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Mantenere libera la libera iniziativa

Nel documento Lavoro per tutti (pagine 91-109)

Quale dovrebbe essere la parte del governo nel promuovere il benessere generale? Per molti anni sono andato cercando un'equa risposta a questo quesito essenzialissimo fra tutti: una risposta equa per noi tutti. Ed ho cercato di avere la risposta da esponenti del governo, da esponenti della vita accademica, e da esponenti del lavoro, dell'agricoltura e dei dirigenti di aziende. Nel concludere le Conferenze Weil sulla Cittadinanza Ame-ricana all'Università della Carolina settentrionale, nella prima-vera del 1937, io presentai il problema come segue:

« È ormai concesso che la funzione governativa sia qualche cosa di più di quella dell'equipaggio di un battello di salvataggio? Il costo del salvataggio, della rimozione dei relitti risultanti dal passaggio dalla prosperità alla depressione, è ora cosi elevato che non si dovrebbe chiedere al governo di impedire che si verifichi mai almeno una parte della distruzione? Se la risposta a questi quesiti è « si », allora, naturalmente, il governo deve esercitare un'azione integrativa e stabilizzatrice sulla nostra economia.

« Le società commerciali, i sindacati operai e le organizza-zioni di agricoltori prendono continuamente delle decisioni che influiscono e sulla produzione e sui prezzi. Molte delle decisioni prese dalle società, dai sindacati operai e dalle organizzazioni di agricoltori sono prese d'intesa col governo o addirittura con il suo aiuto. Il governo si viene sempre più rendendo conto del modo

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in cui la sua politica monetaria, la sua politica doganale, le sue attività regolatrici e le spese federali influiscono sul benessere ge-nerale. Si viene evolvendo una nuova scienza di governo, i cui lineamenti generali s'incominciano appena a vedere.

« Vi è una tendenza fra le categorie organizzate a credere che, esercitando una pressione, possono ottenere dalla società più di quanto vi sia effettivamente. Ed hanno conseguito tali successi temporanei con l'uso della pressione da confermarsi in questa credenza...

« È verissimo che qualsiasi singola categoria può ottenere, per qualche tempo, una maggior porzione del reddito nazionale, ma la faccenda non va più quando tutti quanti i gruppi vi si provano contemporaneamente. Presto o tardi il giuoco della pressione si ritorcerà a nostro danno, se non provvederemo perché vi sia costantemente un maggior reddito nazionale da dividere. Questa è veramente una questione di semplice, ma estremamente pratica, aritmetica. Se non la impareremo, il nostro avvenire sarà davvero molto oscuro.

« Se il governo dev'essere in parte un poliziotto, in parte un coordinatore, in parte una stanza di compensazione, ed in parte un incitatore — tutto a favore del benessere generale — il pro-blema della democrazia economica assume suprema importanza. Se il governo interviene decisamente nel campo economico, e direttamente alla testa, il risultato può esserne una irregimenta-zione di tutti i generi di attività in una maniera del tutto ripu-gnante al temperamento americano...

«Democrazia economica vuol dire che le diverse categorie economiche devono avere uguali facoltà per contrattare. Ma in-sieme con questo diritto va il dovere di servire il benessere generale. Fondamentalmente, le cose che massimamente importano in una economia moderna sono idee nuove, la tecnica e le risorse naturali. Vengono in secondo luogo le società per azioni, le cooperative, i sindacati di lavoratori, le organizzazioni di agricoltori ed altre organizzazioni attraverso le quali una vera democrazia economica

Mantenere libera la libera iniziativa 91 ha la possibilità di esprimersi. Qui, negli Stati Uniti, noi ab-biamo in questo momento di gran lunga la migliore occasione per attuare una democrazia economica che potrà servire di modello al mondo intero. Già si profila all'orizzonte il nuovo mondo del benessere generale. Nuove possibilità attendono gli uomini che hanno disposizione a mettersi al servizio della comunità, sia nel governo, sia nel mondo del lavoro, sia nella direzione di aziende. Le ricompense in fatto di soddisfazioni sono di gran lunga mag-giori di quelle che potesse sognare qualsiasi capitano d'industria del secolo xix. Il mondo di cui parlo non è fantastico o irreale, le fondamenta ne vengono ora gettate, ed è sperabile che nessun turbamento all'estero abbia a distrarre la nostra attenzione dal compito che ci attende in casa nostra ».

Il dire semplicemente che turbamenti si sono verificati e che siamo stati distolti dal compito, sarebbe naturalmente tenersi assai al disotto del vero. Una volta che la prima divisione di carri armati nazisti ebbe violato le frontiere della Polonia si rese inevi-tabile la nostra entrata nella seconda guerra mondiale. Il nostro popolo vide che il governo non solo doveva intervenire decisa-mente, e in maniera direttiva, ma anche che doveva guardare in profondità per assicurarsi che il paese fosse mobilitato in modo da garantire il massimo possibile di produzione, affinché noi ed i nostri Alleati potessimo sopravvivere come nazioni. Ora, nuova-mente sicuri nel mondo, riprendiamo un'altra volta l'opera di promuovere il benessere generale nella pace: e anzitutto dovremo trovare nuovi modi democratici per risolvere i problemi che la pace sarà per imporci.

Prima ancora, tuttavia, dobbiamo passare qualche tempo nella scuola dove abbiamo fatto le nostre esperienze e trar profitto di alcune lezioni imparate a nostre spese. Giacché proprio come nel-l'attrezzarci per la seconda guerra mondiale abbiamo profittato dell'esperienza da noi fatta nella prima guerra mondiale, cosi, nel cercare le soluzioni dei problemi postbellici che ci attendono, possiamo trar profitto da un attento esame di quanto avvenne dopo

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la guerra precedente, sia in rapporto ai problemi richiedenti solu-zioni immediate, e sia in rapporto a quelli da risolversi a lunga scadenza. Allora saremo in migliori condizioni per far progressi nella scienza del governo democratico.

La decisione più importante che la nazione si trova a dover prendere ora senz'altro è quella riguardante la funzione di man-tenere l'occupazione e la prosperità, e quanto più differiamo questa decisione, tanto più gravi saranno le conseguenze dell'in-dugio. I più, ne sono certo, credono che questa funzione debba essere attribuita al loro governo nazionale ed essere da questo esercitata. Ma tale credenza non ha ancora trovato riscontro in una positiva azione legislativa. È al governo che si dà la colpa quando le cose vanno male nel campo economico; ma ad esso non è ancora stata chiaramente affidata la funzione di provvedere per farle andar bene. Se il governo deve cooperare efficacemente con l'industria ed il commercio, con il mondo del lavoro e con i gruppi agricoli per conseguire e mantenere la prosperità in tempo di pace, il popolo di questo paese, esprimendosi per mezzo dei suoi rappresentanti eletti al Congresso, deve consacrare siffatta fun-zione nella legge.

Il nostro governo federale^ tanto nei suoi rami esecutivi quanto in quelli amministrativi, è oggi talmente un riflesso dei « gruppi influenti », che non possiamo attenderci una politica governativa veramente unificata per quanto concerne il trapasso dalla guerra alla pace, le imposte, le tariffe doganali e la stessa occupazione integrale, ove questi grandi gruppi privati non possano mettersi d'accordo circa le esigenze della pace e del benessere generale. Quindi, nell'attribuire al governo quella funzione, il popolo do-vrebbe anche chiaramente significare che esso attende che questi gruppi cooperino continuamente fra di loro e con il loro governo per arrivare ad una politica unificata nella massima misura pos-sibile.

Soltanto facendo tutto questo immediatamente, il popolo potrà evitare un altro ritorno ad una irresponsabile « n o r m a l i t à » .

Mantenere libera la libera iniziativa 93 La responsabilità non era di nessuno l'ultima volta.

Nel primo anno susseguente alla prima guerra mondiale, noi avemmo forse la più sfrenata inflazione dei prezzi dei prodotti che il nostro paese abbia mai veduta. Essa s'interruppe nell'estate del 1920, e allora sdrucciolammo all'ingiù, venendo il punto massimo della depressione raggiunto nell'autunno del 1921. Finalmente riu-scimmo a conseguire nuovi rialzi, che si mantennero per vari anni di occupazione integrale e di grande prosperità superficiale nei centri urbani. Ciò fu dovuto ai quattro fattori seguenti:

1) la grande attività dell'industria edilizia;

2) un vasto programma governativo di costruzioni stradali; 3) una grande espansione dell'industria automobilistica e dell'industria della radio;

4) un vigoroso commercio di esportazione promosso dal go-verno e appoggiato da crediti concessi a paesi esteri.

La grande attività edilizia, l'espansione dell'industria auto-mobilistica ed il commercio estero toccarono tutti il vertice du-rante il quinquennio 1925-29. Quelli furono i giorni in cui migliaia di persone credettero di aver trovato la via per arricchirsi facilmente seguendo il sentiero magico della speculazione. Né gli esponenti del governo né quelli dell'industria credettero che oc-corresse fare qualche cosa per garantire la continuità della prospe-rità e della occupazione. «Niente interventi! — Non turbate la fiducia dell'industria e del commercio! — Non fate i pessimisti riguardo all'America! ». Queste erano le parole d'ordine che sen-tivamo ogni giorno, mentre i nostri dirigenti ci assicuravano che stavamo avanzando senza sforzo, e quasi per incanto, verso più ele-vati livelli di prosperità permanente.

Anche se un qualche esponente governativo avesse osato allora dire la verità, gli si sarebbe rinfacciato di voler essere la causa di quanto ebbe finalmente a verificarsi. La verità è che quella meravigliosa prosperità era fondata più su di una intensa attività della speculazione che su una maggior produzione di beni e

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vizi per ini maggior numero di persone. Avevamo sviluppato un enorme commercio estero sulla base di prestiti concessi a paesi stranieri, e molti di tali prestiti erano stati fatti su basi non solide. E poi avevamo rialzato le nostre tariffe doganali, rendendo più dif-ficile ad altre nazioni di venderci i loro prodotti al fine di ottenere i fondi con cui rimborsare i loro prestiti. Con l'espansione dei crediti da parte delle banche private avevamo grandemente accre-sciuto il potere d'acquisto potenziale dei consumatori negli Stati Uniti, ma una quantità eccessiva di quei fondi andò alla borsa. Persino la straordinaria attività edilizia falli miseramente allo scopo di soddisfare la necessità fondamentale di un maggior nu-mero di abitazioni decenti a basso prezzo. Si ebbe scarso riguardo all'esigenza di rendere il massimo servizio possibile all'acquirente. Anzi la costruzione di case fu piuttosto un trucco, col quale vari gruppi si intesero per mantenere i prezzi talmente elevati da ren-dere quasi impossibile, al medio aspirante all'acquisto di una casa, di ottenere una casa decente ad un prezzo per lui accessibile. Certo che non possiamo essere troppo fieri della prova che demmo dopo la prima guerra mondiale per quanto concerne il problema dell'abitazione.

Invero, tutta la nostra struttura economica di quegli anni era costruita sulla sabbia della speculazione, e quando vennero le acque e soffiarono i venti, la struttura crollò. L'intero mondo fu scosso per questo crollo.

I 100 miliardi di dollari di potere d'acquisto, che il popolo degli Stati Uniti godette nel 1929, si ridussero nello spazio di tre anni a 50 miliardi. Nessuna nazione ha mai esperimentalo una siffatta contrazione della sua prosperità in cosi breve tempo. Tale fu il prezzo del nostro pazzo ritorno, senza piani, alla «normalità » dopo la prima guerra mondiale.

95 Ci attendono gli stessi pericoli anche stavolta.

Guardando all'imminente pericolo postbellico, io trovo molti elementi quasi identici a quelli che esistettero dopo la prima guerra mondiale. Sarebbe tanto facile avere un'altra grande in-flazione, mettiamo nel 1946 o 1947... seguita da un subitaneo pre-cipitare dei prezzi nel 1947 o 1948. Sarebbe tanto facile, dopo che queste prime difficoltà si fossero superate, di compensarle, nel decennio iniziantesi col 1950, con vari anni di prosperità fondata su di una straordinaria attività edilizia, su vaste vendite di auto-mobili, di apparecchi radio e di ghiacciaie, su grandi esporta-zioni di prodotti industriali basate sulla concessione di crediti, nonché su di una molto maggiore attività nella costruzione di aeroporti e di aeroplani per uso privato. Ma posso anche vedere questa prosperità venir meno nei primi anni de] decennio per le stesse ragioni che sulla fine del decennio 1920-1929, e con la cer-tezza di una molto più grave susseguente depressione.

Ad ovviare questa triste possibilità noi abbiamo il fatto che gli esponenti del governo, dell'industria, del mondo del lavoro e dell'agricoltura hanno tutti molto imparato in conseguenza della loro esperienza dopo la prima guerra mondiale. Cito in partico-lare l'opera del Comitato per lo Sviluppo Economico, interamente composto di industriali, e l'Associazione Nazionale per i Piani, composta di esponenti dell'industria, del lavoro e dell'agricoltura. Queste organizzazioni si sono date a 'studiare a fondo certi pro-blemi del dopoguerra, quali l'occupazione integrale, il trapasso alla pace, la politica fiscale ed i lavori pubblici. In conseguenza delle ponderate direttive fornite da questi ed altri enti privati, i « gruppi influenti » sono meglio attrezzati che mai con gli ele-menti di fatto che consentiranno loro di prendere delle decisioni, tanto nel senso di stabilire i modi migliori per impedire il ripetersi del rovinoso ciclo inflazione-deflazione, quanto per predisporre in maniera intelligente dei piani per l'integrale utilizzazione eh tutte le nostre risorse.

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In opposizione all'atteggiamento costruttivo di questi enti pri-vati vi è un clamoroso, se pur sparuto, gruppo, il quale, a quanto pare, crede che sia cosa addirittura demoniaca il predisporre dei piani quali si siano. Questa gente ci dice che ogni predisposizione di piani è pura tirannia hitleriana. Essa professa di non fare di-stinzione alcuna fra la vita sociale-economica assolutamente piani-ficata dello stato-reggimento — o economia pianipiani-ficata, come si dice più comunemente — e la democratica predisposizione di piani intesa a preservare il nostro sistema della libera iniziativa ed il nostro sistema di vita libera proprio dai pericoli del totalitarismo che sono inerenti alla inazione.

Ho sempre cercato di essere tollerante e comprensivo delle oneste differenze tra punti di vista e opinioni, ma al tempo stesso non sono mai rifuggito dal parlar chiaro. E per me coloro che diffondono siffatte credenze — sia che si tratti di malfattori co-scienti o di sempliciotti ingannati — diffondono i semi della nostra distruzione quale popolo libero. Essi appianano la strada ai fanatici od ai bigotti, che vorrebbero estirpare tutto ciò che è bello e decente e divino nelle nostre libere ' istituzioni. Essi, se ne rendano conto o no, fanno il giuoco di coloro che si amman-tano della bandiera del patriottismo e fanno il basso lavoro di mascalzoni.

Sanno che cosa vogliono, in provincia.

Fortunatamente, io non credo che questi fautori della vita misera abbiano molti seguaci. In questi ultimi mesi ho cercato in modo particolare di rendermi conto del come vadano le cose in provincia. Volevo sapere esattamente a che cosa pensasse e di che cosa parlasse — e si, anche che cosa progettasse — la gente nelle località di provincia. E ne ho tratto un grande incorag-giamento.

Poco dopo la mia nomina a ministro per il commercio, un mio amico d'infanzia, che è adesso segretario esecutivo della

Ca-Mantenere libera la libera iniziativa 97 mera di commercio di Albert Lea, nel Minnesota, mi fece invio di un prospetto dell'ente comunale per lo sviluppo di quella città, noto sotto il nome di Jobs, Incorporateti, ed è una società non avente scopo di lucro, con un capitale sottoscritto di 100.000 dol-lari, destinato allo sviluppo delle possibilità di nuovi posti di lavoro nella località mediante l'impianto di nuove industrie. Una frase contenuta in quel prospetto mi ha colpito vivamente, perché mi sembra applicabile a tutte le comunità. Diceva: « Non vi può essere sicurezza comune ove i cittadini di ogni comunità non rico-noscano la loro responsabilità ai fini della creazione di nuove possibilità di lavoro ». Certo che qui vi è l'essenza della respon-sabilità incombente ovunque alla comunità.

Sul mio tavolo di lavoro sono venuti sempre più ammontic-chiandosi i seri e diligenti piani di comunità e Stati, e avendoli esaminati con attenzione, sono venuto a sapere che la provincia non fa assegnamento sull'aiuto dei finanzieri newyorkesi o degli uffici del governo federale.

Scegliendo a caso nel mucchio di questi piani, ecco lo splen-dido lavoro fatto da una città della Carolina meridionale. È inti-tolato: Anderson — Dopo la guerra. Ed è un'opera riflessiva e completa, corredata di diagrammi, nella quale sono studiati i pro-blemi locali, e che arriva sino a stimare le spese previste per l'acquisto di case e di automobili e di nuova attrezzatura agricola negli anni dell'immediato dopoguerra.

Un altro di questi opuscoli incomincia con la domanda: « Perché predisporre dei piani? ». E continua: a Perché isarà un arduo compito effettuare il trapasso della guerra alla pace senza rovinare lo Stato ». Questo emana dal Consiglio Economico del-l'Arkansas. E le lettere che più spiccano sulla copertina dicono:

Azione — Arkansas. Un'altra eccellente rassegna, quella di Fort

Smith, nell'Arkansas, porta il titolo seguente: Fort Smith — Avanti coi Piani.

Ho letto l'intero mucchio degli opuscoli del genere sinora pervenutimi, e sono certo che il mucchio continuerà a crescere.

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Ed ho imparato che l'opportunità di preparare piani per tempo è pienamente sentita dalle classi popolari. Ho potuto constatare che il popolo stesso non manifesta timori in relazione ad una pianificazione democratica. Là, in provincia, si sa quello che si vuole: si vuole che si agisca. E ci si rende conto, ne sono certo, di questo fatto fondamentale, e cioè che, per vincere la pace del-l'abbondanza entro il quadro della libera iniziativa, il predisporre piani è ancora più necessario di quanto non lo fosse per vincere la guerra. Ciò non significa che i poteri conferiti al Presidente per il tempo di guerra debbano essere perpetuati nella pace; ma vuol dire che al Presidente ed al Congresso deve essere conferito il

man-dato di agire più prontamente, più decisamente e più compren-sivamente di quanto non si sia mai prima preteso da loro in tempo di pace.

Noi, quale popolo libero, non tollereremo mai che il governo sia un monopolista burocratico, cosi come non tollereremo mai i controlli monopolistici dei giganti industriali o finanziari. Ma non abbiamo bisogno di temere un qualsiasi monopolio nella predispo-sizione di piani a Washington, finché esisterà una cosi vigile opi-nione pubblica nei ceti popolari.

La pianificazione più decisiva per la nazione.

Neil'affrontare il problema della più difficile pace che il mondo abbia mai veduta, sarà bene che noi consultiamo i nostri antenati. In un momento in cui si trovarono di fronte il caos, essi pure eb-bero a discutere quel problema fondamentale di governo costituito dal dover conciliare la massima libertà con la necessaria unità. La nostra Costituzione è il risultato di quelle discussioni. Nel 1785 avemmo quasi l'anarchia negli Stati Uniti per la stessa ragione per la quale vi è agitazione in tanti fra i paesi d'Europa liberati. Ave-vamo combattuto contro la tirannia, e perciò il nostro popolo aveva l'impressione che un governo centrale di qualsiasi genere sarebbe diventato un tiranno.

Mantenere libera la libera iniziativa 99 Ma i grandi uomini di quel tempo, dopo l'esperienza da essi fatta eon il debole governo elle governava secondo il Patto confe-derale, riconobbero elle al governo centrale dovevano essere con-ferite certe funzioni in relazione alle imposte, alle tariffe doga-nali, al conio della moneta, al mantenimento di un esercito ed alla legislazione. Essi riconobbero che queste funzioni dovevano essere affidate al governo dal popolo, allo scopo d'impedire che la libertà degenerasse in licenza ed anarchia. Ed è il pili gran mira-colo di tutti i tempi che i nostri antenati, pur vivendo in un'epoca

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