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La sicurezza negli altri settori del diritto penale economico: i reati societari

Per ragioni sistematiche e di completezza di trattazione, appare doveroso analizzare le principali caratteristiche dei settori che presentano un diretto collegamento con il diritto penale tributario, vale a dire quello dei reati fallimentari e quello dei reati so- cietari.

Questi ultimi, per lungo tempo caratterizzati da una perdurante ineffettività applica- tiva131, hanno trovato più largo impiego durante il periodo di Tangentopoli132. Il rin- novato interesse verso il diritto penale societario era dipeso dalla originaria formula- zione di talune fattispecie, calibrate per tutelare beni giuridici di rilevanza generale tra cui la corretta informazione societaria e la integrità del capitale sociale. In parti- colare, i reati di false comunicazioni sociali erano strutturati, più chiaramente rispet- to alle loro attuali formulazioni, in termini di plurioffensività, in quanto oltre ai dirit- ti dei soci (attuali e futuri), dei creditori sociali e dei terzi interessati, le disposizioni

131 Per un’accurata analisi sulla evoluzione storica del diritto penale societario, cfr. V.NAPOLEONI,

Genesi e lineamenti del nuovo diritto penale societario. I profili generali del sistema, in Commenta- rio Romano al nuovo diritto delle società, Padova, 2009, 4. ss.

132 Così, G.M.FLICK, Fisiologia e patologia della depenalizzazione nel diritto penale dell’economia, cit.42.

erano orientate anche alla protezione dell’interesse generale al corretto funziona- mento delle società commerciali.

Tali reati sono stati in seguito oggetto della controversa riforma del 2002133, la qua- le, sulla carta, perseguiva l’intento di razionalizzare la materia de quo e di riconfigu- rare le fattispecie in conformità ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Il le- gislatore, difatti, intendeva far passare l’idea di una loro riformulazione conforme all’archetipo del diritto penale minimo, per attuare una tutela penale rispettosa del principio di offensività134.

La riforma del 2002, che apparentemente potrebbe annoverarsi tra i casi di depena- lizzazione fisiologica, in realtà altro non è che un esempio «di vera e propria distonia di sistema»; una reazione politica «ad un vero o presunto eccesso di interventismo da parte dei giudici»135. Le fattispecie sono state riscritte proprio in modo da ridurne grandemente l’impatto sanzionatorio, con l’evidente finalità di schermare la posizio- ne processuale di imputati eccellenti.

La dottrina appariva immediatamente critica nell’evidenziare i punti deboli della ri- forma, tra l’altro ancora oggi presenti nonostante la parziale “marcia indietro” dovu- ta alle modifiche di cui alla l. 28 dicembre 2005, n. 262136. Tra i principali ve ne so- no quattro:

1) la previsione di pene più lievi: le nuove figure criminose, di fatto limitate nella lo- ro portata e nella capacità di salvaguardare gli interessi generali, non fanno altro che duplicare, con pene palesemente più lievi, la tutela già offerta dai delitti contro il pa- trimonio. Ad esempio, la fattispecie di cui all’art. 2621 c.c. (che sanziona in via e- sclusiva le false comunicazioni dirette ai soci o al pubblico) è divenuta meno incisi- va sotto il profilo sanzionatorio137: la pena massima prevista per i fatti connotati da maggiore disvalore è dell’arresto fino a due anni, il cui minimo è fissato dalla regola

133 L’intero titolo XI, comprendente gli articolo da 2621 ed 2642, è stato sostituito dall’art. 1, d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61.

134 Per una critica verso l’utilizzo strumentale dei principi di sussidiarietà, di offensività e di determi- natezza, si veda, D.PULITANÒ, La riforma del diritto penale societario, fra dictum del legislatore e

ragioni del diritto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, 03, 934 ss.

135 Così, G.M.FLICK, ult. cit. L’autore afferma, per la precisione, che le figure criminose mantenute dal legislatore, tra cui la fattispecie di falso in bilancio, vengono «ricalibrate in modo da isterilirne alla radice la potenzialità di presa: realizzando, così, una generalizzata ed obliqua depenalizzazione in concreto».

136 In relazioni alle modifiche apportate nel 2005, non si può non convenire con quanto espresso da chi ritiene che «al di là dell’estensione dei soggetti attivi di taluni reati e di taluni aggravamenti di pena, nell’ipotesi che i fatti siano commessi nell’ambito di società con titoli quotati o diffusi tra il pubblico, la riforma non ha inciso sugli snodi più critici del diritto penale societario, se non con inter- venti totalmente inutili e di chiara carica simbolica». Così, R. ZANOTTI, Il nuovo diritto penale

dell’economia, reati societari e reati in materia di mercato finanziario, Milano, 2008, 116. Di parzia-

le sconfessione delle scelte adottate nel 2002 parla anche G.FORTI, “Paradigmi distributivi” e scelte

di tutela nella riforma penale-societaria. Un’analisi critica, in Riv. it. dir e proc. pen., 2009, 4, 1603,

al quale si rinvia per un esame approfondito delle modifiche apportate sia alle fattispecie di false co- municazioni sociali, sia alle altre fattispecie penali societarie.

generale dell’art. 25 c.p. in giorni cinque di detenzione138. Il delitto di cui all’art. 2622 c.c., (che tutela specificamente il patrimonio della società, dei soci o dei credi- tori) richiede invece, per poter ricorrere, la produzione di un danno concreto ed ef- fettivo e non la semplice lesione della libertà contrattuale dei destinatari delle comu- nicazioni sociali, ed è punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni, e, nel caso di società quotate, da uno a quattro anni (art. 2622, commi 1 e 3, c.c.). E’ prevista, altresì, un’aggravante (pena dai due ai sei anni di reclusione) quando le fal- se comunicazioni sociali dirette a danno dei soci o creditori delle società quotate ca- gionino un grave nocumento ai risparmiatori.

La novella del 2005 ha, in aggiunta, attribuito rilievo al “falso sotto soglia”, preve- dendo due illeciti amministrativi qualora le falsità non superino i requisiti di rilevan- za previsti rispettivamente dai commi terzo e quarto dell’art. 2621 c.c. e dai commi settimo ed ottavo dell’art. 2622 c.c.139.

2) la inedita introduzione della procedibilità a querela: come è noto, l’istituto della querela si giustifica solo in presenza di particolari interessi che l’ordinamento consi- dera idonei ad evitare la procedibilità d’ufficio140. Ebbene, questi interessi, stante il rilievo dei beni giuridici da tutelare, non sembrano sussistere nell’ambito del diritto penale societario e ciò dimostra ancor di più la carenza di sistematicità della norma- tiva in esame.

In aggiunta, le presunte esigenze deflattive, poste a giustificazione della punibilità a querela, si contrappongono alle rinnovate istanze di protezione generale che qualifi- cano l’attuale dibattito sui reati di matrice economica. Se è vero (come crediamo) che le società si reggono soprattutto grazie agli investimenti dei terzi e alle dilazioni di pagamento concesse dai fornitori a medio e a lungo periodo141, allora sembra pro- prio che la finalità selettiva sottesa all’introduzione della procedibilità a querela ab- bia lo scopo di disincentivare l’azione penale e di recludere le patologie societarie nell’alveo di una tutela risarcitoria civilistica142.

138 La miglior dottrina, infatti, denuncia che le pene per le nuove figure di false comunicazioni sociali «sono state fissate in totale spregio dei canoni della ragionevolezza, sotto il profilo di un’equilibrata tutela dei beni giuridici». Così, E.DOLCINI, Leggi penale “Ad personam”, riserva di legge e princi-

pio costituzionale di eguaglianza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 01, 51.

139 Sui limiti applicativi di tali nuove sanzioni, si vedano le considerazioni di E.GARAVAGLIA, Le fal-

se comunicazioni sociali: artt. 2621 e 2622 c.c., in Reati in materia economica (a cura di A. Alessan-

dri), Torino, 2012, 5.

140 In sintesi, come si sa, tali interessi sono: a) la tenuità dell’interesse sociale al quale si riferisce l’incriminazione, che ha ad oggetto un bene del soggetto vittima del reato; b) i rapporti eventualmente esistenti tra vittima e reo, tali da porre in secondo piano l’opportunità di procedere d’ufficio; c) la tu- tela della stessa vittima del reato, la quale potrebbe ricevere un maggior danno dal c.d. strepitus fori. 141 Il capitale complessivo, pertanto, è in prevalenza denaro proveniente da soggetti diversi – persone fisiche, imprenditori individuali o altre società – conferito a scopo d’investimento: segue, quindi, che subordinare l’azione penale all’iniziativa di un privato appare una tecnica fortemente discutibile, atte- so il rilievo pubblicistico sopra evidenziato. Così,C.PEDRAZZI, In memoria del “falso in bilancio”,

in Riv. soc., 2001, 1372; Id, Diritto penale III, Scritti di diritto penale dell’economia, Milano 2003, 843 ss.

142 Per attenta dottrina, la previsione di punibilità a querela, per l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 2622 c.c., si dimostra incomprensibile specie «se calata all’interno delle attuali dinamiche economiche, non essendo infrequente che società non quotate detengano il controllo di società quotate», così D.CUL-

La scelta legislativa, sul punto, appare singolare anche per altra ragione. La fattispe- cie di cui al 2621 c.c. – procedibile d’ufficio – è punita con la pena detentiva meno grave dell’arresto. Il reato di cui all’art. 2622 c.c., che come detto tutela un interesse particolare, e che prevede la più grave pena la reclusione, paradossalmente, è punito a querela della persona offesa, anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggra- vato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori (salva l’ipotesi di un danno cagionato allo Stato, ad altri Enti pubblici o alle Comunità eu- ropee);

3) la previsione di soglie quantitative di punibilità: vero e proprio fulcro delle modi- fiche normative in quanto esse incidono sulla ricostruzione del bene giuridico tutela- to e dell’oggetto della falsità. Dette soglie integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto e pertanto anch’esse rientrano nel profilo di esposizione intenzionale del falso penalmente rilevante, con il conseguente venir meno del dolo in caso di errore143; 4) l’introduzione di cause di estinzione del reato a seguito di riparazione post

factum: si tratta di comportamenti successivi che operano sullo stesso piano del bene

giuridico tutelato, in quanto aventi natura patrimoniale. Per alcune fattispecie poste a tutela del capitale sociale – illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627 c.c.), illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628 c.c.), operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 1629 c.c.) e di indebita ripar- tizione dei beni sociali da parte dei liquidatori – sono previsti casi di estinzione del reato per comportamenti finalizzati ad annullare l’offesa nei confronti del bene giu- ridico o, quantomeno, a risarcire il danno realizzato dalla condotta criminosa.

Per i reati societari, in conclusione, sembra sia stata accantonata, con troppa facilità, la necessità di salvaguardare l’economia pubblica, considerato quanto emerso nelle note vicende giudiziarie che hanno coinvolto la governance di importanti società e che hanno mostrato la precarietà di molti investimenti in titoli ritenuti apparente- mente solidi, collocati sui mercati da società che invece avevano alterato i propri bi- lanci.

L’attuazione del principio di offensività, nel caso di specie, appare impropria e quindi meritevole di un’attenta riforma144. Malgrado le numerose critiche, in questo settore, a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore delle attuali disposizioni, tutta- via, non si sono ancora manifestate quelle condizioni che, in altri ambiti, hanno con- dotto il legislatore ad intervenire riportando la salvaguardia di beni giuridici sotto l’egida del diritto penale.

TRERA, Le false comunicazioni sociali, in Diritto penale delle società (a cura di L. D. Cerqua), Pado- va, 2009, 154.

143 Corte cost., sent. n. 161/2004, in Dir. pen. proc., 2004, 1497.

144 Cfr., F.MUCCIARELLI, Restituire effettività al sistema penale: un obiettivo non più eludibile (in-

tervista), in Diritto penale contemporaneo, 2012, 1, 213, il quale auspica una riformulazione del reato

di false comunicazioni sociali nei seguenti termini: a) eliminazione delle soglie di punibilità e della procedibilità a querela; b) caratterizzazione della fattispecie in termini di delitto, accompagnata dalla semplificazione della descrizione delle condotte punibili; c) tutela della completezza/correttezza in- formativa; d) eliminazione del requisito del danno e soppressione “dell’estremo del dolo eventuale”.

Da ultimo, circa l’annosa questione della possibile sussistenza sia di reati societari e sia di reati fiscali, la riformulazione delle fattispecie di cui si è detto non sembra e- scludere del tutto l’ipotesi concorso, nonostante la relazione al d.lgs. n. 61/2002 a- vesse esplicitamente evidenziato che il dolo specifico rende inapplicabile il reato so- cietario ai comportamenti finalizzati ad ottenere un illegittimo risparmio d’imposta ai sensi del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p.

La dottrina è infatti concorde nel risolvere la questione sul piano dell’elemento sog- gettivo delle fattispecie criminose, non escludendo, nel caso di falsa rappresentazio- ne dei dati economici nelle scritture contabili obbligatorie, che il soggetto agente o- peri al fine di frodare il fisco e altresì con l’intenzione di ingannare i soci, i creditori sociali e i terzi.

Pertanto, se la condotta decettiva è sorretta da una duplice volontà ingannatoria, so- no applicabili, come nell’esempio, sia il delitto di false comunicazioni sociali e sia il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici145.