Quale nazione di produttori, ecco come dividiamo il reddito da noi percepito :
Quale nazione di consumatori, ecco come distribuiamo le nostre spese:
P r o d o t t o n a z i o n a l e l o r d o c o m p l e s s i v o 2 0 0 M i l i a r d i d i d o l l a r i 2 0 0 S p e s e c o m p l e s s i v e M i l i a r d i di d o l l a r i Reddito d e i p r o p r i e t a r i di a z i e n d e ( a g r i c o l t o r i i n d i p e n d e n t i e a z i e n d e n o n a z i o n a r i e ) Utili delle a z i e n d e a z i o n a r i e
(al netto delle imposte)
Affìtti, diritti, interessi d i v i d e n d i S a l a r i e stipendi
I m p o s t e sulle società a z i o n a r i e e le altre a z i e n d e
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enti locali un totale di circa 35 miliardi di dollari. E poiché di questo totale circa 25 miliardi occorrono al governo federale, il modo in cui sarà riscossa questa enorme somma influirà diretta-mente sulle spese dei consumatori e sull'attività industriale.
È pertanto necessario che noi tutti ci familiarizziamo un po' di più col significato delle imposte. Dobbiamo sapere come siano stati impiegati i proventi delle imposte durante la guerra, come le imposte influiscano sul potere d'acquisto dei consumatori, come possano essere utilizzate per stimolare gli investimenti delle pic-cole e delle grandi aziende, e come possano essere utilizzate per contribuire a frenare l'inflazione o la deflazione. Non ho affatto l'intenzione di scendere all'esame di tutte le minute ed intricate particolarità dell'imposizione. Ma discorrere di equilibrare il bi-lancio della nazione senza parlare delle imposte, sarebbe come il
Christmas Carol di Dickens senza il personaggio di Scrooge o la
Capanna dello Zio Tom senza Simone Legree.
In tempo di guerra era essenziale l'uso drastico del potere impositivo per impedire l'inflazione e per contribuire a far fronte alle enormi spese belliche. Durante la guerra il governo federale ha aumentato dì più di sette volte le sue imposte. Esso ha forte-mente tassato i redditi, ed lia stimolato tutti all'acquisto di titoli dei prestiti di guerra per ridurre il pericolo derivante dalla sovrab-bondanza di potere d'acquisto e dalla deficienza di prodotti per uso civile. Inoltre esso ha imposto una forte tassa sugli extra-pro-fitti delle società commerciali ed ha disposto la revisione dei con-tratti di fornitura di materiale bellico in modo da limitare i pro-fitti di guerra. Senza gravissime imposte ed altri controlli per il tempo di guerra, il costo della vita sarebbe andato alle stelle, e i profitti dell'industria sarebbero stati di proporzioni tali da far perdere il giudizio a tutti meno che ai più saggi.
Senza gravose imposte per il tempo di guerra, non avremmo potuto mobilitare tutta la nostra economia e far si che si dedi-casse interamente all'attività richiesta dalle necessità belliche. Non intendo sostenere che la nostra politica del tempo di guerra s;a
Il pareggio del bilancio nazionale 191 stata perfetta; le pressioni che si fanno sentire in una democrazia rendono assai difficile raggiungere la perfezione. So pure che troppa gente ha guadagnato troppo danaro con questa guerra. Ma sono certo che la nostra politica del tempo di guerra dimostra che ab-biamo tratto notevole profitto dall'esperienza del passato; ed anche che essa ha potentemente contribuito a far si che dell'azione go-vernativa del tempo di guerra — specialmente ove si tenga conto della natura dell'opposizione, tanto personale quanto politica — si può veramente dire che costituisce una notevole fatica.
Per conseguire quel massimo di produzione che è necessario in tempo di pace, il compito primordiale del governo federale nel formulare la sua politica è qnello di prelevare le imposte in modo da stimolare al massimo l'iniziativa privata, evitando al tempo stesso di imporre un carico ingiusto alle categorie percipienti bassi e medi redditi. Per far questo occorre un minimo di compromesso politico.
Per quanto concerne la politica tributaria generale, dovremmo tener presente che ogni riduzione da noi apportata alle tasse che colpiscono direttamente i consumi si rifletterà, quasi dollaro per dollaro, in un aumento degli acquisti del consumatore. Ciò vale specialmente per la tassa sulle vendite, che impone un troppo gravoso fardello tributario alle categorie disponenti di bassi red-diti. Ma vale parimenti per molte e svariate altre tasse, come quelle applicate durante la guerra sui pubblici servizi e su una massa di beni di consumo.
Costituirebbe indubbiamente un potentissimo stimolo all'atti-vità industriale l'abolizione della tassa sugli extra-profitti di guerra non appena possibile dopo la fine del conflitto, e quando sia scom-parso il pericolo dell'inflazione. Questa tassa sugli extra-profitti era essenziale durante la guerra. Ma supponendo che in tempo di pace fosse devoluto al governo federale non meno di ottanta cents per ogni dolaro di utili, è certo che molte società non si adopereb-bero cosi efficacemente come dovrebadopereb-bero per contribuire la loro parte alla nostra produzione nazionale totale. Pertanto è
neces-192 Capitolo secondo
sario che l'imposta sugli extra-profitti scompaia al più presto, affinché le aziende siano stimolate a rimettersi sul piede di pace nel più breve tempo possibile. Inoltre la rapidità con cui sarà pro-ceduto a rimborsi in dipendenza dell'imposta sugli extra-profitti avrà grande valore per le piccole aziende, alle quali è più difficile il ricorso al credito. Ma l'obbiettivo maggiore da conseguire con la modificazione della tassa sugli extra-profitti — per raggiungere quello del benessere generale — deve essere di incoraggiare nella massima misura possibile quegli investimenti del tempo di pace che furono differiti a causa della guerra, e dei quali vi è ora necessità per conseguire nella pace l'occupazione integrale.
Alcuni competenti in fatto di politica tributaria credono che l'incentivo assolutamente migliore all'attività industriale sarebbe quello di eliminare dalla nostra legislazione tutte le tasse ordinarie sui profitti, che si applicano anche in tempo di pace, e di riscuo-tere imposte soltanto sui dividendi delle società, sui redditi indi-viduali e sui consumi. Ma costoro trascurano il semplice fatto che non tutti i profitti si distribuiscono sotto forma di dividendi, e che non tutti i profitti non distribuiti vengono utilizzati per investi-menti che creano dell'occupazione. Potrebbe ben darsi che in tal modo alcune società fossero, per qualche tempo, stimolate ad espandere i loro investimenti in impianti ed attrezzature... ed anche ad aumentare i propri dividendi. Ma anche questo sarebbe un vantaggio di ben poco conto. Significherebbe che i consumatori sopporterebbero l'intero carico tributario, e vedrebbero il loro po-tere d'acquisto complessivo ridursi nella stessa misura in cui ver-rebbe a rimbalzare su di essi il carico tributario. Io credo, invece, che dovremmo cercare un equilibrio tra l'imposizione sull'industria e l'imposizione sui consumatori. Abbiamo bensì bisogno di sti-molare l'industria, ma è pur d'uopo tutelare i consumatori che acquistano i prodotti dell'industria. È questo l'equilibrio al quale mira lo schema consumatore-industria del bilancio della nazione.
Il pareggio del bilancio nazionale 193 L'utilità delle concessioni tributarie.
Fra le cose elle possono facilitare l'assunzione di rischi, io raccomanderei una modificazione del sistema delle imposte che col-piscono le società, tale da render possibile all'industria di ottenere adeguati rimborsi nei casi di perdita. Troppi industriali hanno dovuto pagare imposte sul reddito per ogni dollaro di profitto; ma hanno trovato impossibile ottenere riduzioni in relazione alle loro perdite. Alcuni di questi industriali, specialmente quando hanno superato i cinquantanni di età, dicono nella loro dispe-razione: — I dadi sono tratti contro di me. Che serve? Non lavoro nell'industria per la mia salute —. E cosi si ritirano prima di quando dovrebbero farlo.
Le imposte sulle società possono essere usate, non soltanto come un mezzo per stimolare l'industria in genere, ma possono e devono essere usate anche a favore delle piccole società, che non godono certi vantaggi posseduti dalle grandi. Io credo che do-vremmo fare una differenza tra quelle società che hanno accesso ai mercati nazionali dei capitali (borsa e grandi istituti di credito), o che cedono le loro obbligazioni a società di assicurazioni o ad altri istituti finanziari, e quelle che, a causa delle loro minori di-mensioni, non possono ricorrere a queste grandi fonti di capitali e devono corrispondere più elevati tassi di interessi ai loro banchieri locali. Queste piccole società devono far assegnamento .su fonti private di finanziamento, che risultano più costose. L'attività di queste piccole società per azioni sarebbe grandemente stimolata, ne sono certo, se fosse data loro la facoltà di scegliere tra l'essere tassate come società commerciali ordinarie anziché come società per azioni. Ciò avrebbe grande importanza per le piccole aziende in via di sviluppo, che vogliono trasformare la massima parte dei loro utili in capitali fissi. E contribuirebbe a mettere le piccole aziende in una situazione più favorevole per quanto riguarda la concorrenza. Le piccole società non domandano la carità; ma
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vorrebbero, e lo meritano, che venisse rimediato alle ingiustizie esistenti.
Naturalmente, questa concessione dovrebbe essere congegnata in modo da impedire che potessero ingiustamente profittarne le grandi società.
Vi è ancora un'altra questione tributaria che interessa diretta-mente l'industria, i singoli e la parte federale del bilancio della nazione. Si tratta dell'imposta sui salari per le assicurazioni so-ciali, pagata tanto dal datore di lavoro quanto dal lavoratore. Io vado da tempo parlando a favore dell'estensione delle assicurazioni sociali in modo da comprendervi tutti. Ma dubito che sia saggia cosa voler far fronte alle maggiori provvidenze aumentando gran-demente le tasse sui salari. Io sono d'avviso che una buona parte del costo delle assicurazioni sociali dovrebbe esser pagata con fondi del bilancio federale regolare, vale a dire prelevandoli dalle imposte generali, e, al fine di mantenere il potere d'acquisto, do-vremmo anche provvedere rapidamente a ribassare le aliquote per la restante parte della tassa al primo segno di contrazione degli affari. Il contributo di ciascuno alle assicurazioni sociali sarebbe più esattamente proporzionato alla sua capacità contributiva, se i contributi fossero prelevati per via della imposizione generale anziché mediante elevate tasse sui salari.
Le tasse hanno poi una anche maggior funzione equilibratrice quando ci troviamo di fronte i pericoli dell'inflazione o della de-flazione, quando nel bilancio nazionale sembra che il potere d'ac-quisto stia per superare o ridursi al di sotto dell'offerta di merci.
Quando il potere d'acquisto supera l'offerta di beni, noi do-vremmo cercare di tenere le spese pubbliche al minimo necessario per provvedere ai pubblici servizi essenziali. E se il pericolo del-l'inflazione fosse grave — come sarebbe il caso qualora troppa gente cercasse di spendere troppo rapidamente una parte troppo cospicua dei suoi risparmi del tempo di guerra — potremmo anche rialzare le imposte sul reddito. La riduzione delle spese e l'incre-mento delle entrate tributarie produrrebbero un avanzo del
bi-Il pareggio del bilancio nazionale 195 lancio federale, che potrebbe essere titilizzato per ridurre il de-bito pubblico. La funzione equilibratrice in un periodo di tendenza all'inflazione sarebbe quella di ridurre cosi la parte del governo come quella dei consumatori nel bilancio nazionale, ricorrendo alia riduzione del debito come a un rimedio profilattico contro l'in-flazione. Ma in tempi di possibile deflazione, con una riduzione delle spese dell'industria, cercheremmo di espandere e la parte del governo e quella dei consumatori nel bilancio della nazione.
Una volta scomparso il pericolo di una grave inflazione post-bellica, dovremo pensare prontamente a riduzioni di imposte. Mai piti nel tempo di nostra vita noi avremo tasse cosi basse come nel 1939 o 1940. Però, con una situazione di occupazione integrale ad un livello di produzione di 200 miliardi di dollari, potremmo avere un carico tributario della metà circa inferiore a quello del 1945. Non possiamo fare assegnamento su di un carico minore. Come ho già osservato nel presente capitolo, ciò sarebbe sufficiente per un bilancio federale postbellico ammontante a 20-25 miliardi di dol-lari. Allora, con la piena collaborazione dell'industria, dei lavo-ratori e dell'agricoltura, al fine di conseguire e mantenere l'occu-pazione integrale — garantendo cosi un minimo di spese gover-native — potremo volgerci, col cuore piti leggero e la borsa più pesante, all'estinzione del debito nazionale.
3. Il basso costo dell'occupazione integrale
Innumerevoli persone mi dicono: « Naturalmente dovremmo avere l'occupazione integrale, ma come possiamo permettercela? Io sono per i 60 milioni di posti. Ma chi pagherà il conto? Usci-remo da questa guerra con un debito superiore ai 300 miliardi di dollari, e se il popolo insisterà perché il governo si assuma la responsabilità di creare la possibilità di 60 milioni di posti an-dremo al fallimento. Ricordatevi che il bilancio federale dovrà provvedere. 6 miliardi di dollari all'anno per il servizio del de-bito, 4 o 5 miliardi all'anno per l'assistenza agli ex combattenti, da 5 a 10 miliardi di dollari all'anno per mantenere in tempo di pace un esercito ed una marina di proporzioni molto più vaste di quanto abbiamo mai immaginato di avere, e forse da 3 a 4 miliardi per i normali servizi del governo. Anche senza nulla stanziare per lavori pubblici e per la partecipazione allo sviluppo delle nostre risorse, e senza nulla stanziare a titolo di aiuto federale per l'i-giene, la costruzione di case e l'istruzione, ciò richiederebbe un minimo di 18 miliardi di dollari ed un massimo di 25 miliardi di dollari all'anno. Noi non possiamo davvero assumerci il rischio di un carico tributario permanentemente elevato e di un indebi-tamento del governo per assicurarci i 60 milioni di posti. Il debito federale ammonta già a più di 2000 dollari a testa. No, me ne spiace, ma non possiamo continuare oltre ad abusare del nostro credito nazionale ».
198 Capitolo secondo
Mentre quest'atteggiamento sembrerebbe fondato su di una buona logica, esso è fondamentalmente errato. Esso, tuttavia,
ri-chiede la miglior risposta che noi possiamo dare. Giacché se vi è un buon numero di persone bene intenzionate che abbiano quest'opinione, allora non potrà esser raggiunta quella più com-pleta e più sicura vita che ci attende, perché questo atteggiamento è dettato dal timore che il nostro debito di 300 miliardi di dollari sia talmente esagerato da potere eventualmente precluderci la via al conseguimento dei 60 milioni di posti ed a quella produzione nazionale del valore di 200 miliardi di dollari che è necessaria per garantire quei posti.
Mi sia concesso di combattere questo timore in vari modi. Anzitutto, vediamo se comprendiamo bene questo fatto fondamen-tale che, come una disoccupazione massiccia significa un enorme costo in dollari per la nazione, cosi l'occupazione integrale vuol dire un basso costo. Il fare una prova basata sulla cooperazione nazionale per conseguire l'occupazione integrale non potrà neanche approssimativamente costarci quello che dovremmo indubbiamente pagare se ci esponessimo un'altra volta ad una disoccupazione mas-siccia. Abbiamo certamente imparato la dura lezione. Una volta che incominciamo ad adattarci a compromessi per quanto concerne la somma delle nostre necessità; una volta che incominciamo a credere che in un modo o nell'altro andremo avanti indefinitamente con 5 o 10 milioni di lavoratori disoccupati, allora vorrà dire che accetteremo un processo che non potrà che ridurci alla rovina eco-nomica. Faremo abbassare le mire della nazione da una produzione nazionale di 200 miliardi di dollari ad una di 125 miliardi di dol-lari, il potere d'acquisto dei consumatori da 135 a 80 miliardi di dollari, i profitti lordi delle società da 25 miliardi a meno di 5 miliardi di dollari ed i ricavi degli agricoltori da 22 miliardi ad
appena 7 miliardi di dollari. La disoccupazione in massa richie-derebbe necessariamente enormi spese da parte del governo fede-rale. Ed il bilancio federale tornerebbe a segnare un grave