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Altri Paesi hanno adottato delle misure sanzionatorie di “nuova concezione”, che ancora non trovano applicazione nella maggior parte degli Stati europei, vuoi per tradizione giuridica, vuoi per non cadere nell‟incoerenza rispetto al sistema di Private enforcement.

Ad esempio, la configurazione di sanzioni penali come strumento di deterrenza contro determinati illeciti antitrust. Il diritto comunitario non si è pronunciato in proposito, nonostante alcuni Paesi europei si siano avviati sulla strada della criminalizzazione del diritto antitrust, come l‟ Inghilterra, l‟ Irlanda, la Romania e la Slovacchia422

. È difficile stabilire quanto questo rimedio abbia inciso come deterrente da intese o abusi di potere sul mercato. In Italia la violazione delle norme sulla concorrenza non è prevista come reato e quindi non è punita con sanzioni penali e interdittive. È vero che, però, in via di regresso

422

rimane un‟azione di responsabilità dell‟impresa, che ha dovuta pagare un‟ammenda o risarcire i danni, nei confronti del suo dirigente che ha creato l‟illecito antitrust col suo comportamento.

I punitive damages sono previsti nello Sherman Act, nella misura di tre volte il danno provocato al soggetto danneggiato, ma non sono applicati negli Stati europei. Si è sempre dubitato, infatti, che una somma molto elevata rispetto al pregiudizio patrimoniale causato a un soggetto terzo avesse una sua giustificazione nella legge423. Il nostro ordinamento nazionale ritiene che, nel diritto civile, tale obbligazione non sia esigibile da un terzo danneggiato. In Europa ci si attiene al principio secondo il quale il Private enforcement ha una funzione esclusivamente compensativa, quindi si rigettano i punitive

damages.

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A. FRIGNANI, L’insufficienza dei modelli sanzionatori attuali: necessario un

CONCLUSIONI

Aver esaminato il potere sanzionatorio dell‟Antitrust e, soprattutto, le fattispecie sanzionatorie utilizzate al fine di tutelare la concorrenza nel mercato ci ha permesso di comprendere pienamente l‟importanza dell‟attività svolta dall‟Autorità. Non si tratta di un potere dalla mera finalità punitiva, ma essenzialmente di una funzione di regolazione di quanto avviene tra le imprese all‟interno di un mercato concorrenziale ( e che si vuole mantenere tale in futuro) e di deterrenza da illeciti

antitrust. Per questo il legislatore nazionale, e così come lui anche la

maggior parte degli Stati europei, ha deciso che per tutelare l‟iniziativa economica della singola impresa di partecipare in modo paritario al mercato sia necessario consentire all‟AGCM l‟adozione di provvedimenti sanzionatori amministrativi. La sanzione amministrativa è considerata lo strumento più idoneo ed efficace a regolare i comportamenti delle imprese e a determinare la deterrenza da condotte lesive della concorrenza, quali quelle espressamente vietate agli artt. 2, 3, 6 della Legge n. 287 del 1990, vale a dire le intese restrittive della concorrenza, gli abusi di posizioni dominanti e le operazioni di concentrazioni che eliminano o riducono la concorrenza stessa. Proprio perché l‟Autorità garante si trova ad operare in un particolare settore, questa deve utilizzare un mezzo flessibile, quale appunto le misure inibitorie e la sanzione amministrativa, che riesca ad adattarsi alla situazione, presente in un determinato momento, all‟interno del

mercato, anch‟esso sempre soggetto al mutamento. Applicare una sanzione penale, che potremmo a questo punto definire “rigida” a causa delle sue caratteristiche (legalità, tassatività), mal si adegua alle logiche del mercato, che non è mai fermo, inflessibile. Infatti, l‟illecito

antitrust, non essendo qualificato nel nostro ordinamento come reato,

non è punito con sanzioni penali. Nell‟esercizio del suo potere sanzionatorio l‟Autorità garante deve sottostare ai limiti indicati nella legge del 1990 e, nei casi in cui è fatto espresso rinvio, nella legge n. 689 del 1981, di modo che la sanzione amministrativa sia adeguata e proporzionata al caso concreto. Ovviamente, affinché la sanzione pecuniaria possa esercitare la sua funzione sempre più in modo efficace, l‟Authority ha adottato, a seguito dell‟adunanza del 22 Ottobre 2014, le Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di

quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie. Le Linee

Guida, nelle quali sono indicati i principi che l‟AGCM deve utilizzare per la quantificazione delle sanzioni, hanno un ruolo fondamentale per assicurare la trasparenza del procedimento sanzionatorio, dal momento che il processo decisorio viene, così, palesemente reso noto. Inoltre, proprio perché risulta arduo e complesso per l‟Authority accertare, da sola, una condotta anticoncorrenziale all‟interno del mercato, soprattutto quando si tratta di un cartello, il legislatore è intervenuto, da una parte, aumentando i poteri della stessa e, dall‟altra, convogliando verso la strada di cooperazione e collaborazione non solo con le altre

contribuendo alla scoperta di intese o abusi, possono usufruire di alcuni vantaggi, se non addirittura non vedersi applicata la sanzione. Pertanto, ad oggi sussistono anche i programmi di clemenza e l‟istituto degli impegni. Nelle Relazioni sull‟attività sanzionatoria dell‟Antitrust del 2014 e 2015 si afferma che l‟Autorità è stata posta, in questo periodo di crisi, dinanzi ad una triplice sfida : a) continuare ad applicare le regole vigorose dell‟antitrust; b) accrescere la trasparenza e la prevedibilità della propria azione; c) mantenere il necessario grado di flessibilità e pragmatismo per contribuire allo sviluppo del sistema. Sfida che possiamo dire vinta, visto che deterrenza, trasparenza, efficienza sono gli elementi che hanno contraddistinto l‟enforcement antitrust in questi ultimi anni. Necessario per garantire la trasparenza e il corretto utilizzo del potere sanzionatorio è il controllo esclusivo del giudice amministrativo sui provvedimenti sanzionatori dell‟AGCM. Un sindacato che, secondo la dottrina, può definirsi “forte”, nel caso in cui la giurisdizione si estenda al merito permettendo, in questo modo, al giudice di procedere a rideterminare o ad annullare in tutto o in parte la sanzione, ovvero “debole”, nel caso in cui sia solo un sindacato di legittimità. In realtà, oggi, secondo la recente giurisprudenza, la qualificazione del controllo giurisdizionale come dicotomia tra sindacato “forte-debole” è stata superata, ed è preferibile parlare di una giurisdizione piena e forte con riguardo all‟intera giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia antitrust. Infine, si menziona che affianco all‟attività pubblica di repressione delle

condotte anticoncorrenziali si è sviluppato un nuovo strumento, noto come Private enforcement. Attraverso l‟azione di risarcimento del danno, il privato, che ha subito un pregiudizio a causa del comportamento illecito di un‟impresa, può agire in giudizio dinanzi al giudice civile. Dare a tutti coloro che non hanno partecipato all‟illecito

antitrust, ma che ne sono stati danneggiati, la possibilità di esercitare lo

strumento di private enforcement mette in evidenza non soltanto la sua funzione risarcitoria, ma anche la forte capacità deterrente di cui è in possesso, forse più efficace della stessa sanzione amministrativa pecuniaria. Dello stesso avviso risulta essere anche il legislatore comunitario che incentiva l‟utilizzo dei rimedi privati, senza per questo abbandonare l‟attività di Public enforcement, che resta essenziale. Ai sensi del Considerandum 6 della direttiva 2014/104 UE è fondamentale, “per garantire un’efficace applicazione a livello

privatistico (…) e a livello pubblicistico” delle regole di concorrenza,

che i due canali interagiscano tra di loro. Attualmente, il recepimento della direttiva in Italia è in fase avanzata, dal momento che il 9 Luglio 2015 è stata approvata la Legge n. 114, c.d. Legge Madia, con la quale il Parlamento ha delegato il Governo di adottare determinati decreti legislativi, tra i quali anche la direttiva sulle azioni di risarcimento del danno.

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