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Il trattamento sanzionatorio

La volontà di perseguire i comportamenti giuridico-economici afferenti alla “grande evasione fiscale” ha fatto sì che il legislatore scegliesse la reclusione come pena principale del vigente sistema penale tributario. Nello specifico, i compassi edittali previsti da ciascuna fattispecie sono i seguenti:

a) i delitti dichiarativi, qualificati dalla condotta fraudolenta (artt. 2 e 3), prevedono la pena della reclusione da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei

314 Si vedano, tra le sentenze anteriori alle Sezioni Unite del 2011, Cass., Sez. III, sent. 17 marzo 2010, cit.; Cass., Sez. II, sent. 23 novembre 2006, cit.

315 Si veda ancora Cass., Sez. III, sent. 11 maggio 2011, n. 23667, cit.

anni. Analogo trattamento è riservato al delitto di emissione di fatture o altri docu- menti per operazioni inesistenti (art. 8).

b) gli altri delitti dichiarativi – dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5) – prevedono, ambedue, la pena della reclusione da un minimo di un anno al massimo di tre anni;

c) la fattispecie posta a protezione della veridicità dei documenti contabili (necessari per la corretta determinazione delle imposte) avverso condotte di occultamento o di- struzione, è punita con la pena della reclusione dai sei mesi a cinque anni;

d) i reati che presidiano l’interesse alla riscossione dei tributi, quali le ritenute e l’IVA (artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater), contemplano la pena della reclusione da sei mesi a due anni; mentre la fattispecie residuale della sottrazione fraudolenta al pa- gamento delle imposte (art. 11), è punita nella ipotesi base con la pena della reclu- sione da sei mesi a quattro anni e nella ipotesi aggravata (per imposte evase di im- porto superiore ad euro duecentomila) con la reclusione da un anno a sei anni.

Nel tentativo di rafforzare la finalità general-preventiva della sanzione principale, e quindi la percezione di effettività dell’apparato penale tributario nel suo complesso, il legislatore, accanto alla pena detentiva, ha previsto l’applicazione obbligatoria di pene accessorie conseguenti alla condanna per taluno dei delitti sopra menzionati. Si tratta, nello specifico, di pene che, in alcuni casi, ricalcano quelle disciplinate dal codice penale, ma che grazie alla loro completa individuazione operata nel d.lgs. n. 74/2000 vengono intese come un elenco esaustivo, come tale non integrabile. Non- dimeno, sembra corretta una loro interpretazione conforme alle regole dettate nel codice penale, specie qualora ciò risulti necessario per completare la disciplina spe- ciale, nonché per ricavare il contenuto applicativo della misura.

In base all’art. 12, esse sono: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giu- ridiche delle imprese; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria; d) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria; e) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; f) la pubblicazione della sentenza di condanna; g) l’interdizione dai pubblici uffici. Il quantum di pena applicabile può essere influenzato – oltre che dalle valutazioni circa la gravità del reato commesso ai sensi dell’art. 133 c.p. – anche dalla circostan- za attenuante di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000, la quale, prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 138/2011 (novella del 2011), aveva natura di circostanza ad ef- fetto speciale, poiché consentiva la diminuzione della pena della reclusione “fino al- la metà”. In seguito, l’effetto premiale è stato contenuto nella diminuzione “fino ad un terzo”, mutando la qualificazione giuridica di detta circostanza, la quale diviene un’attenuante ad effetto ordinario (art. 65 c.p.) 317. Rimane invece eguale il presup-

317 Lo ricorda anche G.FLORA, Le recenti modifiche in materia penale tributaria: nuove sperimenta-

posto concernente la sua applicazione, dovendo il soggetto attivo pagare il debito tributario “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”. La ratio che sta dietro alla previsione dell’attenuante era maggiormente evidente nella precedente formulazione: incentivare l’evasore all’adempimento della propria obbligazione tributaria (imposte, interessi e sanzioni, anche per importi più bassi ri- qualificati dall’Uffici), per ottenere, in cambio, una riduzione della pena conseguen- te al venir meno del pregiudizio economico per l’erario, oltre alla non applicazione delle citate sanzioni accessorie.

Nel caso di specie, stante la presenza di una “formula aperta”, sembra che l’attenuante possa essere riconosciuta a seguito dell’applicazione di tutti gli istituti di carattere procedurale o processuale, anche di futura introduzione, che consentono di definire in maniera agevolata le posizioni pendenti318.

Il d.l. n. 138, tuttavia, sembra voler compensare la minor convenienza di pagare quanto contestato dal Fisco (ai sensi dell’art. 13) – e quindi un possibile minore in- casso delle imposte – con la previsione di subordinare la domanda di patteggiamento

ex art. 444 c.p.p. alla previa estinzione del debito tributario, comprensivo della parte

dovuta a titolo di sanzione, nonostante la cogenza del principio di specialità che nel- la norma in esame subisce una deroga319. Pertanto, il contribuente infedele che vo- glia tentare la via del rito speciale, ed ottenere lo sconto di pena, deve obbligatoria- mente estinguere il proprio debito nei confronti dell’Erario.

Obbedisce alla stessa logica di fondo dell’art. 13 la previsione della circostanza atte- nuante speciale di cui all’art. 14, la quale risulta applicabile nell’ipotesi, invero resi- duale, in cui il soggetto attivo non possa procedere al pagamento di cui sopra per avvenuta estinzione del debito tributario.

Stante la presenza di una lesione agli interessi erariali, quantomeno in senso lato, viene data la possibilità al contribuente di richiedere “di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell'offesa recata all'interesse pubblico tu- telato dalla norma violata”. L’unico vincolo è quello di proporre il pagamento di una somma comunque non inferiore a quella risultante dal ragguaglio a norma dell'arti- colo 135 c.p. della pena minima prevista per il delitto contestato. Una volta eseguito il pagamento nei termini fissati con ordinanza del giudice, il reo può ottenere il be- neficio della diminuzione fino alla metà della pena, oltre alla non applicazione delle sanzioni accessorie di cui all’art. 12.

in tal modo, dette circostanze attenuanti non sono più sottratte al giudizio di bilanciamento con even- tuali aggravanti concorrenti.

318 Si pensi, ad esempio, all’adesione ai PVC (processi verbali di constatazione), alle modalità di de- finizione agevolata degli avvisi di accertamento, alla conciliazione giudiziale e all’acquiescenza. 319 Data la connessione tra l’attenuante dell’art. 13 e il patteggiamento, e a seguito dell’abbattimento delle soglie di punibilità previste per le singole fattispecie, dubita della concreta «appetibilità della scelta collaborativa» del rito di cui all’art. 444 c.p.p., I.ANTONIO, Reati tributari: attenuanti, patteg-

Importanti ricadute sul profilo sanzionatorio conseguono, inoltre, dalle limitazioni riguardanti l’operatività della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p., introdotte dalla “novella” del 2011.

L’istituto nella ipotesi ordinaria consente al giudice, nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, di so- spendere l’esecuzione della pena per il termine di cinque anni: l’effetto, ex all’art. 166 c.p., si estende anche alle pene accessorie.

Un ulteriore risultato utile è dato dall’inapplicabilità delle misure di sicurezza, tran- ne che si tratti della confisca.

La concessione della sospensione condizionale, quindi, è sempre subordinata alla valutazione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. Segue che il “beneficio” non può essere concesso:

- a chi abbia riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, e neppure al delinquente o contravventore abituale o professionale;

- allorché alla pena inflitta debba aggiungersi una misura di sicurezza personale (qualora il reo sia considerato socialmente pericoloso).

L’applicazione della sospensione condizionale, come si sa, non è reiterabile. Il giu- dice, tuttavia, nell'infliggere una nuova condanna, può disporre la sospensione con- dizionale qualora la pena da comminare, cumulata con quella irrogata con la prece- dente condanna anche per delitto, non superi i limiti previsti dall’art. 162 c.p. dei due anni, ovvero due anni e sei mesi nei casi sopra citati.

Per quanto attiene al diritto penale tributario, il nuovo comma 2-bis dell’art. 12 del d.lgs. n. 74/2000, esclude la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena per i delitti, disciplinati negli articolo da 2 a 10 del decreto, in cui si veri- fichino congiuntamente le seguenti le condizioni: a) l'imposta evasa superi i 3 milio- ni di euro; b) l'imposta evasa superi il 30% del volume d’affari.

Emerge, pertanto, il proposito di utilizzare la sospensione condizionale per finalità punitive, sulla base di una valutazione presuntiva di pericolosità sociale compiuta ex

lege, fondata sui limiti riferiti all’ammontare dell’imposta evasa sopra descritti: ciò

comporta un palese travisamento della ratio originaria di deroga alla concezione re- tributiva della pena, atteso che la sospensione dell’esecuzione della condanna do- vrebbe basarsi sulla valutazione di prognosi favorevole dei criteri enunciati all’art. 133 c.p.

La nuova disposizione, oltretutto, rivela un vizio in merito alla limitazione di cui alla lettera b) nella parte in cui fa riferimento all’ammontare del “volume d’affari”: una locuzione che indica, come sanno i tecnici della materia, i contribuenti titolari di par- tita IVA. Dal punto di vista letterale, quindi, sembrerebbe che la preclusione non o- peri nei confronti di tutti gli altri contribuenti, ma una siffatta interpretazione sembra esporre la disposizione ad un sindacato di legittimità costituzionale320.

320 Di sciatteria del legislatore parla anche G.FLORA, Le recenti modifiche in materia penale tributa-

Qualche dubbio sorge, infine, in merito alla esclusione dei delitti di riscossione del d.lgs. n. 74/2000, per i quali le limitazioni alla concessione del beneficio ex art. 163 c.p. non valgono. Il condannato, quindi, potrà sempre beneficiare della sospensione condizionale, entro i limiti previsti dalla disciplina generale del codice penale. Mentre questa previsione può trovare una qualche giustificazione per le fattispecie degli omessi versamenti e delle indebite compensazioni – vista la minore gravità delle condotte anche sotto il profilo della sanzione (reclusione da sei mesi a due an- ni) – appare invece illogica, anche volendo sposare la linea di estremo rigore adotta- ta dal legislatore, l’estromissione, dalla nuova disciplina, della sottrazione fraudolen- ta al pagamento delle imposte (art. 11). Il delitto, specie nella sua ipotesi aggravata ove la pena può toccare i sei anni di reclusione, è senza dubbio una delle fattispecie più gravi del d.lgs. n. 74/2000, atteso che la condotta fraudolenta è in grado di fru- strare del tutto il procedimento di riscossione delle imposte.