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I beni nell’art 1, I Protocollo della Cedu

CAPITOLO II – LA GIURISPRUDENZA EDU IN MATERIA DI BEN

5. I beni nell’art 1, I Protocollo della Cedu

5.1. L’art. 1 è una norma che tutela la proprietà o il patrimonio in generale?

Di fronte ad una nozione così estesa di “bene” rischia di saltare qualunque riferimento alla tutela del diritto di proprietà. Se l’oggetto della tutela dell’art. 1, I Prot. della Cedu non sono più soltanto i beni mobili e immobili ma anche entità immateriali quali l’avviamento, i titoli azionari, i crediti, allora il rischio è di approdare ad una nozione di bene che si avvicina a quella del nostro art. 2740 c.c. in cui il termine sta ad indicare qualunque elemento attivo del patrimonio. La dottrina

67 Cfr. Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit., pag. 101

68 Conforti B., La giurisprudenza della Corte di Giustizia di Strasburgo in tema di

proprietà, in La proprietà nella Carta Europea dei Diritti Fondamentali, a cura di

Comporti M., Milano, 2005, pag. 113. Il quale ritiene che la tendenza ad applicare estensivamente le norme della Convenzione “fino al limite massimo con una funzione giudiziaria e non legislativa” sia da condividere quando si tratta del nucleo duro dei diritti e delle libertà fondamentali ma non nel caso del diritto al rispetto dei beni.

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italiana69 ha già chiarito che tale accezione di bene debba essere tenuta distinta da quella più ristretta contenuta nell’art. 810 c.c. che serve ad indicare le utilità che possono essere oggetto di situazioni di appartenenza.

Il fatto che l’art. 1, I Prot. abbia un ambito di applicazione eccessivamente esteso rispetto alle categorie del diritto civile nazionale non deve necessariamente far pensare che la Corte Edu abbia seguito un approccio esegetico totalmente “atecnico”. La Convenzione infatti svolge una funzione di garanzia dei diritti individuali affine a quella svolta dai testi costituzionali. Si è osservato70 a tal proposito che il novero di situazioni soggettive protette all’interno delle nozioni costituzionali di proprietà spesso prescinde dal rigore definitorio delle tassonomie civilistiche proprio perché la finalità di tutela è differente. Ne è un esempio l’ordinamento tedesco in cui l’istituto costituzionale della proprietà privata – Eigentum – ha un ambito applicativo ben più ampio ed idoneo a ricomprendere situazioni giuridiche aliene al concetto di proprietà del BGB71.

Una delle prime ricerche di rilievo pubblicate in Italia sull’art. 1, I Prot.72, in un momento in cui la casistica giurisprudenziale non era ancora sufficiente per poter trarre delle conclusioni certe – basti pensare che non era ancora stato deciso il caso Sporrong e Lonnroth che ha dato impulso all’estensione della nozione di bene - aveva già manifestato una propensione verso la tesi secondo cui l’art. 1, più che la proprietà in senso stretto, si ponga a tutela “del patrimonio comunque costituito”. Ad avviso di questa autorevole dottrina, in contrapposizione alle tesi per cui il testo voleva tutelare in realtà i cd. “diritti quesiti”, già oggetto dalle norme sul trattamento degli stranieri,

69 Si rinvia alle riflessioni sviluppate nel I capitolo.

70 Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit., pag. 44-5.

71 Candian, Gambaro, Pozzo, Property – Propriété – Eigentum, cit., pag. 261 ss. 72 Condorelli, La proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in

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l’oggetto principale dell’art. 1 sarebbe il diritto di proprietà. Dall’altra parte però, da una lettura di alcune decisioni della Commissione si evincono “aperture suggestive” circa la possibilità che la norma abbia ad oggetto non solo la proprietà ma ogni elemento attivo del patrimonio. Secondo l’autore questa impostazione estensiva è avvalorata sia dall’estrema genericità del termine “bene”, sia dal fatto che l’art. 1 è l’unico articolo della Convenzione che si occupa “dei diritti individuali di indole economica”73 e quindi un’interpretazione

eccessivamente rigorosa non sarebbe opportuna. L’estensione dell’ambito applicativo infatti sarebbe la risposta ad un bisogno sociale di tutela di interessi economici ulteriori rispetto al diritto di proprietà di cui la Commissione e la Corte si sono fatti carico74. Una tecnica giurisprudenziale, quella dell’organo di controllo, che ricorda gli strumenti di analogia e finzione per mezzo dei quali i giudici inglesi hanno costruito la moderna law of property forzando nei pochi strumenti a loro disposizione (i writs) fattispecie molto eterogenee75.

È interessante rilevare che lo stesso Autore, a distanza di circa vent’anni, sia tornato sulla questione anche sull’impulso di una tesi opposta che invece, in aperta critica a queste considerazione, sostiene che l’applicazione giurisprudenziale abbia concretizzato a tal punto l’art. 1, specificandone l’ambito di applicazione, da poter parlare di tutela del diritto di proprietà in senso stretto76. Quest’ultimo rilievo sembra corroborato in primo luogo dal fatto che la Corte in una pluralità di sentenze77 ha ripetuto che “en reconnaissant à chacun le

73 Per un’analisi complessiva della tutela dei diritti patrimoniali all’interno della

Cedu cfr. De Salvia M., La giurisprudenza degli organi della convenzione e i diritti

patrimoniali, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1995, pag. 282.

74 Per quest’ultima considerazione v. Condorelli L., Premier protocole additionnel:

Article 1, in La Convention européenne des droits de l'homme: commentaire article par article, (a cura di) Emmanuel Decaux, Pierre-henri Imbert Louis-edmond Pettiti,

Paris, Economica, 1995, pag. 976

75 Argomento trattato nel I capitolo par. 5.3.; v. per una ricostruzione più analitica

Candian, Gambaro, Pozzo, Property – Propriété – Eigentum, cit., pag. 40-49

76 Ballarino, La proprietà protetta nel Primo Protocollo, in “Rivista internazionale

dei diritti dell’uomo”, 1989, p. 221 ss.

77 La prima e più importante è sicuramente la già citata sent. Corte, 13 marzo 1978,

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droit au respect de ses biens, l’article 1 garantit en substance [in altri casi “essentiellement”78] le droit de propriété”; a ciò si aggiunge il rilievo secondo cui, nonostante le affermazioni di principio circa la rientranza di altre situazioni soggettive nella nozione di bene, le decisioni “affermative” – che hanno cioè riconosciuto una violazione dell’art.1 – sono rimaste circoscritte (al momento in cui questa osservazione è stata fatta, nel 1989) ai casi di proprietà fondiaria79. Alla prima considerazione si è già obbiettato nel I capitolo di questa trattazione: anche volendo affidarsi alle qualificazioni formali della Corte il problema non viene risolto in quanto nella sentenza in lingua inglese il termine “propriété” viene tradotto con “property” che ha un significato affine a quello di patrimonio piuttosto che di proprietà. Per quanto riguarda i casi a cui la Corte ha in concreto riconosciuto tutela al ricorrente si deve osservare che la struttura delle motivazioni divisa in due parti, autonome e distinte, – una che qualifica la fattispecie e l’altra che valuta la sussistenza della violazione80 – sembra escludere

che la valutazione riguardante la qualificazione di ciò che è “bene” sia influenzata dall’accertamento circa la sussistenza di una violazione. Non può essere infine ignorato il dato per cui, rispetto a quella di fine anni ’80, la più recente casistica giurisprudenziale ha condannato gli Stati anche per fattispecie differenti da quelle riguardanti la proprietà fondiaria.

Queste considerazioni sembrerebbero deporre a favore di un’interpretazione dell’art. 1 che tutela il patrimonio nel suo complesso. Utilizzando come unico criterio di individuazione dei beni quello del valore patrimoniale, dimostrando così di abbracciare una concezione di bene più di matrice economica che giuridica, è inevitabile che l’ambito oggettivo della norma si estenda a tal punto da ricomprendere tutte le voci dell’attivo patrimoniale. Questo è ciò

78 Commissione, 12 maggio 1988, De Buck c. Belgio in rec. 13, pag. 71 79 Ballarino, op. cit. pag. 229

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che il sopraccitato commentatore conferma81 anche a distanza di anni dal primo rilievo partendo dalla constatazione che la Corte non ha mai voluto fissare un confine rigido proprio per mantenere aperta la possibilità di allargamento della sfera materiale di applicazione dell’art. 1. In questa prospettiva il termine “en substance” (o “essentiellement”) utilizzato dai giudici di Strasburgo servirebbe a veicolare un preciso messaggio: “la ‘propriété’ est le noyau central des droits protégés, mais il y a une ‘périphérie’ aux vagues contours qui est susceptible de tomber elle aussi, un jour ou l’autre, sous

l’emprise de l’article 1”82. Il termine “in sostanza” (o

“essenzialmente”) avrebbe un significato giuridicamente poco rigoroso. Il risultato sarebbe quello di intendere l’art. 1 come una norma che consacra “non solo il diritto di proprietà”.

Che il punto di riferimento oggettivo delle situazioni proprietarie debba necessariamente consistere in un bene materiale non è un principio comune a tutte le tradizioni giuridiche ma soltanto a quella dell’Europa continentale. La law of property ha da sempre ad oggetto quasi tutte le voci dell’attivo patrimoniale e in particolare tutte le situazioni soggettive che possono essere oggetto di un atto di disposizione83 e che attribuiscono in modo incondizionato, anche nel futuro, il diritto a percepire un’utilità. Nella prospettiva di ricostruire una tradizione costituzionale comune del diritto di proprietà privata è rilevabile una tendenza generale di sostituzione dello schema proprietario “con l’insieme delle appartenenze e delle titolarità delle utilità patrimoniali connesse al bene”84. L’approccio estensivo della Corte sembra recepire questo movimento di convergenza dei diritti degli Stati europei verso un sistema che abbandona lo schema della

81 V. Condorelli L., Il Protocollo rivisitato, in Riv. int. Dir. uomo, 1989, p. 264 e ss

ma in particolare, per la sua collocazione e per la sua sistematicità, Condorelli L.,

Premier protocole additionnel: Article 1, cit. pag. 975.

82 Condorelli L., Premier protocole additionnel, cit. pag 975.

83 Si è già parlato di questo aspetto nel I capitolo, par. “La nozione di bene negli

ordinamenti giuridici europei (civil law e common law)”.

84 Moscarini A., Proprietà private e tradizioni costituzionali comuni, Giuffré, 2006,

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proprietà fondiaria per andare verso l’oggettivizzazione di utilità astratte tal volta connesse a cose materiali, talaltra frutto della creazione artificiale posta in essere dal diritto stesso (si pensi ai brevetti, marchi e opere letterarie).

Anche alla luce della prassi giurisprudenziale di Strasburgo sembra che le tre norme contenute nell’art. 1 abbiano ambiti di applicazioni diversi: si potrebbe arrivare a dire che solo grazie alla tripartizione posta in essere dalla giurisprudenza la norma ha potuto sganciarsi dalla sua originaria funzione di tutela della proprietà fondiaria. Così come interpretato inizialmente infatti l’art. 1 non avrebbe mai potuto avere come punto di riferimento oggettivo qualunque voce dell’attivo patrimoniale. Solo isolando e rendendo autonomi alcune norme si è potuti approdare ad un articolo che, pur mantenendo principale attenzione alle forme di aggressione statale alla proprietà tradizionale, garantisce protezione anche ad altri diritti patrimoniali dell’individuo. Tale conclusione, oltre agli argomenti già richiamati poc’anzi, sembra derivare dalla disciplina concreta contenuta in ciascuna delle tre norme dell’art. 1: a parte la prima (il diritto al rispetto dei beni) che per la sua portata residuale è quella che maggiormente si presta a contenere situazioni giuridiche eterogenee, la seconda norma (privazione della proprietà) ed in particolare la terza (limitazione dell’uso dei beni) hanno un contenuto determinato con riferimento al tipo di ingerenza statale che integra la fattispecie astratta. Un’autorevole dottrina85 con riferimento alla teoria dei beni

ha messo in evidenza come le caratteristiche concrete di ogni bene – ciò che viene sinteticamente chiamata ontologia dei beni – abbiano un’inevitabile riflesso sulla disciplina che ai beni si applica e che quindi da queste non si possa prescindere. Ma non tutte le norme contenute nell’art. 1 hanno la stessa propensione ad avere come oggetto ogni genere di entità immateriale che la Corte ha inserito nel

85 Gambaro A., Ontologia dei beni e jus excludendi, in “Comparazione e diritto

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suo ambito di applicazione. Innanzitutto con riferimento alla seconda norma dell’art.1 essendo pensata in termini di tutela dalla “privazione” della proprietà non potrà avere ad oggetto beni non ancora all’interno della sfera giuridica del singolo. Non è dunque un caso che tutte le fattispecie attinenti all’aspettativa legittima e alla tolleranza implicita siano state fatte ricadere all’interno della prima norma. Inoltre, anche prescindendo dalle fattispecie di accesso alla proprietà (su cui si tornerà in seguito), se da una parte la privazione di proprietà può essere intesa anche come mera “perdita di titolarità” da un’analisi della giurisprudenza (caso Sovtransavto Holding) emerge con chiarezza che alcuni beni quali i titoli azionari e i bonds, per la loro “struttura complessa” non possono rientrare nelle fattispecie della seconda e terza norma. In altri casi invece è possibile riscontrare una certa apertura della Corte a far rientrare nell’ambito di applicazione della seconda norma anche fattispecie che hanno ad oggetto non la proprietà fondiaria bensì crediti derivanti da decisioni giudiziarie: nel caso Lecarpentier ad esempio la situazione soggettiva dedotta in giudizio era un credito di mutuo a cui era stata data esecuzione forzata in forza della condanna in primo grado poi successivamente vanificata da una legge retroattiva. Il fatto di qualificare come privazione della proprietà una situazione giuridica del genere rende l’ambito di applicazione della norma più esteso di quello previsto per le espropriazioni avverso una proprietà fondiaria.

La terza norma (limitazioni all’uso dei beni) invece sembra essere pensata più delle altre per categorie di beni che per la loro natura sono idonee ad essere oggetto di una pluralità disparata di utilizzazioni da parte del titolare della situazione di appartenenza. La stessa Corte, come si è visto nei casi Tre Traktörer e Fredin, ha rilevato come una limitazione all’uso dei beni che ha l’effetto di escludere l’unica utilità derivante da un bene non ricade nella terza norma perché il bene essendo divenuto inutilizzabile più che ad una limitazione è soggetto

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ad una privazione (rectius espropriazione di fatto). È stato osservato86 – con riferimento al confronto tra sistemi di civil law e di common law – che il problema dei limiti ai poteri proprietari ha una rilevanza diversa a seconda del bene che è oggetto di proprietà. Per i beni materiali i limiti all’uso della proprietà devono essere specificati ad opera dell’ordinamento perché in caso contrario “essi non possono essere dedotti dalla natura dell’appartenenza proprietaria”. Il proprietario infatti potrà esercitare il proprio diritto sulla cosa in un’ampia varietà di modi traendone utilità diverse. Stessa cosa non può dirsi quando si parla di appartenenza di diritti in cui inevitabilmente i poteri proprietari possono essere dedotti già dai diritti che ne sono oggetto: un diritto di credito risulta di per sé conformato dalla legge prima ancora di diventare “bene” (e quindi diventare oggetto di proprietà). Nonostante quindi si possa abbracciare una nozione di proprietà che ha ad oggetto entità immateriali già a monte disciplinate dall’ordinamento non si può prescindere dal fatto che queste possano esprimere un ventaglio ridotto di utilità che sono quelle dettate dalla loro disciplina giuridica specifica. L’esercizio di un diritto di credito “ammette solo poche variabili” mentre qualunque bene corporale permette al suo proprietario “una variabile di modi di esercizio del diritto molto maggiori”87. La terza norma dell’art. 1

regola i limiti statuali all’esercizio del potere conformativo delle situazioni proprietarie. Di conseguenza non sembra prospettabile che questa norma trovi applicazione in tutti quelle ipotesi in cui la limitazione all’uso dei beni si sostanzia in una privazione del diritto a causa delle limitate capacità del bene (un diritto di credito ad esempio) ad essere utilizzato dal proprietario in altro modo.

Più in generale, nell’interpretare estensivamente l’ambito di applicazione dell’art. 1 ai fini di una tutela concreta ed effettiva la

86 Candian, Gambaro, Pozzo, Property – Propriété – Eigentum, cit., pag. 91-93; nello

specifico sull’art 1 cfr. Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit., pag. 41

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Corte non può dimenticarsi che ciascuna delle tre norme disciplina in concreto fattispecie differenti. Non tutte potranno efficacemente tutelare le situazioni giuridiche eterogenee che mano a mano la Corte ha voluto inserire nell’ambito di applicazione materiale dell’art. 1. Sicuramente la prima norma per la sua vaghezza e per il suo carattere residuale rispetto ai tipi di ingerenza statale è quella che meglio si presta ad accogliere situazioni soggettive e beni distanti dalla proprietà di stampo romanistico. Del resto la casistica giurisprudenziale, come abbiamo visto, sembra confermare queste conclusioni dal momento che ogni qual volta la Corte si è trovata a dover giudicare una situazione “complessa” è ricorsa al diritto al rispetto dei beni al fine di evitare contraddizioni e forzature interpretative.

Alcune delle pronunce della Corte – si è già avuto modo di accennarlo – rischiano comunque di risultare contraddittorie. Ci si vuole riferire innanzitutto alla qualificazione delle concessioni amministrative come bene oggetto di tutela ex art. 1, I Protocollo. Se si parte dal presupposto che la concessione amministrativa consente al suo titolare di accrescere l’utilità di un determinato bene ma che un suo ritiro non è idoneo ad integrare una espropriazione di fatto in quanto il proprietario del bene può utilizzare il bene in altro modo allora conseguentemente si dovrebbe affermare che l’utilità della concessione non ha una autonomia tale da poter rilevare come bene in sé considerato. La concessione inoltre non è sempre trasferibile e il carattere della disponibilità è un criterio comunemente accettato per la qualificazione di “bene” da tutte le tradizioni giuridiche occidentali (compresi gli ordinamenti di common law). Maggiormente coerente sia con gli ordinamenti nazionali che con le stesse argomentazioni utilizzate dalla Corte per collocare la fattispecie all’interno della terza norma (piuttosto che nella seconda) sarebbe stato qualificare l’obbligo legale di concessione amministrativa come una limitazione all’uso dei beni (un ristorante e una cava di ghiaia nei casi di specie analizzati in precedenza) che rispetta i requisiti previsti dalla terza norma e

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successivamente giudicare il ritiro della concessione come una violazione in concreto del principio del giusto equilibrio.

Un altro “bene” che ha suscitato molte critiche in dottrina è “l’intérêt substantiel protégé” sul quale però si dedicherà un paragrafo a parte.

5.2. Il significato dell’“interesse sostanziale protetto”: dal diritto al rispetto dei beni all’accesso alla proprietà

Le maggiori perplessità rispetto alla ricostruzione giurisprudenziale dell’ambito di applicazione dell’art. 1 sono suscitate dal riferimento che la giurisprudenza Edu ha fatto a “l’interesse sostanziale” (altre volte “interesse patrimoniale”). Una delle prime pronunce in cui l’interesse assume rilevanza è il caso Iatridis in cui si afferma che “certains autres droits et intérêts constituant des actifs peuvent aussi passer pour des ‘droits de propriété’ et donc pour des

‘biens’ aux fins de cette disposition”88. Un primo problema di ordine

generale è la sovrapposizione tra il concetto di proprietà e quello di bene. Il bene è come si è avuto modo di chiarire il punto di riferimento oggettivo di una situazione di appartenenza (non solo proprietaria) mentre la proprietà in quanto diritto soggettivo assoluto attribuisce al suo titolare il potere di realizzare il proprio interesse, giudicato meritevole di tutela da parte del legislatore, sulle utilità scaturenti dal bene. Confondere questi due concetti non contribuisce sicuramente a chiarire quale sia il significato da attribuire alla scelta della Corte di dare rilevanza giuridica al interesse individuale. Se si vuole mantenere una coerenza sistematica occorre quindi analizzare separatamente queste due differenti qualificazioni dell’interesse per domandarsi quale significato sia da attribuire all’interesse-proprietà e all’interesse- bene.

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Con riferimento al fatto di qualificare un interesse patrimoniale come proprietà o più in generale come diritto soggettivo (volendo mantenere l’ampia nozione di property che la Corte ha adottato nella sua prassi) si può osservare che tale identificazione ha l’effetto di annullare la valutazione circa la “meritevolezza di tutela” degli interessi. Da un punto di vista molto generale un interesse patrimoniale assurge al grado di diritto soggettivo in base alla valutazione legislativa riguardo al suo essere meritevole di tutela giuridica. Quando il punto di riferimento oggettivo di questo interesse è un’entità materiale o immateriale (da alcuni sinteticamente chiamata “dato”89)

suscettibile di soddisfare con le sue utilità l’interesse suddetto allora si parla di “bene”, espressione che designa il suddetto legame tra interesse e utilità. Tuttavia se qualunque interesse patrimoniale è posto sullo stesso piano dei diritti soggettivi conseguentemente sfuma