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Sviluppo degli studi sulla conversazione e il discorso

IL LINGUAGGIO MEDIATORE DEI PROCESSI EDUCATIVI E DI SVILUPPO: PROSPETTIVE TEORICHE DI RIFERIMENTO

1.2 Dalla comunicazione lineare al discorso in interazione

1.2.4 Sviluppo degli studi sulla conversazione e il discorso

Queste diverse prospettive e modalità di studio del linguaggio non sono state rigidamente separate, ma si sono influenzate e intrecciate, anche nell’ambito di altre scienze umane. Un ruolo particolarmente importante nella loro evoluzione e applicazione in diversi ambiti disciplinari è stato dato dallo sviluppo in ambito sociologico e psicologico della prospettiva socio-costruttivista e culturale, nata dall’interazionismo simbolico, di cui padre fondatore può essere considerato George Herbert Mead (1934) e sviluppata in particolare grazie alla Teoria Socio-storica di Lev Vygotskij (1934), che hanno posto le interazioni sociali, mediate dal linguaggio quale strumento psicologico e culturale, al centro dei processi di sviluppo, di apprendimento e di crescita. L’interazione e l’ibridazione di queste diverse prospettive, teorie e modelli di studio hanno portato allo sviluppo di nuovi approcci nei quali il discorso in inter-azione ha assunto un ruolo centrale ed è diventato oggetto di studio primario, al centro di tutti gli altri processi sociali, psicologici e culturali, a loro volta considerati strettamente intrecciati. In ambito psicologico, ad esempio, autori come Bruner (1986, 1990) e Cole (1995) hanno sviluppato una psicologia di matrice simbolico-culturale in cui il linguaggio è posto alla base del senso del sé e della visione del mondo, sebbene la loro metodologia appare poco omogenea e coerente (Boaniuto, Fasulo, 1998, p.235).

Inoltre in Inghilterra, negli anni ’80 e ‘90, si è verificata sempre in ambito psicologico un’espansione dei metodi discorsivi, che integrano tecniche di analisi del discorso e analisi della conversazione, andando a costituire quella che viene definita Psicologia Sociale Discorsiva (De Grada, Bonaiuto, 2002). Tali studi, mantenendo un’attenzione privilegiata per i costrutti psicologici tipici della psicologia sociale cognitiva, hanno prodotto una riconcettualizzazione dei fenomeni psicologici, cognitivi e sociali, in termini discorsivi, anche in riferimento ai processi di apprendimento (Edwards, Mercer, 1987).16 In questa prospettiva il discorso è considerato una forma specifica di interazione fra le persone e quindi sia prodotto che produttore dei processi psicologico-sociali. L’accento è ancora una volta posto sul discorso come azione sociale compiuta da coloro che usano il linguaggio per comunicare tra loro in situazioni sociali, nell’ambito della

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Sono ad esempio stati riconcettualizzati in termini discorsivi i processi di categorizzazione del Sé connessi con l’identità sociale, atteggiamenti, opinioni e ideologie, pregiudizi e rappresentazioni sociali, processi di spiegazione e attribuzione sociale di causa e responsabilità, memoria e ricordo. Per una rassegna sistematica degli aspetti rivisitati dalla psicologia discorsiva cfr. Edwards D., Discourse and Cognition, Sage, London, 1997, De Garda E., Bonaiuto M.,

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società e della cultura (De Grada, Bonaiuto, 2002). La cognizione viene ricondotta alla “natura sociale” dell’attore e del mondo che questo sperimenta, con un’attenzione orientata alla persona in quanto attivamente inserita ed operante in uno specifico ambiente e ordine sociale. La realtà vissuta dall’individuo è interpretata come costruzione intersoggettiva emersa nel corso dell’interazione sociale e dell’uso che in essa si fa del linguaggio (Condor, Antaki, 1997, cit.in De Grada; Bonaiuto, 2002, p.11) e la cognizione non viene considerata come qualcosa che opera a livello intraindividuale ma come prodotta e gestita nell’ambito delle azioni-interazioni quotidiane volte a “fare” qualcosa (Edwards, 1997).

Osservando e analizzando processi discorsivo-conversazionali le ricerche realizzate nell’ambito della psicologia discorsiva hanno mostrato empiricamente l’ipotesi che molti dei tradizionali costrutti psicologico-sociali sono prodotti discorsivi realizzati dalle persone nelle loro interazioni, discussioni e spiegazioni quotidiane, in modi “retoricamente flessibili”, cioè in funzione degli interlocutori e delle azioni che questi perseguono nell’immediato contesto discorsivo (Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.236). L’interesse è quindi orientato ai modi in cui la conoscenza è costruita, gestita, orientata nell’azione interpersonale (De Grada, Bonaiuto, 2002, p.11). Si tratta, come accennato all’inizio di questo paragrafo, di una prospettiva che è stata influenzata da diverse linee di pensiero, che ne costituiscono lo sfondo concettuale e la legittimano sul piano culturale tra cui alcune che rappresentano un orizzonte di riflessione anche per il nostro lavoro, in particolare: l’interazionismo simbolico (Mead, 1934), la teoria di Lev S. Vygotskij e della sua scuola (1934), la filosofia del linguaggio di Wittgenstein (1953), l’etnometodologia (Garfinkel, 1967), la Teoria degli Atti Linguistici (Austin, 1962, Searle, 1969) e la linguistica pragmatica (Grice, 1978).17

In Italia la ricerca conversazionale e discorsiva si è sviluppata nell’ambito della linguistica (Orletti, 1983, 1994), della sociologia (Fele, 1990), della psicologia sociale e della ricerca educativa interessata ad aspetti di socializzazione linguistica. Particolarmente interessanti sono in questa direzione i lavori di Fasulo e Pontecorvo sull’apprendimento e la socializzazione attraverso il discorso in famiglia e a scuola (Fasulo, Pontecorvo, 1999; Pontecorvo, Arcidiacono, 2007). Intrecciato all’ambito psicologico, in particolare in questi lavori su discorso e apprendimento, un contributo di fondamentale importanza è dato dalla prospettiva etnografica e antropologica sul linguaggio e il discorso come pratica sociale e culturale. Anche in questo ambito vi sono stati

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Altri riferimenti sono alla scuola di Michail Michailovich Bachtin e del suo Circolo (1979), la psicologia o teoria critica, l’ottica postmoderna, il costruttivismo sociale, la retorica e l’argomentazione (Billing, 1996) cfr. De Grada, Bonaiuto (2002, pp.17-103). La teoria di Grice è illustrata, rispetto ai rischi della sua violazione nell’interazione con i bambini nel cap.2 par.2.4.4.

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molti meticciamenti di teorie e prospettive diversificate, provenienti soprattutto dalla sociolinguistica. Del resto come indica Duranti (1997) tra le scienze umane e sociali che studiano la comunicazione la sociolinguistica è la disciplina più simile all’antropologia del linguaggio, tanto che a volte è difficile tenerle separate. Già Hymes con la sua etnografia della comunicazione aveva tentato di unire gli interessi dell’antropologia con quelli della sociolinguistica cercando di definire un campo di studi interdisciplinare incentrato attorno alla nozione di “uso della lingua”. È così aumentata nel corso degli anni ’60 e ’70 la somiglianza e la comunanza di interessi tra le due discipline, anche con la scuola etnometodologica di Garfinkel, Sacks e Schlegoff. Permangono tuttavia delle specificità, in particolare nell’antropologia del linguaggio (Duranti, 1997) nella quale assume importanza centrale e distintiva il concetto di cultura.

Un lavoro pioneristico in questa direzione è stato compiuto da antropologi come Duranti (1997) e Ochs (1988) per i quali l’analisi di conversazioni spontanee nelle situazioni oggetto dei loro studi “ha fornito la possibilità di accedere alle dimensioni culturali implicite, che non sono

contenute nel linguaggio in modo generico, ma legate a particolari tipi di attività verbali”

(Bonaiuto, Fasulo, 1998, p.235). Il linguaggio viene infatti considerato in prospettiva antropologica come una “risorsa” e una “pratica culturale” (Duranti, 2000) e la socializzazione linguistica il processo in cui il bambino acquisisce nel tempo la cultura (compresa la lingua) della popolazione in cui cresce (Ochs, 2006).18

Il linguaggio è visto come una forma di azione che presuppone e allo stesso tempo dà vita a modi di essere nel mondo. Gli antropologi del linguaggio, piuttosto che considerare la lingua innanzitutto come sistema di classificazione e rappresentazione, si fanno interpreti di una visione della lingua come insieme di pratiche, mezzo attraverso cui è possibile mediare fra gli aspetti ideativo e materiale dell’esistenza umana dando vita a particolari modi di essere-nel-mondo. Proprio questa visione dinamica della lingua è l’aspetto che conferisce all’antropologia del linguaggio il suo peculiare ruolo nell’ambito delle scienze umane e sociali (Duranti, 1997, p.15). L’idea che vi è alla base è che il linguaggio “sia un potente strumento formativo piuttosto

che un mero specchio di realtà sociali prodotte altrove” (ivi, p.9).

La ricerca degli antropologi del linguaggio concerne i modi in cui le parole pronunciate in una determinata occasione offrono, innanzitutto ai partecipanti e poi ai ricercatori, un punto di vista, un modo di pensare al mondo e alla natura stessa dell’esistenza umana (ivi, p.16).

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Quello dalle socializzazione linguistica è un concetto centrale di questa riflessione sull’uso della lingua nei contesti per l’infanzia, proprio perché intreccia l’apprendimento della lingua all’apprendimento e allo sviluppo su altri piani, cfr. par. 1.6.

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Muovono dalla consapevolezza che vi sono dimensioni del parlare che possono essere colte solo studiando ciò che le persone “fanno effettivamente” con la lingua, unendo parole, silenzi e gesti al contesto in cui questi segni sono prodotti. Così l’antropologia del linguaggio ha mostrato molti modi in cui parlare si configura come atto sociale, soggetto ai vincoli propri di ogni azione sociale e ha inoltre evidenziato i modi in cui il parlare produce azioni sociali, ha cioè delle conseguenze sul nostro modo di essere nel mondo e , in definitiva, sulla nostra stessa umanità (ivi, p.20). La prospettiva antropologica sul linguaggio appare particolarmente significativa per una riflessione sull’uso del linguaggio nei contesti educativi perché è intrecciata alla prospettiva socio-costruttivista e culturale dalla quale appare oggi produttivo guardare ai processi di apprendimento e sviluppo dei bambini. La natura propriamente culturale di tali processi (Rogoff, 1990, 2003) rende interessante guardare ai luoghi della loro produzione dal punto di vista discorsivo, proprio perché è il discorso ad essere considerato in tali prospettive il centro strategico di questi stessi processi, come sarà ampiamente illustrato nel corso dei prossimi paragrafi. Le prospettive sociali e antropologiche sul linguaggio si integrano così con la prospettiva socio-costruttivista e culturale dell’apprendimento e dello sviluppo, permettendo di evidenziare in modo concreto come il discorso in interazione svolga il suo ruolo nei processi di crescita dei bambini nelle pratiche condivise con gli adulti e con i pari. Questo passaggio ha prodotto anche una modificazione all’interno delle ricerche sulle interazioni verbali tra insegnanti e bambini in classe che sono qui sotto descritte.