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Il tecno-determinismo

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 45-47)

Il riposizionamento tecnologico del diritto

1.2. Il tecno-determinismo

Le tesi del tecno-determinismo possono essere introdotte con il paradosso del fi- losofo Zenone di Elea (489-431 a.C.), a proposito di Achille e la tartaruga, ma a ruo- li rovesciati. Nella versione originale, il paradosso consiste nel fatto che il pie’ veloce Achille non è mai capace di raggiungere la tartaruga nella corsa alla quale egli viene sfidato: infatti, concessa alla simpatica testuggine un piede di vantaggio, quando Achille avrà raggiunto il luogo in cui si trovava precedentemente il rettile (L1),

quest’ultimo, per quanto poco, sarà pervenuto al punto L2; e tuttavia, per raggiun-

gere L2, Achille avrà bisogno di un ulteriore lasso di tempo, durante il quale la tarta-

ruga si sarà intanto spostata fino a L3; e così via, all’infinito.

Nella versione del tecno-determinismo, invertite le parti in commedia, Achille è la tecnologia, e la tartaruga il diritto: per quanto legislatori, giudici o giuristi inten- dano imbrigliare l’evoluzione della tecnica, come già avvenuto ai tempi di Galileo Galilei (1564-1642), la corsa della tecnologia sarebbe troppo imperiosa e potente, per poter essere fermata da una semplice sentenza o editto. Questa opinione, estre- mamente popolare ancora ai nostri giorni, trova il favore di avvocati illustri e in- fluenti: ad esempio, un distinto ricercatore di Carnegie Mellon ha dichiarato che i robot presto soppianteranno gli umani sulla terra e, anzi, la nostra specie dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sulla possibilità di finire miseramente estinta (Mo- ravec 1999). A sua volta, l’inventore e futurista americano Ray Kurzweil, oggi al la- voro come capo ingegnere presso Google, ha tratteggiato un imminente avvenire in

The Singularity is Near, per cui, attraverso i progressi dell’intelligenza artificiale e la

robotica, un’intelligenza di gran lunga superiore a quell’umana è destinata a emer- gere da qui al 2045 (Kurzweil 2008). Insomma, l’idea è che sia possibile cogliere le leggi secondo cui gli uomini sono venuti impiegando i mezzi della tecnica nel corso di centinaia di migliaia d’anni, ossia, come visto nell’introduzione di questo capito- lo, dagli ominidi di 2001 Odissea nello spazio all’odierna rivoluzione tecnologica. Come si perita di spiegare a sua volta Kevin Kelly in Quello che vuole la tecnologia (2011), bisogna in fondo arrendersi all’evidenza e ammettere che “maggiore il nu- mero dei tratti isotopici che osserviamo in una data forma tecnologica, maggiore la sua inevitabilità e convivialità”. E pertanto, che forza mai avranno le leggi del diritto di fronte alle leggi della tecnologia?

A ben vedere, innanzi alle tesi del tecno-determinismo e le sue varianti, non è certo il caso di negare l’innegabile, sottovalutando le caratteristiche peculiari del no- stro oggetto di studio. Nel corso degli ultimi anni, è altamente significativo che gli

scienziati siano venuti discutendo dell’impatto tecnologico sull’ambiente in cui vi- viamo in termini di “antropocene”. Secondo il neologismo coniato dal biologo Eu- gene Stoermer e ripreso nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, la formula designa l’odierna era geologica in cui l’homo technologicus andrebbe anno- verato tra le principali concause dei nuovi equilibri climatici e strutturali del piane- ta. Anche in quest’ultimo caso, però, andrebbe segnalato il ruolo che le istanze cul- turali, le decisioni politiche e finanche i meri pregiudizi ideologici giocano al ri- guardo. Basta far caso, in tema di riscaldamento globale, al peso che hanno avuto le tesi negazioniste del quarantatreesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Geor- ge W. Bush (n. 1946), nel primo decennio del XXI secolo.

A ribadire, contro ogni determinismo, la tensione dialettica esistente tra gli effet- ti regolativi della tecnica, il diritto e la società, basterebbe del resto riprendere la nu- trita schiera di studi che, sin dal titolo dei rispettivi contributi, insiste su questa inte- razione: “la conformazione sociale della tecnologia” (Mackenzie e Wajcman 1985), “la costruzione sociale dei sistemi tecnologici” (Pinch e Bijker 1987), i “valori nella tecnologia” (Brey 2010), e via discorrendo.

Ma, tornando al diritto, conviene segnalare sin d’ora alcune famose decisioni giudiziarie in tema di tecnologia: ad esempio, nel caso Sony vs. Universal City Stu- dios discusso, nel 1984, davanti alla Corte suprema di Washington, i giudici costitu-

zionali erano chiamati a stabilite se la produzione e vendita dei video-registratori

Betamax (poi soppiantati dalla tecnologia VHS) fossero legittime. Del pari, si pensi

all’opinione della Corte nel caso Grokster, nel 2005, dove la tecnologia messa questa volta in discussione riguardava i sistemi per la condivisione dei file sulla rete di in- ternet, noti come peer-to-peer (P2P). Ma che dire degli Aztechi, i quali, pur essendo a conoscenza della ruota, pensarono bene di non doversene servire per la costruzio- ne delle proprie piramidi?

In sintesi, ciò che preme rimarcare con questi cenni a esperienze così distanti e disparate come le sentenze degli justices di Washington o la cultura Nahuatl domi- nante in Mesoamerica, è il complesso intreccio di principi e regole del diritto, istan- ze culturali e processi tecnologici. Lungi dal poter essere concepito come semplice rapporto unidirezionale, stante il quale la tecnologia appare la causa di effetti in senso lato sociali, bisogna prestare attenzione alle diverse forme in cui le istanze so- ciali possono a loro volta incidere su tempi e forme del progresso tecnologico. In fondo, se la Corte suprema americana avesse deciso altrimenti sulla legittimità costi- tuzionale dei video-registratori o dei sistemi per la condivisione file in peer-to-peer, la storia sarebbe stata semplicemente diversa. Inoltre, anche a séguito della sentenza di costituzionalità della tecnologia P2P, è significativo il fatto che gli sviluppatori di questa tecnologia abbiano pensato bene di progettarla in modo ulteriormente de- centrato (Glorioso e al. 2010; Pagallo e Ruffo 2012).

Sulla base di queste considerazioni, non bisogna naturalmente rovesciare i ter- mini del rapporto, quasi a ricadere nella tesi eguale e contraria a quella sostenuta dal tecno-determinismo. Piuttosto, a confermare la tensione dialettica esistente tra gli effetti regolativi della tecnica e il repertorio sanzionatorio del diritto, valga un ulteriore esempio, che sarà approfondito nel prossimo paragrafo, che riguarda un po’ tutti noi, avendo a che fare con la produzione e uso dell’amianto.

1.2.1. Un controesempio

In un libro apparso nel 1980, The Social Control of Technology, David Collin- gridge metteva in risalto il dilemma cui dà spesso luogo lo sviluppo della tecnica, tra la conoscenza del possibile impatto sociale di una data tecnologia e la capacità di incidere su questo medesimo impatto. “Quando il mutamento è semplice, il suo bi- sogno non può essere previsto; quando il bisogno di tale mutamento è ovvio, esso diventa costoso, difficile e porta via molto tempo” (op. cit.). Come esempio di que- sto dilemma, più spesso noto come “dilemma di Collingridge”, basti pensare al caso dei clorofluorocarburi (CFC), vale a dire il fluido refrigerante nei cicli frigoriferi a compressione, in uso a partire dall’inizio degli anni trenta dello scorso secolo. A causa della dannosità per lo strato di ozono nella stratosfera per via dell’uso del clo- ro, l’impiego di questo fluido venne definitivamente bandito soltanto dopo oltre mezzo secolo, ossia con l’accordo internazionale, detto “protocollo di Montreal”, siglato nel 1990.

Quattro anni più tardi, con l’accordo generale sulle tariffe e sul commercio in- ternazionale (GATT), che avrebbe condotto alla creazione dell’organizzazione mon- diale del commercio (WTO), il trattato prevedeva, all’articolo XX, alcune eccezioni alle clausole sul libero scambio, addossando però l’onere della prova sullo stato che intendesse far valere tali eccezioni a tutela della salute dei propri cittadini. Nel di- cembre 1996, il governo francese approvava così un decreto con cui si vietava l’uso di (prodotti contenenti) amianto, bandendone altresì l’importazione. Di lì a un anno e mezzo, il 28 maggio 1998, il Canada iniziava le consultazioni con l’allora Comuni- tà europea, al fine di stabilire se il bando francese dell’amianto crisotilo fosse com- patibile con le clausole dell’articolo XX (b) del GATT, note come barriere tecniche al commercio (TBT). Non addivenendosi a un accordo, la disputa finiva in tribuna- le: il 18 settembre 2000, il Panel del WTO dava torto al governo francese, ritenendo che il suo decreto non rientrasse nell’ambito delle eccezioni TBT. Poco dopo, il 12 marzo 2001, l’organo d’appello WTO censurava però la sentenza di primo grado: non soltanto “non è stato dimostrato che la proibizione dell’amianto e di prodotti contenenti amianto siano in contrasto con gli obblighi che le Comunità europee hanno assunto con gli accordi WTO”, ma l’organo d’appello cassava “l’opinione del Panel che le eccezioni TBT non si applichino al decreto francese che vieta l’uso dell’amianto e di prodotti contenenti l’amianto, stabilendo che dette eccezioni TBT legittimino il decreto francese, considerato nel suo insieme” (si v. Pagallo 2013: 150).

Senza dover semplicemente rovesciare le tesi del tecno-determinismo, ecco dun- que un esempio del modo in cui il diritto come meta-tecnologia ha consentito agli europei di non essere costretti a importare o far uso di prodotti contenenti amianto.

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 45-47)