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L’esperienza tedesca della Verwirkung come chiave di lettura per un’interpretazione estensiva dell’istituto.

CAPITOLO III – IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA IMPLICITA

3. L’esperienza tedesca della Verwirkung come chiave di lettura per un’interpretazione estensiva dell’istituto.

L’indagine sulla natura giuridica e sugli effetti della tolleranza ha indotto la dottrina italiana a confrontarsi con gli istituti degli ordinamenti giuridici stranieri. Il riferimento più frequente è stato fatto all’istituto tedesco della Verwirkung66 il quale si presta a suffragare

efficacemente la proposta dottrinaria oggetto di esame in questa trattazione. In questa sede ci si limiterà ad un’analisi dell’istituto mediata dalle riflessioni della dottrina nostrana senza quindi accedere direttamente alla giurisprudenza ed alla letteratura tedesca.

Una delle prime applicazioni giurisprudenziali dell’istituto si ebbe in Germania in materia di beni immateriali ed in particolare, in analogia con il nostro art. 28 del Codice della proprietà intellettuale, con riferimento all’inammissibilità della pretesa del titolare di un marchio di invocare la priorità del proprio diritto dopo aver tollerato per anni l’uso di un segno distintivo identico o simile. Tale soluzione fu motivata al tempo dalla giurisprudenza tedesca facendo leva sull’intenzione maliziosa del titolare di ritardare la propria azione al fine di giovarsi successivamente della clientela creatasi dalla diffusione del segno distintivo della controparte. La disposizione di cui il giudice si avvalse è il § 826 BGB che disciplina la violazione intenzionale del buon costume67.

Fu solo all’inizio degli anni ’30 che la giurisprudenza ampliò notevolmente l’ambito di applicazione della Verwirkung

66 L’istituto è stato oggetto di un ampio studio monografico Ranieri F., Rinunzia

tacita e Verwirkung, Padova, Cedam, 1971. Per un in quadramento differente

dell’istituto v. Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978 e Id., ., voce Verwirkung, in Digesto Civile, Torino, 1999, XIX, 722. Questa letteratura, è il caso di accennarlo, ha manifestamente affermato i reciproci contrasti (v. anche Ranieri F., voce Eccezione di dolo generale, in Digesto civile, VII, Torino, 1991, 313).

67 Cfr. il cd. caso Goldina, RG, 19 giugno 1925, in RGZ, Vol. 111, pag. ss. in cui si

afferma che “Il diritto formale del marchio può essere esercitato unicamente entro i limiti posti dai principi superiori del diritto, in particolare entro i limiti della concorrenza sleale e dei buoni costumi”. La sentenza è analizzata da Ranieri F.,

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abbandonando il richiamo della disposizione sul buon costume che imponeva la prova del dolo del titolare per affermarne l’applicazione ogni qual volta il ritardo di quest’ultimo contrastasse con i canoni della buona fede (Treu und Glauben, § 242 BGB)68. Per questa via si è abbandonata l’idea di una rilevanza solo settoriale dell’istituto in esame in favore di una sua applicazione generalizzata69 che è stata in seguito consacrata dalla dottrina maggioritaria nonché dalla giurisprudenza70.

La fattispecie elaborata dalla giurisprudenza tedesca ha come presupposto necessario l’inattività per un certo periodo di tempo del titolare del diritto (alias il mancato esercizio dello stesso) a cui si aggiungono una serie di circostanze tali da ingenerare un affidamento del terzo ingerente. Dette circostanze (una in particolare è la conoscenza dell’ingerenza da parte del titolare del diritto), elaborate tramite la casistica giurisprudenziale, non possono essere individuate a priori in quanto la loro sussistenza non costituisce elemento necessario della fattispecie ma vanno soltanto ad influire (in diminuzione) sull’periodo di tempo necessario per attivare la tutela del terzo. Nel caso concreto sarà dunque l’interprete a dover fare una ponderazione delle circostanze e del periodo di tempo trascorso e valutare se queste, considerate nel loro complesso, abbiano ingenerato un affidamento nel terzo tale da rendere il successivo esercizio da parte del titolare contrario al principio di buona fede.71 Come si è già accennato la conoscenza del titolare, a differenza di quanto accade nel nostro ordinamento in cui essa vale a mutare la fattispecie di tolleranza in quella di inerzia, non è un elemento necessario della Verwirkung ma assume un’importanza decisa nella nascita dell’affidamento altrui. Ciò ha l’effetto di attribuire all’istituto tedesco un ambito applicativo più

68 La prima sentenza che apre questo nuovo indirizzo giurisprudenziale è RG, 27

ottobre 1931, in JW, 1932, pag. 942 ss.

69 Cfr. Ranieri F., ult. op. cit., pag. 21 (cfr. nota 11 per la dottrina tedesca) e Patti,

ult. op. cit., pag. 104.

70 Da ultimo RG, 19 settembre 1938, in RGZ, vol. 158, pag. 238. 71 Cfr. Patti, ult. op. cit., pag. 105-7.

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generalizzato in grado di comprendere al suo interno sia l’inerzia che la tolleranza. La sua generalità ed elasticità di applicazione consente alla Verwirkung di svolgere, a differenza della tolleranza, una pluralità di funzioni. È stato osservato infatti che, oltre ad avere una funzione equitativa di valutazione dei contrapposti interessi in conflitto sulla base del principio di buona fede, essa ha consentito tra l’altro di sopperire all’inadeguatezza dell’istituto della prescrizione di fronte all’accelerarsi del traffico giuridico72.

Passando adesso all’analisi delle conseguenze giuridiche dell’istituto la dottrina tedesca si divide. C’è chi (opinione maggioritaria) sostiene che la Verwirkung determini l’estinzione del diritto in ragione della sua affinità funzionale con l’istituto della prescrizione.73 La tesi riscuote successo anche da parte della dottrina

italiana che tende a qualificare l’istituto in esame come un’ipotesi di rinuncia tacita da parte del titolare del diritto74. Altri invece ritengono

che si tratterebbe soltanto di una limitazione del diritto perché in caso contrario si entrerebbe in contraddizione con il fondamento dell’istituto, vale a dire il principio di buona fede, che ha come effetto tipico soltanto l’inammissibilità dell’esercizio del diritto75. Ciò che

interessa rilevare al riguardo è il contrasto che si ripropone nella dottrina italiana, anche nell’analisi di istituti stranieri, circa la natura della fattispecie di tolleranza. È convinzione diffusa infatti che la tutela dell’affidamento del tollerato possa essere raggiunto nel nostro ordinamento soltanto tramite una finzione giuridica che attribuisca al comportamento del titolare il valore di dichiarazione (tacita) negoziale di rinuncia al proprio diritto76. Quello che invece dimostrerebbe l’esperienza tedesca è che al contegno tollerante non è necessariamente attribuibile il significato di atto di rinuncia senza però

72 Ivi pag. 108-9.

73 Cfr. Von Thur, Allgemeiner Teil des Deutschen Bürgerlichen Rechts, II, 1, Berlin,

1957 (rist.), pag. 93

74 Ranieri F., ult. op. cit., pag. 2.

75 Lehmann, Hübner, Allgemeiner Teil des BGB, 15, Berlin, 1966, pag. 112. La tesi

è condivisa da Patti, ult. op. cit., pag. 119.

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che questa soluzione debba portare ad escludere la tutela dell’affidamento del terzo. In Germania il risultato è stato raggiunto per mezzo del principio di buona fede la cui applicazione generalizzata nell’ambito dei rapporti patrimoniali è frutto di una diversa interpretazione del dato letterale da parte della giurisprudenza. In Italia invece dove storicamente tale clausola generale è stata oggetto di un’interpretazione più restrittiva non si è potuti giungere alle medesime soluzioni pratiche77 se non imbarcandosi in artificiose ricostruzioni in senso negoziale della fattispecie.