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Altre fattispecie di tolleranza

CAPITOLO III – IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA IMPLICITA

2. Altre fattispecie di tolleranza

Proseguendo con l’analisi della tolleranza si può individuare la sua presenza anche in altri settori del diritto civile italiano. Il suo richiamo frammentario ma allo stesso tempo la somiglianza degli effetti ad essa ricondotti dall’ordinamento nelle diverse fattispecie hanno dato adito alla prospettazione di una possibile riconduzione di queste varie disposizioni sparse all’interno di una figura unitaria47.

Prima di tornare sulla questione è però necessario individuare le

45 Patti S., op. ult. cit., pag. 81: “il ricorso alla figura del negozio serve soltanto a

colmare la lacuna che esiste tra le esigenze che si intendono tutelare e gli effetti giuridici ritenuti a tal fine indispensabili”.

46 Patti, ult. op. cit. pag. 83.

47 Fra gli altri cfr. Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978;

Idem, voce Tolleranza (atti di), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, Milano, 1992, p. 701.

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ipotesi di tolleranza previste dal codice civile premettendo che non sempre il dato testuale richiama esplicitamente tale concetto.

Già all’interno della disciplina dominicale è possibile individuare autonome fattispecie in cui il contegno tollerante assume rilevanza. Ne è un esempio l’art. 936 4° co., secondo cui “Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede”. La disposizione rappresenta un’eccezione all’esercizio dello ius tollendi da parte del proprietario che qualora abbia tollerato (“a sua scienza e senza opposizione”) l’attività di costruzione del terzo non può successivamente imporne la rimozione. La norma è stata ricondotta all’interno del generale divieto di venire contra factum proprium48

anche se in dottrina non si è mancato di evidenziarne le differenze. Si è detto in proposito49 che il suddetto divieto opera avendo riguardo alla

contraddittorietà di due comportamenti (di per sé leciti) posti in essere dal titolare del diritto senza tuttavia considerare né il tempo intercorrente tra i due né l’affidamento della controparte. Da questo punto di vista la tolleranza ha il pregio di operare un bilanciamento di contrapposti interessi alla luce del comportamento di entrambe le parti. In altri termini, la contraddittorietà del comportamento del proprietario non rileva in sé ma solo in quanto idonea a generare nel terzo un affidamento meritevole di tutela.

2.1. Rapporti obbligatori

Se si abbandona l’analisi del Libro III, è possibile riscontrare che il primo settore in cui la tolleranza assume rilievo è quello dei rapporti

obbligatori. In questa prospettiva la tolleranza deve essere analizzata

in base alle disposizioni che impongono al creditore e al debitore di

48 In tal senso cfr. il commento all’art 936 c.c. in www.studiolegale.leggiditalia.it/ 49 Cfr. Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, cit., pag. 111 ss. in cui si

analizza l’istituto tedesco della Verwirkung nell’ottica di rimarcarne le analogie con la nostra tolleranza.

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comportarsi secondo le regole di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) sulla base delle quali in sede di attuazione del rapporto obbligatorio può assumere rilevanza l’atteggiamento in concreto assunto dal creditore che sia in grado di influenzare nell’adempimento il debitore. Una pretesa del creditore preceduta da un suo contegno tollerante non sarebbe giustificata alla luce del principio di correttezza, nella misura in cui il suddetto atteggiamento di tolleranza abbia generato un affidamento in capo al debitore. È stato precisato a riguardo che la tolleranza non avrebbe in tal caso l’effetto di modificare il rapporto obbligatorio o il grado di diligenza che viene richiesto al debitore. La tolleranza del creditore non vale dunque a trasformare l’adempimento da inesatto ad esatto, ma soltanto ad evitare che il creditore pretenda successivamente ciò che inizialmente ha accettato di non ricevere. Ciò ha come conseguenza che gli atti tollerati del debitore in quanto atti di inadempimento potranno rilevare come tali qualora entri in gioco una valutazione complessiva del rapporto50. Questa conclusione sembra condivisa anche dalla giurisprudenza e dalla dottrina maggioritaria che ha escluso la possibilità che la tolleranza sia idonea ad instaurare un nuovo rapporto contrattuale o a modificare quello esistente51 (salvo che non si ricada nell’ipotesi di prestazione in luogo dell’adempimento ex art. 1197 c.c.). Si precisa infine che rispetto all’affidamento del debitore nelle prestazioni future, alla luce dell’applicazione della correttezza, occorrerà operare una valutazione in concreto del contegno del creditore al fine di stabilire se questo abbia lasciato intendere che la tolleranza riguarderà anche il futuro52. Non si tratterebbe di una modificazione del rapporto obbligatorio ma piuttosto degli effetti esterni della tolleranza sullo stesso: conseguentemente il creditore non potrebbe interrompere repentinamente la tolleranza delle future prestazioni inesatte del debitore. Sul punto c’è meno unanimità

50 Patti S., ult. op. cit., pag. 129. 51 Cfr. Sicchiero G., op. cit. pag. 378. 52 Patti S., ult. op. cit., pag. 129.

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trovando la suddetta tesi opposizione in chi ritiene che la tolleranza operi solo contestualmente all’ingerenza altrui ed esclude di conseguenza che questa possa ingenerare l’effetto favorevole per il tollerato di tutela del proprio affidamento. Questa impostazione, in linea con la nozione (maggioritaria) di tolleranza in materia possessoria, parte dal presupposto che l’eventuale speranza della continuazione della tolleranza “rappresenti solo un atteggiamento intimo che non merita tutela”53.

Riprendendo in considerazione la tesi favorevole ad una visione della tolleranza che produce effetti anche per il futuro e tiene in considerazione l’aspettativa generata dal contegno di tolleranza sulla controparte, questa è stata successivamente applicata a varie fasi del rapporto obbligatorio. Innanzitutto, l’inesatta o mancata esecuzione degli atti preparatori, se tollerata dal creditore a conoscenza degli effetti di questa inesecuzione sull’adempimento futuro, non consentirebbe a quest’ultimo di rifiutare la prestazione inesatta o di agire per il risarcimento del danno. In breve in tale ipotesi la prestazione inesatta dovrebbe essere “equiparata a seconda dell'incidenza della tolleranza e del tipo di inesattezza ad un esatto adempimento o ad un adempimento parziale”54.

In secondo luogo la tolleranza rileva anche con riferimento all’adempimento tardivo. Ad avviso della giurisprudenza infatti in caso di tolleranza singola si avrebbe la sospensione dell’applicazione dei rimedi contro l’inadempimento ma non la trasformazione dell’obbligazione a termine in un’obbligazione non a termine (in quanto per modificare la clausola del termine servirebbe una manifestazione di volontà di natura negoziale)55. In caso di tolleranza abituale (all’adempimento tardivo) vi sarebbe un ulteriore effetto sfavorevole per il tollerante: in alcune sentenze si è addirittura ammessa la modificazione delle clausole contrattuali riguardanti il

53 Sicchiero G., ult. op. cit., pag. 379. 54 Patti, ult. op. cit. pag. 134.

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termine56 in conformità con il ritardo tollerato; in altre pronunce, che non si sono spinte a tanto, si è comunque esclusa la responsabilità del debitore per il ritardo57.

L’ultima ipotesi è quella attinente alla tolleranza dell’adempimento inesatto58 che è possibile soltanto in quei rapporti

contrattuali in cui non sono previsti termini di decadenza per la reazione all’inadempimento (non quindi per vendita, appalto, trasporto e mandato). In tal caso non sempre la mancata reazione del creditore configurerà una rinuncia tacita, non essendo presente la volontà di modificare il contenuto del contratto ma piuttosto un atteggiamento di patientia che ingenera nel debitore un affidamento meritevole di tutela. Tale fattispecie va inoltre tenuta distinta dall’inerzia, un atteggiamento di passività idoneo a valere ai fini dell’estinzione del diritto per prescrizione, ma non a creare un affidamento nella controparte.

2.2. Rappresentanza tollerata

Anche in materia di rappresentanza la nostra dottrina59 individua dei profili di rilevanza dell’istituto in esame. Innanzitutto è necessario distinguere la rappresentanza tollerata da altre figure vicine ma differenti. Dalla procura tacita si differenzia per la presenza in quest’ultima di una volontà negoziale del rappresentato espressa mediante comportamento concludente; dalla rappresentanza apparente per il fatto che in tale ipotesi non è presente una conoscenza da parte del rappresentato il quale solo per questo motivo non smentisce la situazione apparente che il falso procuratore manifesta all’esterno. Nella rappresentanza tollerata al contrario il rappresentato non ha concesso alcuna procura ma conosce e tollera l’attività del rappresentante senza però esprimere una volontà negoziale che regoli il rapporto col medesimo. Ad avviso di questa letteratura il

56 Cass. Civ. 7 aprile 1972, n. 1035, in Foro it., 1972, I, 2863; 57 Cass. Civ. 14 febbraio 1981, n. 914

58 Patti, ult. op. cit. pag. 140-2. 59 Ivi pag. 143 ss

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comportamento del tollerante contribuirebbe a creare un affidamento non solo del tollerato ma anche dei terzi con cui questo contrae mentre nel caso dell’apparenza l’affidamento è generato solo dal comportamento del rappresentante apparente. Con riferimento agli effetti giuridici della fattispecie c’è chi60 ha cercato di applicare l’art

1337 c.c. per estendere al rappresentato la responsabilità per gli atti compiuti nella fase precontrattuale (culpa in contrahendo). La tesi sembra rigettata da chi ritiene inapplicabile l’articolo in questione in ragione del rilievo per cui viene fatto esplicito riferimento alle parti della trattativa. Non essendoci una procura, il rappresentato non è altro che un soggetto che interviene nelle trattative a cui non può essere esteso il dovere di buona fede ex art. 1337 c.c.; si aggiunge però che l’atteggiamento del rappresentato tollerante potrà configurare illecito nei confronti dei terzi (che hanno fatto affidamento su una procura inesistente) in forza di un “generale principio di buona fede vigente nell’ordinamento, di cui l’art. 1337 rappresenta una specificazione”. In contrasto con la restrittiva applicazione giurisprudenziale del principio di buona fede si afferma l’imputabilità al tollerante degli effetti del negozio concluso dal falso procuratore, in ragione dell’affidamento che il contegno tollerante genera nel terzo. Ad avviso di altri invece il tollerante risponderebbe ex art 2043 c.c. a titolo di lesione da parte del rappresentato dell’altrui libertà contrattuale ma affinché ciò avvenga è necessario che si configuri “una relazione tra azione del falsus procurator e l’omissione del dominus”. Quest’ultima infatti non sarebbe di per sé connessa causalmente al comportamento del rappresentante, mancando una disposizione che imputi direttamente la responsabilità in capo al tollerante61.

60 cfr. Benatti F., Contratto concluso dal “falsus procurator” e responsabilità del

dominus, in Rivista di Diritto Commerciale, 1959, II, pp. 343 ss

- 111 - 2.3. Riservatezza

La tolleranza rileva anche nelle fattispecie di violazione della

riservatezza. Si allude alle ipotesi di divulgazione di notizie e

immagini riguardanti la vita privata degli individui disciplinata dall’art. 97, 1° co., l. 22 aprile 1941, n. 633 in cui si afferma che “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà”. Tale norma è stata unanimemente interpretata aggiungendo un'altra condizione: per escludere l’illecito occorre che l’ingresso nella vita pubblica “sia voluto o almeno tollerato dalla persona”62. Più in generale sembra che la violazione della riservatezza qualora tollerata dal danneggiato non dia luogo a risarcimento del danno. Il problema ulteriore, come nelle fattispecie esaminate in precedenza, è sempre quello di valutare l’aspettativa sulla tolleranza futura del titolare del diritto e la possibilità che questa produca degli effetti giuridici. A tal proposito si è osservato che l’accertamento di un atteggiamento tollerante può ragionevolmente essere accompagnato dal riconoscimento e dalla tutela dell’affidamento della controparte con il risultato di rendere lecita non solo l’attività ingerente già posta in essere ma anche quella ad essa connessa non ancora compiuta materialmente. In altri termini se la tolleranza circa l’intrusione nella vita privata cessa durante l’attività del tollerato, quest’ultimo avrebbe la possibilità quanto meno di concludere l’attività la cui realizzazione è oggetto del suddetto affidamento63.

2.4. Uso dei segni distintivi

L’ultima fattispecie che occorre richiamare è quella attinente alla tolleranza dell’uso dei segni distintivi. In merito acquista rilevanza l'art. 48 R.D. 21 giugno 1942, n. 929 che però è stato recentemente modificato inizialmente dal d.lgs. 19 marzo 1996, n. 198

62 Rescigno P., Il diritto di essere lasciati soli, in Guarino A., Labruna L. (a cura di)

Synteleya per Vincenzo Arangio-Ruiz, I, Napoli, 1964, pag. 497.

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ed in seguito è confluito nell’art. 28 del Codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). Nella sua originaria formulazione non veniva fatto esplicito riferimento alla tolleranza in quanto si affermava che “la validità del brevetto, quando il marchio sia stato pubblicamente usato in buona fede per cinque anni senza contestazioni […] non può essere impugnata per il motivo che la parola, figura o segno che lo costituisce può confondersi con una parola, figura o segno altrui, già conosciuto alla data della domanda come distintivo di prodotti o merci dello stesso genere”. Da questo dispositivo una parte della dottrina64 aveva ritenuto di far rientrare all’interno della fattispecie in esame soltanto le ipotesi di inerzia del titolare del marchio anteriore, vale a dire le ipotesi in cui la mancata contestazione era dovuta all’ignoranza dell’utilizzo del marchio da parte di un terzo in buona fede. L’interesse di quest’ultimo è considerato prevalente soltanto a seguito del mancato esercizio del diritto per cinque anni da parte del titolare. Seguendo quest’ordine di ragionamento la tolleranza nell’altrui uso del marchio sarebbe una fattispecie esterna all’abito di applicazione dell’art. 48 e consentirebbe – a seconda di una valutazione concreta circa l’affidamento ingenerato dal contegno tollerante – da una parte, di precludere l’azione nei confronti del terzo tollerato anche prima del periodo di tempo previsto dalla fattispecie di inerzia (5 anni), dall’altra, di prescindere dalla buona fede del terzo accordando la medesima tutela in ragione del suo successivo affidamento (e non dell’assenza di malafede). Tali conclusioni sono state superate in ogni caso dall’attuale art. 28 c.p.i. per cui “il titolare di un marchio d'impresa anteriore […] e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o

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servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all'uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso”. L’esplicito richiamo alla tolleranza del titolare contrasta in parte con la qualificazione offerta dalla succitata dottrina. Da una parte infatti il termine quinquennale viene riferito in maniera incontrovertibile alla fattispecie di scientia et patientia (e non a quella di inerzia) del titolare del marchio anteriore impedendo un’autonoma valutazione nel caso concreto in merito all’affidamento del tollerato, dall’altra gli effetti di preclusione dell’azione nei confronti del titolare del marchio posteriore (il tollerato) vengono fatti dipendere dalla buona fede (in senso soggettivo) di quest’ultimo al momento della domanda di registrazione del marchio. Ciò ha l’effetto di sminuire ulteriormente la rilevanza dell’affidamento del terzo rispetto al contegno tollerante del titolare del marchio anteriore: perché un iniziale malafede del titolare posteriore non dovrebbe essere seguita da un affidamento meritevole di tutela circa la continuazione dell’atteggiamento da parte del titolare del primo? La norma non sembra ritenere tale circostanza meritevole di tutela. A ciò si aggiunga che per operare essa richiede che il “tollerato” abbia comunque richiesto la registrazione del marchio posteriore escludendo quindi che la fattispecie operi nei confronti di marchio non registrato65. Questa innovazione da una parte richiama esplicitamente l’istituto della tolleranza ma dall’altra ne cristallizza l’operatività dettando termini temporali e condizioni per l’operatività della regola.

65 In tal senso v. anche Cass. Civ., sez. I, 27 novembre 2013, n. 26498: “Alla stregua

del dettato normativo, dunque, la preclusione per il titolare di un marchio a far valere la propria opposizione al relativo uso da parte di terzi è subordinata alla duplice condizione che vi sia stata una consapevole tolleranza per cinque anni e che vi sia stata successiva registrazione del marchio posteriore uguale o simile (specificamente in tal senso C. 08/17927), ipotesi quest’ultima verificatasi nella specie.”

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3. L’esperienza tedesca della Verwirkung come chiave di