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L’amministratore di fatto

Uno degli esempi più ricorrenti del grado di tutela richiesto dall’ordinamento in te- ma di reati economici è la possibilità di estendere il regime di responsabilità penale in capo al c.d. amministratore di fatto, il quale, benché privo della relativa veste formale per mancanza di nomina assembleare, materialmente si ingerisce nella dire- zione dell’impresa sociale184.

Sul punto, la dottrina e la giurisprudenza non hanno mai dubitato di poter individua- re la responsabilità penale di soggetti che, seppur privi di formale investitura, abbia- no commesso reati esercitando i poteri e svolgendo in concreto le attività che conse- guono alla qualifica in oggetto185.

Prima dell’introduzione di una espressa disposizione, un appiglio normativo in gra- do di chiarire il tipo di funzioni facenti capo all’imprenditore di fatto era ricavabile proprio dal settore amministrativo-tributario. In particolare l’art. 62 del d.p.r. 29 set- tembre 1973, n. 600, ancora oggi prevede che “la rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche, quando non sia determinabile secondo la legge civile, è attri- buita ai fini tributari alle persone che hanno l’amministrazione anche di fatto”; così come l’art. 1, comma 4, del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322, che detta le regole generali in materia di redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni per le imposte sui redditi e di Irap, prevede che “la dichiarazione dei soggetti diversi dalle persone fisiche è sottoscritta […] dal rappresentante legale, e in mancanza da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto”.

La soluzione offerta dal diritto tributario è stata recepita dalla giurisprudenza e ap- plicata grazie al principio generale della effettività del diritto penale, in base al quale

ce ad hoc, (per reati a forma vincolata la cui agevolazione colposa non sarebbe punibile in assenza della specifica norma incriminatrice di parte speciale).

183 Nello stesso senso A.ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo

societario: riflessioni e digressioni su struttura, accertamento, limiti, in Studio in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli, 2011, 2136, che specifica come «non si potrà ritenere la responsabilità per

omesso controllo in relazione ad una figura delittuosa dolosa se non si accerterà che l’omissione è stata voluta dal sindaco con dolo».

Potrebbe altresì residuare una responsabilità a titolo di dolo eventuale, limitata, nei reati tributari, alle fattispecie in cui si escluda la presenza del dolo specifico.

184 V. R.FANELLI, La società risponde per la falsa fatturazione dell’amministratore di fatto, in Corr.

trib., 20, 2008, 1624. L’autore evidenzia come sia l’amministratore di fatto ad impartire le istruzioni

agli amministratori ufficiali – meri uomini di paglia o teste di legno – a condizionarne le scelte opera- tive e a trattare direttamente con i terzi. La figura dell’amministratore di fatto potrebbe manifestarsi, inoltre, nei diversi casi di mancata investitura formale della qualifica, oppure quando l’attribuzione sia viziata o sia stata revocata o vi sia stata cessazione o decadenza, cfr., S.GENNAI-A.TRAVERSI, I

delitti tributari, op. cit., 26.

l’accertamento della responsabilità deve prendere in considerazione la situazione re- ale in luogo di etichette formali186.

Per i reati commessi da soggetti cui la legge attribuisce specifiche funzioni – come quelle di gestione tipiche del diritto societario – non rileva già il dato formale degli incarichi ricoperti, bensì l’effettivo e concreto esercizio degli stessi.

L’impiego del principio di effettività, quindi, è scelta obbligata in situazioni in cui sarebbe sufficiente, per il vero artefice delle scelte imprenditoriali, spogliarsi della qualifica formale per attribuirla, fintamente, ad altri evitando di incorrere così nelle conseguenze penali connesse all’esercizio dell’impresa.

La dottrina si è più volte soffermata sugli indizi che rivelano l’esistenza del c.d. amministratore di fatto:

- in primo luogo è necessario che il soggetto in questione eserciti in concreto i poteri degli amministratori, occupandosi di scelte fondamentali per la vita dell’ente;

- in secondo luogo, l’esercizio delle funzioni gestorie (o di parte di esse) deve avve- nire con una certa continuità, di modo che tale soggetto appaia come l’effettivo tito- lare della governance dell’ente, in grado di esercitare i poteri decisori circa l’organizzazione delle risorse, la formulazione delle strategie aziendali e l’attuazione delle stesse187.

Entrambi i casi sopra riportati fanno comprendere come la gestione dell’amministratore di fatto debba essere «comparabile in tutto e per tutto a quella operata dall’amministratore di diritto e concretizzarsi, quindi, in una funzione di alta direzione, svolta in maniera autonoma e non episodica»188.

Il banco di prova di questi principi è stato, in un primo tempo, il diritto penale falli- mentare e, in seguito, anche il diritto penale societario dove, pur in assenza di un’apposita disciplina legislativa, si è formato l’orientamento per il quale anche l’amministratore di fatto può essere chiamato a rispondere non già alla stregua della disciplina del concorso dell’extraneus nel reato proprio all’intraneo, bensì in virtù della regola di cui all’art. 40 cpv189.

186 Cfr. G.MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali, La responsabilità dell’amministratore

di fatto, Torino, 2002; O. DI GIOVINE, L’estensione delle qualifiche soggettive (art. 2639), in A. GIARDA-S.SEMINARA, I nuovi reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, 32.

187 Cfr. A.MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Milano, 2010, 23. Ambedue i re- quisiti sono indispensabili per poter circoscrivere la tutela penale entro confini certi. Mentre la “con- tinuità”, intesa in senso cronologico, permette di valutare se l’operato del soggetto si è protratto per un periodo di tempo apprezzabile (in modo da escludere episodi sporadici di gestione di fatto), il re- quisito della “significatività” consente di non considerare penalmente responsabili quei soggetti che pongono in essere mansioni meramente esecutive, ovvero di scarsa rilevanza.

188 Così, M.GIUA,P.MAZZARIELLO,R.VALLINO, Responsabilità dell’amministratore di fatto e del

prestanome nei reati tributari, in Fisco, 2011, 18, 2834. Gli autori evidenziano, in accordo con la

dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, la possibilità di individuare una responsabilità in capo all’amministratore di fatto che abbia esercitato anche solo una parte dei poteri di gestione. Si è in pre- senza di un amministratore di fatto persino quando vi sia l’utilizzo di uno specifico potere, purché esso corrisponda ad un’apprezzabile attività gestoria e il cui utilizzo sia continuativo nel tempo «non rilevando, quindi, l’insieme delle facoltà ulteriori collegate alla carica».

189 Proprio nel settore dei reati societari si è avuto il recepimento, da parte del legislatore, di quanto testé indicato in tema di continuativo e significativo esercizio dei poteri amministrativi. Per un esame

Il legislatore, in ultimo, ha preso atto dell’evoluzione giurisprudenziale e – mediante l’art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 62 – ha modificato l’art. 2639 c.c. introducendo la disciplina degli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali. Tale articolo sembra aver recepito, con alcune precisazioni, le osservazioni della dottrina190 e i principi enunciati dalla giurisprudenza nel recente passato191. Anche il legislatore ha ritenuto, difatti, di dover subordinare la responsabilità dell’amministratore di fatto ad un esercizio “continuativo” dei poteri gestori e per interventi significativi sotto il profilo qualitativo, e quindi di escludere ogni signifi- cato penale ai contributi qualitativamente marginali e trascurabili.

L’avvenuta tipizzazione delle condotte penalmente rilevanti, nella logica di rispetto del principio di legalità, non sembra invero restringere l’ambito operativo dei princi- pi enunciati dalla giurisprudenza precedente, atteso che al di sotto di parametri quan- titativi e qualitativi sopra ricordati l’attività del soggetto che si ingerisce nella ge- stione può risultare punibile in base all’art. 110 c.p., secondo lo schema del concorso dell’extraneus nel reato proprio.

Le nuove regole dell’art. 2639 c.c., dettate per il settore del reati societari – espressione di principi coniati dalla giurisprudenza – consentono inoltre di sanziona- re, attraverso altre fattispecie comunque legate al settore economico, condotte illeci- te particolarmente insidiose192.

Sul punto, la stessa Cassazione tende a valorizzare la citata disposizione per consen- tirne l’applicazione a settori diversi da quello dei reati societari193.

La prassi mostra, anche per i reati tributari, quanto sia ricorrente che soggetti non le- gittimati da formali incarichi compiano attività di gestione. Simili comportamenti spesso si collegano a fenomeni fraudolenti ed insidiosi, strumentali all’evasione del-

del regime di responsabilità dettato dall’art. 2639 c.c., si veda G.CASAROLI, Lineamenti di diritto pe-

nale dell’economia, cit., 103 s.

190 Cfr. P. VENEZIANI, Commento all’art. 2639 c.c., in AA.VV., I nuovi reati societari, a cura di LANZI-CADOPPI, Padova, 2002, per il quale il legislatore avrebbe ritenuto poco funzionale individuare le responsabilità solo in capo alla cosiddetta “testa di legno” o “uomo di paglia”, ovvero sul mero “prestanome”, lasciando impregiudicato il soggetto che, senza comparire ufficialmente, esercita i po- teri tipici di un dato ruolo.

191 L’equiparazione del soggetto che “di fatto” esercita le qualifiche al titolare “di diritto” ha rappre- sentato lo strumento con il quale la giurisprudenza ha esteso la responsabilità a situazioni in cui vi era un evidente vuoto di tutela. La giurisprudenza, infatti, privilegiando il dato sostanziale rispetto a quel- lo formale della qualifica, ha avuto modo di affermare che in caso di fallimento di una società può essere chiamato a rispondere del reato di bancarotta fraudolenta impropria anche l’amministratore di fatto che abbia posto in essere alcuna delle condotte previste dall’art. 216 l.f.

La norma incriminatrice, difatti, si riferisce, più che alla persona investita formalmente della carica, a colui che gestisca realmente il patrocinio sociale, compiendo attività propria degli amministratori. Si veda Cass., sez. V, 19 ottobre 1999, n. 14103.

192 Della stessa opinione, A. ROSSI, L’estensione delle qualifiche soggettive nel nuovo diritto penale

delle società, in Dir. pen. proc., 2003, 903. L’autore ricorda, correttamente, che quelli enunciati dalla

giurisprudenza sono principi generali, del tutto applicabili anche a fattispecie non contenute del Tito- lo XI del codice civile (come ad esempio i delitti fallimentari, i quali sono stati proprio “la palestra per detta teoria”). Per un’applicazione anche nel settore dei reati tributari, si veda anche G.BERSANI,

“Amministratore di fatto” e reati tributari, in Il fisco, 2005, 47.

193 Si veda, Cass., sez. V, 14 aprile 2003, , n. 22413, in Cass. pen., 2005, 3, 945. Contra, Cass., sez. V, 5 giugno 2003, n. 36630, in D&G, 2003, 46, 107.

le imposte mediante l’attribuzione di cariche societarie in capo a meri prestanome che si impegnano, in maniera più o meno consapevole, ad assumersi responsabilità di carattere amministrativo o penale.

Il ricorso a prestanome è difatti molto frequente e abbraccia tutti i fenomeni illeciti connessi ai tributi, dalle ben note “frodi carosello”, agli illeciti tributari che si mani- festano nei casi di crisi dell’impresa e ad altre fattispecie di cui al d.lgs. n. 74/2000194.

Una conferma dell’applicabilità dei principi sopra ricordati ai reati tributari giunge anche da recente giurisprudenza che applica il principio di effettività al delitto di omessa dichiarazione195.

Al riguardo, la Cassazione ha affermato che, ai sensi dell’art. 1, comma 4 del d.p.r. 22 luglio 1998, n. 322, la dichiarazione fiscale delle persone giuridiche, quando non sia individuabile un rappresentante legale, deve essere sottoscritta e presentata dal soggetto che ne abbia l’amministrazione, seppure di fatto. Il principio impone, quin- di, di considerare penalmente responsabile – nella ipotesi di un amministratore solo formalmente nominato ma in concreto privo di poteri – colui il quale abbia gestito l’ente.

Gli obblighi di presentazione delle dichiarazioni fiscali, pertanto, gravano ad avviso della Cassazione direttamente sull’amministratore di fatto e non sull’amministratore di diritto.

Nel caso di specie si assiste, quindi, ad un rovesciamento dei termini della questio- ne: l’amministratore di fatto risponderà «tipicamente del reato come intraneus», mentre l’amministratore di diritto – mero prestanome – risponderà del reato tributa- rio di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 «solo a titolo di concorso eventuale, come e-

xtraneus, qualora venga dimostrato che il suo apporto ha fornito un contributo cau-

sale alla condotta propria dell’amministratore di fatto»196.

E’ interessante notare, quindi, come proprio l’esigenza di tutela dell’interesse eraria- le sia la leva che permette di utilizzare i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di amministratore di fatto nel settore dei reati societari e fallimentari, e di adat- tarli ai reati tributari che si contraddistinguono per fattispecie aventi natura di reati “a mano propria” 197, in virtù dello stretto rapporto che lega il contribuente al Fisco.

194 Nella più parte dei casi, i prestanome sono soggetti nullatenenti e privi di patrimonio, nei confronti dei quali ogni azione cautelare ed esecutiva non darebbe alcuna utilità per l’Erario. In altri casi si trat- ta di pregiudicati – privi di ogni qualsivoglia capacità di gestione contabile/amministrativa – che ven- gono attratti, dietro garanzia di facile remunerazione, verso un settore di punta della criminalità. Vi è poi, infine, il caso in cui il prestanome sia un imprenditore attivo in specifici contesti economici, il quale, magari in crisi, viene “arruolato” dalla criminalità organizzata di stampo mafioso, non solo per agevolare frodi fiscali, ma altresì per consentire operazioni di riciclaggio di danaro “sporco”.

195 v. Cass., Sez. III, sent. 28 aprile 2011, n. 23425, in CED. Cass., rv. 250962.

196 Così osserva F.FONTANA, L’amministratore di fatto risponde dell’omessa dichiarazione, in Corr.

Trib., n. 32, 2011, 2622 ss. In tal senso anche, M.GIUA,P.MAZZARIELLO,R.VALLINO, Responsabili-

tà dell’amministratore di fatto e del prestanome nei reati tributari, in Fisco, 2011, 18, 2834.

197 Così, T.VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni. L’organizzazione aziendale nei settori

Ciò comporta evidenti ricadute anche sul piano processuale. Per l’impostazione ori- ginaria, l’amministratore di fatto risponde a titolo di concorso eventuale, previa in- dividuazione dei poteri gestori da questi esercitati e delle relative condotte dalle qua- li deriva il reato, qualora la sua condotta venga ad interagire con quella realizzata del soggetto attivo del reato, cioè l’amministratore di diritto. In base all’orientamento da ultimo espresso, all'opposto, non è necessario provare che, in merito agli obblighi fiscali, vi sia stata una ingerenza dell’amministratore di fatto: è proprio tale soggetto, in quanto titolare della effettiva gestione dell’ente, che assume la qualifica di autore principale del reato.

Di conseguenza, si deve concordare con quanto osservato da attenta dottrina, per la quale il nuovo orientamento della Cassazione, da un lato, agevola il compito delle autorità inquirenti «nel coinvolgimento dei soggetti che detengono di fatto il potere di gestione delle società» dall’altro esclude che l’amministratore di diritto (che sia prestanome) possa andare esente da addebiti penali, per il solo fatto di non avere e- sercitato una concreta ingerenza negli affari sociali. Il prestanome, quindi, risponde penalmente in virtù dell’assunzione formale della carica e del conseguente obbligo di tutelare il patrimonio sociale contro condotte contrarie alla legge e allo statuto198. L’estensione del principio è, a nostro avviso, massima, poiché per verificare l’esistenza di un amministratore di fatto, non occorre una totale sovrapposizione di funzioni esercitate dal soggetto non qualificato rispetto a quelle proprie dell’amministratore “di diritto”. Il citato art. 2639 c.c. – nella parte in cui richiede un esercizio “continuativo e significativo” di funzioni gestorie – deve interpretarsi nel senso che è sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività tipica dell’amministratore, svolta in modo non episodico od occasionale, e quindi non è da escludere che vi possa essere l’intervento di altri soggetti che svolgono la loro attivi- tà in tempi successivi o anche contemporaneamente all’esercizio delle funzioni dell’amministratore di fatto199.

198 Si veda, F.FONTANA, L’amministratore di fatto risponde dell’omessa dichiarazione, cit., 2625. Analogo principio è stato recentemente affermato da Cass., sez. III, sent. 29 agosto 2012, n. 33385, in

CED cass., rv. 253269: grazie alla equiparazione sostanziale all’amministratore diritto, anche

l’amministratore di fatto è tenuto ad impedire le condotte vietate riguardanti l’amministratore della società ovvero pretendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguente responsabilità dello stesso in sede penale ex art. 40 secondo comma c.p., sempreché sussistano le condizioni previste dall’art. 2639 c.c. per riconoscere in capo ad esso la qualità di amministratore di fatto della società.

199 Così, Cass., sez. V sent. 13 aprile 2011, n. 15065, in CED cass., rv. 250094. «il soggetto che as- sume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di di- ritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente re- sponsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consa- pevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, cod. pen.».