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Gli ambiti del design

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 157-161)

Il riposizionamento tecnologico del diritto

5.1. Gli ambiti del design

Abbiamo già avuto modo di ricordare in precedenza (§ 1.4.1), l’opera del pre- mio Nobel statunitense Herbert Simon, il quale, fin dalla prima edizione de Le

scienze dell’artificiale nel 1969, lamentava lo stato di abbandono, teoretico e acca-

demico, in cui versava la “scienza del design”. Con le parole di Simon, “rispetto alle norme prevalenti, la rispettabilità accademica esige che le materie trattate debbano essere intellettualmente robuste, analitiche, formalizzabili ed insegnabili. Nel passa- to, molto, se non la maggior parte, di ciò che sapevamo attorno al design e le scienze artificiali era intellettualmente sommesso, intuitivo, informale e artigianale” (ed. 1996: 112).

Questo stato di arretratezza, a giudizio di Simon, avrebbe cominciato a essere superato a partire dalla metà degli anni settanta del secolo scorso, con la fondazione del Design Research Center presso la Carnegie Mellon University. Oltre alle ragioni istituzionali di un piano carriera del settore, c’era però anche un motivo scientifico alla base dell’irrobustimento della disciplina: il fatto che fosse venuta emergendo e consolidandosi una vera e propria “scienza del design”, s’intrecciava ai progressi dell’informatica e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. “In sostanza, la teoria del design mira ad ampliare le capacità dei computer nel dare aiuto al design, attingen- do ai mezzi della intelligenza artificiale e della ricerca operativa” (Simon 1996: 114). Tuttavia, ancora alla fine dello scorso secolo, era il turno di un giurista america- no, Lawrence Lessig (n. 1961), per stigmatizzare come, malgrado il ruolo cruciale svolto dall’architettura, o “codice”, nel perseguimento di finalità sociali o collettive, i giuristi avessero per lo più riservato la loro attenzione al ruolo svolto dalla legge, dall’economia o dalle norme sociali, nella disciplina dei nuovi ambienti digitali, o cyberspazio. Già fin dal titolo della sua famosa opera, Codice e altre leggi del cyber-

spazio (1999), Lessig mirava invece a rimarcare il ruolo, per molti versi preponde-

rante, dei codici informatici nella regolazione e disciplina dei rapporti individuali. Tra i tanti esempi, si rifletta ancora sull’uso dei DRM (digital rights management), cui si è fatto cenno nel capitolo primo (§ 1.4.3): alla tecnica tradizionale del diritto, come insieme di comandi supportato dalla minaccia di misure coercitive, si affianca – e, per molti versi, subentra – il disegno di ambienti e architetture digitali, fondati su codici informatici, che determinerebbero a priori quello che si può, o non si può fare, nel cyberspazio.

Nel giro di pochi anni a partire dal volume di Lessig, questa linea di ricerca si è estesa a numerosi campi dell’ordinamento giuridico, comprendendo la tutela dei dati personali e il consenso informato, l’usabilità universale dei mezzi informatici e la giustizia sociale, il controllo del crimine e gli strumenti fondati sul design per la implementazione delle politiche sociali, e così via. Sebbene, con la consueta prudenza dei giuristi, il tema abbia tardato ad attrarre l’attenzione degli esperti nel campo del diritto, lo studio dei profili regolativi della tecnologia è diventato progressivamente popolare. Quanto più il processo di ICT-dipendenza delle società odierne si conso- lida, tanto maggiore è il ruolo che il design è chiamato a svolgere, ora, affianco alle consuete forme regolative del diritto, dell’economia o delle norme sociali, ora, in sostituzione delle stesse. Questa popolarità del tema, com’è altrettanto comprensibi- le, ha tuttavia il proprio prezzo, e cioè la difficoltà di orientarsi nella pletora di ri-

cerche incentrate sull’impatto che il design, l’architettura o i codici, hanno nel mondo del diritto.

Come riferito poc’anzi, nell’introduzione del presente capitolo, un primo modo per orientarsi però esiste, e consiste nel seguire le indicazioni di un noto designer come Norman Potter. In Cos’è un designer, la cui prima edizione appare significati- vamente lo stesso anno de Le scienze dell’artificiale di Simon (1969), Potter consi- gliava di distinguere tra “design di prodotto (oggetti), design ambientale (luoghi) e design di comunicazione (messaggi). Sono categorie entro le quali sfumano ulteriori e necessarie distinzioni (come per esempio la differenza tra il design di attrezzature industriali e quello di prodotti di dettaglio destinati al mercato locale) ma rappre- sentano comunque un valido punto di partenza” (Potter ed. 2010: 4).

Seguendo i consigli dello studioso inglese, inoltriamoci nello studio giuridico del design.

5.1.1. Prodotti

La prima classe di variabili della nostra indagine sul design giuridico è forse quella con la quale i lettori hanno maggiore dimestichezza: il design dei prodotti come il vostro smartphone o tablet, il design delle automobili, dei frigoriferi e via dicendo. Esiste in materia una letteratura sterminata; ma, per i lettori interessati, mi limito a segnalare un volume dello psicologo e scienziato americano Donald Nor- man (n. 1935), Il design delle cose quotidiane, apparso nel 1988, dalla copertina ge- niale: una caffettiera disegnata in modo tale che, comunque vogliate versare il caffè, non potrete che rovesciarvelo addosso!1.

Oltre al disegno degli oggetti della vita quotidiana, abbiamo anche il disegno di processi, più che di prodotti: ad esempio, il disegno di una linea di montaggio indu- striale robotizzata. A partire dai primi esperimenti nel settore manifatturiero e au- tomobilistico, come nel caso dell’UNIMATE robot introdotto dalla General Motors nei suoi impianti del New Jersey nel 1961, si pensi a come, neanche vent’anni dopo, l’industria automobilistica giapponese abbia rivoluzionato il settore, ridisegnando le linee di produzione, abbattendo i costi e migliorando la qualità delle proprie mac- chine, tramite l’introduzione di robot su larga scala (Pagallo 2013: viii).

Ma, che dire del design giuridico dei prodotti e dei processi produttivi?

Anche qui, per cominciare a cogliere la complessità del tema, basti un esempio: si tratta dei sistemi informativi negli ospedali che devono trattare i dati dei pazienti in modo tale che, tra le altre cose, il loro nome sia separato dai dati relativi ai trat- tamenti medici o al loro stato di salute. Fin dal documento del 2009 sul “futuro del- la privacy” (doc. WP 168), le Autorità garanti europee hanno raccomandato, in os- sequio ai principi della controllabilità e confidenzialità relativa al trattamento dei dati, che gli identificatori biometrici “devono essere messi sotto il controllo degli interessati (tramite tessere elettroniche, ad esempio), piuttosto che custodite in ban- che dati esterne” (op. cit., § 52, p. 14).

1

La traduzione italiana del volume, non a caso, suona La caffettiera del masochista. Psicopatologia

Tuttavia, il design degli oggetti non riguarda soltanto processi e prodotti artifi- ciali perché, a ben pensarci, esso coinvolge anche gli organismi biologici. È il caso di piante o animali geneticamente modificati (OGM), come avviene con i salmoni nor- vegesi che, penso, qualche lettore avrà certamente addentato. Ai fini giuridici, il ri- ferimento va, in questo contesto, a tutte le disposizioni normative che disciplinano il settore, come nel caso della direttiva 18 del 2001 in Europa.

Infine, un richiamo va all’odierno dibattito sul post-umano e i cyborg, vale a dire la possibilità stessa di ridisegnare l’organismo umano. Si tratta di un tema estrema- mente popolare nei film di fantascienza, come nell’esempio di Minority Report (2002), in cui il protagonista, Tom Cruise, è costretto a comprare al mercato nero un paio di bulbi oculari per sfuggire alla cattura del nemico. Sebbene, come noto agli esperti di bioetica, alcuni di questi scenari vadano tramutandosi in realtà, possiamo nondi- meno tralasciare l’argomento in questa sede.

5.1.2. Ambienti

La seconda serie di variabili della nostra indagine riguarda il disegno degli ambien- ti, ossia dei luoghi e degli spazi in cui viviamo e interagiamo. Nell’era predigitale, un esempio di scuola era dato dai ponti di Long Island, costruiti in modo tale da bloccare il transito degli autobus verso New York City. Al giorno d’oggi, conviene piuttosto fare attenzione alla progettazione di luoghi quali gli aeroporti, i centri commerciali o la rete autostradale, che, tempo addietro, un etnologo e antropologo francese, Marc Augé (n. 1935), ha sintetizzato con l’espressione di “non luoghi”. In contrapposizione agli spazi identitari, relazionali e storici, il disegno di questi nuovi ambienti corrispon- derebbe ai fenomeni contemporanei della massificazione, dell’anonimato e della soli- tudine; ambiti a cui, peraltro, si accede paradossalmente, solo fornendo la prova della propria identità con il passaporto o la carta di credito (Augé ed. 2009).

Senza entrare nel merito di quest’ultima analisi, tuttavia, andrebbe aggiunto co- me la tecnologia sia andata trasformando gli stessi tradizionali luoghi storici della relazionalità e degli spazi identitari. Basti far caso all’uso dilagante delle telecamere di sorveglianza a circuito chiuso (CCTV), per cui, dalle strade alle piazze, dagli stadi all’università, dai musei alle banche, la ripresa automatizzata di sempre più vasti spazi, pubblici e privati, sta mutando, in modo anche drammatico, la natura stessa delle città. Si tratta di una evoluzione del design ambientale che va di pari passo con esigenze di natura giuridica, dato che lo scopo del monitoraggio permanente delle persone e delle cose si giustifica con il fine di garantire la sicurezza negli aeroporti, nelle metropolitane, nelle stazioni, nei parcheggi, ecc. Sebbene rimanga il problema di appurare empiricamente l’effettività dei dispositivi CCTV nel prevenire o repri- mere il crimine, non è detto, poi, che non esistano accorgimenti per tutelare i diritti delle persone: nel documento sul futuro della privacy, richiamato nel paragrafo pre- cedente, le Autorità garanti europee, ad esempio, hanno suggerito di progettare i sistemi di videosorveglianza nella rete dei trasporti pubblici, in maniera tale che le facce degli individui non siano riconoscibili. Siccome, però, avremo modo di torna- re sulla questione nella seconda parte del presente volume in tema di tutela dei dati personali e della privacy informazionale, sia sufficiente, per ora, questi brevi cenni al tema dell’impatto del design ambientale.

5.1.3. Messaggi

L’ultimo insieme di variabili sugli ambiti del design, dopo i prodotti e gli am- bienti, concerne il design dei messaggi o della comunicazione. Il settore in cui tale forma di design la fa da padrona, è certamente quello della pubblicità e della pro- paganda politica; anche se, bisognerebbe aggiungere, il principio si applica pure ad alcuni convegni internazionali, in cui lo spazio per molte relazioni è spesso ridotto al lasso di un quarto d’ora. Qui, se mai ci fosse qualche buona idea in una relazione, la si dovrebbe pur sempre poter stampare come messaggio succinto su una t-shirt!

Anche nell’ambito della comunicazione, il ruolo della tecnologia è determinante: prova ne sia le peripezie di una nota piattaforma sociale quale Facebook, a proposi- to dei termini di servizio e controlli sulla privacy. Tra i tanti casi possibili, basti se- gnalare come, nel febbraio 2009, Facebook avesse annunciato la propria intenzione di modificare i termini di servizio, rivendicando la proprietà sui materiali, quali foto e video, postati sul sito, salvo poi fare marcia indietro pochi giorni dopo, a causa della protesta degli utenti. Significativamente, un anno dopo, nel maggio 2010, Fa- cebook comunicava di aver “drasticamente semplificato e migliorato i propri con- trolli sulla privacy” che, prima, prevedevano ben 170 opzioni differenti con 50 pos- sibili configurazioni del sistema. Il flusso dei messaggi veniva pertanto ridisegnato in modo tale da registrare soltanto il nome, profilo, genere e reti sociali dell’utente, mentre gli “amici” non sarebbero stati più inclusi automaticamente nel flusso di in- formazioni e, a loro volta, le applicazioni della piattaforma, come i giochi, avrebbero potuto finalmente essere disattivate. Nel novembre 2012, tuttavia, Facebook cam- biava nuovamente avviso, mettendo mano sia alla propria normativa sull’utilizzo dei dati, sia alla dichiarazione dei diritti e delle responsabilità con cui, in pratica, si pri- vava gli utenti del diritto di voto che era stato fin lì riconosciuto per determinate materie della piattaforma sociale.

Senza dover ulteriormente esaminare il regime giuridico del sito, il caso di Fa- cebook è però particolarmente istruttivo per cogliere la specifica complessità del design relativo ai messaggi, o comunicazione.

In primo luogo, dal piano informativo cui si è fatto cenno nel capitolo secondo (§ 2.1), siamo passati al piano comunicativo dei messaggi tra un emittente e un rice- vente che, a sua volta, reagisce a tali messaggi secondo l’effetto di retroazione o

feedback (su cui ancora § 2.3.1, in tema di cibernetica giuridica).

In secondo luogo, l’accento va posto sul disegno del mezzo attraverso il quale si at- tua la comunicazione. Lungi dall’essere un semplice strumento, il medium, secondo la celebre definizione del sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980), è esso stes- so il messaggio, nel senso che piega a sé, o ricurva, il contenuto di ciò che il mittente intende comunicare. Al lettore scettico, basti ricordare la distanza che passa tra manda- re un sms, un whats-app o una mail, tra una telefonata tradizionale e una via Skype.

In terzo luogo, è il caso di adottare un approccio olistico e, cioè, di inquadrare l’insieme degli emittenti e dei riceventi, secondo il feedback, il medium e i contenuti dei messaggi tramite un design istituzionale. Ancor più della dichiarazione dei diritti e delle responsabilità in Facebook, il richiamo va all’opera dei padri fondatori sta- tunitensi (§ 3.1.3.1); così come alle difficoltà d’intendere quale sia mai il disegno istituzionale dell’Unione europea (§ 4.3.2.1). Si tratta dei temi che abbiamo anche

affrontato dal punto di vista degli equilibri interni all’odierna governance, tra rap- presentanza politica e decisioni giuridiche (§ 3.4.3); che, in quel contesto, abbiamo svolto in chiave procedurale.

In questa sede, per approfondire ulteriormente la questione e capire in che modo la rivoluzione tecnologica stia incidendo, per il tramite del design, sugli ordinamenti contemporanei, occorre dedicare speciale attenzione al secondo osservabile della no- stra analisi; e chiedersi, dopo gli ambiti del design, quale possa esserne lo scopo.

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 157-161)