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La giurisprudenza della Corte Edu in materia di ben

CAPITOLO II – LA GIURISPRUDENZA EDU IN MATERIA DI BEN

1. La giurisprudenza della Corte Edu in materia di ben

Prima di passare in rassegna le sentenze della Corte di Strasburgo riguardanti la definizione del campo di applicazione dell’art. 1 e della nozione di “bene”, occorre ricordare che questa giurisprudenza agisce su ricorsi individuali e quindi è influenzata, nelle sue decisioni, dalle circostanze del caso concreto che si trova a dover dirimere. Questo, insieme alla costante evoluzione degli indirizzi giurisprudenziali di Strasburgo, non rende agevole una sintesi di quella che è stata non a caso definita una “giurisprudenza di dettaglio”1. Tuttavia da un’analisi complessiva delle statuizioni degli

ultimi trent’anni sembra possibile affermare che l’opera di interpretazione estensiva è andata in due direzioni distinte: la prima attiene al bene come “oggetto”, estendendo il numero delle situazioni soggettive incluse nella nozione autonoma di bene; il secondo profilo invece riguarda il momento, per così dire, “temporale” cioè quello che individua quando un bene possa effettivamente considerarsi inserito all’interno della sfera giuridica del privato. Questo secondo approccio estensivo della nozione di bene, come vedremo, ha costituito un’ulteriore novità rispetto al tradizionale modo di concepire il rapporto che intercorre tra un bene e l’aspettativa del privato di diventare titolare di un diritto sul bene stesso. La Corte infatti, che da subito ha cercato di circoscrivere la tutela ai beni “attuali”, vale a dire i beni che sono già nella sfera giuridica del privato, ha poi esteso a sua volta la nozione di attualità.

1 Conforti B., La giurisprudenza della Corte di Giustizia di Strasburgo in tema di

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Sotto il profilo oggettivo, il processo di progressiva estensione della nozione di “bene” ha preso il via agli inizi degli anni novanta. Accanto ai beni corporali mobili e immobili che tradizionalmente sono considerati oggetto della tutela proprietaria, la Corte ha esteso la garanzia dell’art. 1 ai beni immateriali oggetto di proprietà intellettuale. In realtà la tutela dell’art. 1 è stata estesa gradualmente alla proprietà intellettuale perché solo il brevetto è stato da subito considerato “bene”2. Più di recente invece la Corte ha avuto modo di

chiarire che la medesima tutela si applica anche ai marchi3 e alle opere d’ingegno che formano oggetto del diritto d’autore4.

1.1. La clientela

Di maggiore impatto sono state le pronunce che hanno applicato l’art. 1 alla clientela degli studi professionali e all’avviamento commerciale5. Con riferimento al bene-clientela, la sua protezione è

stata affermata per la prima volta nel caso Van Marle, in cui i ricorrenti lamentavano la lesione derivante dall’applicazione di una legge che richiedeva, per l’immatricolazione come “esperti-contabili patrocinatori” (in inglese accountant), determinate condizioni di professionalità di cui i ricorrenti non erano in possesso. A seguito del rifiuto della richiesta, l’impossibilità di continuare a svolgere l’attività, esercitata per 25 anni fino all’entrata in vigore della suddetta legge, aveva recato ai ricorrenti un danno derivante dalla perdita di clientela6.

2 Commissione, Appl. 12633/87, 4 ottobre 1990, Smith Kline and French

Laboratoires Ltd c. The Netherlands, in Dec. rep., 1990, 66, p. 70 poi confermato nel caso Lenzing AG c. Regno Unito (no 38817/97) del 9 settembre 1998.

3 Corte, 11 gennaio 2007, Anheuser-Busch c. Portogallo

4 Corte, 29 gennaio 2008, Balan c. Moldovia, in cui un fotografo lamentava la

violazione dell’art. 1 a seguito della pubblicazione, senza autorizzazione e senza alcuna remunerazione, di una sua opera fotografica, protetta da diritto d’autore, su tutte le carte d’identità rilasciate dallo Stato ai cittadini moldavi.

5 Corte, 26 giugno 1986, Van Marle et autres, Serie A, n. 101; Corte, 25 marzo 1999,

Iatridis c. Grecia; Corte, 7 luglio 1989, Tre Traktörer AB c. Svezia, Serie A, n. 159.

6 Per un’analisi dettagliata del caso di specie si veda Colcelli V., La clientela come

valore patrimoniale e la sua tutela attraverso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Università di Perugia, Dipartimento di Diritto Pubblico, www.diritti- cedu.unipg.it.

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La sentenza in esame è stata approvata con il voto contrario di due giudici (Sir Vincent Evans e M. Gersing) sul punto riguardante l’applicabilità dell’art. 1, I Protocollo; a loro avviso nonostante la clientela (che viene sostanzialmente identificata con l’avviamento commerciale) possa formare un elemento del valore economico degli affari di una determinata attività, questa non debba essere considerata “bene” ai sensi dell’art 1 in quanto ciò comporterebbe una limitazione eccessiva nel potere degli Stati contraenti di prendere misure legislative come quelle adottate. Al contrario il fondamento dell’applicazione dell’art. 1 al caso di specie è stato individuato da parte dei giudici maggioritari favorevoli, nel mero valore patrimoniale della clientela perduta a causa dell’intervento legislativo7 e nel fatto

che quella clientela fosse imputabile ai ricorrenti in quanto il frutto della loro attività lavorativa. Tuttavia, tramite il ricorso alla nozione autonoma di bene, non è stato necessario per la Corte specificare quali fossero i caratteri che rendono il bene-clientela una situazione soggettiva tutelabile ai senti dell’art. 1. Del resto il fatto che anche le opinioni dissenzienti abbiano fatto leva sull’intangibilità del potere sovrano degli Stati di legiferare sulle condizioni di accesso alle professioni protette (come quella di “esperto-contabile”) piuttosto che sull’esigenza di circoscrivere la nozione di bene, manifesta un certo disinteresse generale a definire in modo più preciso quale sia l’oggetto del diritto di proprietà in esame.

Da un confronto delle altre sentenze che menzionano la clientela e l’avviamento emerge chiaramente che il caso Van Marle non è l’unico che tutela il bene clientela in quanto tale. Il caso Iatridis si occupa di una fattispecie di privazione dell’uso di un terreno adibito a cinema all’’aperto e la Corte, dopo aver premesso di voler lasciare

7 Corte, 26 giugno 1986, Van Marle et autres cit., par 41 : “La Cour estime, avec la

Commission, que le droit invoqué par les requérants peut être assimilé au droit de propriété consacré à l’article 1 (P1-1): grâce à leur travail, les intéressés avaient réussi à constituer une clientèle; revêtant à beaucoup d’égards le caractère d’un droit privé, elle s’analysait en une valeur patrimoniale, donc en un bien au sens de la première phrase de l’article 1 (P1-1), lequel s’appliquait dès lors en l’espèce”.

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impregiudicata la questione riguardante la proprietà del terreno oggetto della lite, ha riconosciuto che l’espulsione dalla propria attività privava il ricorrente della clientela costruita negli anni. Questa clientela, ad avviso della Corte “s’analyse en une valeur

patrimoniale”8 autonomo e, per questo, protetto dall’art. 1. Al

contrario il caso Tre Traktörer AB richiama la clientela e l’avviamento non come un bene a sé che possa formare oggetto di una tutela autonoma, quanto piuttosto in qualità di un indicatore della perdita patrimoniale subita a seguito dell’ingerenza statale su un bene diverso (nel caso di specie, la licenza alla vendita di bevande alcoliche). La clientela intesa come “elemento che concorre a integrare il valore dei beni immobili e mobili cui si riferisce” e non come bene a sé stante, rappresenta una qualificazione più affine a quella che viene data dalla nostra giurisprudenza9. Il richiamo della clientela è servito alla Corte

perché nel caso di specie l’oggetto della contestazione era una licenza amministrativa, in cui sono presenti elementi di diritto pubblico; era dunque necessario chiarire l’ambito “civile” della contestazione in esame al fine di applicare, non già l’art. 1 bensì l’art. 6.1 della Cedu. Per ottenere questo risultato la Corte ha argomentato partendo dagli effetti negativi che la revoca della licenza ha sull’avviamento e sul valore commerciale del ristorante, riconducendo così la controversia all’interno dell’ambito “civile”10. Tuttavia dal punto di vista del bene

oggetto della lite, non vi è dubbio che si trattasse del permesso a vendere bevande alcoliche.

1.2. Concessioni amministrative

Come accennato poc’anzi, il caso Tre Traktörer e il caso

Fredin11 (riguardante la revoca del permesso di sfruttamento della

8 Corte, 25 marzo 1999, Iatridis c. Grecia cfr. par. 54 9 Cass. Civ. 22-3-1982, n. 1832, GID, 1982, 1264.

10 Sul punto si veda De Salvia M., La giurisprudenza degli organi della convenzione

e i diritti patrimoniali, Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1995, pag. 285.

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cava di ghiaia di cui il ricorrente era proprietario) hanno invece fatto rientrare nella nozione di bene ex art. 1, anche le concessioni amministrative. È opportuno rilevare che entrambi i casi siano stati fatti rientrare nel campo di applicazione della terza norma dell’art. 1, quella attinente alla regolamentazione dell’uso dei beni. Nonostante i tentativi di qualificazione da parte dei ricorrenti come “privazione della proprietà” – cosa che avrebbe avuto come conseguenza quella di applicare la seconda frase, primo capoverso dell’art. 1 – il ritiro della concessione da parte dell’autorità statale è stato qualificato come una limitazione all’uso del bene a cui la concessione stessa si riferiva e di cui contribuiva ad accrescerne l’utilità. Al fine di escludere la sussistenza di un’espropriazione “di fatto” la Corte ha in entrambi i casi indagato sugli effetti che il ritiro della licenza ha avuto sull’utilità conseguita dai beni per mezzo della concessione e soltanto nell’ipotesi in cui il bene non potesse essere usato dai proprietari in altro modo, si sarebbe potuto parlare di espropriazione di fatto. Per questo, stante la possibilità di trarre dal bene (nei casi di specie rispettivamente un ristorante e una cava di ghiaia) utilità ulteriori rispetto a quelle derivanti dal possesso della concessione amministrativa, la Corte ha ritenuto opportuno qualificare la fattispecie come una limitazione all’uso dei beni (terza norma). In questi termini non sembra quindi che la concessione amministrativa sia considerata dalla Corte oggetto diretto della tutela ma piuttosto lo strumento indiretto per trarre da un altro bene una determinata utilità.

Una volta definito il campo di applicazione la Corte, in entrambe le decisioni, ha poi ritenuto comunque rispettato il secondo comma dell’art. 1 sulla base del rispetto del “giusto equilibrio” tra interesse generale e interesse particolare del ricorrente. Il bilanciamento di interessi che la Corte è chiamata a fare per valutare la violazione dell’articolo in esame sembra quindi variare a seconda del tipo bene controverso: rispetto ad altri beni di cui il privato può considerarsi un proprietario in senso stretto, una concessione amministrativa sembra

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quindi poter essere soggetta a forme di ingerenza statale più incisive, senza che il principio del “giusto equilibrio” risulti violato.

1.3. Pretese giudiziarie e diritti di credito

Un'altra coppia di decisioni, in parte diverse tra loro, hanno statuito che rientrano nella nozione autonoma di “bene” anche i diritti di credito e gli altri diritti derivanti da decisioni giudiziarie. Il caso

Stran Greek Refineries12 afferma che il diritto di credito accertato con

sentenza o, come nel caso di specie, da lodo arbitrale definitivo e vincolante, dotato cioè di efficacia esecutiva, costituisce un bene tutelato dalla norma convenzionale. Occorre rilevare, anche per meglio comprendere la successiva sentenza, che la Corte non ha potuto far riferimento all’accertamento sul diritto in questione da parte del Tribunale di primo grado greco in quanto quest’ultimo, nonostante avesse stabilito la responsabilità statale nei confronti del ricorrente non aveva provveduto a quantificare il danno. “L’effetto di una tale decisione è stato soltanto quello di insinuare nei ricorrenti la speranza di vedere soddisfatta la pretesa avanzata”13 ma non è sufficiente ad

integrare il concetto di bene. Per questo motivo, per soddisfare la pretesa del ricorrente, la Corte si è dovuta riferire alla decisione arbitrale sulla medesima controversia la quale, essendo definitiva e dotata di efficacia esecutiva integrava una situazione sufficientemente certa da essere qualificata come bene. Nel Caso Pressos Compañía Naviera S.A. invece la Corte fa applicazione del principio di “speranza legittima” proprio con riferimento ad un diritto al risarcimento del danno derivante da decisione giudiziaria. La fattispecie riguarda i danni causati al ricorrente da un incidente navale la cui responsabilità era stata attribuita ad alcuni piloti belgi. Nonostante non vi fosse stato ancora nessun accertamento definitivo da parte del giudice nazionale

12 Corte, 9 dicembre 1994, Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia,

Serie A, n. 301

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sul caso di specie, secondo una costante giurisprudenza di legittimità riguardante l’interpretazione della legislazione interna, la responsabilità in questo genere di controversie è attribuita allo Stato esercente l’attività di trasporto che ha causato il danno. Anche se il diritto non è ancora entrato nella sfera giuridica del ricorrente, in quanto il credito risarcitorio in questione non è “certo, attuale e esigibile”14, questo è stato comunque considerato protetto dall’art. 1 in

quanto, da una parte il danno si è già verificato e quindi l’obbligazione risarcitoria è già sorta e dall’altra l’esonero da responsabilità deriva da una legge successiva applicata retroattivamente che disattende il costante indirizzo giurisprudenziale in merito. In questo caso la Corte ha applicato il principio de l’espérance légitime, nella valutazione del criterio di attualità del bene superando così il limite della mancanza di esigibilità del credito risarcitorio, che nella precedente sentenza esaminata aveva costituito un criterio per restringere l’ambito di applicazione dell’art. 1. Anche nel caso Stran Greek Refineries viene chiamato in causa l’elemento della speranza ma, in quella circostanza non viene considerata “legittima” in quanto il Tribunale di prime cure non era arrivato ad una sentenza di merito a causa della necessità di espletare alcuni adempimenti istruttori riguardanti la determinazione del danno. Occorre però rilevare che questa sentenza è precedente al caso Pine Valley, dove per la prima volta viene affermato il criterio della legittima aspettativa come criterio trasversale per valutare l’attualità del bene.

Sempre in materia di obbligazioni, più recentemente sono stati riconosciuti come beni i crediti da lavoro vantati nei confronti dello stato o di società pubbliche (alias a partecipazione maggioritaria pubblica anche se in corso di privatizzazione), rispettivamente nei casi

Zouboulidis15 e Aurelia Popa16.

14 Corte, 20 novembre 1995, Pressos Compañia Naviera S. A. e altri c. Belgio, Serie

A, n. 301, par. 29

15 Corte, 25 giugno 2009, Zouboulidis c. Grecia 16 Corte, 26 gennaio 2010, Aurelia Popa c. Romania

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1.4. Azioni e titoli

Anche le azioni di società rientrano, secondo la Corte EDU, nella nozione di “bene” ex art. 1: il leading case è il caso Sovtransavto

Holding17 riguardante la perdita di valore delle azioni a seguito di un

aumento di capitale sociale omologato dal consiglio esecutivo (organo pubblico) in violazioni della legge ucraina. L’omissione posta in essere dal consiglio esecutivo in sede di giudizio di omologazione ha comportato un pregiudizio patrimoniale alle azioni del ricorrente che la Corte ha giudicato rientrante nell’ambito di applicazione della norma. Il problema principale è stato qualificare il bene-azione al fine di collocare la fattispecie all’interno delle tre norme espresse nell’art. 1. La Corte ha osservato che un’azione di società incorpora una situazione complessa che non si limita ad attribuire al possessore del titolo soltanto la titolarità di un credito indiretto sull’attivo sociale ma a questo si accompagnano anche altri diritti sociali, tra qui il diritto di voto in assemblea. Questa complessità ha fatto sì che la Corte facesse rientrare il bene in esame all’interno della fattispecie generale della prima norma (“diritto al rispetto dei beni”) senza qualificare l’ingerenza né in termini di privazione di proprietà né in quelli di limitazione all’uso dei beni. Si è poi ulteriormente chiarito, in analogia a quanto affermato nel celebre caso Barcelona Traction18 della Corte Internazionale di Giustizia, che il singolo azionista non può agire in forza di una misura di interferenza che colpisca i beni societari (in tal caso solo la società potrà agire), ma soltanto qualora il provvedimento dell’autorità statale colpisca direttamente il valore delle proprie azioni19 o più in generale i diritti patrimoniali legati alle stesse.

All’interno della medesima categoria possiamo poi inserire anche le più recenti decisioni che hanno compreso i bonds, titoli di debito pubblico, nel campo di applicazione dell’art. 1. Ad affermarlo

17 Corte, 25 giugno 2002, Sovtransavto Holding c. Ucraina.

18 Corte Internazionale di Giustizia, 5 febbraio 1970, Barcelona Traction, Light and

Power Company, Belgio c. Spagna.

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per la prima volta è il caso Malysh, che ha ad oggetto l’emissione di bond da parte del governo sovietico, successivamente convertiti dal nuovo Stato russo in titoli di debito statale. La legislazione russa nel disciplinare la procedura di liquidazione dei titoli statali al fine di ripianare il debito pubblico ha escluso i bonds posseduti dai ricorrenti. La Corte20, per argomentare nel senso dell’applicabilità della norma, parte dalla considerazione che, se in origine questi strumenti non erano dotati di un valore autonomo, essendo soltanto “uno strumento amministrativo per la distribuzione di beni di consumo di grande richiesta” equiparabili pressoché una moneta di scambio, successivamente la regolamentazione legislativa dei bond si è evoluta fino a qualificarli come una parte del debito interno dello Stato russo, e quindi ad un’obbligazione ascrivibile a tutti gli effetti nella nozione di bene.

1.5. Art. 1, 1° Prot. in combinato disposto con Art. 14: prestazioni previdenziali e fattispecie impositive

Per completezza occorre esaminare un gruppo di casi in cui l’art. 1 è stato applicato non in quanto tale, ma in combinato disposto con l’art. 14 Cedu, Divieto di discriminazione. Questo dipende dal fatto che, per la sua applicazione, l’art. 14 deve necessariamente riferirsi a fattispecie rientranti nel campo di applicazione delle libertà e diritti tutelati dalla Convenzione non potendo avere un’applicazione indipendente. Si tratta di fattispecie riguardanti il pagamento di imposte e di altri contributi21 e il diritto a ottenere prestazioni sociali22.

20 Corte, 11 febbraio 2010, Malysh e altri c. Russia, par. 66: “However, the legal

regulations governing the bonds evolved in line with the changing economic conditions in Russia, with the result that the bonds were firstly treated as equivalent to discount coupons, later gave access to monetary compensation and, eventually, were recognised as part of the internal debt by the Commodity Bonds Act”. Nello

stesso senso, cfr. Corte, 18 marzo 2010, Tronin c. Russia; Corte, 2 dicembre 2010, Lobanov c. Russia; nonché, da ultimo, Corte, 10 aprile 2012, Andreyeva c. Russia.

21 Corte, 21 febbraio 1997, Van Raalte c. Olanda, Recueil, 1997-I, n. 29 e Corte, 23

ottobre 1990, Darby, Serie A, n. 187

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In entrambi i casi le controversie sono state qualificate all’interno della sfera di protezione del secondo comma dell’art. 1 (limitazione all’uso dei beni) in quanto la disposizione fa un richiamo esplicito al “paiement des impôts ou d'autres contributions ou des amendes”. In questa ipotesi la Corte ha ritenuto che una differenza di trattamento basata soltanto sulla nazionalità non trovasse una giustificazione “oggettiva e ragionevole” per limitare l’uso dei beni (nel caso concreto la prestazione sociale). Rispetto alle fattispecie analizzate precedentemente, qui risulta più difficile individuare quali sono le situazioni soggettive protette dalla norma: da una parte infatti si afferma il diritto ad una imposizione fiscale non discriminatoria che quindi non ha come effetto quello di ampliare la nozione di “bene”, in quanto ad essere tutelato è l’intero patrimonio del privato; nel caso Gaygusuz, riguardante il diritto alla percezione di un’indennità di disoccupazione, l’oggetto della tutela, nonostante risulti essere maggiormente individuato, acquista rilevanza non in quanto tale ma soltanto nella misura in cui la sua limitazione viene considerata discriminatoria dalla Corte. Questo rilievo sembra confermato dalla Commissione in sede di decisione sull’irricevibilità del ricorso nel

caso Agten23, in cui si è chiarito che il diritto all’indennità non sia in

sé qualificabile come “bene” ma rileva soltanto in caso di violazione del principio di discriminazione.

1.6. (segue) fattispecie ereditarie

Infine, sempre avvalendosi del combinato disposto art. P1-1 e art. 14, anche alcune fattispecie in materia ereditaria (caso Marckx24 e caso Inze) sono state fatte rientrare nel campo di applicazione del

23 Commissione, Appl. 11822/85, 12 maggio 1988, Agten c. Belgio: “Quant à

l'application de l'article 1 du Protocole additionnel (P1-1), la Commission a déjà eu l'occasion de dire que le droit aux allocations de chômage ne saurait, en soi, être considéré comme un droit de propriété pouvant être qualifié de "bien" au motif que personne ne possédait une part identifiable et exigible du capital commun”