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CAPITOLO II – LA GIURISPRUDENZA EDU IN MATERIA DI BEN

4. La tolleranza implicita

4.1. Caso Beyeler

L’evoluzione giurisprudenziale che approda alla costruzione del suddetto criterio parte dal famoso caso Beyeler53 avente ad oggetto l’acquisto da parte del ricorrente ma per mezzo di un mandatario italiano, di un quadro di Van Gogh. Sulla base dell’allora vigente legge n. 1089/193954 (in particolare artt. 30 e 31) le cose di interesse artistico e storico che formano oggetto di un “atto, a titolo oneroso o gratuito, che ne trasmetta, in tutto o in parte, la proprietà o la detenzione” devono essere denunciati al Ministero (dei Beni Culturali, al tempo dei fatti) affinché quest’ultimo possa esercitare il diritto di prelazione sull’acquisto del quadro. La dichiarazione, effettuata nel 1977 da parte del venditore del quadro, conteneva come controparte la persona dell’intermediario italiano, il sig. Pierangeli, senza menzionare l’identità del reale acquirente del bene, il sig. Beyeler. Nei mesi successivi l’intermediario cercò invano di esportare il quadro a Londra perché dopo aver richiesto la necessaria autorizzazione all’ufficio ministeriale competente, questa gli venne negata, anche se il Ministero

52 De Salvia, Alcune riflessioni in tema di interpretazione del diritto al rispetto dei

beni, cit., p. 233 ss.

53 Corte, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia, Recueil, 2000-I. Per una ricostruzione

dettagliata del caso in questione v. Padelletti M.L., Il caso Beyeler di fronte alla

Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., pag. 784-5; per consultare una traduzione

italiana della sentenza v. De Salvia M, Zagrebelsky V. (a cura di), coordinato da Marinella Fumagalli Meraviglia, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali: la

giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di giustizia delle Comunità europee. Vol. III, (1999-2006), Milano, Giuffrè, 2007

54 Oggi sostituito dal Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, "Testo unico delle

disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre, n. 352".

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non esercitò il diritto di prelazione (ex art. 39 della suddetta legge). Soltanto diversi anni dopo, nel 1983, il mandatario invio all’autorità ministeriale una comunicazione in cui dichiarava di aver acquistato il quadro ab origine per conto del sig. Beyeler. Da questa data fino al 1988, si alternano diverse vicende nelle quali la pubblica autorità manifesta un atteggiamento ambiguo: da una parte l’amministrazione cercò di accertare chi fosse il reale proprietario del quadro chiedendo al mandatario di presentare i documenti che dimostrassero la proprietà in capo al ricorrente ma da un’altra si interfacciò nei confronti del Beyeler trattandolo come il proprietario effettivo del quadro.55 Nel 1988 il ricorrente comunicò al Ministero di aver venduto il quadro al Peggy Guggenheim per una somma molto superiore al precedente trasferimento (8.500.000 dollari rispetto alle 600.000.000 lire). Fu allora che il Governo italiano fece valere l’omessa comunicazione da parte del ricorrente di essere l’effettivo proprietario dell’opera, rilevò la conseguente nullità ab origine del contratto di acquisto della proprietà del quadro e, pochi mesi dopo, esercitò il suo diritto di prelazione sulla vendita avvenuta nel 1977 al minor prezzo a cui essa era avvenuta.

La Corte, a differenza di quanto prospettato dal Governo e dalla Commissione, dopo aver ricordato che la nozione di bene ha un significato autonomo tale di ricomprendere “taluni diritti e interessi”, ritiene opportuno verificare se da una valutazione complessiva delle circostanze del caso concreto il ricorrente possa dirsi titolare di un “interesse sostanziale tutelato” dall’art. 1. Proprio muovendo dal fatto che il Beyeler, nel periodo di tempo tra l’acquisto e l’esercizio del diritto di prelazione, si fosse trovato in una situazione prolungata di

55 In particolare: la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma, dove fu

collocato il quadro dal 1986 in poi per mezzo di un decreto ministeriale, autorizzo Beyeler in qualità di proprietario ad accedere al quadro su semplice richiesta; inoltre in diverse occasioni il Ministero interloquì con il ricorrente riguardo alla possibilità di acquistare il quadro. Queste circostanze vengono riassunte dalla Corte nella sentenza in esame, par. 104, al fine di dimostrare la sussistenza di un “interesse

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possesso del dipinto e che in diverse occasioni l’autorità lo avesse ritenuto de facto, se non addirittura proprietario del quadro, quantomeno titolare di un interesse patrimoniale su esso, la Corte afferma che tale situazione giuridica può a pieno titolo rientrare nel campo di applicazione dell’art. 1.

È stato osservato56 che, nonostante ci siano delle evidenti affinità con le controversie in cui è stata tutelata la “legittima aspettativa” del privato, nel caso Beyeler la Corte abbia riconosciuto le ragioni del ricorrente operando una diversa qualificazione giuridica della fattispecie. Emerge infatti chiaramente dal testo della sentenza che la Commissione aveva richiamato il principio de l’espérance légitime non già per farne applicazione ma al contrario per escluderla57. La Corte, da parte sua, non prende in considerazione questo argomento neanche per trarne una conclusione diversa. Da ciò è possibile concludere che anche l’organo giudicante abbia implicitamente scartato il suddetto principio per poi sancirne uno nuovo che si applichi ad una fattispecie differente. Infatti in questo caso – ed a differenza di quelli di speranza legittima – il ricorrente non può assolutamente affermare la sua buona fede circa la titolarità del diritto, che come abbiamo visto è un presupposto fondamentale per l’applicazione del criterio. La differenza principale tra il caso in esame e le altre ipotesi di estensione del campo di applicazione dell’art. 1 è che l’effetto ultimo della tutela apprestata dalla Corte ha ad oggetto l’acquisto di un bene effettuato in violazione delle norme imperative dell’ordinamento interno (il che costituisce una novità anche con riferimento alle norme consuetudinarie sul trattamento degli interessi economici degli stranieri). Proseguendo con l’analisi della decisione58

56 Padelletti M.L., Il caso Beyeler di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo,

cit., pag. 788

57 Sent. cit. par. 94: “il ricorrente non può nemmeno rivendicare una ‘aspettativa

legittima’ a veder realizzare le sue pretese sul dipinto per la sola ragione del decorso del tempo e dei suoi reiterati contatti con le autorità competenti, le quali non hanno mai qualificato espressamente il ricorrente come ‘proprietario’ e hanno ripetutamente manifestato i loro dubbi al riguardo”.

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emerge come il problema della violazione delle norme imperative da parte del ricorrente non venga affatto affrontato dal giudice: mentre la Commissione sembra farne un richiamo, quanto meno implicito, dal momento che fa leva sulla nullità del contratto per negare l’attualità del bene rispetto alla sfera patrimoniale del ricorrente, al contrario la Corte non dà alcuna rilevanza a questo fatto, concentrandosi esclusivamente sul carattere patrimoniale dell’interesse sostanziale del Beyeler. Il comportamento di violazione delle norme dello Stato italiano viene in rilievo soltanto come parametro di valutazione della sussistenza del “giusto equilibrio” in sede di valutazione della proporzionalità dell’ingerenza statale.

Questa decisione è stata molto dibattuta in dottrina perché sembra segnare un punto di svolta rispetto all’interpretazione che è stata data fino a quel momento al concetto di “bene” ex art. 1, I Prot.: in tutte le decisioni analizzate in precedenza il criterio del contenuto patrimoniale ha avuto la funzione di estendere il campo di applicazione ad ulteriori situazioni soggettive ma in questo caso ci si è spinti fino a “scindere l’aspetto patrimoniale rispetto al titolo giuridico sul bene oggetto di reclamo”59.

4.2. Caso Öneryildiz

Il superamento del criterio della speranza legittima, che prende piede nel caso Beyeler, viene successivamente formalizzato nel caso

Öneryildiz60 dove per la prima volta la Corte utilizza il termine

“tolleranza implicita” curandosi di dare maggiore specificazione al fondamento dell’interesse patrimoniale protetto dalla norma e quindi di dare contezza di quali siano i criteri in base ai quali tale interesse

59 Ibidem

60 Corte, 18 giugno 2002, Öneryildiz c. Turchia e Corte (Grande Camera), 30

novembre 2004, Öneryildiz c. Turchia; per consultare una traduzione italiana di quest’ultima sentenza v. De Salvia M, Zagrebelsky V. (a cura di), coordinato da Marinella Fumagalli Meraviglia, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, cit. pag. 929.

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possa qualificarsi come “riconosciuto” all’interno dell’ordinamento statale. È stato rilevato infatti61 come la precedente sentenza non si sforzi di dare una precisa qualificazione alla posizione giuridica del ricorrente che viene fatta rientrare nel campo di applicazione della tutela convenzionale, né di spiegare quale sia il suo fondamento.

Il caso Öneryildiz riguarda una situazione di abitazione abusiva nella baraccopoli situata nei pressi di una discarica nel quartiere di Kazim Karabekir a Ümraniye, distretto di Istanbul, posta in essere da parte del ricorrente e della sua famiglia; il 28 aprile 1993, a seguito di un’esplosione di gas metano e del conseguente smottamento del terreno provocato dalla pressione, una dozzina di baracche fu seppellita dai rifiuti causando la morte di nove membri della famiglia del ricorrente. Oltre ad invocare la lesione del diritto alla vita ex art. 2 della Convenzione, si è lamentato una violazione del diritto al rispetto dei beni per tutto ciò che attiene ai danni economici derivanti dall’incidente.

La Camera62 ha dapprima stabilito che il terreno occupato fosse di proprietà del Tesoro pubblico e che quindi il ricorrente non potesse vantare alcun diritto su questo bene, in quanto la situazione di occupazione pluriennale non è sufficiente a fondare un diritto al trasferimento della proprietà.63 Al contrario però la Camera ritiene che la baracca e tutti i beni mobili in essa compresi, rientrassero a pieno

61 V. Padelletti M.L., La tutela della proprietà… cit. pag. 90 e eadem, Il caso Beyeler

di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., pag. 787.

62 Si ricorda che a seguito del Protocollo n. 11, entrato in vigore il 1° novembre 1998

(ratificato dall’Italia con L. 28 agosto 1997, n. 296), il sistema di controllo della CEDU è stato radicalmente trasformato, procedendo alla fusione della Commissione (organo istruttorio) e della Corte (organo d’istanza) in un unico organo: la Corte unica. Nella sentenza della Grande Camera dunque, le decisioni della Camera hanno già statuito sulla controversia, in qualità di giudice di primo grado.

63 Sent. cit. del 2002 par. 140: “le fait pour le requérant d'avoir occupé un terrain

du Trésor public pendant cinq ans environ ne peut s'analyser en un ‘bien’ au sens de l'article 1 du Protocole 1, sachant que rien dans le dossier ne permet de conclure que l'intéressé ait été en droit de revendiquer le transfert de la propriété dudit terrain en vertu de l'article 21 de la loi no 775 (paragraphe 50 ci-dessus) et qu'à ce sujet, les espoirs qu'il a pu nourrir ne jouent point, car l'article 1 du Protocole no. 1 ne vaut que pour des biens actuels et ne garantit pas un droit à devenir propriétaire d'un bien”.

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titolo nella sua proprietà, nonostante la costruzione in contestazione si sia dimostrata contraria alla legge essendo il ricorrente titolare di un “interesse patrimoniale sostanziale” con riferimento ai suddetti beni slegati dal terreno su cui erano situati. Decisivo al riguardo è il fatto che le autorità non avessero mai adottato misure atte ad impedire la costruzione della baracca e il conseguente insediamento delle famiglie, concretizzando a tutti gli effetti un atteggiamento di “tolérance implicite”.

In sede di riesame di fronte alla Grande camera, il Governo fa leva sulla situazione di occupazione abusiva, mai riconosciuta né esplicitamente né implicitamente dal diritto interno, per argomentare l’inesistenza di un interesse sostanziale protetto, il cui riconoscimento avrebbe come effetto quello di sottrarre l’interessato dall’applicazione del diritto interno e a ricompensarlo per la sua condotta contraria alla legge. Il ricorrente da parte sua, da un lato, richiama i comportamenti di tolleranza dello Stato (accompagnati da una serie di proprie iniziative legislative e amministrative) come elemento sufficiente a fondare un’aspettativa di titolarità di un diritto legittimo sui beni contestati e, dall’altro lato, sostiene che la legislazione interna, legge n° 4706/2001, gli avrebbe permesso di acquisire il terreno appartenente allo Stato (nonostante lui non si fosse ancora attivato per farlo) e che questa situazione fondava una speranza legittima di accesso al bene statale.

È d’uopo rilevare come qui, e a differenza del caso Beyeler, la Grande Camera escluda esplicitamente la possibilità di configurare una “speranza legittima” all’acquisto del terreno in quanto non è possibile sapere se il ricorrente avesse all’epoca dei fatti le condizioni formali per avvalersi della legislazione urbanistica sopra citata: il diritto a farsi assegnare il bene non può considerarsi sufficientemente provato da poter creare una legittima aspettativa su di esso. Al contrario la Corte fa leva sul comportamento tollerante delle autorità statali prolungato nel tempo (cinque anni) come indice del loro

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riconoscimento circa la sussistenza di un interesse patrimoniale concernente l’abitazione e i beni del ricorrente e della sua famiglia, indipendentemente dall’irregolarità della situazione di fatto tollerata. Il margine di apprezzamento riconosciuto all’autorità statale circa l’esercizio del potere discrezionale non può essere invocato, ad avviso della Corte, perché questo “non la dispensa dal dovere di reagire in tempo utile, in modo corretto e soprattutto coerente”.

Questa decisione non ha trovato unanimi tutti i giudici della Grande Camera. In particolare, sul punto riguardante l’applicabilità dell’art. 1 alla fattispecie di tolleranza possiamo riscontare due opinioni dissenzienti di pari avviso: il giudice Mularoni sostiene che in questo caso di specie l’art. 1 non debba essere applicato (l’altro giudice dissenziente Türmen si limita a rinviare alle sue conclusioni). Due gli argomenti principali della sua riflessione: il primo di carattere giuridico attiene al fatto che la Corte dopo una lenta elaborazione del criterio della speranza legittima arriva ad individuare la linea di demarcazione tra bene “attuale” e accesso alla proprietà nella possibilità concreta (o meglio probabilità) di acquistare la proprietà su un determinato bene64 qualora non fosse intervenuta l’ingerenza statale; in questo caso però, la situazione di fatto viene posta in essere in violazione delle norme statali e quindi questa ragionevole possibilità di acquisto non è configurabile. La seconda invece guarda agli effetti di questa decisione che ad avviso del giudice Mularoni incoraggerebbero situazioni di abusivismo e di violazione della legislazione urbanistica per il semplice fatto che l’autorità statale abbia tollerato la situazione di fatto per un periodo di tempo (anche non

64 Opinione dissenziente del giudice Mularoni, Caso Öneryildiz: “la notion de bien

[…] elle peut recouvrir tant des ‘biens actuels’ que des valeurs patrimoniales, y compris des créances, en vertu desquelles le requérant peut prétendre avoir au moins une ‘espérance légitime’ d’obtenir la jouissance effective d’un droit de propriété. Toutefois, l’espoir de voir reconnaître un droit de propriété que l’on est dans l’impossibilité d’exercer effectivement ne peut être considéré comme un ‘bien’ au sens de l’article 1 du Protocole no 1”.

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troppo lungo)65 rendendo così più difficile l’azione dello Stato che miri a far rispettare la legislazione suddetta.

Con queste due decisioni, di cui il caso Beyeler fa da trait d’union tra la prassi giurisprudenziale precedente e il caso Öneryildiz che approda definitivamente al criterio della tolleranza implicita, la Corte sembra andare oltre i criteri di individuazione dei beni fino a quel momento utilizzati perché non si limita più a tutelare situazioni già rientranti nella sfera giuridica del ricorrente, o quantomeno che hanno una buona probabilità di rientrarvi, ma inserisce nell’alveo dei beni protetti anche situazioni di fatto riconducibili non a veri e propri diritti ma a interessi che addirittura trovano fondamento nella (seppur tollerata) violazione di norme imperative. L’indirizzo giurisprudenziale sembra trovare ulteriore conferma in una più recente decisione, caso Hamer66, riguardante la demolizione forzata di

un’abitazione costruita senza permesso in una zona forestale non edificabile, in cui la Corte fa discendere la violazione dell’art.1 dall’inattività dell’autorità pubblica che per oltre 25 anni non ha mai contestato l’illegittimità della situazione.

Anche a livello dottrinario la sentenza è stata soggetta a non poche critiche: si è infatti osservato come la scelta della Corte di dare rilievo alla tolleranza non rispetti il principio sulla base del quale la Convenzione protegge diritti concreti ed effettivi (e non ipotetici ed

65 Ancora Mularoni: “Il me semble que la conclusion de la majorité quant à

l’applicabilité de l’article 1 du Protocole no 1 risque d’entraîner des résultats paradoxaux. Je pense par exemple aux magnifiques villas et hôtels bâtis illégalement au bord de la mer ou dans d’autres lieux pour lesquels, aux termes de la législation nationale, la prescription acquisitive ne joue pas ; est-ce que le simple fait que les autorités compétentes ont toléré ces bâtiments pendant cinq ans suffira dorénavant pour soutenir que ceux qui ont construit en toute illégalité ont un grief défendable sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1 ? Cette conclusion rendrait beaucoup plus difficile toute action des autorités (soit au niveau national, soit au niveau local) tendant à faire respecter la loi et la réglementation en matière d’aménagement urbain face, par exemple, à une situation d’illégalité dont elles auraient hérité après une période de gestion par des administrations moins scrupuleuses.”

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illusori)67. E l’effettività del diritto non può essere certamente realizzata tramite un comportamento che viola le norme imperative interne.

Occorre poi aggiungere che, a differenza del criterio della speranza legittima, la tolleranza implicita non è ancora stata oggetto di un’opera di specificazione da parte della Corte, soprattutto con riferimento ai parametri sulla base dei quali valutare il comportamento delle parti (sia lo Stato che il ricorrente) e la rilevanza che assume il trascorrere del tempo durante il quale la situazione di tolleranza perdura. Da qui il rischio di un’applicazione indiscriminata che conduca a risultati “paradossali”. In tal senso c’è chi ha sostenuto che il rischio sia quello di non operare un corretto bilanciamento tra “l’interesse generale della comunità statale e l’interesse individuale”68.