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Le forme dell’emergenza

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 70-85)

Il riposizionamento tecnologico del diritto

2.2. Le forme dell’emergenza

Il secondo osservabile dell’indagine sul diritto, tra complessità e informazione, concerne la nozione di “emergenza”. Come suggeriscono svariate lingue, come l’in- glese, che distingue tra “emergency” ed “emergence”, bisogna tenere separate due accezioni del lemma. Nel caso dell’emergenza come emergency, si tratta dell’ipotesi più familiare al lettore italiano, trattandosi di emergenza come stato di crisi e urgen- za, cui corrispondono di solito poteri straordinari. Forse la più nota (e discutibile) definizione al riguardo è quella del giurista tedesco Carl Schmitt (1888-1985), se- condo il quale “sovrano è colui il quale decide dello stato di eccezione”. Siccome, però, questa prima accezione ci ricondurrebbe al livello d’astrazione d’IPR-Info2, possiamo tralasciarla in questa sede.

Nel caso dell’emergenza come emergence, invece, il riferimento va alle forme in cui gli ordini giuridici emergono, appunto, dalla complessità dell’esperienza. Tra le forme tradizionali secondo cui i giuristi hanno mirato a catturare il fenomeno, si pensi sin d’ora agli usi e alle consuetudini, fonti del diritto che non dipendono da un atto di volontà ma, piuttosto, rinviano all’interazione spontanea dei soggetti. In termini più generali, questa forma d’emergenza si ritrova nella distinzione, ancor oggi popolare, tra ordinamenti giuridici consuetudinari, come il common law ingle- se, e gli ordinamenti di civil law del continente europeo. In termini filosofici, questa distinzione è stata ulteriormente raffinata dal ricordato economista viennese Frie- drich Hayek, nella sua opera di filosofia del diritto La società libera (1960; tr. it. 1999); e, soprattutto, nei tre volumi di Legge, legislazione e libertà (1973-1979; tr. it. 1986).

Da un lato, Hayek riassume con il termine di “taxis” tutte le tradizionali fonti at- to dell’ordinamento, ossia la legislazione e ogni forma di costruttivismo politico. Trattandosi dell’insieme delle regole volte a determinare il modo di essere di altre entità nel diritto, tralasciamo, come detto, il ruolo che la taxis come IPR-Info 2 svolge in questa sede.

D’altro canto, Hayek designa come “kosmos” le fonti fatto del diritto, vale a dire le forme di emersione degli ordini spontanei come la consuetudine e gli usi. A diffe- renza della taxis, dove il diritto può essere convenientemente rappresentato come frutto della progettualità politica degli uomini, della loro volontà, il diritto come

kosmos va invece colto all’interno del percorso evolutivo della nostra specie.

Riportando questa distinzione ai temi della complessità e del diritto come siste- ma informativo, la differenza tra taxis e kosmos è cruciale. Con le parole di Hayek, “gli ordini spontanei non sono necessariamente complessi, ma a differenza delle de- liberate sistemazioni umane, essi possono possedere qualsiasi grado di complessità. Una delle principali tesi che cercheremo di dimostrare sarà che gli ordini molto com- plessi, che comprendono più fatti particolari di quelli che qualunque cervello è in grado di accertare e manipolare, possono essere raggiunti solo mediante il gioco delle forze che portano alla formazione degli ordini spontanei” (Hayek ed. 1986: 53).

Su queste basi, possiamo approfondire il secondo osservabile dell’analisi con due variabili, come illustrato dalla seguente figura:

Figura 8: Emergenza, evoluzione e ordini spontanei

A continuazione, in § 2.2.1, l’attenzione sarà incentrata sulla prima variabile del secondo osservabile della figura 8: riprendendo l’approccio evolutivo di Hayek, avremo modo di approfondire le avventure dell’homo technologicus introdotte nel § 1.1.

Dopo di che, in § 2.2.2, vedremo come si formano gli ordini spontanei, facendo ricorso alla metodologia della teoria delle reti. Questa prospettiva consentirà di met- tere a fuoco alcuni dei più affascinanti fenomeni d’ordine spontaneo emersi negli ultimi tempi, vale a dire i “mondi piccoli” d’internet (§ 2.2.2.1). Non è forse sempre la complessità la scienza della sorpresa?

2.2.1. L’evoluzione cosmica di Hayek

Per cogliere la nozione hayekiana di evoluzione cosmica, la questione prelimina- re da affrontare è quella della sopravvivenza e adattamento della specie all’ambien- te. Al pari delle considerazioni che Socrate sviluppa nella Repubblica a proposito della polis primitiva (v. § 1.1), ogni organizzazione volta a questo fine essenziale – attraverso la divisione del lavoro, il mercato, la moneta … – è il risultato di un percorso evolutivo che seleziona le strategie di adattamento. “Pertanto la società può esistere solo se, mediante un processo di selezione, si sono evolute delle regole che conducono gli individui a comportarsi in modo tale da rendere possibile la vita sociale” (Hayek 1986: 59). In ragione di questo processo evolutivo, la società “nel breve spazio di meno di ottomila anni” è venuta progredendo dalle comunità di nomadi cacciatori agli agricoltori, fino alla vita cittadina vera e propria, la cui realiz- zazione è iniziata “forse meno di tremila anni o di cento generazioni fa” (op. cit., 74). Le regole mediante le quali gli uomini hanno imparato ad adattarsi al proprio ambiente, non dipendono perciò da una volontà o progetto consapevole: piuttosto, le norme si presentano innanzitutto come il prodotto spontaneo, ossia non pro- grammato, dell’interazione umana. Da questo punto di vista, “la posizione sostenuta in questo libro sarà quindi presentata probabilmente dai positivisti come una teoria del diritto naturale” (Hayek 1986: 258).

Questa particolare dimensione spontanea dell’esperienza trova conferma nella natura dinamica ed evolutiva della mente umana. Per dirla ancora con il nostro filo- sofo, “la mente è il risultato di un adattamento all’ambiente naturale e sociale in cui l’uomo vive, e che si è sviluppata in costante interazione con le istituzioni che de- terminano la struttura della società. La mente è tanto un prodotto dell’ambiente so- ciale in cui è avvenuta la sua crescita, quanto qualcosa che a sua volta ha influenzato e modificato le istituzioni della società” (op. cit., 25). Concependo l’esercizio dell’in-

telligenza e della comprensione come sistemi che mutano di continuo, come risposte alle sfide e alle sollecitazioni dell’ambiente – per cui alcuni modi di agire prevalgono sugli altri in ragione del loro maggiore successo – la conseguenza è che l’ordine dell’interazione tra gli individui non è il risultato cui giunge l’intelligenza teorica uma- na, essendo piuttosto la condizione dello sviluppo della mente medesima: “L’uomo non ha adottato nuove regole di condotta perché era intelligente. È diventato intelli- gente sottomettendosi a nuove regole di condotta” (Hayek 1986: 542).

In opposizione alle visioni costruttivistiche delle istituzioni che fanno leva sulla volontà e progettualità umana, Hayek insiste sul fatto che, attraverso il consolida- mento dei costumi e delle consuetudini – come conferma il caso dell’economia, con il mercato o la moneta – anche il diritto sorge come fenomeno originariamente spontaneo e, cioè, non intenzionale. La successiva teorizzazione delle regole che hanno consentito agli uomini di adattarsi all’ambiente naturale e sociale, non deve in altri termini far dimenticare che l’ordine spontaneo rappresenta la condizione primaria per la istituzionalizzazione delle relazioni tra gli individui. Ancora una vol- ta con le sue parole, “la storia del diritto propriamente detta inizia ad uno stadio troppo avanzato dell’evoluzione per gettare luce sulle origini […] Gli individui hanno imparato ad osservare (e a sanzionare) regole di condotta molto prima che tali regole potessero venir espresse in forma verbale” (Hayek 1986: 96).

Al pari dei più illustri esponenti della tradizione classica del diritto naturale, co- me Platone o Aristotele, l’intento di Hayek non è stato tuttavia quello di negare che il diritto sia anche il prodotto della volontà dell’uomo. A più riprese in Legge, legi-

slazione e libertà, egli ammette l’esistenza di “due modi in cui un ordine può avere

origine” (op. cit., 50); e, anzi, che quel tipo di organizzazione chiamato “governo” sia indispensabile alla società (op. cit., 62-63).

Nondimeno, la tesi che Hayek difende è che, nonostante le apparenze, gli ordini posti in essere scientemente dal legislatore, secondo il modello costruttivistico messo a punto a partire dalla filosofia giuridica di Hobbes, danno luogo a ordini relativamente semplici o con “moderati gradi di complessità”. La mente umana è infatti capace di fronteggiare soltanto una piccola parte dell’informazione richiesta per disciplinare l’interazione sociale. L’ordine che emerge spontaneamente con il kosmos, le consue- tudini o gli scambi economici, è perciò assai più complesso di quanto l’uomo riesca a calcolare o a gestire artificialmente, poiché “il suo grado di complessità non è limitato da quanto la mente umana è in grado di padroneggiare” (Hayek 1986: 53).

Si tratta pertanto di indagare a continuazione come sorgano, e funzionino, tali ordini spontanei.

2.2.2. La formazione degli ordini spontanei

Gli esempi d’ordine spontaneo sui quali ha attratto l’attenzione Hayek sono quelli classici delle consuetudini giuridiche e del mercato economico con le loro in- terdipendenze, secondo ciò che gli è valso del resto il Nobel nel 1974. Da un punto di vista giuridico, il richiamo alle consuetudini solleva tuttavia un duplice ordine di problemi: innanzitutto, viene spesso ammesso che le consuetudini rappresentino la fonte primigenia o originaria delle istituzioni che, tuttavia, con l’evolvere del diritto, sarebbe stata soppiantata dalla fonte del diritto legislativo. L’appunto sarebbe con-

fermato dall’esempio del diritto internazionale a base consuetudinaria, fondato cioè sulla seconda legge hobbesiana di natura per cui “bisogna stare ai patti” (pacta sunt

servanda). Questo fondamento, infatti, proverebbe la natura poco evoluta, o primi-

tiva, dell’odierno diritto internazionale.

Per evitare questo tipo di dibattito, è forse dunque il caso di illustrare le forme hayekiane d’ordine cosmico sulla scorta di un esempio, quello di internet, e di una teoria, quella delle reti, che Hayek, morto a Friburgo nel marzo 1992, non poteva co- noscere. È soltanto con l’articolo che Steven Strogatz e Duncan Watts pubblicarono sulla rivista Nature nel 1998, che avremmo cominciato a disporre delle opportune len- ti concettuali con cui decodificare i nuovi fenomeni del kosmos. Di cosa si tratta?

Al riguardo, bisogna per prima cosa cominciare a familiarizzarsi con le categorie elementari della teoria delle reti, vale a dire:

i) i nodi della rete, come suoi elementi costitutivi;

ii) i collegamenti tra i nodi, come mezzo proprio d’interazione; iii) il diametro della rete, come distanza media tra i nodi.

Su queste basi, illustrate qui sotto dalla figura 9, è possibile delineare tre diversi modelli di rete che prendono in considerazione il fenomeno della casualità cui si è già fatto cenno con le ricerche di Chaitin (§ 2.1.1):

i) reticolo regolare; ii) reticolo casuale;

iii) reticolo a mondi piccoli.

Rete regolare Rete a mondi piccoli Rete casuale

C = 0  Aumento progressivo di casualità  C = 1

Figura 9: Tre modelli di rete

Nella rete regolare, tutti i nodi hanno lo stesso numero di collegamenti: questo reticolo ha un alto coefficiente di raggruppamento ma un diametro lungo, nel senso che il grado di separazione tra i nodi è alto.

Viceversa, nel reticolo casuale il coefficiente di raggruppamento è basso, dato che molti nodi hanno pochi collegamenti e, tuttavia, il diametro si è di molto accor-

ciato. Ciò dipende dai collegamenti a caso nel reticolo, che riducono esponenzial- mente il grado di separazione media tra i nodi.

In mezzo a questi due modelli, troviamo la rete a mondi piccoli: la sua peculiari- tà consiste nel fatto che, come le reti regolari, i mondi piccoli presentano alti coeffi- cienti di raggruppamento; ma, come le reti casuali, hanno un caratteristico diametro accorciato. Ciò significa che i nodi richiedono mediamente pochi passi per raggiun- gersi a vicenda. Ad esempio, nel reticolo regolare, ci sono 20 nodi, ciascuno dei qua- li ha 4 collegamenti, per cui il nodo blu (quello più chiaro sulla sinistra) ha bisogno di 5 passi per raggiungere il nodo rosso (quello più chiaro sulla destra). Ciò che è sorprendente con le reti a mondi piccoli è come i collegamenti casuali riducano esponenzialmente il grado di separazione tra i nodi: così, collegando a casaccio solo 3 nodi, il grado di separazione scende da 5 a 3. Questo significa che se immaginia- mo il nostro pianeta come un cerchio avente 6 miliardi di nodi/persone, è sufficien- te che i collegamenti casuali nella rete siano 2 ogni 10 mila, affinché il grado di se- parazione media tra i nodi si attesti a 8. Ma se quei collegamenti fossero 3, allora 5!

Tuttavia, rispetto a questo modello (Watts e Strogatz 1998), un suo fondamentale ingrediente venne messo a punto soltanto nel 2002 da Albert-Lászlo Barabási: egli in- fatti notò che nella maggior parte delle reti nel mondo reale, come la rete d’internet, l’aggiunta continua di nodi si dispone secondo una legge di potenza. Ciò significa che la probabilità di connessione a un nodo determinato dipende dal suo stesso grado di connettività. Questa specie di collegamento preferenziale in un sistema dinamico spiega quanto Watts e Strogatz non avevano notato, e cioè le leggi di potenza in una rete a invarianza di scala. Si tratta delle proprietà secondo cui l’informazione viene ad essere distribuita in un reticolo, indipendentemente dalla dimensione di quest’ultimo. Le reti a mondi piccoli che è dato riscontrare “là fuori”, nel mondo reale, sono infatti contraddistinte da pochi nodi, detti “hub”, con un altissimo numero di collegamenti, mentre la maggior parte dei nodi registra una bassa connettività. È la presenza di que- sti hub che offre la chiave per comprendere come mai le reti a mondi piccoli abbiano alti coefficienti di raggruppamento come le reti regolari e, però, come detto, con un ridotto grado di separazione media tra i nodi, come nelle reti casuali. Le “sotto- comunità” che spontaneamente si determinano nella rete, sono densamente aggregate al loro interno, ma anche connesse tra di loro mediante i hub.

Per chiarire ulteriormente il punto, basterà mettere a confronto due reti con cui il lettore ha una certa dimestichezza; vale a dire, da un lato, il reticolo regolare del sistema di trasporto via terra illustrato, nel caso degli Stati Uniti, dalla figura 10:

D’altro canto, si faccia caso a come cambia il reticolo nel caso del trasporto aereo:

Figura 11: Il reticolo a mondi piccoli del trasporto per via aerea

Giunti a questo punto della nostra incursione nella teoria delle reti, immagino che il lettore abbia capito dove siamo andati a parare: nel corso degli ultimi anni abbiamo accumulato una mole di evidenza empirica che testimonia come il feno- meno dei mondi piccoli sia emerso spontaneamente su internet e nel web 2.0! Non è forse la complessità la scienza della sorpresa?

2.2.2.1. I mondi piccoli di internet

Da oltre dieci anni mi occupo della topologia d’internet e, cioè, dei modi in cui l’informazione fluisce attraverso i nodi di questa rete (Pagallo 2004 e 2005). Poco dopo le scoperte di Barabási sulle modalità a “mondi piccoli” d’internet e nel web dei primi anni duemila, mi avvicinai agli studi di Giancarlo Ruffo e al suo gruppo presso il dipartimento d’informatica a Torino, alle prese con i sistemi di condivisio- ne file peer-to-peer (P2P) (Pagallo e Ruffo 2007; Pagallo e Ruffo 2012). Potete comprendere quale sia stata allora l’emozione di scoprire che, anche nel caso del si- stema P2P Gnutella, la popolarità dei file audio e video nonché il comportamento degli utenti di quella rete si disponevano, ancora una volta, secondo le proprietà dei mondi piccoli! Presenza di hub o super-peer, alti coefficienti di raggruppamento, diametro accorciato e leggi di potenza…

Naturalmente, questo non significa che gli ordini spontanei di internet debbano per forza avere tali proprietà, così come, viceversa, che le proprietà delle leggi di po- tenza emergano soltanto nel mondo della rete. Anzi, dal punto di vista giuridico, è interessante rilevare come sia stato provato che anche il reticolo giurisprudenziale dei circa 26 mila pareri che la Corte suprema nordamericana ha pronunciato dal- l’inizio del 1800 al 2004, presentino tali proprietà (Chandler 2005); risultato che sa- rebbe stato in buona parte confermato dallo studio delle 30288 opinioni maggiori- tarie della stessa Corte tra il 1754 e il 2002 (Fowler e Jeon 2008). Ai medesimi risul- tati, poi, sarebbero giunti altri studi incentrati sui riferimenti interni al codice del-

l’ambiente francese (Boulet e al. 2010), alla Corte di giustizia UE (Malmgren 2011), e alla Corte suprema olandese (Winkels e de Ruyter 2012). In tutti questi casi, fa- cendo salvi i diversi esponenti nella distribuzione della rete e la tara agli errori, si ha un reticolo in cui poche sentenze, pochi articoli, pochi file, ecc., fungono da ponte d’informazione per la gran massa dei nodi che compongono quel sistema. Ripren- dendo il grafico che la società italiana di statistica mette in mostra nel suo sito onli- ne, il risultato è una sorta di “lunga coda” illustrata dalla seguente figura:

Figura 12: La lunga coda

A questo punto, sorge naturale la domanda: per quale motivo il comportamento collettivo che emerge più spesso da vaste reti di componenti individuali, senza alcu- na forma di controllo centralizzato, né semplici regole d’istruzione, assume tuttavia questa fisionomia?

Probabilmente, la risposta va cercata nel fatto che questa sia la forma secondo cui, spontaneamente, si raggiunge l’equilibrio tra l’esigenza di far fronte alla com- plessità dei dati (e delle informazioni) con cui devono fare i conti gli agenti nella re- te, e il modo per ottimizzare la distribuzione dell’informazione all’interno del retico- lo in cui gli agenti si muovono. In forma altamente significativa, questa era stata del resto la tesi che sin dal 1969 aveva proposto il già ricordato Nobel per l’economia Herbert Simon, secondo cui la nozione di “gerarchia” era la chiave per cogliere l’architettura della complessità, oltre all’idea di “sistemi quasi scomponibili” che avrebbe dovuto conciliare gli approcci ‘dal basso verso l’alto’ con quelli verticistici. Con le parole di Simon, “i raggruppamenti ad alta intensità d’interazione nella mappa […] identificheranno una struttura gerarchica piuttosto ben definita” (Si- mon ed. 1996: 186). Più precisamente, secondo l’ipotesi del “mondo vuoto”, l’idea di quasi-scomponibilità denota che “la maggior parte delle cose sarà soltanto de- bolmente connessa a quelle restanti; al fine di una descrizione accettabile della real- tà soltanto una piccola frazione di tutte le interazioni possibili dovrà essere presa in considerazione” (op. cit., 209). Tornando alla distinzione tra reticoli regolari, casuali e a mondi piccoli vista in precedenza, l’ipotesi di Simon sul “mondo vuoto” corri-

sponde così alla nozione di hub, nel senso che questi ultimi nodi non solo rappre- sentano i connettori comuni che accorciano le distanze tra i restanti nodi della rete, ma si accompagnano ai raggruppamenti ad alta intensità d’interazione presenti nella mappa delle relazioni sociali.

Tuttavia, non mancano, va da sé, problemi e questioni aperte: mi limito in questa sede a segnalarne tre. In primo luogo, che il comportamento sociale si auto-organiz- zi spontaneamente attraverso le modalità dei mondi piccoli, e/o mediante leggi di potenza, non garantisce affatto la costanza di tali comportamenti. Valga per tutti l’esempio, per certi versi, emblematico di Wikipedia, la nota enciclopedia in rete. Se il successo del sito è dipeso precisamente da un perno gerarchico sul quale hanno fatto leva i comportamenti spontanei di milioni di persone tra loro sconnesse, ciò nulla dice riguardo al (suo) futuro.

In secondo luogo, che una rete sociale si organizzi spontaneamente secondo le leggi dei mondi piccoli, allo stesso modo nulla dice sulla valutazione che dobbiamo dare di quella medesima rete. Basti dire che, una decina d’anni fa, il programma COPLINK è giunto alla conclusione che anche le reti dei narco-trafficanti si di- spongono secondo le modalità dei mondi piccoli! Per essere più precisi, queste reti hanno “un diametro medio che varia da 4.5 a 8.5 gradi di separazione e possiedono una distribuzione a invarianza di scala con leggi di potenza aventi esponenti da 0.85 a 1.3” (Kaza et al. 2005).

In terzo luogo, dobbiamo fare i conti con l’impatto della rivoluzione tecnologica, senza la quale molti degli esempi di questo paragrafo non sarebbero stati immagi- nabili. Tanto i problemi che i mondi piccoli devono fronteggiare, quanto quelli che essi a volte creano, hanno più spesso una natura complessa, nel senso che investono, appunto, il complesso del sistema entro il quale si danno queste forme di ordine spontaneo. Si tratta di una nuova accezione del termine, dopo quelle di “complessi- tà” in chiave algoritmica e quella esaminata fin qui sulla scia delle considerazioni di Hayek (e di Simon). A questa terza forma di complessità sarà dunque dedicata l’ultima parte del presente capitolo.

2.3. I rischi del sistema

Il terzo ed ultimo osservabile di questo capitolo richiama il concetto di “siste- ma”, per segnalare come la complessità dei problemi con cui gli odierni ordinamen-

Nel documento Il diritto nell'età dell'informazione (pagine 70-85)