• Non ci sono risultati.

IL LINGUAGGIO MEDIATORE DEI PROCESSI EDUCATIVI E DI SVILUPPO: PROSPETTIVE TEORICHE DI RIFERIMENTO

1.2 Dalla comunicazione lineare al discorso in interazione

1.2.3 Analisi della Conversazione e Analisi del Discorso

È proprio partendo dall’approccio etnometodologico che alcuni allievi di Garfinkel, tra cui in particolare Harvey Sacks, Emanuel Schlegoff e Gail Jefferson (1974), sviluppano negli anni Settanta all’Università di Los Angeles l’Analisi della Conversazione, che condivide con l’etnometodologia l’interesse per il significato sociale (“accountability”) dell’azione (Mantovani, 2008, p.32). La prospettiva conversazionale, considerata un approccio sociologico che studia come le persone parlano tra loro, non nasce tanto da una attenzione specifica verso il linguaggio, quanto dall’idea di occuparsi degli eventi della vita quotidiana, delle pratiche sociale più ricorrenti e ordinarie, verso le quali è necessario sospendere l’impressione di “naturalezza” e ovvietà che deriva loro dal fatto che gli stessi studiosi sono membri dell’ambito sociale che intendono studiare (Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.237). Essa considera la conversazione come inter-azione,13 talk-in-interaction, dialogo, e suo oggetto di attenzione sono le espressioni (utterances) che i parlanti si scambiano nel corso della conversazione, rispetto alle quali l’indagine è volta ad evidenziare i dispositivi interni al parlato che permettono il fluire dell’interazione, la coordinazione dei parlanti, l’accordo e la comprensione intersoggettivi, intesi quali “collanti sociali” tesi a prevenire la disgregazione e il conflitto aperto e dunque parti fondamentali delle competenze interattive necessarie per partecipare alla vita collettiva (Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.232-233). Gli studi dei conversazionalisti sui metodi di cui le persone si servono per conversare hanno così permesso di mettere in luce l’esistenza di vari momenti in cui si articola una conversazione: una fase di apertura (ad es. i saluti), una di sviluppo (il cui problema è il mantenimento o cambiamento di argomento) e infine quella di chiusura (i commiati) e soprattutto di mostrare come la conversazione è regolata da schemi e meccanismi che strutturano l’interazione, a prescindere dal suo contenuto: l’alternanza e l’organizzazione dei turni (turn taking), le coppie adiacenti o sequenze complementari e la nozione di preferenza.

13

Come sottolineato da Mantovani (2008, p.32) l’accento sull’inter-azione distingue l’Analisi della Conversazione da altri approcci, solo in apparenza simili, allo studio della conversazione. Tra questi in particolare quello di Paul Grice (1975) (cfr. cap2, par. 2.4.4)che considera la conversazione come un processo cooperativo regolato da massime o principi. Secondo Mantovani Grice, contrariamente agli analisti della conversazione, è interessato non tanto alle azioni delle persone coinvolte nella conversazione, quanto piuttosto alle operazioni mentali che gli individui devono fare per conversare, poiché costantemente devono andare oltre il significato letterale degli enunciati compiendo una serie di inferenze che consentono di cogliere le implicature conversazionali attraverso cui il senso della conversazione diviene disponibile.

35

L’innovazione nell’analisi della conversazione sta proprio nell’aver mostrato “come negli scambi

verbali, nonostante l’apparente casualità e caoticità, ci sia una forte organizzazione a cui i parlanti sono sensibili e che permette di regolare l’interazione in modo da mantenere la reciproca comprensione e un ritmo fluente del discorso” (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.39).

L’oggetto dell’analisi sono in primo luogo proprio le “sequenze di turni dall’andamento tipico le

quali realizzano determinate attività […] le forme conversazionali della vita sociale corrente”

(Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.233). Le ripetute osservazioni e analisi della struttura conversazionale mostrano come questa sia caratterizzata da un’organizzazione sequenziale ricorrente, caratterizzata da prese di turno di parola (turn-taking system) basate su alcuni principi generali che regolano l’alternanza dei parlanti e le transizioni del discorso. Schegloff e Jefferson si rendono conto che “la conversazione è spesso organizzata in unità che sono più ampie di un

singolo enunciato, turno, o atto linguistico” (Duranti, 2002, p.224), mostrando come i turni,

dipendenti l’uno dall’altro, si organizzano in coppie adiacenti (adjacency pair), cioè in sequenze costituite da due turni, caratterizzati dalla vicinanza e da una corrispondenza tipologica, pronunciati da parlanti diversi. L’organizzazione sequenziale della conversazione è la base che permette di comprendere i turni permettendo loro di svolgere l’azione sociale per cui sono pronunciati (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.53). Sono esempi di coppie adiacenti le sequenze domanda-risposta, offerta-accettazione, offerta-rifiuto, valutazione/allineamento, in esse la “prima parte” della coppia delimita un campo di risposte possibili, modificando così la natura dell’enunciato che segue in modo coerente con le aspettative in tal modo definite (ivi, p.56). Il sistema delle coppie adiacenti è “sbilanciato o asimmetrico”, nel senso che esistono “risposte preferenziali” che vengono date immediatamente, senza bisogno di spiegazioni e tergiversazioni, in genere quando si tratta di “risposte” positive (accordi e accettazioni), e “risposte non preferenziali” che richiedono invece spiegazioni e giustificazioni, caratterizzate da una “latenza di risposta” provocata da pause o esitazioni all’inizio del turno e da mitigazioni e spiegazioni, in caso di “risposte” negative (disaccordi e rifiuti). I secondi turni sono “preferiti” o “evitati” in base a quello che gli interlocutori ritengono normale e atteso o al contrario non desiderabile e problematico.

Il sistema di assegnazione dei turni, le coppie adiacenti e il sistema di preferenza mettono in luce come i singoli turni acquisiscano senso e possano essere compresi sulla base dell’organizzazione sequenziale della conversazione, che organizza l’agire umano permettendo dunque loro di svolgere l’azione sociale per la quale sono stati prodotti. Questa prospettiva rende così rilevante comprendere cosa “fanno” i turni, oltre a cosa “significano” ammesso che, come indicato da

36

Fasulo e Pontecorvo (1999), tale distinzione abbia senso. La nozione di atto linguistico, di matrice austiniana, che era stata isolata dal flusso del parlato senza riuscire a restituire il senso della sua forza, viene in questa prospettiva recuperata, evidenziando il senso di una inter-azione costruita da turni che si co-determinano. La prima parte della coppia adiacente crea una “cornice interpretativa” in cui ciò che accade non è solo una “seconda parte” o una “risposta”, ma il segnale di come il ricevente ha interpretato questa prima parte (Duranti, 1997). La comprensione reciproca è così il risultato dell’organizzazione di azioni e di interpretazioni intersoggettive, che vengono esibite pubblicamente e continuamente aggiornate nel corso dell’interazione stessa. Se l’organizzazione della conversazione le restituisce il suo attributo sociale, il sistema di preferenze, in quanto prodotto del sistema conversazionale stesso e appartenente al contesto interazionale specifico “è un modo per cogliere l’essenza di ciò che fa

della lingua un potente strumento della cultura” (Duranti, 1997, p.233).

Questo non vuol dire che l’analisi della conversazione sia in sé un modello a sfondo socio-culturale, in quanto nei fatti si presenta “fortemente orientata a fatti strutturali, disancorata dal

contesto situazionale e sociale” (Orletti, 1994, p.67-68). Orletti (1994) evidenzia che, sebbene

nelle lezioni degli anni sessanta di Sacks vi fossero dei riferimenti alla situazione contestuale, poi di fatto i dati sociali e situazionali esterni alla conversazione non vengono presi in considerazione perché considerati irrilevanti ai fini della strutturazione della conversazione ordinaria, che è localmente e internazionalmente gestita.

La scelta di considerare l’organizzazione della conversazione come indipendente dai contenuti e dal contesto in cui si realizza è stato l’oggetto delle maggiori critiche volte all’analisi della conversazione (Orletti, 1994). L’approccio dell’analisi conversazionale è stato infatti criticato da sociologi e antropologi, che l’hanno rimproverato di ignorare il contesto culturale e storico in cui avvengono le interazioni verbali oggetto di analisi. L’idea che è alla base della prospettiva conversazionale è la possibilità di individuare “meccanismi autonomi” dell’interazione che operano più o meno allo stesso modo in contesti “diversi”. Tuttavia questo, come fa notare Mantovani (2003, p.36) “cozza” contro l’impegno delle ricerche qualitative, che è quello di cogliere le differenze e la variabilità dei comportamenti umani, che si manifestano solo se si tiene conto del contesto sociale e culturale. Anche Duranti (1997) condivide tale posizione sottolineando che il formalismo dell’analisi conversazionale sacrifica eccessivamente le esigenze di una ricerca culturalmente situata.

Schegloff, affrontando quello che viene definito il “problema della pertinenza” arriva a concludere che siccome non siamo in grado di sapere a priori quali aspetti del contesto saranno

37

pertinenti all’interazione, per rispondere in modo empiricamente adeguato al problema del contesto è necessario prendere in considerazione solo ciò che i partecipanti stessi considerano pertinente, rilevandolo dalle loro interazioni verbali (ivi, p.242). Tuttavia ciò continua a sollevare numerose critiche, in particolare in una prospettiva etnografica, in cui viene messo in luce come non si tratti solo del “problema della pertinenza” in sé, quanto piuttosto dei metodi attraverso i quali la pertinenza viene rilevata, stabilita e valutata. Il problema è cioè come si scoprono i tratti contestuali pertinenti, poiché poterebbe essere necessario recuperare informazioni contestuali che non sono disponibili nella conversazione stessa (ivi, p.243). La proposta etnografica di Duranti, condivisa dalla prospettiva socio-costruttivista, è che sia necessario integrare l’idea di un contesto determinato dai soggetti che vi agiscono e che contemporaneamente determina la loro identità, a quella di un contesto

sociale e culturale più allargato, che ha un ruolo centrale ed è posto in una reciproca relazione con i protagonisti che lo abitano e contribuiscono a riprodurlo e modificarlo.

Così secondo la visione etnografica e socio-costruttivista: “l’interpretazione che i partecipanti e

altri membri della comunità danno degli eventi deve essere un criterio fondamentale per la classificazione, anche se ovviamente tale interpretazione dovrà essere integrata con altri dati forniti dalla partecipazione attiva alla vita sociale della comunità e da una documentazione il più significativa possibile dei contesti di certi comportamenti” (Duranti, 1992, p.19).

Le critiche mosse a questo approccio hanno in realtà in parte avuto il loro peso nell’evoluzione degli studi di analisi della conversazione, allargando progressivamente l’attenzione dall’organizzazione sociale della conversazione per sé considerata, verso lo studio del parlato in situazioni specifiche. In questa transizione la “grammatica della conversazione” individuata dalla prima generazione di studi è stata utilizzata come risorsa analitica per rendere conto di fenomeni sociali più complessi e legati a specifici campi di applicazione (Caronia, 1999, p.120). Per gli scopi del nostro lavoro hanno importanza centrale le analisi che si sono rivolte al discorso in classe e ai processi di costruzione della conoscenza (Mehan, 1979; Cazden, 1988, 1995; Wells, 1999; Mercer, 1995, 2000; Edwards, Mercer, 1987; Orsolini, Pontecorvo, Amoni, 1989; Pontecorvo, 1993), che saranno approfondite in seguito.14

Un’altra prospettiva metodologica interessante, che ha influenzato il modo di guardare il linguaggio in interazione e ci aiuta a guardare le interazioni verbali nella scuola dell’infanzia, è quella dell’analisi del discorso.

14

38

Non è semplice dare una definizione di tale prospettiva poiché il termine “analisi del discorso” comprende in realtà vari approcci analitici, aventi ad oggetto lo studio del discorso, in ogni sua forma, prodotto da individui, gruppi, organizzazioni.

I termini conversazione e discorso fanno riferimento a due realtà diverse, ma sovrapposte. Il discorso comprende la conversazione, ma non si limita ad essa, poiché esistono dei fenomeni che possono essere considerati dei discorsi, ma non sono conversazioni, quali una dichiarazione di voto in Parlamento, l’arringa di un avvocato, un libro di testo per le scuole (Duranti, 2003, p.37). Esistono dunque diverse relazioni tra analisi del discorso e analisi della conversazione. Come evidenziato da Bonaiuto e Fasulo (1998, pp.231-232) entrambi gli approcci cercano di descrivere e di spiegare come vengono prodotte e comprese sequenze organizzate e coerenti all’interno del discorso ed entrambi riconosco che gran parte del valore comunicativo di un enunciato o di un’espressione linguistica è da ricondurre alla “specifica e concreta sequenza discorsiva” in cui l’espressione si presenta. È questo l’aspetto che distingue l’Analisi della Conversazione dagli approcci precedenti e che accomuna anche una buona parte degli studi riconducibili all’Analisi del Discorso.

Vi sono tuttavia alcune differenze relative soprattutto agli scopi dell’analisi e dunque ai fenomeni su cui concentrano l’attenzione, alle unità di analisi e alle scelte metodologiche. Non è tuttavia semplice fare distinzioni nette e soprattutto caratterizzare con chiarezza gli studi di Analisi del Discorso, che spesso comprendono una moltitudine variegata di approcci.

Come ricordano infatti Banaiuto e Fasulo (1998, p.232): “se l’espressione ‘analisi della

conversazione’ fa riferimento ad un campo della ricerca sociale storicamente ben determinato e rappresentato da autori, studi e fenomeni chiaramente identificabili con un certo accordo e condivisione nell’ambito della comunità scientifica, una definizione univoca e soddisfacente di ciò che si intende per ‘analisi del discorso’ pone certamente più problemi, a causa della multiformità degli studi che si sono avvalsi di questa etichetta”.

La specificità di tale approccio può essere individuata nell’attenzione verso il ruolo del discorso nella riproduzione e nella trasformazione del significato (Bonaiuto, Fasulo, 1998) ed è proprio tale aspetto che appare interessante come prospettiva dalla quale guardare alle interazioni verbali tra insegnanti e bambini.

Per dare un quadro generale di questo campo di studi è necessario ricordare che le prime forme di Analisi del Discorso, sviluppate nell’ambito della teoria degli atti linguistici, vengono comunemente fatte risalire agli anni Settanta, in ambito linguistico, in particolare negli studi di Van Dijk (1979a,b) e Labov (Labov, Fanshel, 1977). Il suo retroterra non è l’etnometodologia, con

39

la sua enfasi sulle pratiche quotidiane, ma un insieme variegato di influenze, provenienti da diversi ambiti disciplinari (Mantovani, 2003, p.37), come la filosofia del linguaggio di Wittgenstein (1953) e l’approccio sociologico drammaturgico di Goffman (1959).

Nel corso degli anni Ottanta l’etichetta si è estesa a diverse forme di analisi, in ambiti disciplinari differenti da quello linguistico, sia relativamente a testi scritti che a interazioni verbali. Il campo di ricerca si è così allargato ed ha assunto numerose sfaccettature, ricomponibili in tre grandi aree, come indicato da Bonaiuto e Fasulo, (1998, p.256) che riprendono una distinzione operata da Antaki (1994). Da un lato vi sono autori che trattano il materiale dal punto di vista più “linguistico”, considerandolo come un testo retto da regole di coerenza rilevabili con un’analisi di piccoli estratti utilizzando microcategorie (ad es. singoli atti linguistici). Al polo opposto vi sono invece autori che trattano le interazioni discorsive come la manifestazione di modi culturali molto generali di pensare ed agire, analizzandole prendendo in considerazione materiali più estesi in funzione di macrocategorie analitiche (es. pratiche culturali, istituzioni di una società). Questi autori, grazie a una serie di ricerche che avevano evidenziato l’importanza delle pratiche discorsive nella costruzione della società, in particolare in riferimento alle relazioni di potere e alla diffusione delle ideologie, elaborano una “teoria critica” generale, che assume la denominazione di Analisi Critica del Discorso (Van Dijk, 1997), che affonda le sue radici nel pensiero di diversi studiosi, tra i quali è interessante richiamare il dialogismo di Bachtin, teorico della letteratura la cui opera è centrata sull’ubiquità del dialogo nella conoscenza e nell’azione umane, e la prospettiva di Foucalt (1970), che legge le pratiche discorsive come strumentali all’esercizio del potere, in particolare del potere sulle persone.15

Tra questi due poli si trovano invece le prospettive che trattano il discorso come interazione conversazionale, con una funzione di “collante sociale”. Sono queste le prospettive che, più di altre, interpretano l’azione come la concreta costruzione sociale del significato con una funzione argomentativo-persuasiva, cioè retorica e prestano attenzione sia all’organizzazione locale del discorso nel suo concreto realizzarsi (aspetti strutturali e formali), sia ai contenuti culturali di ciò che viene detto (temi, “repertori”, concetti) implicato o anche omesso (Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.256), utilizzando metodi di analisi intermedi a quelli utilizzati dalle prospettive che si collocano ai poli estremi.

In generale si tratta di approcci che condividono un’epistemologia di stampo socio-costruzionista e privilegiano una prospettiva “emica” piuttosto che “etica” nello studio dei fenomeni socio-culturali. In essi il linguaggio ha un potere costruttivo nei confronti di qualsiasi realtà del mondo

15

40

in cui i parlanti si muovo. Tale funzione costruttiva del “linguaggio in azione” è perseguita spesso in forma implicita e “sottile” dai discorsi prodotti, spesso le persone non ne sono consapevoli, tanto che trattano la realtà, il mondo, la vita, che sarebbero socialmente prodotti, come “dati” dell’esistenza umana (Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.258). La centralità dell’azione discorsiva è evidenziata dall’approccio retorico alla psicologia sociale di Billing, che mostra la connessione tra discussione e pensiero. Pensare è discutere con sé come con gli altri. In questa prospettiva nasce l’interesse per le ideologie intese come artefatti sociali rispetto a cui le persone prendono posizione con le loro azioni e i loro discorsi e l’impegno per lo sviluppo di un approccio retorico, nel senso di argomentativo e persuasivo, dato che “ogni argomentazione cerca di escludere i

punti di vista opposti o di convincere del contrario” (Billing, 1987, p.3). Nasce così una concezione

discorsiva degli atteggiamenti, in cui la corrispondenza tra parola e oggetto diventa impraticabile, poiché l’oggetto dell’atteggiamento può essere costruito in modi diversi e le valutazioni delle persone riguardano queste formulazioni e non un oggetto astratto e idealizzato. Alcun studiosi che lavorano nella prospettiva della psicologia sociale discorsiva, come Edwards (1997) evidenziano come non esistano processi cognitivi che non siano costruiti attraverso lo scambio sociale in cui il parlante è situato, interessato, responsabile del modo in cui categorizza e descrive le cose (Mantovani, 2003, p.38).

Scopo dell’Analisi del Discorso è allora quello di identificare quali funzioni vengono realizzate nel linguaggio e come vengono realizzate. Che vocabolario utilizza il parlante e per quali scopi. Le produzioni discorsive vengono analizzate tenendo in particolare considerazione le funzioni sociali (giustificare e criticare) che vengono perseguite selezionando sia aspetti formali che di contenuto, attraverso dispositivi retorici e “repertori”. “L’Analisi del Discorso è volta quindi a

scoprire, attraverso l’analisi della scelta e dell’organizzazione del linguaggio utilizzato dal parlante o dallo scrivente, quali affermazioni vengano fatte sul mondo, in che modo vengano motivate e sostenute, ed eventualmente quali persone o gruppi risultino avvantaggiate, e quali no, dal mondo (o meglio dalla versione del mondo) che viene costruito attraverso tale discorso”

(Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.259). In questa direzione, come ricordano Bonaiuto e Fasulo (1998, p.259) l’AD è più attenta al contenuto rispetto all’Analisi della Conversazione. Vi sono comunque autori che privilegiano tale aspetto identificando temi coerenti (repertori linguistici o interpretativi) che appaiono e ricorrono nei testi prodotti dalle persone, mentre altri autori che privilegiano gli aspetti formali prestando attenzione alla concreta organizzazione linguistica, avvicinandosi e in alcuni casi sovrapponendosi all’Analisi della Conversazione. Si tratta spesso di una questione di prevalenza piuttosto che di esclusività, anche perché può essere

41

“analiticamente pericoloso” separare i due aspetti del significato, cioè il contenuto e la sua forma.