprio paese, ma anche di stima della propria personalità, stima che deriva dal far bene il proprio lavoro e dal sapere che il posto sarebbe li anche il giorno seguente, il mese venturo, l'anno venturo.

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60 Capitolo secondo

guerra. E se le perderanno, la colpa sarà di noi altri tutti: non dei lavoratori.

Insieme con la sicurezza dell'impiego nel tempo di guerra, l'o-peraio ha pure ottenuto e maggiori tariffe salariali e maggiori paghe effettive, per quanto io sia persuaso che i salari siano cresciuti molto meno di quanto certuni vorrebbero farci credere. Nelle industrie delle munizioni i salari sono aumentati conside-revolmente e, con il molto lavoro straordinario, la paga effettiva ha spesso subito un aumento spettacoloso. Ma anche nelle industrie delle munizioni molti operai ricevono paghe effettive molto infe-riori ai 100, nonché ai 150 dollari alla settimana, intorno a cui si è fatta tanta pubblicità, mentre numerose altre industrie hanno continuato a pagare soltanto le tariffe di anteguerra piti l'aumento del 15% consentito dalla Little Steel Formula. Gli operai tessili, i produttori di gomme per automobili, gli operai delle fonderie e delle forge, i boscaioli e molte altre categorie possono aver avuto alla fine della settimana meno danaro di quanto ne avessero prima della guerra, perché il costo della vita e le imposte sono cresciuti più rapidamente dei loro salari.

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L'interdipendenza degli elementi 6 1

in mese. Varie società di rinomanza nazionale lianno latto da al-cuni anni opera preziosa per lo sviluppo di una politica di salari annui su di una base annuale. E al giorno d'oggi è incoraggiante il fatto che in molti rami d'industria si stia discutendo, tanto da parte dei datori di lavoro quanto da parte dei lavoratori, la pos-sibilità del salario annuo.

Ciò che il lavoratore vuole avere — e ne ha bisogno — è la possibilità di sapere che può fare assegnamento su di una certa sicurezza del suo impiego, e su di un certo potere di acquisto per sé e per la propria famiglia durante tutto l'anno susseguente. La continuazione dell'occupazione integrale nel tempo di pace — te-nuto conto delle nostre esperienze del tempo di guerra — dovrebbe rendere possibile di trovare più rapidamente il mezzo di garantire il salario annuo ili tutte le industrie in cui esso sia praticamente possibile.

Naturalmente, anche la contrattazione collettiva ha avuto parte importantissima nel conseguire gli accennati aumenti salariali, per quanto sia difficile misurarne gli effetti in termini esatti.

Qualunque sia il peso relativo delle diverse cause degli au-menti, è necessario che siano mantenuti questi salari elevati anche dopo la guerra. Soltanto in tal modo potremo provvedere i mer-cati per quel livello di produzione che dovremo avere per con-seguire l'occupazione integrale. È necessario che i salari effettiva-mente pagati siano mantenuti assai vicini al loro livello attuale.

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62 Capitolo secondo

attuali, dovremo prendere realisticamente in esame il problema di elevare i livelli salariali in queste industrie a paghe basse.

Ho già accennato all'« indicatore » del Ministero del Com-mercio, secondo il quale nel 1946 potremmo avere una produzione uguale a quella del 1940, pur avendo 19 milioni di disoccupati. Questo rispecchia direttamente la nostra maggiore efficienza — l'au-mento della nostra produzione oraria — una larga parte dei cui benefici dev'essere passata al lavoratore sotto forma di salari più elevati o di riduzioni di prezzi. Ma la sicurezza di noi tutti non l'otterremo tentando di abbassare la struttura dei nostri salari e dei nostri prezzi. L'otterremo invece attenendoci quanto più stret-tamente sarà possibile agli attuali livelli medi dei prezzi e del totale dei salari pagati.

Dopo la sua alta efficienza, la caratteristica dominante della mano d'opera durante il periodo bellico è stata la sua mobilità. Anche la mano d'opera ha avuto la funzione di una formazione militare mobile con assegnazione di compiti speciali.

Milioni di lavoratori interruppero la loro vita domestica per essere occupati in lontane città, in attività connesse con la guerra. Treni interi pieni di lavoratori addetti ai cantieri navali attraver-sarono spesso a grande velocità tutto il continente, perché fossero tempestivamente compiuti i programmi di produzione.

Tale mobilità sul fronte interno era altrettanto essenziale quanto la mobilità sui fronti bellici. Ma essa ha parimenti contri-buito in misura notevole a risolvere i problemi del trapasso dalla guerra alla pace. Nella California e nel Kansas si è triplicata l'occupazione nelle industrie manifatturiere; nel Washington, nel Nebraska e nel Texas e in altri Stati si è raddoppiata. Ad evitare di avere milioni di lavoratori arenati nelle zone di concentramento, in tutte le parti del paese — come quelle in ed intorno a Los An-geles e intorno alla baia di San Francisco — deve aversi la stessa mobilità nel periodo del trapasso alla pace.

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L'interdipendenza degli elementi 63 e nelle zone di produzione. Egli non sa che troppo bene che mi-lioni di lavoratori torneranno ad essere in movimento durante questi spostamenti: sia per essere addetti ad un lavoro di diverso genere, sia per recarsi in una diversa zona. Egli sa che non avremo la possibilità di utilizzare in tempo di pace tutta ia maggiore potenzialità, mettiamo, delle costruzioni navali e di quelle aeronautiche, che si rese necessaria durante la guerra. Egli aspetta nuove dislocazioni e nuovi distacchi.

Ma l'operaio aspetta pure che il governo e l'industria coope-rino con la mano d'opera, perché il periodo di transizione riesca il più breve possibile, e per assicurare: 1) che gli strumenti di produzione, vecchi e nuovi, che egli ha adoperato durante la guerra vengano, dopo i necessari spostamenti, utilizzati nella più ampia misura possibile in tempo di pace; 2) che, nelle vecchie e nelle nuove industrie, siano disponibili nuovi strumenti di produ-zione per mantenere l'occupaprodu-zione integrale.

In breve, l'operaio vuole e deve avere la sicurezza che la mobilità in guerra non porterà nella pace alla immobilità nazio-nale, al ristagno industriale ed alle code per la minestra.

Nel passare in rivista quello che l'occupazione integrale ha voluto dire per il lavoratore in tempo di guerra, e può voler dire in misura anche maggiore con l'occupazione integrale nella pace, voglio sottolineare questi due vantaggi fondamentali : primo, i pro-gressi che si sono fatti nella eliminazione delle discriminazioni nel campo del lavoro per motivi di razza, religione o sesso; e, secondo, la maggiore cooperazione tra lavoratori e dirigenti.

Salvo rare eccezioni, gli industriali di idee larghe e intelli-genti hanno già da lungo tempo messo fine alle discriminazioni contro i cattolici e gli ebrei. Ma pregiudizi hanno continuato ad esistere assai largamente contro l'assunzione di donne nelle in-dustrie manifatturiere E persino in guerra abbiamo ancora man-cato di utilizzare in pieno l'abilità dei negri.

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64 Capitolo secondo

il numero degli uomini è aumentato di 5 milioni, ossia del 12% circa, il numero delle donne è salito di 4 milioni e mezzo, ossia del 25% circa. Inoltre, il numero delle donne disoccupate (cioè di quelle che, appartenendo alla forza di lavoro, cercano impiego senza poterlo trovare) si è ridotto da 2 milioni nel 1940 a meno di mezzo milione nel 1944, cosicché il guadagno netto nella occupa-zione femminile è stato di circa 6 milioni di unità. La proporoccupa-zione delle donne nelle occupazioni non agricole è aumentata dal 28 % del totale nel 1940 al 37% del totale rilevato per il 1944.

Questo aumento non rispecchia solamente l'aumento della do-manda di lavoratori in genere verificatosi in tempo di guerra. Di-mostra pure che le donne hanno, nella produzione bellica, fornito la prova di saper fare altrettanto bene quanto gli uomini in molti generi di lavoro e meglio degli uomini in qualcuno. Ora che hanno eliminato la discriminazione che esisteva a loro danno, si stima che quasi la metà delle donne che hanno cercato e trovato occu-pazione durante la guerra conserveranno i loro posti, se ne sarà loro offerta la possibilità.

Anche l'occupazione dei negri ha subito un aumento impor-tante durante la guerra, e si è fatto un notevole progresso per quanto concerne la promozione dei lavoratori negri ad impieghi meglio retribuiti. Nel 1940 vi erano quasi 5 milioni di negri occupati nelle industrie manifatturiere; ma nel gennaio 1945 ve n'erano 8 milioni, con un aumento del 63%. La situazione risul-tante dalla continua occupazione integrale assicurerebbe la possi-bilità di proseguire su questa via, non soltanto per quanto ri-guarda la promozione di negri a posti migliori, ma anche per quanto riguarda l'eliminazione dei salari differenziali discrimina-tori, sempreché potessimo anche garantire che il Comitato per gli equi sistemi di occupazione fosse reso permanente, con la facoltà di portare le sue decisioni all'esame del giudice al fine di renderle esecutive.

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L'interdipendenza degli elementi 65 di 35 centesimi di dollaro all'ora, mentre i lavoratori bianchi oc-cupavano più delì"80% dei posti retribuiti con più di 40 centesimi di dollaro all'ora. Ma questo confronto farebbe supporre che vi sia una maggiore discriminazione salariale per motivi di razza di quella che esiste in realtà. I lavoratori bianchi che lavoravano nelle stesse condizioni e nelle stesse occupazioni dei negri percepi-vano anch'essi meno di 15 dollari alla settimana.

Tempo fu in cui certi esponenti del Sud erano orgogliosi dei bassi salari ivi vigenti, perché immaginavano che avrebbero costi-tuito un incentivo per attirare l'industria nel Sud stesso. Oggi viene sempre crescendo il numero degli esponenti ragionevoli del Sud che proclamano che il Sud ha diritto ad un livello dei salari altret-tanto elevato quanto quello del Nord. Viene sempre crescendo il numero di coloro che invocano una istruzione ed un addestra-mento che renda i lavoratori meridionali altrettanto efficienti quanto quelli settentrionali. Cosi facendo, questi meridionali ragionevoli rendono un buon servizio ai lavoratori dell'intero paese. Giacché se cosi i salari come l'efficienza potranno essere elevati, e mantenuti, ad un livello doppio di quello del 1940, il grande mercato vergine del Sud potrà diventare per noi altrettanto importante quanto i mercati vergini dell'estero.

La cooperazione tra operai e dirigenti non è naturalmente una idea nata dalla guerra. Ma è soltanto dal marzo 1942, quando il Consiglio per la Produzione Bellica iniziò il suo programma di istituzione dei Comitati della Produzione costituiti da operai e diri-genti, che sono disponibili delle cifre indicanti la portata dell'opera da essi compiuta.

Tra il marzo 1942 e il dicembre 1944 furono registrati presso il Consiglio per la Produzione Bellica quasi cinquemila di siffatti Comitati, interessanti più di 7 milioni di lavoratori. Non tutti sono rimasti attivi, ed alcuni di essi sono esistiti soltanto sulla carta. Tuttavia, secondo le stime del Consiglio per la Produzione Bellica, più (li 200 milioni di ore-uomo all'anno sono state guadagnate

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