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La tolleranza nell’art 1, I Prot., Cedu

CAPITOLO III – IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA IMPLICITA

5. La tolleranza nell’art 1, I Prot., Cedu

Una volta esaurita la questione riguardante la natura e gli effetti della tolleranza nel nostro ordinamento non resta che tentare un confronto con le controversie decise dal giudice di Strasburgo in cui la tolérance implicite ha permesso di apprestare tutela a situazioni non proprietarie. Lo scopo è quello di mettere in luce le analogie e differenze con la fattispecie di scientia et patientia emergente nel nostro diritto nazionale e di capire se, nell’attribuire al ricorrente un “intérêt substantiel protégé”, la Corte si sia allineata all’itinerario argomentativo che si è cercato di ricostruire in questo capitolo. Una risposta affermativa potrebbe infatti, da una parte costituire un utile argomento a sostegno della tesi (finora minoritaria nella nostra

108 V. La tesi in esame è avanzata dal commento alla sentenza Patti S., Atti di

passaggio… cit., pag. 504. L’autore però – come si è avuto modo di vedere –

legittima questa soluzione sulla base del divieto di venire contra factum proprium o sulla base dell’art 833 c.c. mentre come si è avuto modo di vedere il principio di buona fede oggettiva sembra più congeniale.

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dottrina) che ammette la possibilità che la tolleranza generi un affidamento meritevole di tutela, dall’altra, permetterebbe anche all’interprete della Cedu di avvalersi delle riflessioni dottrinali e della più ampia casistica giurisprudenziale per orientare e consolidare la futura applicazione dell’istituto.

La Corte Edu ha manifestato una certa sensibilità nei confronti della tolleranza come criterio per regolare i conflitti tra diritti inviolabili. Lo si può constatare da una lettura delle succitate pronunce che introducono il principio di tolérance implicite da parte dello Stato rispetto all’utilizzo abusivo di beni pubblici. Ma lo si può anche constatare da altre sentenze in cui la Corte ha fatto riferimento alla tolleranza. Risulta quindi necessario fare delle distinzioni preliminari al fine di apprezzarne la diversa portata operativa.

In alcune decisioni il giudice di Strasburgo ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 10 Cedu (Libertà di espressione) a seguito di una condanna per diffamazione ai danni di un giornalista (ricorrente) che aveva criticato l’operato di un rappresentante politico. Il riferimento è al caso Lingens109 in cui la Corte, pur ammettendo la possibilità in capo allo Stato di riservarsi un margine di apprezzamento nelle limitazioni alla libertà di espressione, non ha ritenuto accettabile la condanna nel caso concreto in ragione de “le pluralisme, la

tolérance et l’esprit d’ouverture” senza i quali non si può parlare di

“società democratica”. Il risultato è stato quello di ritenere sproporzionata la condanna del giudice nazionale nei confronti del giornalista a risarcire i danni causati alla reputazione della controparte in quanto l’esercizio di un’attività politica sottopone l’interessato ad un controllo più attento che lo obbliga ad accettare, rispetto ad un cittadino qualsiasi, una “plus grande tolérance”110.

109 Corte, 8 luglio 1986, Lingens c. Austria, serie A n. 103 citata in nota 51 di

NAVARRETTA E., Diritti inviolabili e responsabilità civile, in Annali

dell'Enciclopedia del Diritto, vol. VII, Giuffré, Milano, 2014, pag. 349.

110 Cfr. sent. cit. par. 41-2 prosegue: “Assurément, l’article 10 par. 2 (art. 10-2)

permet de protéger la réputation d’autrui, c’est-à-dire de chacun. L’homme politique en bénéficie lui aussi, même quand il n’agit pas dans le cadre de sa vie

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Questo breve excursus serve ad evidenziare come nelle sentenze della Corte siano ravvisabili entrambe le accezioni di tolleranza a cui ci si è riferiti nell’analisi dell’ordinamento italiano. Nel caso rammentato poc’anzi il giudice di Strasburgo ha operato un bilanciamento di interessi più favorevole alla libertà di espressione (piuttosto che al diritto alla riservatezza) in ragione della maggiore intensità del dovere giuridico di tolleranza che è imposto a determinate categorie di soggetti (gli uomini politici nel caso di specie). In questa ipotesi il dovere di sopportazione è posto a monte in capo al titolare del diritto senza che assuma rilevanza il suo comportamento successivo di reazione all’ingerenza altrui. Siamo di fronte quindi alla scelta dell’ordinamento di imporre un obbligo di tollerare certi comportamenti in base ad una ponderazione degli interessi: la libertà di espressione nel caso di specie viene considerata maggiormente meritevole di tutela rispetto al diritto alla riservatezza. Il risultato però non è quello di sacrificare in assoluto il contrapposto interesse quanto piuttosto di ampliare il quantum di tolleranza (o sopportazione) imposta al soggetto leso dall’altrui condotta. Del resto una società basata sulla coesistenza plurale di diritti inviolabili, che diventano col tempo sempre più numerosi, richiede un criterio che ne regoli i possibili conflitti. La tolleranza come dovere giuridico sembra svolgere, nell’ordinamento italiano come in quello Cedu, questa funzione di contraltare all’inviolabilità dei diritti. Siamo di fronte ad una tolleranza che però è slegata dalle modalità concrete di esercizio del diritto da parte del titolare.

L’altra accezione della tolleranza individua al contrario una fattispecie in cui ad assumere rilevanza è la condotta del soggetto che subisce l’altrui ingerenza nella propria sfera giuridica: il tollerante, in un primo momento, sopporta senza reagire la lesione altrui salvo poi, dopo molto tempo, smettere di farlo per pretendere la tutela del proprio

privée, mais en pareil cas les impératifs de cette protection doivent être mis en balance avec les intérêts de la libre discussion des questions politiques”

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diritto. La tolleranza-fatto è la nozione che – ad avviso di chi scrive – sembra più affine al concetto di tolérance implicite enucleato dalla Corte in materia proprietaria.

Nelle decisioni richiamate in materia di tolleranza implicita (caso Beyeler caso Öneryildiz, caso Hamer 111) la Corte ha ritenuto

decisivo ai fini della decisione il comportamento tenuto dallo Stato (e la sua durata temporale) dopo che la violazione delle norme imperative nazionali era stata posta in essere dal ricorrente. Una reazione tempestava non avrebbe in nessun caso incontrato limitazioni da parte dell’art. 1, I Prot.. Non si può tuttavia neanche qualificare la casistica come un semplice ritardo. Da una lettura delle motivazioni si evince chiaramente che il giudice si sia concentrato nell’accertamento della tolleranza sugli atti compiuti dall’amministrazione statale nei confronti del ricorrente: in particolare la Corte ha dato rilevanza al fatto che lo Stato trattasse la controparte come se questo fosse titolare di una posizione giuridica sul bene o quanto meno senza manifestare alcuna intenzione di voler reagire all’illegalità che si era venuta a creare. Dal contenuto delle tre pronunce è possibile addirittura fare una seppur esigua (a causa della casistica ridotta) categorizzazione di quei comportamenti dell’amministrazione statali che la Corte giudica idonei ad ingenerare un affidamento: il fatto di trattare in base alla legge il ricorrente come un proprietario o quanto meno titolare di un interesse sostanziale sul bene (caso Beyeler112); il fatto di non aver mai cercato di impedire l’istallazione abusiva della bidonville situata in una zona altamente pericolosa (caso Öneryildiz113); l’imposizione di

111 Corte, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia, Recueil, 2000-I; Corte, 18 giugno 2002,

Öneryildiz c. Turchia; Corte, 27 febbraio 2008, Hamer c. Belgio.

112 Cfr. Id. Beyeler c. Italia, cit. par. 104: “Entre l'achat de l'œuvre et l'exercice du

droit de préemption par l'Etat [le requérant] s'est trouvé dans une situation de possession du tableau qui s'est prolongée pendant plusieurs années. En outre, à diverses occasions, les autorités semblent avoir considéré de facto le requérant comme ayant un intérêt patrimonial dans cette peinture, voire comme en étant le véritable propriétaire”

113 Cfr. Id. Öneryildiz c. Turchia, cit. par. 80: “si la Cour est disposée à admettre que

les autorités nationales n'ont jamais encouragé le requérant à venir s'installer à proximité d'une décharge, selon toute vraisemblance, elles n'ont pas non plus cherché à l'en dissuader”

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un imposta patrimoniale e di una tassa sulla seconda casa da parte dell’amministrazione sul bene costruito abusivamente (caso Hamer114). Per la Corte si tratta di indici rivelatori della tolleranza implicita dello Stato che acquistano rilevanza giuridica nella misura in cui la loro continuazione per un periodo di tempo considerevole ha prodotto un affidamento meritevole di tutela.

Il comportamento tollerante dell’amministrazione statale – è bene precisarlo – non viene in considerazione per dimostrare l’intento dello Stato di accettare l’ingerenza ma come elemento oggettivo idoneo ad ingenerare l’affidamento del terzo circa la stabilità della sua situazione di fatto che nonostante fosse ab origine contraria alle norme imperative dello Stato – e quindi per questo censurabile da parte dell’ordinamento interno – con il tempo è diventata meritevole di protezione. Se lo Stato avesse reagito immediatamente (o comunque in termini ragionevoli) questa non avrebbe in nessun caso potuto diventare lecita. Ed anche la ragionevole durata entro la quale lo Stato è obbligato ad attivarsi non può essere stabilita a priori, ma soltanto in relazione all’influenza che il trascorrere del tempo ha sull’affidamento del privato. Questo dato emerge chiaramente nel caso

Hamer115: i 27 anni durante i quali lo Stato ha tollerato la situazione

abusiva assumono una rilevanza oggettiva per la loro idoneità ad ingenerare una “speranza legittima” in capo al ricorrente. Come si è già avuto modo di precisare con riferimento alla “nostra” tolleranza sarebbe impossibile ed addirittura controproducente prefissare un termine temporale perché questo, insieme ad altre circostanze,

114 Cfr. Id. Hamer c. Belgio,cit., par. 74: “On pourrait même considérer que les

autorités avaient connaissance de l'existence de la construction litigieuse puisque la requérante a notamment payé des impôts relatifs à cette construction, comme son père l'avait d'ailleurs fait avant elle”

115 Cfr. Id., Hamer c. Belgio, cit. par. 76: “Il faut donc considérer que les autorités

ont toléré la situation pendant vingt-sept ans (1967-1994) et que celle-ci a perduré encore dix ans après que l'infraction eut été constatée (1994-2004, date de démolition de la maison). Après l'écoulement d'une telle période, l'intérêt patrimonial de la requérante à jouir de sa maison de vacances était suffisamment important et reconnu pour constituer un intérêt substantiel et donc un “bien” au sens de la norme exprimée dans l'article 1 du Protocole no 1. Par ailleurs, la requérante avait une “espérance légitime” de pouvoir continuer à jouir de ce bien.”

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costituisce un elemento della condotta del tollerante da valutare nel suo complesso. Le pronunce del giudice di Strasburgo sembrano confermare questa soluzione che come si è detto resta minoritaria nella nostra dottrina e giurisprudenza. L’istituto della Verwirkung che ha avuto più fortuna nell’ordinamento tedesco, insieme alla relativa casistica giurisprudenziale, può però rappresentare un più solido punto di riferimento per la Corte nel tentativo di dare maggiore specificazione alle circostanze della condotta idonee ad integrare la fattispecie. Ancora una volta lo strumento del diritto comparato assume un ruolo decisivo per dare legittimità e contenuto alle innovazioni giurisprudenziali dell’ordinamento Cedu.

Le analogie tra tolleranza italiana e tolérance implicite si arrestano se si pone lo sguardo su altri elementi della fattispecie. Non si può infatti fare a meno di rilevare che il soggetto nei cui confronti il privato pone in essere l’ingerenza è lo Stato i cui beni sono assoggettati a regimi giuridici di indisponibilità.

Il primo problema riguarda il contegno tollerante. Il fatto che l’atteggiamento di scientia et patientia sia posto in essere da un soggetto giuridico di diritto pubblico che si compone al suo interno di una pluralità di organismi, ognuno con competenze differenti e ripartite, ne rende più difficile la valutazione. Del resto proprio la locuzione “implicita” che la Corte ha aggiunto per descrivere la sopportazione dell’autorità statale sembra suggerire la necessità di fare un accertamento basato su indici particolari rispetto a quelli attribuibili al comportamento di una persona fisica. Questo ostacolo può essere risolto soltanto per mezzo di una casistica puntuale sviluppata da parte della Corte di cui per il momento non è possibile giovarsi.

Risulta inoltre più difficile sostenere la correttezza di un percorso argomentativo che miri a tutelare l’affidamento di un privato rispetto a beni che sono soggetti a un regime di circolazione speciale che è funzionale al soddisfacimento dell’interesse della collettività. Più che contestare a priori la possibilità di tutelare l’affidamento del

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cittadino di fronte alle negligenze statali – cosa su cui la nostra dottrina si è da tempo interrogata116 – si tratta di capire come il giudizio di ponderazione degli interessi possa venire influenzato dal fatto che il bene su cui essa si appunta serva (o dovrebbe servire) al soddisfacimento dei bisogni dell’intera collettività. Nelle pagine precedenti si è chiarito che la tutela del tollerato trova il suo fondamento nella valutazione a posteriori dei contrapposti interessi tenendo conto della condotta posta in essere dalle parti in conflitto. In questo caso però l’interesse che si contrappone a quello del tollerato è un interesse generale e ciò ha delle inevitabili ripercussioni sul bilanciamento che il giudice deve fare e sui rimedi in concreto utilizzabili per soddisfare le pretese del privato. Queste sono del resto le preoccupazioni avanzate dalle opinioni dissenzienti e da parte della dottrina117.

Sul punto assume un’importanza decisiva la prima frase dell’art. 1, I Prot. (diritto al rispetto dei beni) come interpretata a seguito della sua divisione in tre norme distinte. Come si è avuto modo di puntualizzare essa svolge una duplice funzione: quella di fattispecie residuale rispetto alla privazione della proprietà e alla regolamentazione all’uso dei beni; ha inoltre il ruolo di criterio di interpretazione generale delle tre norme introducendo il principio del giusto equilibrio. Tale principio – lo si è accennato nel I Capitolo – consente per ogni tipo di ingerenza di ponderare e bilanciare gli interessi individuali di chi domanda tutela con l’interesse generale che giustifica l’intervento statale limitativo o ablativo del diritto di proprietà. Non è dunque un caso che nelle pronunce che si è richiamato la Corte faccia sempre espresso riferimento al “giusto equilibrio”. È soltanto alla luce di un’indagine sulla proporzionalità dell’ingerenza statale rispetto alle finalità ad essa sottese che la Corte appresta la

116 Sul punto si rinvia alle riflessioni di Merusi F., L’affidamento del cittadino,

Milano, Giuffré, 1970, in particolare sulla tolleranza pag. 191 ss.

117 Cfr. Capitolo II, note 64 e 65 per i rilievi dell’opinione dissenziente di Mularoni

al Caso Öneryildiz e nota 68 per la critica all’indirizzo giurisprudenziale da parte di Comporti M., La giurisprudenza della Corte… cit.

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tutela al tollerato. Un accertamento siffatto non può che svolgersi alla luce del caso concreto e soltanto la standardizzazione delle decisioni permetterà agli stati di avere maggiore certezza sul comportamento da tenere per non incorrere in una sanzione.

Del resto, se si guarda alle soluzioni a cui si è giunti nei tre casi ci si accorge che a dispetto delle dichiarazioni di principio l’organo di controllo abbia mantenuto una certa prudenza nell’apprestare tutela ai ricorrenti. Nel caso Beyeler nonostante la tolleranza non si appuntasse su un bene di proprietà dello Stato ma sul suo diritto di prelazione su un bene oggetto di un trasferimento tra privati la Corte ha comunque escluso che la “natura della violazione”118 giustificasse la restitutio in

integrum ed ha accordato soltanto un’equa riparazione. Stesso risultato anche nel caso Öneryildiz in cui la Corte soltanto per l’abitazione ed i beni mobili posseduti dal ricorrente e non per il terreno su cui questi erano situati (che è restato di proprietà dello Stato) ha deciso di condannare lo Stato ad una riparazione per equivalente. Di maggiore interesse è il caso Hamer in cui proprio in forza di un vaglio di proporzionalità tra l’intervento statale e l’interesse individuale meritevole di tutela non si è ravvisata alcune violazione da parte dello stato belga. Nonostante l’ampio margine di tempo entro il quale la situazione abusiva è stata tollerata dallo Stato e proprio in considerazione del “but poursuivi par la mesure

litigieuse: protéger une zone forestière non bâtissable”119, non si è

potuta ravvisare una sproporzionalità nel pregiudizio subito dal ricorrente. Non si può dire lo stesso per i due casi precedenti in cui, o per un’eccessiva condotta negligente o per la mancata realizzazione tramite le misure statali di un interesse generale meritevole di tutela, la Corte ha ravvisato il difetto di un giusto

118 Comitato dei ministri, 22 maggio 2002, Beyeler c. Italia, Esecuzione della

sentenza, ric. n. 33202/96

119 Cfr. Id., Hamer c. Belgio, cit. par. 80 per la citazione. Vedi anche par. 88: “Tous

ces éléments conduisent la Cour à conclure que la requérante n'a pas subi une atteinte disproportionnée à son droit de propriété”.

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equilibrio. La ponderazione a posteriori compiuta dalla Corte sulla base del suddetto principio si concentra dunque sull’interesse che la misura limitativa statale intende perseguire (nel caso di specie la tutela dell’ambiente) tenendo conto delle modalità concrete di attuazione della stessa. In questo modo sembrano fugati i dubbi manifestati dalla dottrina circa il sacrificio di interessi generali superiori alle rivendicazioni individuali dei ricorrenti. Starà alla Corte con la casistica futura proseguire su questo indirizzo e tranquillizzare definitivamente le voci più scettiche.

Anche il rimedio dell’equa riparazione sembra la soluzione più efficace per tutelare l’interesse del privato senza sacrificare eccessivamente quello della collettività: i beni oggetto della lite sono beni materiali e il loro carattere rivale non è compatibile con il rimedio della restitutio in integrum. Nonostante lo Stato abbia infatti posto in essere una misura sproporzionata rispetto al principio del giusto equilibrio, imporgli con la sentenza di ripristinare la situazione precedente rischia di portare in concreto a risultati esorbitanti rispetto alla tutela dell’affidamento del ricorrente.

Per concludere, in questa sede si è voluto far dialogare gli istituti della tolleranza vigenti negli ordinamenti nazionali con quello della giurisprudenza Edu al fine di trarne un duplice vantaggio. Da una parte infatti le decisioni sopra analizzate possono essere un utile spunto di riflessione per corroborare una tesi rimasta minoritaria nel nostro ordinamento (ma non in altri ordinamenti europei come si è visto). La tutela dell’affidamento del privato a seguito dell’altrui tolleranza come regola generale di governo dei rapporti patrimoniali interprivati dovrebbe risultare a fortiori convincente dal momento in cui la medesima tutela è riconosciuta nell’ordinamento sovranazionale nei confronti della tolleranza statale.

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Dall’altra parte si è più volte rimarcato in questa sede come l’interpretazione evolutiva del giudice di Strasburgo possa sopperire ai problemi di coordinamento con le discipline nazionali soltanto ricercando per mezzo del diritto comparato un European consensus. In questa luce il richiamo alla tutela di un “interesse sostanziale protetto dal diritto interno” non apparirebbe più così azzardato: ciò che non è riconosciuto come diritto soggettivo dall’ordinamento può comunque costituire un interesse meritevole di tutela alla luce dello jus commune europaeum. La maggiore critica che si è avanzata rispetto alla tutela dei meri intérêts patrimoniaux consiste nel rischio di non sostituire il giudizio di meritevolezza di tutela posto in essere dall’ordinamento nazionale, grazie al parametro dei principi costituzionali, con un filtro selettivo altrettanto efficace. Nel caso della tolleranza si è però avuto modo di constatare che in alcuni ordinamenti giuridici nazionali l’affidamento del tollerato è stato tal volta giudicato meritevole di tutela. Il richiamo dello strumento del diritto comparato – spesso dimenticato dalla Corte – consentirebbe non soltanto di negare che la patrimonialità sia l’unico criterio di selezione degli interessi da tutelare con l’art. 1 ma anche di riferirsi alla casistica giurisprudenziale degli Stati per legittimare le decisioni più innovative.

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CONCLUSIONI

In questa tesi si è cercato di ricostruire l’ambito di applicazione dell’art. 1, I Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela la proprietà privata dalle ingerenze statali. Si è scelto, pertanto, di concentrarsi in particolar modo sulla nozione di “bene” contenuta nell’articolo in esame e su come questa sia stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte Edu: la ricostruzione offerta dall’organo di controllo della Convenzione è stata infatti oggetto di un’ampia e spesso critica letteratura.

L’indagine ha preso le mosse dalle origini dell’istituto. Si è