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La tolleranza nel diritto privato italiano

CAPITOLO III – IL PRINCIPIO DI TOLLERANZA IMPLICITA

1. La tolleranza nel diritto privato italiano

Nel linguaggio del diritto il termine tolleranza viene utilizzato per finalità differenti. Risulta quindi necessario tentare da subito una preliminare categorizzazione delle ipotesi in cui il legislatore ricorre a questa nozione per individuare quella che appare rilevante nella

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fattispecie in esame. A tal proposito si è distinto1 tra (almeno) due accezioni della tolleranza che svolgono funzioni differenti nel nostro ordinamento. La prima indica il comportamento del titolare del diritto che pur potendo reagire all’intrusione altrui non si oppone alla stessa, senza per questo solo fatto voler rinunciare alla sua posizione giuridica di vantaggio2. La seconda al contrario individua una serie di ipotesi che nonostante concretizzino formalmente una violazione dalla sfera giuridica di un soggetto, non consentono a quest’ultimo di reagire a causa di una valutazione oggettiva dell’ordinamento che ne impone la sopportazione in ragione della rientranza di queste ingerenze nell’id

quod plurumque accidit3. Molte sono le disposizioni all’interno del

codice civile che fanno riferimento a questa seconda nozione di tolleranza. Tra le tante è emblematico l’art. 844, co. 1, c.c. (Immissioni) in cui la “normale tollerabilità” delle immissioni provenienti dal fondo vicino è invocata come limite che segna l’ambito in cui il proprietario di un fondo è tenuto a sopportare le immissioni derivanti dal fondo del vicino4. Questa disposizione è degna di particolare interesse perché introduce – ad avviso di chi scrive – una terza possibile accezione della tolleranza come clausola generale di valutazione dell’intensità del conflitto che si viene a creare tra proprietari vicini: la “tolleranza” imposta al proprietario riguardo alle immissioni infatti dipende dalla loro “normale tollerabilità”.

1 Già in Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978, pag. 2-3

ma in modo più approfondito v. Sicchiero G., voce Tolleranza, in AA. VV., Digesto

Civile, vol. XIX, Torino, Utet, 1999, pag. 372 e più di recente Foti G., Riflessioni sul “dovere” giuridico di tollerare nei rapporti interprivati. Quo usque tandem?,

Rubbettino, Catanzaro, 2012, pag. 5 ss.

2 Nel codice è possibile individuare diverse ipotesi molte delle quali verranno

analizzate all’interno di questa trattazione.

3 Cfr. Sicchiero G., op. cit. pag. 372.

4 Altre ipotesi a titolo esemplificativo sono l’impossibilità di invocare il rimedio

della risoluzione del contratto per gli inadempimenti analogamente “scarsa importanza” (art. 1455 c.c.); la disciplina che detta il limite di rilevanza dei vizi della cosa venduta nella disciplina in tema di garanzia nella compravendita ex art. 1490 c.c. (vizi che rendano la cosa inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore). Ancora, l’art. 1583 c.c.che impone al conduttore di tollerare le riparazioni urgenti della cosa locata e l’art 1057 c.c. sulla tolleranza di tollerare sul fondo le opere, i meccanismi e le occupazioni necessarie per il passaggio di vie funicolari aeree.

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Quest’ultima nozione non è l’oggetto del dovere imposto dall’ordinamento al proprietario ma il criterio tramite il quale stabilire in concreto se il dovere di tolleranza debba essere imposto. Conviverebbero dunque nella disposizione due differenti tolleranze, l’obbligazione imposta dall’ordinamento e il criterio di valutazione che rimanda al parametro extra-giuridico della normalità.

Riprendendo però il confronto tra le due figure di tolleranza, è stato osservato che alla tolleranza come fatto si contrappone una tolleranza come valore che a sua volta genera un dovere giuridico per il destinatario5. Mentre nella prima categoria gli effetti giuridici sono successivi al compimento da parte del soggetto dell’atto di tollerare, con la conseguenza che se questi non avesse tenuto quel contegno la relativa fattispecie non avrebbe potuto essere integrata, nella seconda nozione di tolleranza è l’ordinamento che individua indipendentemente dal comportamento concreto dell’interessato ipotesi in cui questi non potrà reagire e quindi sarà obbligato a sopportare le lesioni altrui. Si tratta dunque di un’obbligazione di sopportazione delle ingerenze altrui che viene codificata dal legislatore come espressione di un generale principio di pluralismo delle libertà e di solidarietà in funzione di una civile coesistenza degli interessi. La ratio di fondo di questo dovere di sopportazione esula da una valutazione del comportamento successivo al danno del titolare del diritto ma al contrario si appunta sull’irrilevanza dei danni “scaturenti da offese minime e tollerabili”6.

Come si avrà modo di vedere nelle note conclusive la Corte Edu ha fatto proprie entrambe le nozioni di tolleranza sopra descritte.

5 Foti G., op. cit., pag.43 ss.

6 Navarretta E., Diritti inviolabili e responsabilità civile, in Annali dell'Enciclopedia

del Diritto, vol. VII, Giuffré, Milano, 2014, pag. 351. L’Autore analizza la figura

della tolleranza nel settore del danno non patrimoniale attribuendogli la funzione di contrappeso all’espansione del campo di tutela dei diritti inviolabili. Di fronte a un aumento della categoria dei diritti inviolabili è inevitabile che aumentino di pari passo le possibilità di conflitto tra questi; la tolleranza può fungere allora da criterio di selezione della risarcibilità (ex art 2059 c.c.) andando ad escludere le ipotesi di offensività minima (sotto il profilo del quantum) della condotta lesiva.

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L’istituto della tolleranza implicita enucleato dai giudici di Strasburgo in applicazione dell’art. 1, I Prot. sembra corrispondere alla tolleranza nella prima accezione sopra descritta. Risulta quindi congeniale alle finalità di questa trattazione concentrarsi sul fatto-tolleranza e sui suoi risvolti applicativi nel diritto patrimoniale italiano.

1.1. Tolleranza e possesso

Nonostante non si possa prescindere da una considerazione della tolleranza nel diritto privato in generale, è indubbio che l’istituto trovi il suo riconoscimento più esplicito in materia possessoria. L’art. 1144 c.c. (Atti di tolleranza) infatti dispone che “gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso”. La fattispecie individua l’atteggiamento (di carattere omissivo) tenuto dal proprietario a fronte dell’attività di un terzo che, nell’intento di perseguire un proprio vantaggio, instaura di fatto una situazione di godimento del bene, ponendo così in essere un’ingerenza nella sfera giuridica del titolare del diritto. La norma come si avrà modo di vedere non detta una disciplina compiuta degli atti di tolleranza ma si limita a disciplinare un effetto particolare che è appunto quello di impedire che gli atti posti in essere da parte del terzo tollerato su un bene di proprietà del tollerante consentano al primo di acquistarne il possesso.

È stato osservato7 che già la rubrica dell’art. 1144 c.c. crea

alcune ambiguità circa la corretta individuazione della fattispecie da questo disciplinata. La lettura della disposizione non sembra lasciare dubbi in proposito: gli atti di ingerenza sulla proprietà vengono posti in essere dal terzo mentre la tolleranza si riferisce al titolare del diritto sul bene su cui il primo pone in essere l’ingerenza tollerata. Questi atti sono logicamente antecedenti e distinti dalla scientia e patientia del titolare del diritto; in altre parole i suddetti atti rappresentano l’oggetto

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della tolleranza altrui. La rubrica quindi sarebbe stata più corretta se avesse parlato di atti tollerati mentre con la locuzione atti di tolleranza sembra alludersi alla possibilità che a rilevare sia la volontà del possessore (e non del titolare del diritto) ai fini dell’impedimento di acquisto del possesso. L’imprecisione consiste in altri termini nel riferire al medesimo soggetto (il terzo possessore) sia il compimento degli atti sia la tolleranza con il risultato di suggerire che l’operatività dell’articolo prescinda dalla sfera soggettiva del titolare del diritto. Sembra pacifico comunque che tale imprecisione non sia determinante e possa quindi essere trascurata non tanto perché non evoca problemi sostanziali ma perché detti problemi derivano piuttosto dal “difetto di ulteriori prescrizioni in ordine alla rilevanza della volontà dei soggetti”8.

La prima questione – evocata ma non risolta dal dato letterale – attiene dunque a quale sia la sfera soggettiva rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame. La dottrina è divisa tra chi, facendo leva sulla locuzione “altrui tolleranza”, ritiene che ad essere determinante sia soltanto la volontà di tollerare da parte del proprietario e chi9, giurisprudenza compresa, sostiene invece che la tolleranza rilevi soltanto dal momento in cui questa incide nella sfera soggettiva del tollerato con l’effetto di escludere l’animus possidendi, requisito essenziale del possesso. Quest’ultima tesi ha l’effetto di restringere notevolmente l’autonomia applicativa10 dell’art. 1144 c.c.

in quanto l’esclusione del possesso nei casi di tolleranza conosciuta dal terzo deriverebbe già dall’applicazione delle regole generali in materia di possesso. La più recente dottrina predilige la prima interpretazione che, concependo la tolleranza come un fatto impeditivo del possesso, gli attribuisce rilevanza proprio in quelle

8 V. Sicchiero G., voce Tolleranza, in AA. VV., Digesto disc. Priv, sezione civile,

vol. XIX, Torino, Utet, 1999, pag. 372.

9 V. Butera A., Il codice civile commentato. Il libro della proprietà, Torino 1941,

pag. 412.

10 Cfr. Patti S., voce Tolleranza (atti di), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV,

Milano, 1992, p. 703 in merito all’esigenza di interpretare l’art. 1144 c.c. in modo da riconoscergli un effettivo contenuto normativo.

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fattispecie in cui nonostante sussistano tutti i requisiti del possesso (animus incluso)11 l’atteggiamento del titolare integra un’eccezione all’applicazione delle regole generali. Ad avvalorare questo indirizzo ermeneutico vi è il rilievo12 per cui non è necessario che l’atteggiamento tollerante del proprietario sia conosciuto dal terzo, con conseguente assenza di animus, in quanto quest’ultimo potrebbe benissimo agire anche nell’ignoranza della tolleranza altrui o comunque senza presumerla. In altri termini la conoscenza della tolleranza non è sinonimo di assenza dell’animus possidendi del terzo13 e l’atteggiamento del titolare del diritto opera oggettivamente nei confronti del tollerato. Queste conclusioni sono state recentemente integrate dalla considerazione che il contegno di tolleranza del titolare del diritto debba essere esteriorizzato nel mondo in qualche modo e nei confronti almeno di qualcuno14, anche se non necessariamente al

terzo possessore. La possibilità di percepire all’esterno il comportamento e quindi la necessità che questo non resti confinato alla mera volontà del titolare serve a distinguere la tolleranza da altri atteggiamenti di scientia e patientia e in particolare dall’inerzia15 (che non ha il medesimo effetto impeditivo dell’acquisto del possesso). Non integrerebbe quindi l’art. 1144, un contegno tollerante che resta ignoto, non solo al terzo interessato ad acquisire il possesso, ma a tutti i soggetti (interessati e non al possesso del bene).

Per completare la struttura della fattispecie è possibile individuare gli altri requisiti necessari affinché si possa parlare di tolleranza. Mentre non sembra che siano necessari dei particolari obblighi di forma (il che è diretta conseguenza di quanto detto poc’anzi circa l’irrilevanza della conoscenza da parte del terzo

11 Ibidem.

12 Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, cit., pag. 14-5.

13 C’è infine chi prospetta la possibile coesistenza delle due interpretazioni

dell’articolo in

14 Sicchiero G., voce Tolleranza, cit. pag. 375.

15 Sulle differenze tra tolleranza inerzia vedi anche Patti, ult. op. cit. pag. 65 che

individua il fattore scriminante nella conoscenza che il titolare ha dell’ingerenza del terzo.

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tollerato) elementi necessari sono la spontaneità da parte del titolare del diritto16 e la contestualità con il fatto tollerato (elementi che escluderebbero la configurabilità della promessa di tolleranza od in generale di accordi con cui ci si obbliga a tollerare). Non sembrano invece rilevare i motivi per cui si tollera17 e soprattutto questi non si limitano ai sentimenti di amicizia e buon vicinato, potendo anzi essere frutto della “scelta rassegnata tra due mali”18 o addirittura

rappresentare un interesse del possessore.

L’altro grande nodo problematico dell’art. 1144 c.c. riguarda invece il rapporto della tolleranza con la detenzione. La disposizione infatti – e questo è un dato che come vedremo assume rilevanza anche rispetto ad altri effetti giuridici – non disciplina la fattispecie della tolleranza in modo completo. Se infatti la tolleranza del proprietario ha l’effetto di escludere l’acquisto del possesso nulla aggiunge la norma circa la configurabilità di altre situazioni di fatto. Sul punto dottrina e giurisprudenza sono divise. Mentre la giurisprudenza è solita escluderlo insieme a parte della dottrina19, la letteratura maggioritaria ritiene configurabile una detenzione fondata sulla tolleranza del proprietario20. La ratio della norma infatti è soltanto quella di escludere l’acquisto del possesso per cui non ci sarebbe motivo di escludere la configurabilità della detenzione. Tale conclusione21 sembra avvalorata dalla collocazione sistematica dell’art. 1144 c.c.: il precedente art. 1141 c.c. infatti disciplina il mutamento del possesso in detenzione stabilendo che “Si presume il possesso in colui che

16 Patti, ult. op. cit., pag. 72 17 Patti, ult. op. cit., pag, 60

18 Sacco R., Tolleranza (in tema di possesso), in Digesto civile., Agg., VII, Torino,

2012, 1050 ss.; in particolare sul interesse del possessore “se a parer mio il fatto che a casa mia qualcuno vada e venga tiene lontani i pushers, io tollererò che Tizio, in mia assenza, attraversi il mio immobile, accendendo le luci, ogni volta che ciò gli fa comodo. La figura della tolleranza dev'essere dunque svestita dalla necessità della

liberalità, della cortesia e dell'ospitalità, per farvi rientrare le ingerenze volute per

interesse proprio, subìte per senso di solidarietà o controvoglia.”

19 Tra tutti Masi, Il possesso, in Trattato Rescigno, Torino, 1982, pag. 447. 20 Montel G., Il possesso, in Trattato Vassalli, Torino, 1962, pag. 235.

21 Cfr. Patti S., voce Tolleranza (atti di), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV,

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esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione”. Da questo angolo visuale l’art. 1144 assumerebbe proprio la funzione di risolvere il dubbio, in presenza della tolleranza, circa la qualificazione del potere di fatto sulla cosa come detenzione (piuttosto che come possesso). La tolleranza del resto costituendo comunque un modo di esercizio del proprio diritto da parte del titolare avrebbe dunque l’effetto di creare un rapporto di possesso (mediato)/detenzione tra proprietario e tollerato. Altri commentatori, seppur favorevoli a tale soluzione, non trascurano di puntualizzare che pur se astrattamente possibile è necessario che in concreto il potere di fatto sia qualificabile in tal modo e arrivano così ad escludere la sussistenza della detenzione nelle ipotesi di “uso una tantum o sotto il diretto controllo del dominus”22.

L’eventuale ammissibilità della detenzione per tolleranza non è una questione squisitamente teorica ma ha delle ripercussioni sul piano degli eventuali poteri che il terzo tollerato può esercitare. In primo luogo con riferimento all’applicabilità della seconda parte dell’art. 1141 c.c. per cui opererebbe la cd. interversio possessionis in forza di opposizione fatta dal detentore contro il possessore. Nonostante la fattispecie di tolleranza abbia come effetto primario quello di impedire l’acquisto del possesso da parte del tollerato una soluzione negativa rischia, ad avviso di alcuni, di cristallizzare eccessivamente i rapporti tra i soggetti e il bene23. Il secondo effetto sarebbe quello di concedere al terzo tollerato l’azione di spoglio ex art. 1168, 2° comma c.c., salvo qualificarla come detenzione per ragioni d'ospitalità. A tal proposito è necessario distinguere l’ipotesi di esperibilità dell’azione nei confronti del possessore e quella rispetto ai terzi. Nel primo caso la dottrina maggioritaria24 tende ad escludere tale eventualità in quanto,

22 Sicchiero G., voce Tolleranza, cit. pag. 375

23 In tal senso Patti S., Profili della tolleranza nel diritto privato, cit., pag. 18. Ma

favorevoli anche Sicchiero G., op. cit., pag 377; Sacco, Il possesso, in Tratt. Cicu e

Messineo, Milano, 1988, pag. 137. Unica voce contraria Bisegna, voce “Tolleranza

(atti di)”, in NN.D.I., XIX, Torino, 1973, pag. 402.

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nonostante la detenzione sia nell’interesse del detentore, il suddetto interesse non troverebbe un collegamento sufficiente in un titolo negoziale (mandato, deposito, custodia, ecc.); a ben vedere non si potrebbe nemmeno parlare di spoglio ma di mera cessazione della tolleranza. L’unanimità di vedute si perde con riferimento all’azionabilità della reintegrazione nei confronti dei terzi: mentre ad avviso di alcuni questa sarebbe configurabile qualora il tollerato raggiunga una “compiuta utilizzazione del bene”25 (e non quindi nei

casi di detenzione sotto il controllo del possessore o quando il suo esercizio si riduce ad atti di godimento parziale) per una consistente parte della dottrina26 l’azione non dovrebbe essere mai esperibile, neanche contro terzi. Questa soluzione muove dal presupposto che anche mantenendo distinta la fattispecie in esame da quella dell’ospitalità il richiamato art. 1168, 2° comma dovrebbe essere applicato in via analogica essendo entrambe situazioni accomunate dalla precarietà della detenzione e dal mantenimento di un qualche tipo di controllo da parte del possessore.

1.2. La giurisprudenza italiana sulla tolleranza

Queste conclusioni non sono condivise dalla giurisprudenza italiana che dà all’art. 1144 c.c. un’interpretazione più restrittiva. Con riferimento al problema della volontà rilevante ad avviso della giurisprudenza la tolleranza opererebbe direttamente sull’elemento soggettivo dell’animus possidendi andando quindi ad escludere a monte la sussistenza del possesso. La conoscenza della tolleranza del titolare da parte del terzo ingerente è incompatibile con la presenza di questo elemento necessario. La tolleranza quindi sarebbe presente tutte le volte in cui non è ravvisabile la volontà di esercitare un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto reale sul bene27. Questa

25 Ivi pag. 21

26 Cfr. Sicchiero G., op. cit. pag. 375 e Sacco R., Detenzione autonoma e qualificata,

in Digesto civile., Agg., V, Torino, 2010, pag. 515 ss

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impostazione sembra essere una diretta conseguenza

dell’accoglimento nel nostro codice (come dalla dottrina maggioritaria) della teoria soggettiva del possesso per cui l’animus costituisce un elemento necessario del possesso e quindi non basta il rapporto di fatto tra soggetto e bene (nella sua oggettività) ad integrare il possesso. Tuttavia, come si è anticipato, non sembra che la teoria soggettiva porti necessariamente ad escludere l’animus del tollerato, in quanto questo non per forza è a conoscenza della tolleranza del proprietario. Per questo motivo alcuni commentatori28 hanno definito il binomio giurisprudenziale tolleranza-mancanza di animus una finzione che ha l’effetto di rendere inutile l’art 1144 c.c. in quanto il possesso sarebbe escluso già dall’applicazione della regola generale.

Anche rispetto alla detenzione la giurisprudenza esclude che la fattispecie di tolleranza sia idonea a produrre gli effetti ricondotti a questa figura29. In contrapposizione alla dottrina sopra richiamata alla

fattispecie in esame non sarebbero dunque applicabili né l’istituto dell’interversione del possesso né tanto meno l’azione di reintegrazione ex art. 1168, 2° comma. Questa conclusione trova il suo fondamento non tanto in un’autonoma qualificazione del potere di fatto esercitato dal tollerato ma nella riconduzione dell’istituto all’interno di quel particolare tipo di detenzione che non attribuisce le facoltà esaminate poc’anzi a colui che la esercita, vale a dire la detenzione per motivi di ospitalità. Più in generale è stato rilevato30 che la giurisprudenza tenda a circoscrivere il più possibile la casistica concretamente riconducibile all’attività oggetto di tolleranza andandovi a ricomprendere soltanto gli atti caratterizzati da transitorietà e saltuarietà31 consistenti in un godimento di portata

28 Ancora Patti S., ibidem.

29 V., ad esempio, Cass. Civ. 22 ottobre 1974, n. 3034.

30Cfr. Patti S., op. ult. cit., pag. 21-2 che nelle successive pagine (pag. 23 ss.) spiega

che i motivi di questo approccio ermeneutico sono ravvisabili in una “recezione passiva” delle formule enucleate sotto la vigenza del codice ormai abrogato.

31 Solo alcune pronunce di merito hanno occasionalmente ammesso che un’attività

continuata possa essere oggetto di tolleranza (v. Trib. La Spezia 2 febbraio 1950) financo ad arrivare a concedere l’azione di reintegrazione al detentore tollerato (v.

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modesta che non incide in modo sensibile sull’esercizio del diritto da parte del titolare. In altri termini la consistenza esigua dell’attività da tollerare non porrebbe conflitti in termini di rivalità nell’uso del bene tra proprietario e terzo. In generale la giurisprudenza concepisce l’art. 1144 c.c. come una norma che delimita in senso negativo la fattispecie del possesso: dove c’è tolleranza non c’è esercizio di un potere di fatto riconducibile al possesso. Mentre la funzione della norma è quella di delineare una fattispecie di possesso in cui, in via eccezionale, si producono effetti differenti. Anche riguardo al carattere transitorio e saltuario la dottrina sembra andare in direzione diversa: nonostante alcune voci condividano l’indirizzo giurisprudenziale32, la maggioranza sostiene che tale impostazione ridurrebbe eccessivamente il campo di applicazione della disposizione in esame33; inoltre se il legislatore avesse voluto escludere la tolleranza