CAPITOLO II – LA GIURISPRUDENZA EDU IN MATERIA DI BEN
2. I criteri di individuazione delle situazioni rientranti nel concetto di bene
Prima di proseguire con l’analisi delle più recenti novità giurisprudenziali riguardanti il concetto di bene nell’art. 1, è necessario interrogarsi su quali siano i criteri tramite i quali la Corte Edu ha interpretato estensivamente l’ambito oggettivo di applicazione della norma. Dall’apparente eterogeneità delle fattispecie a cui è stata estesa la tutela riconvenzionale è possibile ricavare una continuità dal punto di vista applicativo? O la giurisprudenza Edu è talmente “di dettaglio” da non lasciare margini per una ricostruzione uniforme del diritto vivente che si è venuto a formare?
2.1. Il “valore patrimoniale”
La maggior parte dei commentatori32 ha riscontrato che l’elemento che accumuna tutte le decisioni della Corte è costituito dal
31 Corte, 29 settembre 1982, Van der Mussele c. Belgio, Serie A, n. 70, riguardante
l’obbligo imposto dalla legge belga agli avvocati, durante il periodo di tirocinio, di assistere determinati clienti senza essere remunerati né rimborsati per le spese sostenute per la difesa.
32 Tra questi v. Padelletti M.L., Protocollo n. 1, in Zagrebelsky, V., De Sena, P.,
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“valore patrimoniale” del diritto, o interesse, fatto valere dal ricorrente. Ciò emerge in modo evidente in quelle decisioni, tra cui ad esempio il caso Van Marle, che hanno ad oggetto beni che non rientrano tradizionalmente nel concetto di bene tutelato dal diritto di proprietà (o da altri diritti reali) ma che semmai rientrano nell’ambito della tutela contrattuale. È stato inoltre osservato che “il criterio del valore patrimoniale viene considerato […] senza che venga tracciata una netta distinzione tra titolarità strcto sensu e semplice interesse patrimoniale”33. Questo approccio interpretativo, reso possibile
dall’utilizzo costante di cui la giurisprudenza Edu si avvale della “nozione autonoma” di bene, ha reso possibile estendere il campo di applicazione come vedremo anche ad un mero “intérêt substantiel protégé” non risultando quindi necessario che la legislazione interna qualifichi formalmente l’interesse del privato come “diritto”.
2.2. Irrilevanza della “trasferibilità”
Risulta al contrario essere irrilevante la “trasferibilità” (o “commerciabilità”) del diritto oggetto della controversia. La definizione di questo elemento ha assunto una rilevanza notevole soprattutto con riferimento a quelle controversie aventi ad oggetto concessioni amministrative (nel caso di specie licenze commerciali) in cui il carattere di inalienabilità ai sensi della disciplina nazionale, non è servito a negare la qualifica di bene. Questa scelta del giudice di Strasburgo risponde all’evidente finalità di assicurare una tutela effettiva e di impedire che l’arbitrio dei legislatori nazionali gli consenta di sottrarsi alla tutela convenzionale tramite una disciplina di indisponibilità della concessione amministrativa. A tal proposito occorre richiamare l’opinione dissidente contenuta nel rapporto della Commissione del caso Tre Traktörer AB dei commissari Martinez e
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Cedam, Padova,
2012, pag. 794
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Campinos che hanno argomentato nel senso di un’interpretazione restrittiva dell’articolo affermando che non può esistere bene se non sussiste né la trasmissibilità né il diritto a farsi concedere una licenza o di impedirne la revoca né infine la possibilità per i creditori di agire in via esecutiva su di essa34. Il tentativo di ricostruire una nozione di bene che si agganci a dei criteri civilistici più stringenti come quelli di pignorabilità e trasmissibilità non sono stati seguiti dalla Corte che, nel caso Benthem35, ha attribuito all’elemento della “trasmissibilità” il valore di mero indice per accertare l’esistenza di un diritto patrimoniale: dunque una condizione sufficiente, ma non necessaria del “bene”. Occorre da ultimo puntualizzare che sia nel caso Benthem che nell’opinione dissidente sopracitata, la nozione di bene venga spesso assimilata a quella di “diritto o obbligo di natura civile” di cui all’art. 6, par. 1 Cedu di modo che in assenza della seconda si tende escludere anche l’applicabilità della prima36.
L’altro grande criterio di determinazione della nozione di “bene” è il criterio dell’attualità che, come anticipato, è stato a sua volta oggetto di interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza e che assume una notevole rilevanza sotto il profilo dell’accesso alla proprietà che in linea teorica dovrebbe star fuori dall’ambito di applicazione della norma in esame, la cui finalità originaria era quella di tutelare i beni e le situazioni giuridiche già rientranti, al momento dell’ingerenza statale, nella sfera giuridica del privato. Quest’ultimo criterio, per la sua rilevanza ai fini di questa trattazione verrà analizzato a parte nel seguente paragrafo.
34 Rapporto della Commissione, 10 novembre 1987, appl. 10873/84, annesso a Corte
7 luglio 1989 Tre Traktörer AB c. Svezia, cit.: “Or si le titulaire n'a ni le droit de se
voir octroyer (in italiano concedere) une telle licence, ni le droit de la transmettre à des tiers ou à ses héritiers, si les créanciers du titulaire ne peuvent la saisir, si elle peut être révoquée pour des causes qui n'ont rien à voir avec la personne du titulaire, que reste-t-il qui permette de dire qu'il s'agit vraiment d'un droit civil patrimonial?”.
35 Corte, 23 ottobre 1985, Benthem c. Olanda, Serie A, n.97. 36 Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit., pag. 69
- 61 - 3. La nozione di bene “attuale”
La tutela apprestata dall’articolo 1 è stata concepita per le situazioni giuridiche che fanno già parte integrante della sfera patrimoniale del singolo. Questo è pacifico sia dalla lettura del primo comma dell’art. 1 in cui si invoca il “droit au respect de ses bien” sia, come abbiamo visto, dall’intentio legis che è possibile estrapolare dai lavori preparatori. Si evita così di garantire l’accesso alla proprietà negando la tutela della mera aspettativa a divenire proprietari ma limitandosi a tutelare solo chi è già proprietario. Questo concetto è, in linea di principio, condiviso dalla Corte ed espresso sinteticamente nella frase più volte ripetuta nelle proprie decisioni “se borne à consacrer le droit de chacun au respect de "ses" biens; il ne vaut par
conséquent que pour des biens actuels”37. Sulla base di questo
principio (coetaneo del caso Sporrong e Lonnroth con cui si afferma la struttura normativa tripartita) la Corte ha attuato una ulteriore selezione che, come anticipato, attiene al profilo temporale della titolarità delle situazioni giuridiche.
Nel caso Van Mussele, riguardante l’obbligo legale degli avvocati tirocinanti di assistere alcune categorie di clienti senza essere remunerati e senza rimborso delle spese, è stata negata la sussistenza di una violazione per carenza del requisito dell’attualità in quanto “nessun credito è nato … in capo al ricorrente”38 e il “mancato
guadagno” non facendo parte del patrimonio non costituisce un bene. La rilevanza di questa esclusione può essere apprezzata se confrontata con il caso Ambruosi in cui si afferma che il diritto al pagamento di prestazioni già effettuate costituisce bene attuale dal momento che la prestazione si era già realizzata e quindi il diritto era già sorto. La Corte in tal sede chiarisce che “un reddito futuro costituisce un ‘bene’
37 Corte, 29 settembre 1982, Van der Mussele c. Belgio, Serie A, n. 70, par. 48. 38 Ibidem.
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nel senso dell’art. 1 Prot. 1 CEDU solo se il reddito è stato acquisito o se esiste un titolo esecutivo”39.
Il concetto di attualità è stato però, lui stesso, oggetto di un’interpretazione estensiva da parte della Corte che ha così ampliato ulteriormente il raggio della tutela ed è giunta a riconoscere la violazione dell’art. 1 anche in situazioni non facilmente inseribili all’interno dell’alveo dei beni “attuali” (in contrapposizione alle mere aspettative).
3.1. La non discriminazione come criterio estensivo della nozione di attualità
In primo luogo occorre richiamare le ipotesi di applicazione del combinato disposto degli art. P-1 e art. 14 in cui il principio di non discriminazione sembra assolvere una funzione estensiva non soltanto sotto il profilo oggettivo ma anche sotto quello dell’attualità. Mentre nei casi Marckx e Inze, in materia di successione ereditaria, la Corte ha fatto un’applicazione più rigorosa del requisito dell’attualità negando nel primo caso il diritto a ricevere un bene in successione e, nel secondo, giustificando la sussistenza della violazione partendo dal presupposto che il bene era già entrato nella titolarità del ricorrente e che quindi potesse effettivamente parlarsi di bene “attuale”, nel caso
Marzurek40 è reso evidente quanto “possa essere sottile il confine tra
‘diritto potenziale’ e ‘bene attuale’”41. Nel caso di specie si lamenta la
discriminazione dei diritti successori dei figli adulterini che per la legge francese non potevano ereditare una quota superiore ad un quarto dell’asse ereditario. La Corte ha ritenuto che il bene protetto dovesse ritenersi “attuale” in forza del fatto che per la legge francese
39 Corte, 19 ottobre 2000, Ambruosi c. Italia, par 20: si noti che la traduzione non
chiarisce bene cosa si intenda per “acquisito” perché in inglese viene impiegato il termine “earned”, in francese il termine “acquis” e nella traduzione non ufficiale italiana di http://www.duitbase.it/ il termine è stato liberamente tradotto in tal senso “si traduce in una legittima aspettativa”.
40 Corte, 1 febbraio 2000, Marzurek c. Francia, Recueil, 2000-II. 41 Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit., pag. 72
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la successione al momento della violazione fosse già aperta e quindi il bene fosse già automaticamente entrato nella sfera giuridica del ricorrente. Questa soluzione, che è la medesima adottata nel caso Inze, ad avviso di una parte della dottrina42 viene applicata ad una fattispecie differente in quanto lo scopo del ricorso è quello di rivendicare una quota ereditaria maggiore che per la parte eccedente il quarto è di proprietà, non del ricorrente bensì dell’altro erede. In questo caso quindi ad essere tutelata è un’aspettativa all’acquisto di un bene e non un bene di cui il privato può legittimamente dirsi proprietario.
A considerazioni analoghe è possibile giungere anche nelle altre ipotesi analizzate in precedenza in cui è stato invocato il principio di non discriminazione combinato all’art. 1 (es. il diritto ad ottenere prestazioni sociali): “appare pertanto legittimo che il modo poco rigoroso di considerare il requisito dell’attualità del bene sia una conseguenza della tendenza […] ad estendere il significato delle libertà protette ogni volta che appaia violato il principio di non discriminazione”43. Il combinato disposto degli art. P-1 e art. 14 infatti
se interpretato in maniera restrittiva (ma forse più corretta) avrebbe portato a tutelare quelle situazioni in cui l’ingerenza statale, benché rispettosa delle condizioni previste dall’art. 1, avesse in concreto determinato una discriminazione andando a colpire i beni di proprietà di alcuni soggetto e non quelli di altri. La discriminazione in breve avrebbe dovuto riguardare unicamente le misure statali su beni già presenti nella sfera patrimoniale del cittadino. Nelle decisioni a cui si fa riferimento invece lo Stato viene condannato per aver discriminato un cittadino nell’accesso alla proprietà sui beni. Di fronte a situazioni in cui è possibile vantare la medesima aspettativa su un bene la Corte ha sanzionato le ipotesi in cui un cittadino è stato discriminato rispetto ad altri la cui “speranza legittima” è stata realizzata.
42 Ivi pag. 73 43 Ivi pag. 73-4
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È possibile dunque affermare che il principio di non discriminazione assume, a seguito di questa originale interpretazione del combinato disposto, una importante funzione estensiva dell’ambito di applicazione dell’art. 1 non soltanto sul piano oggettivo, ma anche su quello temporale riguardante il concetto di attualità.
3.2. La “speranza legittima” sul bene
Analogo ruolo è svolto, su fattispecie diverse, dal criterio della “speranza legittima” (“espérance légitime” in francese; “legitimate expectation” in inglese) che è stato utilizzato per la prima volta nel
leading case Pine Valley44. Il caso concreto consiste in una sentenza
della Corte suprema irlandese che attiene al rilascio (precedente all’acquisto dei terreni che ne facevano oggetto) di un certificato preventivo relativo ad un piano di urbanizzazione di alcuni terreni poi dichiarato, successivamente all’acquisto dei terreni da parte del ricorrente, nullo da una sentenza della Corte suprema irlandese. Il punto di partenza della Corte è il problema riguardante gli effetti retroattivi della dichiarazione di nullità della Corte Suprema irlandese che fanno quindi considerare non avvenuto il rilascio del certificato (a suo tempo effettuato nei confronti dell’alienante dei terreni oggetto della controversia). Nonostante la sentenza di nullità, può il ricorrente considerarsi titolare del diritto di edificare sul terreno in questione? La risposta affermativa della Corte viene giustificata partendo dalla buona fede dei ricorrenti nel considerare valido il certificato di urbanizzazione rilasciato dalla pubblica autorità, aggiungendo che non tenerne di conto sarebbe un eccesso di formalismo da parte dell’interprete. Fino alla decisione della Corte Suprema questi avevano la “speranza legittima” di poter realizzare il loro piano di
44 Corte, 29 novembre 1991, Pine Valley Developments Ltd e altri c. Irlanda, Serie
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urbanizzazione del terreno e questo ad avviso della Corte costituisce “un élément de la propriété en question”45.
Il criterio della “speranza legittima” è stato, come già accennato, utilizzato in materia di diritti derivanti da decisioni giudiziarie, nel caso Pressos Compañía Naviera S.A. a suo tempo analizzato e, successivamente, nel caso National & Provincial Building Society46: in entrambi questi casi – anche se con risultati opposti, rispettivamente affermativi e di diniego della sussistenza della speranza legittima – il criterio in esame è stato applicato come parametro per valutare le probabilità di accoglimento della domanda giudiziale pendente di fronte al giudice nazionale al fine di stabilire se la titolarità da parte del ricorrente del diritto derivante da un’eventuale decisione fosse sufficientemente determinata e concretizzabile47.
Occorre aggiungere come la Corte abbia avuto modo di precisare, nel caso Jasiūnienė48 che “l’espérance légitime” non vada
confusa né con la speranza del singolo di veder riconoscere la sopravvivenza di un vecchio diritto di proprietà, né con il diritto a vedersi restituire un bene espropriato molti anni prima.
La funzione del criterio della speranza legittima è quindi quella di estendere la nozione di proprietà anche alle ipotesi in cui il privato non sia titolare di un diritto soggettivo ma in cui, alla luce di una “considerazione complessiva [dell’ordinamento interno]”49
l’aspettativa di acquisto della titolarità risulti essere una possibilità concreta. Il giudice di Strasburgo quindi può considerare titolare di un bene “attuale” il privato che in buona fede si è considerato tale in forza di un determinato comportamento da parte dell’autorità statale, anche se questo bene non è ancora entrato nella sua sfera giuridica. In tal
45 Sent. cit. par. 51.
46 Corte, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent
Building Society e Yorkshire Building Society C. Regno Unito, Recueil, 1997
47 In tal senso v. Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit. pag. 85
48 Corte, 6 marzo 2003, Jasiūnienė c. Lituania, par. 40: “The hope that a long-
extinguished property right may be revived cannot be regarded as a “possession” within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1”.
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senso sono state rilevate delle forti analogie con il principio del legittimo affidamento attribuendo rilievo anche al comportamento complessivo dell’autorità statale nei confronti del privato, tale da indurre quest’ultimo in errore circa le sue prospettive concrete di diventare proprietario di un bene. Con il consolidarsi del principio in esame, la giurisprudenza ha perfezionato quelli che sono i parametri di riferimento sulla base dei quali operare la valutazione di probabilità di acquisto del diritto: un indirizzo giurisprudenziale consolidato o lo stato della legislazione al momento del fatto sono i fattori principali che possono creare una ragionevole aspettativa di accesso al bene protetto. Più nello specifico, se da una parte è stata riconosciuta quale bene un’azione legale del ricorrente che miri a dichiarare la nullità di un contratto di mutuo stipulato dai ricorrenti, vanificata da un intervento legislativo successivo (caso Lecarpentier50) dall’altra si è
escluso che l’esistenza di una controversia genuina o di una domanda giudiziale sostenibile siano di per sé sufficienti ad integrare il requisito della speranza legittima (caso Kopecky, caso Draon e caso
Maurice51); così come è insufficiente la mera possibilità di un soggetto
di attivare una procedura amministrativa per acquistare dallo Stato un bene (caso Öneryildiz).
Il risultato ultimo di questa operazione interpretativa è dunque quello di estendere il concetto di attualità alle ipotesi di “probabilità di acquisto di un bene”. Questa prassi giurisprudenziale rischia però di andare contro l’intentio legis palesata nei lavori preparatori: vale a dire la volontà dei redattori di non garantire, con l’art 1 del 1° Protocollo, il diritto di accesso alla proprietà ma soltanto quella di proteggere i beni di cui il privato è già proprietario. D’altra parte la giurisprudenza ha sempre voluto applicare la Convenzione per tutelare diritti concreti
50 Corte, 14 febbraio 2006, Lecarpentier e altri c. Francia.
51 Corte, 28 settembre 2004, Kopecky ́ c. Slovacchia; Corte (Grande Camera), 6
ottobre 2005, Draon c. Francia; Corte (Grande Camera), 6 ottobre 2005, Maurice c. Francia.
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ed effettivi52. Il rischio di apprestare all’opposto una protezione a diritti ipotetici ed illusori è ancora più evidente nelle ipotesi in cui il legislatore è andato oltre il concetto di aspettativa per approdare nel criterio ben più azzardato della tolleranza implicita.