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L’origine socio-culturale delle attività mentali: linguaggio, pensiero e costruzione di conoscenza

IL LINGUAGGIO MEDIATORE DEI PROCESSI EDUCATIVI E DI SVILUPPO: PROSPETTIVE TEORICHE DI RIFERIMENTO

1.4 L’origine socio-culturale delle attività mentali: linguaggio, pensiero e costruzione di conoscenza

Intorno agli anni Trenta del secolo scorso si sviluppa, in particolare grazie alla psicologia sociale, e ad autori quali George Herbert Mead (1934) e Lev Vygotskij (1934, 1960, 1978), un approccio sociale nell’interpretazione dello sviluppo del pensiero e dell’apprendimento, che mette in luce il ruolo cruciale delle interazioni, mediate dal sistema simbolico-culturale del linguaggio, nei processi di crescita dei bambini. All’interno di questa prospettiva il linguaggio, utilizzato nell’interazione sociale come strumento culturale, acquisisce un ruolo chiave per i processi di apprendimento e sviluppo cognitivo. La “conversazione di gesti” di Mead e la nozione di “processi inter- e intrapsicologici” di Vygotskij, “esprimono in modo concorde l’idea che il

meccanismo che ci porta ad accrescere le conoscenze è lo stesso che ci consente di conoscere l’altro” (Molinari, 2010, p.18).

Tale approccio, insieme alla successiva elaborazione di Leont’ev e alla psicologia culturale applicata all’ambito dell’educazione (Bruner, 1986, 1996; Cole, 1995) ha aperto la strada a un modo innovativo di guardare e studiare i processi cognitivi di crescita, sviluppo e apprendimento, da cui si sono sviluppati un grande numero di studi e ricerche sia in ambito psicologico che psico-pedagogico, andando a costituire la base di una prospettiva oggi largamente riconosciuta e adottata dagli attuali orientamenti della psicologia dell’educazione, che interpreta i processi di apprendimento come processi socio-culturali, in cui un ruolo essenziale è giocato dalle relazioni intersoggettive (sono dunque radicati nell’interazione sociale e condivisi con altri) e dalle risorse culturali presenti in un determinato contesto, la cui mediazione si realizza nelle interazioni discorsive che accompagnano e costruiscono le attività e le pratiche culturali tipiche di ciascuna comunità (Rogoff, 1990, Bruner, 1996, Cole, 1996, Pontecorvo, 1999; Perret-Clermont, 2005; Wertsch, 1985, 2008; Molinari 2002, 2010). Tra gli autori che oggi sostengono la natura intrinsecamente e necessariamente sociale dei processi di sviluppo un posto autorevole è occupato da Tomasello (1999, tr.it.2005) che, attraverso l’ipotesi delle origini culturali della cognizione umana, evidenzia come le capacità sociocognitive alla base della cultura dell’uomo trovino fondamento nella capacità di identificarsi con gli altri esseri umani. Secondo Tomasello, la cognizione umana ha origini culturali, perché si forma nell’interazione sociale, che veicola, tramite gli strumenti, i significati culturali. Strumento per eccellenza è il linguaggio che media l’incontro con il mondo ed è esso stesso una forma di cognizione (ivi, p.180).

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Queste prospettive delineate dalle teorie socio-costruttiviste e culturali hanno trovato riscontro empirico negli studi che, partendo o adottando una prospettiva antropologica, si sono occupati di studiare i processi di socializzazione linguistica (Ochs, 2006) e di partecipazione guidata (Rogoff, 1990, 2003), che appaiono particolarmente significativi nell’interpretare i contesti delle scuole dell’infanzia da un punto di vista conversazionale.30

A partire in particolare dagli studi di Vygotskij si è diffusa l’idea di uno sviluppo inteso come processo inter-attivo di tipo sociale, storico e culturale, piuttosto che individuale, come avevano sottolineato le prospettive interazioniste precedenti, di impostazione prevalentemente piagetiana. Sebbene, come si è visto, già al loro interno si possono riconoscere le prime radici di un approccio alla crescita del bambino che non può prescindere dalle sue interazioni con il mondo esterno. Il lavoro e le teorizzazioni di Vygotskij31 portano all’elaborazione di una concezione dello sviluppo cognitivo come processo storico-sociale, in cui un ruolo fondamentale è attribuito non tanto all’esplorazione e alle scoperte solitarie del bambino nei confronti dell’ambiente fisico di cui fa esperienza, come evidenziato dalla teoria piagetiana, quanto piuttosto ai processi interpersonali che si realizzano nello scambio relazionale del bambino con le persone che lo circondano nella quotidianità, all’interno di un contesto storico e sociale ben definito, al quale il bambino partecipa in modo attivo e in cui il linguaggio ha un ruolo fondamentale nel mediare l’incontro del soggetto con il mondo.

“Diversamente da Piaget noi sosteniamo che lo sviluppo non va nel senso della socializzazione, ma nel senso della trasformazione delle relazioni sociali in funzioni psichiche. Perciò tutta la psicologia del collettivo nello sviluppo infantile si presenta in una luce affatto nuova. Ci si chiede solitamente come questo o quel bambino si comporti nella collettività. Noi ci chiediamo come la collettività instaura in questo o in quel bambino le funzioni psichiche superiori” (Vygotskij, 1960,

tr. it. 1960, p. 202).

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A tali aspetti sono dedicati in questo stesso capitolo rispettivamente i paragrafi 1.6 e 1.7.

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Rispetto al contributo di Vygotskij è importante ricordare che la diffusione e la fortuna delle sue teorie è stata successiva alla loro stesura. Pur essendo inserito nel dibattito psicologico europeo degli anni Trenta, la sua fortuna è iniziata dopo la ripubblicazione nel 1956 in URSS, con ritagli e rimaneggiamenti, del testo Pensiero e linguaggio opera pubblicata postuma nel 1934, poco dopo la morte del suo autore. Nell’era dello stalinismo le sue teorie scompaiono dalla circolazione scientifica, per poi riapparire grazie alla traduzione inglese dell’edizione russa di Pensiero e linguaggio, con un’introduzione di Bruner e una discussione “retrospettiva” di Piaget che, dopo 25 anni, risponde alle obiezioni e agli studi su di esse elaborati, da parte di Vygotskij negli anni Trenta. In Italia il testo viene tradotto e pubblicato nel 1966, sull’edizione inglese. A parte il capitolo sette, tradotto dal russo da Veggetti, dedicato a Pensiero e Parola. L’aspetto da segnalare in questa vicenda è che le opere di Vygotskij hanno subito diverse censure e manipolazioni non ancora totalmente chiare, che in parte offuscano il reale contributo dello psicologo russo. Resta comunque il fatto che grazie alle sue opere è stata introdotta un’impostazione per cui lo sviluppo umano risulta profondamente influenzato da fattori culturali trasmessi dai contesti di vita e di educazione che ha reso cruciale lo studio di questi contesti e delle loro possibili modificazioni. (Cfr. Mecacci, 1990; Liverta Sempio, 1998)

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Vygotskij nella sua teoria storico-culturale, definita come costruttivismo sociale, evidenzia come lo sviluppo intellettivo non possa essere compreso senza il riferimento al contesto socio-culturale in cui esso avviene che, attraverso la mediazione del linguaggio, permette l’interiorizzazione delle interazioni sociali. Il principio fondamentale a cui si ispira tale teoria è appunto la sociogenesi delle funzioni psichiche superiori, cioè “l’idea che tutte le forme

complesse dei processi mentali abbiano un’origine sociale” (Lurija, 1974, p.47), si costruiscano

dunque nelle attività di collaborazione con altri e non nel singolo bambino.

Secondo la legge genetica generale dello sviluppo culturale, ogni funzione psichica superiore (che oggi chiameremmo “processo cognitivo”, Veggetti, 1998, p.46) appare due volte, o su due piani, nel corso dello sviluppo: inizialmente sul piano sociale, esterno, interpersonale e interpsicologico, cioè nell’interazione e nel linguaggio e successivamente sul piano mentale, interno, individuale, intrapsicologico, cioè nel pensiero (Vygotskij, 1960, pp. 211-212). Le funzioni cognitive vengono prima agite socialmente nell’interazione e poi interiorizzate, attraverso un’appropriazione attiva da parte del bambino, che elabora le funzioni cognitive agite nell’interazione sociale, grazie al sostegno e alla collaborazione degli adulti o dei pari più competenti.

La transizione dall’interpsichico all’intrapsichico, dal sociale al personale, viene ricondotta, come già aveva fatto Mead, a processi mediati dall’interazione, soprattutto da quella discorsiva. Questo percorso viene definito come processo di sviluppo storico-culturale, rispetto al quale Vygotskij avanzò l’idea, teorica e strumentale, che nel corso dell’ontogenesi queste funzioni si presentassero in forme distinguibili solo mediante un’astrazione: una prima volta come forma di attività psichica organica, naturale-spontanea e poi, verso l’età scolare, sotto forma mediata superiore. In questo modo Vygotskij tenta di individuare, nel processo di apprendimento, l’intreccio tra natura e cultura, tra l’attività mentale spontanea del bambino più piccolo e quella mediata dal suo incontro con il mondo sociale e culturale che ne segna lo sviluppo.

L’origine sociale dello sviluppo si realizza attraverso un’interazione che comprende tre parti: i bambini, gli agenti della socializzazione (cioè altre persone: adulte o pari) e le conoscenze storicamente e culturalmente diffuse, che mediano l’incontro con la realtà. L’attività condivisa con un partner più competente rappresenta l’impalcatura sulla quale si realizza lo sviluppo del bambino che è progressivamente in grado di influenzarne la traiettoria. Il processo e il prodotto dell’attività, realizzata intersoggettivamente, diventano patrimonio del bambino a livello

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individuale, grazie al partner più competente che lo aiuta ad appropriarsi degli strumenti culturali (artefatti) e psicologici (funzioni psichiche) che caratterizzano ciascuna cultura. 32

Gli strumenti o artefatti culturali (Vygotskij, 1934; Cole, 1996; Inghilleri, 2009), solo elementi materiali (oggetti costruiti dall’uomo) e/o simbolici e psicologici (elementi concettuali, primo fra tutti il linguaggio), culturalmente costruiti e tramandati nel corso della storia di ogni società, che orientano l’individuo nei processi di comunicazione, conoscenza, attribuzione di senso e modificazione della realtà. Gli strumenti svolgono dunque il ruolo di mediazione verso i significati e le pratiche tipiche di ogni comunità.

Tra questi strumenti il linguaggio è considerato il più importante, poiché è lo strumento centrale della mediazione culturale, che rende possibile apprendimento e sviluppo, specifica della specie umana. Lo sviluppo costituisce così un fatto culturale, poiché per sua natura è mediato dall’utilizzo degli strumenti elaborati dall’uomo nel corso del tempo, che organizzano la mente “amplificandone” le capacita e trasformando le funzioni psichiche naturali in funzioni storiche e superiori. L’incontro del soggetto con il mondo non avviene in modo diretto, in un contesto in cui esistono solo il bambino che apprende e l’ambiente oggettuale che lo circonda. L’esperienza viene infatti mediata nelle interazioni che il bambino instaura con Altri significativi, prima fra tutti la madre, che struttura ed orienta i contatti del bambino con la realtà esterna, segnalandogli come interpretare ciò che accade attorno a lui, in linea con i valori, le idee e le credenze della comunità culturale in cui tutto ciò avviene che vengono così da lui interiorizzati. Come evidenziato in modo significativo da Vygotskij e dalla conseguente prospettiva della psicologia culturale (Bruner, 1990, 1996; Cole, 1996) lo sviluppo del bambino, che inizia dalla mobilitazione e dall’uso di primitive tendenze istintive, naturali e biologiche, passa dall’apprendimento, che avviene attraverso la pressione delle condizioni esterne, che modificano la struttura del procedimento di sviluppo, trasformandolo da naturale in culturale. Tale trasformazione avviene grazie alla mediazione degli strumenti culturali, che vengono utilizzati dal bambino per compiere funzioni specifiche che non è ancora in grado di compiere senza ausili esterni. Grazie all’uso degli strumenti il bambino può produrre nuove forme di comportamento, fino ad arrivare allo stadio in cui tali ausili non sono più necessari e possono essere abbandonati, facendo comunque permanere forme e procedimenti di comportamento acquisiti attraverso di essi. In questo modo tutti i processi cognitivi umani attraversano

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Gli artefatti possono essere di diverso tipo: materiali e tecnici (cucchiaio, bicchiere, giochi, triciclo, computer, ecc.), simbolici (linguaggio, aritmetica, scrittura, regole, norme di condotta, ecc.) o psichici (strategie di memorizzazione, attenzione, apprendimento, ecc.).

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un’evoluzione caratterizzata dal passaggio da una dimensione naturale e immediata, a una storico-culturale, mediata (Cfr. Veggetti, 1998, pp.48-55).

Adottando la terminologia vygotskijana possiamo dire che le funzioni psichiche superiori rappresentano la ristrutturazione in chiave culturale dei processi psichici naturali, resa possibile dalla mediazione di segni, in particolare dal linguaggio, che gli adulti utilizzano nell’interazione sociale con i bambini e che questi apprendo ad utilizzare per controllare il proprio comportamento e i propri processi intellettivi, caratterizzandoli culturalmente, poiché è lo stesso linguaggio che li produce ad essere caratterizzato culturalmente e ad essere veicolo di contenuti e significati culturalmente prodotti. Grazie al linguaggio dell’adulto il bambino si appropria degli strumenti comunicativi propri della cultura di appartenenza, facendoli propri, imparando così non solo a comunicare con competenza con gli altri, ma anche a dare un significato culturalmente orientato a ciò che lo circonda e ai processi mentali che vengono in tal modo sviluppati.33

Secondo la scuola storico-culturale il linguaggio infatti non rispecchia l’attività del pensiero, ma la genera: il pensiero non si esprime attraverso le parole, ma si realizza attraverso di esse (Vygotskij, 1934) “poiché è intrinsecamente orientato non tanto a operare un confronto tra

rappresentazioni mentali e realtà, quanto a dare un senso culturalmente accettabile, cioè comunicativo, alle cose, organizzando in modo socialmente comprensibile la frammentaria informazione disponibile sul mondo” (De Grada, Bonaiuto, 2002, p.26).

Questo senso è appreso attraverso l’interiorizzazione degli scambi verbali con altri e ha un carattere “locale”, come quello dell’interazione originaria. Poiché l’uso degli strumenti culturali è sempre contestualizzato in situazioni specifiche, lo sviluppo possiede una dimensione sociale, in tal modo ogni fenomeno culturale è storico e sociale.

Il contesto, inteso in senso storico-culturale, acquisisce così un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo del bambino e la costruzione della conoscenza, intesi come processi interattivi sempre in esso situati, in cui il bambino, attraverso gli strumenti forniti dalla cultura (gli artefatti simbolici e materiali) e mediante la comunicazione conversazionale con i genitori e con altri partner, impara a interpretare l’esperienza e a negoziare i significati della situazione e dei compiti incontrati, in modo congruente e condiviso con il sistema di regole proprie della cultura in cui vive.

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Si ritrovano in questa prospettiva alcune idee già evidenziate da Mead34 che, sebbene spesso non siano state sufficientemente approfondite e prese in considerazione nelle sue diverse implicazioni (Zucchermaglio, 2003; Mazzara 2003, 2007), rappresentano un orizzonte interessante per una riflessione attorno al ruolo che l’interazione discorsiva gioca nello sviluppo del soggetto. La sua teoria inserisce infatti i processi di crescita in una prospettiva culturale, in cui, nell’interazione con l’altro, che viene interiorizzato come Altro generalizzato, il bambino acquisisce i significati culturali del gruppo cui appartiene (che può essere il gruppo culturale allargato, ma anche una comunità o gruppi ristretti cui l’individuo partecipa, compresa la classe), sviluppando modi di essere, pensare e agire in relazione ad essi, seppure non strettamente determinati da questi.

Il filosofo, sociologo e psicologo statunitense Mead (1934), considerato tra i padri fondatori della psicologia sociale, da cui trae ispirazione la prospettiva definita “interazionismo simbolico”, all’inizio degli anni ’30, (dunque in un’epoca contemporanea a quella di Piaget e Vygotskij), sostiene ed argomenta la tesi dell’origine sociale delle attività mentali, attribuendo al linguaggio, inteso come processo sociale di comunicazione per mezzo di simboli, un ruolo fondativo nello sviluppo della mente e del Sé. Le caratteristiche distintive dell’interazionismo simbolico, (così come sintetizzate dall’allievo e continuatore di Mead, Blumer 1969, cit. in Mazzara, 2003, p.33) sono innanzitutto l’idea che gli esseri umani agiscano nei confronti degli oggetti del mondo sulla base del significato che attribuiscono a tali oggetti; in secondo luogo il fatto che tale significato non è frutto del pensiero individuale, ma è il prodotto dell’interazione tra individui; in terzo luogo l’idea che i significati siano continuamente manipolati dagli individui in un processo incessante di interpretazione dei dati di realtà.

Si tratta di caratteristiche che trovano delle analogie interessanti rispetto alle prospettive vjgotskiane e bruneriane elaborate all’interno della psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Secondo Mead nello sviluppo intellettuale dell’individuo una funzione centrale sarebbe giocata dall’interazione tra l’organismo umano e il suo ambiente sociale. Mente e pensiero operano per mezzo di simboli significativi di natura intrinsecamente sociale che si formano grazie ai processi di interazione e comunicazione (Mazzara, 2003, p.34), caratterizzati dallo scambio e dalla

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I primi riferimenti alla dimensione sociale e interattiva dello sviluppo e dell’apprendimento sono stati infatti elaborati già all’interno del pragmatismo americano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, quando “fu per

la prima volta sottolineato con forza il legame inscindibile tra interazioni sociali, pratiche di assegnazione di senso e processi mentali, riconoscendo nel linguaggio e nell’uso degli strumenti gli elementi di raccordo tra il livello degli scambi sociali e il livello che definiamo ‘mente individuale’” (Mazzara, 2007, p.34). Per un approfondimento del

pensiero di G.H.Mead e della sua influenza in psicologia si veda Carugati (1979). L’interazionismo simbolico ha prodotto contributi nell’ambito dello sviluppo del sé, dei processi di socializzazione, della conversazione e delle interazioni verbali a scuola e del loro impatto sulla vita della classe e sull’apprendimento delle materie scolastiche.

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continua negoziazione dei significati dell’azione reciproca tra gli attori sociali in essa coinvolti (Zucchermaglio, 2003, p.148). Così la mente sorge attraverso l’appropriazione da parte dell’individuo dei processi sociali dell’esperienza e del comportamento, per mezzo di un processo in cui un ruolo imprescindibile è giocato dal linguaggio, poiché “il contenuto della

mente è solo uno sviluppo e un prodotto dell’interazione sociale” (Mead, 1934, pp.191-192) e “se la mente o il pensiero sono sorti in questo modo, allora non potrebbe esistere e non potrebbe essere esistita alcuna mente o alcun pensiero senza linguaggio” (Mead, 1934, tr. it. p.203).

Partendo dalla nozione di “conversazione di gesti”, Mead indica che prima ancora che la coscienza di sé o il pensiero si manifestino, le azioni che si scambiano gli individui sono la base per la costruzione del pensiero simbolico. Quando il bambino inizia ad appropriarsi e a interpretare i gesti scambiati nell’interazione con l’Altro questi assumono la forma di simboli significativi, dotati di un senso condiviso da tutti i membri che appartengono alla stessa comunità culturale, permettendo il sorgere della comunicazione, del linguaggio e del pensiero. Il bambino, nel corso della socializzazione primaria, impara ad astrarre significati e “regole del gioco” dai ruoli e dagli atteggiamenti delle persone importanti, andando a costruire quello che Mead chiama “Altro generalizzato”, cioè un “altro astratto” che rappresenta l’atteggiamento di un’intera comunità: i punti di vista, le norme, le risposte tipiche dei gruppi sociali di appartenenza e che dà all’individuo la sua unità in quanto Sé.35 Questo processo di costruzione continua per tutta la vita, anche durante le pratiche di socializzazione secondaria, e permette di prevedere le risposte degli altri alle proprie azioni e quindi di dar loro un significato.

Ciascun individuo, indicando con un gesto a un altro individuo ciò che si attende da lui, diventa consapevole del significato che il suo gesto ha per l’altro e diviene in grado di applicare riflessivamente tale significato al suo stesso gesto. Proprio il fatto che il gesto evochi la stessa risposta tanto nel Sé che nell’altro fornisce il contenuto necessario per garantire la comunità del significato (Carugati, Perret-Clermont, 1999, p.44).

“I gesti diventano simboli significativi quando suscitano implicitamente nell’individuo che li compie le medesime risposte che essi suscitano esplicitamente, o si ritiene che suscitino, negli individui a cui sono indirizzati. […] In tal modo ogni gesto viene a rappresentare, in un determinato gruppo sociale o comunità, un atto o una risposta particolari: cioè l’atto o la risposta che esso richiama esplicitamente nell’individuo a cui è indirizzato, e implicitamente

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L’Altro Generalizzato è come il “precipitato” delle molteplici esperienze interattive e di partecipazione a comunità e gruppi sociali che caratterizzano la nostra vita. In esso sono sedimentati linguaggi, lessici, modi di risolvere i problemi, riti, storie, comportamenti attesi, reazioni appropriate e così via. Tutte cose che permettono di dar conto della capacità di supervisionare e regolare, per così dire “dall’esterno”, le proprie azioni, e al tempo stesso di prevedere e valutare quelle degli altri. (Zucchermaglio, 2003, p.151)

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nell’individuo che lo compie. Questo atto o risposta particolari da esso rappresentati costituiscono la sua essenza di simbolo significativo” (Mead, 1934, pp. 73 – 74).

Il significato che emerge nello scambio di gesti con l’altro, viene percepito coscientemente attraverso la mediazione del linguaggio, che permette l’insorgenza di significati comuni poiché attraverso di esso l’uomo organizza temporalmente l’atto e può raggiungere con l’altro un’intesa consensuale sul suo significato. In questa direzione il linguaggio rappresenta al livello più alto, tipicamente umano, la capacità di scambiare con i propri simili gesti significativi (Mazzara, 2003, p.34). Utilizzando il linguaggio è infatti possibile costruire oggetti dotati di un significato condiviso: “Il linguaggio non simboleggia semplicemente una situazione o un oggetto che esista

precedentemente: esso rende possibile l’esistenza o la comparsa di quella situazione od oggetto particolari in quanto fa parte del processo per mezzo del quale quella situazione o quell’oggetto viene creato” (Mead, 1934, p. 100).

Secondo tale prospettiva il significato è condiviso non solo da chi interagisce direttamente, ma da un intero “universo sociale”, inteso come comunità costituita dai membri di una specifica collettività all’interno della quale il significato assume un valore trans-individuale, apparentemente “oggettivo”.

Il linguaggio utilizzato con l’altro viene poi trasformato in pensiero simbolico, definito da Mead proprio come “conversazione con l’Altro generalizzato”, poiché anche quando siamo da soli cerchiamo comunque di rispondere, internamente e in forme vicarie, alle possibili risposte o reazioni di altri alle nostre idee e argomenti (Pontecorvo et al., 1991, p.22). Mente e Sé