PARLARE CON I BAMBINI NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA: IL RUOLO DELL’INSEGNANTE
2.3 Il livello interattivo: assegnazione e alternanza dei turni di parola
Il meccanismo di alternanza e assegnazione dei turni di parola73 rappresenta un elemento costitutivo dell’interazione verbale, che ne manifesta l’ordine organizzativo (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.39), svolgendo anche una funzione simbolica (Orletti, 2000, p.92), legata al ruolo dei partecipanti e alla natura dell’interazione.
Nella conversazione ordinaria generalmente parla una persona alla volta, l’ordine e la durata dei turni non sono fissi e ciò che i partecipanti dicono non è stabilito in anticipo. L’alternanza dei turni si basa su alcune “regole” che vengono tacitamente rispettate dai parlanti, permettendo all’interazione di procedere in modo fluido e ordinato, con un avvicendamento che tende a limitare le sovrapposizioni e i momenti di pausa, in cui non parla nessuno, prevedendo alcune tecniche specifiche per gestire queste situazioni quando si verificano. 74
L’alternanza nel parlare è resa possibile dal fatto che i turni sono costruiti in modo prevedibile, facendo sì che i presenti possano intuire quando intervenire, grazie alla presenza di alcuni
indicatori che aiutano a presumere la fine del turno, definendo quello che viene chiamato punto di rilevanza transizionale nel quale una transizione di turno diviene rilevante, cioè un’opzione
possibile (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.41), ma non obbligata, poiché il parlante iniziale può mantenere la parola, proseguendo il suo discorso.75
Nel punto di rilevanza transizionale il cambio di turno può avvenire per assegnazione da parte di chi sta parlando (etero assegnazione) o per auto assegnazione da parte di un partecipante, che si seleziona per prendere la parola. In questo modo l’assegnazione del diritto di parola viene gestita localmente e interazionalmente, cioè turno per turno e dai partecipanti stessi, ciascuno dei quali può intervenire per controllarne durata e ordine.
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Un turno non coincide con entità linguistiche come la frase o il periodo, né con quantità psicologiche del tipo “tutto quello che il parlante voleva dire”, ma è una unità osservativa che corrisponde semplicemente a tutto il discorso che un unico parlante pronuncia di seguito. I confini naturali del turno sono perciò la fine e l’inizio rispettivamente del turno precedente e di quello seguente pronunciati da parlanti diversi (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.39).
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La trattazione originale dei meccanismi della presa di turno e delle sue unità costitutive si trova nell’articolo fondativo dell’analisi conversazionale: Sacks H., Schegloff E.A., Jefferson G., (1974).
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Ciò fa sì che ogni turno possa contenere diversi punti di rilevanza transizionale, ognuno dei quali segna la fine di una
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Ciò accade generalmente nelle conversazioni ordinarie tra persone adulte, o comunque in situazioni ordinarie tra soggetti che abbiano acquisito le competenze comunicative di base e abbiano un potere conversazionale simile.
Quando nella conversazione sono coinvolti dei bambini le cose possono andare diversamente, proprio in virtù della disparità che esiste tra loro e gli interlocutori adulti. I più piccoli infatti acquisiscono le competenze che permettono loro di essere abili comunicatori nel corso della crescita, partecipando a interazioni all’interno della loro comunità di appartenenza, in particolare in famiglia.
Le ricerche sulle interazioni tra neonati e adulti hanno tuttavia messo in evidenza che i bambini sono sensibili al cambio di turno prima ancora di saper parlare, fin dalle prime settimane di vita, quando, negli scambi con la madre, durante un’attività condivisa, riconoscono e riproducono partner ritmici significativi. Inizialmente, è l’adulto, in particolare la madre, a sostenere queste regolazioni reciproche, ma già a 4-5 anni d’età nelle conversazioni con gli adulti l’influenza dei due partner è completamente bidirezionale, presentando un adattamento reciproco al ritmo dell’altro (Welkowitz, Cariffe, Feldstein, 1976). Studi realizzati sulle conversazioni familiari a tavola in contesti italiani hanno recentemente ulteriormente mostrato, già in bambini di 4 anni, la capacità di intervenire in modo pertinente all’interno di discorsi avviati da altri e di proporne di nuovi nel momento adatto (Pontecorvo, Arcidiacono, 2007). Anche nello scambio tra pari i bambini di questa età sanno come alternare efficacemente il turno di parola, sebbene facciano degli sforzi maggiori, rispetto agli adulti, per coinvolgere nella conversazione altri partecipanti, piuttosto che per conservare il loro ruolo di parlanti. Differentemente da quanto accade nelle interazioni tra adulti e tra adulti e bambini, tra pari le pause tra un turno e l’altro sono più lunghe, anche se i bambini piccoli si mostrano comunque sensibili al silenzio del loro interlocutore, che li induce a ripetere una domanda o a produrre una interpellazione per esortare l’altro a parlare (Garvey, Berninger, 1981).
I bambini della scuola dell’infanzia possono dunque essere ritenuti da questo punto di vista dei partner piuttosto competenti, che stanno però imparando o hanno appena imparato a comprendere e gestire l’alternanza dei turni e che, assimilando tali regole nell’interazione con gli altri, adulti e pari, le acquisiscono anche all’interno delle istituzioni educative che frequentano, in cui vigono però meccanismi di assegnazione dei turni differenti dalla conversazione ordinaria, cui sembrano dimostrarsi sensibili, apprendendo nel tempo le modalità efficaci per ottenere e mantenere la parola.
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Gli studi di analisi della conversazione hanno infatti messo in evidenza che le regole per il cambio di turno possono cambiare in base alla situazione contestuale in cui avviene lo scambio verbale, che può essere totalmente o maggiormente governato da uno dei parlanti.
Le ricerche svolte sull’interazione verbale in ambito istituzionale hanno mostrato che non in tutti i sistemi di attribuzione dei turni in cui si parla uno alla volta la gestione dei trasferimenti dei diritti di parola viene gestita localmente e da tutti i partecipanti come accade nella conversazione ordinaria. In classe, ad esempio, “vige un sistema sostanzialmente asimmetrico
rispetto alla distribuzione dei diritti di parola, nel quale anzitutto le due ‘parti’ che si alternano a parlare sono composte, la prima, di una sola persona: l’insegnante; la seconda di molte: gli studenti” (Fele, Paoletti, 2003, p.97). Inoltre, le regole di alternanza dei turni sono differenti da
quelle della conversazione ordinaria, poiché è l’insegnante che, assumendo il ruolo di regista, ne controlla l’attribuzione, la durata e il contenuto. Più precisamente Orletti evidenzia che l’interazione verbale in classe “è governata da un sistema misto di alternanza dei turni che si
colloca […] tra la conversazione naturale, il cui andamento viene determinato da tutti i partecipanti localmente ed interazionalmente, e quello dei dibattiti, in cui, invece, l’alternanza dei turni è totalmente determinata in anticipo. Chi parlerà, quanto parlerà e di che cosa parlerà è, in classe, generalmente determinato da fattori situazionali esterni all’interazione ed anche in quei casi in cui il diritto di parola avviene turno per turno, come nella conversazione di ogni giorno, l’insegnante coordina la transizione assumendo il ruolo di regista dell’interazione”
(Orletti, 2000, p.108).
È dunque in genere l’insegnante che, quando è presente, più o meno direttamente, si preoccupa di assegnare e governare la presa di parola dei bambini, selezionando i parlanti attraverso diverse modalità, tra le quali sceglie quella più idonea al formato dell’attività in corso (Selleri, 2004, p.44). Può ad esempio scegliere tra diverse mani alzate, chiamare direttamente un bambino, selezionare tra diversi bambini che indicano in vario modo di voler intervenire, indicare una sequenza di interventi da rispettare, seguire la sequenza di un cerchio, ecc..
Sono tuttavia possibili anche situazioni in cui i bambini si autoselezionano per intervenire, solitamente richiedendo precedentemente un’autorizzazione all’insegnante (Orletti, 1994, p.73), e il loro tentativo non viene bloccato, in virtù del fatto che risulta funzionale o appropriato alla situazione (ad es. il contributo apportato è pertinente). La possibilità che ciò si realizzi dipende comunque dal fatto che l’insegnante la renda possibile, non bloccandola ed accogliendo il contributo proposto (Selleri, 2004, p.44).
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Nel modello scolastico “tradizionale” il controllo dei turni da parte dell’insegnante è molto rigido, e sono generalmente i suoi turni ad essere la maggioranza (Stubbs, 1979). Le ricerche hanno evidenziato con forza che nelle istituzioni scolastiche “l’organizzazione standard della
presa di turno – quando l’insegnante interagisce con tutta la classe – è che il turno torni all’insegnante dopo che lei stessa l’ha ceduto a qualcuno in particolare o alla classe in generale con il suo intervento precedente” (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.67).
Questa alternanza evidenzia che è l’insegnante a controllare chi deve intervenire e a mantenere il controllo sul passaggio da un turno all’altro, che generalmente non avviene tra i bambini, ma è sempre mediato dall’adulto, che rappresenta così il loro interlocutore primario. È molto raro che gli alunni selezionino il parlante successivo durante il loro turno (Fele, Paoletti, 2003, p.98). In classe non è previsto che uno studente possa autoselezionarsi per intervenire in un punto sequenzialmente propizio per portare un contributo autonomo (ivi, p.100). L’enfasi in genere è posta sulla regola del “si parla uno alla volta” e dunque la possibilità da parte dei bambini di intervenire nel turno di un compagno o di concluderlo collaborativamente, non può essere ritenuta scontata. La possibilità di “parlare nel turno dell’altro” sarebbe indice di una suddivisione meno netta tra parlante e ascoltatore e un modo per costruire l’intersoggettività (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.43), per dare luogo ad un discorso comune e condiviso. Come accade ad esempio nelle discussioni autentiche (Pontecorvo et al., 1991), anche tra bambini di scuola materna, nelle quali ciascuno dicendo un pezzo di frase, coopera alla creazione di un discorso condiviso costruito con l’apporto dei diversi contributi attraverso i quali si sviluppa il discorso.76
L’insegnante, nel tentativo di garantire l’ordine conversazionale, si preoccupa di regolare anche le eventuali sovrapposizioni77 tra gli interventi dei bambini, così da rendere possibile la prosecuzione della conversazione e la comprensione da parte di tutti i partecipanti. Se l’ordine conversazionale viene infranto l’insegnante può utilizzare delle “tecniche di riparazione”. Vi sono teniche preventive, come il meccanismo delle mani alzate, che permette ai bambini di
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Questa modalità di costruzione del discorso è stata definita “Sindrome dei tre nipotini di Paperino”, i quali dicono ciascuno un pezzo di frase come se avessero una sola “mente”. Cfr. Pontecorvo C., “Discutere per ragionare”, (1991), p. 25.
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Le sovrapposizioni, scoperte da Jefferson (1983), possono essere divise in diversi tipi, a seconda del loro punto di inizio: transizionali, quando avvengono in prossimità di un cambio di turno, in un punto di rilevanza transizionale; di
riconoscimento, quando chi ascolta è in grado di prevedere la conclusione del turno dell’altro sulla base di quanto è
già stato detto e dunque inizia a parlare; progressive, quando il parlante mostra difficoltà nel procedere oltre e dunque l’ascoltatore interviene in suo aiuto. In tutti e tre i casi le sovrapposizioni sono orientate alla completezza del turno dell’altro e non a impedirlo. Le interruzioni propriamente dette sono possibili, ma sono una minima parte tra quelle riscontrate. I problemi che le sovrapposizioni possono apportare alla conversazione sono limitati da alcuni accorgimenti utilizzati dai parlanti: turni che spesso iniziano con parti non essenziali sul paino del contenuto come “ma scusa”, “allora”, “volevo dire”, ecc.; uso di ripetizioni (Cfr. Fasulo, Pontecorvo, 1999, pp.47-48).
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autoselezionarsi segnalando di essere in grado di rispondere alla domanda e all’insegnante di selezionare il parlante effettivo, oppure tecniche che l’insegnante adotta successivamente, quando i bambini parlano contemporaneamente, richiamando le regole oppure semplicemente comportandosi secondo le regole, ad esempio selezionando il parlante successivo (Fele, Paoletti, 2003, pp.100-101).
È interessante segnalare che in classe la presenza di sovrapposizioni, che generalmente hanno una valenza negativa e vengono appunto evitate, possono avere anche un carattere positivo perché segnalano l’interesse dei bambini per la conversazione e il desiderio di intervenire per dire la loro su un argomento, denotando coinvolgimento e partecipazione attenta. Inoltre, nelle situazioni scolastiche non è infrequente l’effetto corale, specificatamente previsto dalla situazione interattiva, come accade nelle risposte a domande che l’insegnante rivolge all’intera classe (Fasulo, Pontecorvo, 1999, p.49). Del resto, la possibilità che si verifichino sovrapposizioni dipende prevalentemente dal fatto che i bambini si autoselezionino per rispondere a una domanda dell’insegnante in cui non sia stato stabilito un rispondente, poiché non è prevista la possibilità che un alunno selezioni il parlante successivo né che possa autoselezionarsi (Fele, Paoletti, 2003, p.100).
Sebbene il controllo del turno possa rappresentare apparentemente un aspetto banale, l’attenzione alla sua regolazione è molto significativa ed è in realtà un fenomeno complesso e molto importante per definire le possibilità partecipative dei bambini al discorso, le modalità di evoluzione dell’interazione e il ruolo che in esse posso assumere i bambini (Fasulo, Pontecorvo, 1999). L’assegnazione del turno infatti determina chi, quando e per quanto tempo può parlare, legittimando o meno la partecipazione dei singoli bambini alla costruzione dell’interazione, facendone così dei parlanti più o meno competenti e legittimati.
Attraverso l’assegnazione del turno e le modalità per farlo, si stabilisce una struttura di partecipazione specifica, si stabilisce cioè chi parla a chi, chi ha e può avere il ruolo di parlante e chi di interlocutore, definendo una situazione in cui lo scambio verbale interessa l’asse adulto/bambino, quello adulto/bambini, quello dei bambini tra loro, o di bambini e adulto insieme. Si strutturano così delle forme di partecipazione che costruiscono o meno i presenti come partecipanti legittimati del discorso.
Inoltre l’insegnante, controllando i turni, controlla anche l’evoluzione del contenuto dell’interazione, costruendo il “concatenamento dell’attività, perché conoscendo bene gli alunni
è in grado di fare molte anticipazioni sul contenuto del loro intervento” (Selleri, 2004, p.44).78
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L’insegnante, nell’assegnare il diritto di parola ai bambini o a un bambino, in uno specifico momento dell’interazione, determina anche il tipo di turno che questi deve produrre. Ad esempio, se fa una domanda, obbliga il parlante selezionato a fornire una risposta, non permettendogli di produrre a sua volta un’altra domanda (Fele, Paoletti, 2003, p.98).
Le ricerche sulla conversazione tra insegnanti e bambini, anche all’interno di scuole dell’infanzia,79 mostrano che modalità differenti di organizzare il turn-taking da parte dell’adulto danno luogo a strutture di partecipazione in cui i bambini possono assumere ruoli più o meno attivi, sentendosi o meno legittimati a partecipare e prendere l’iniziativa, piuttosto che attendere passivamente le indicazioni dell’insegnante.
Tra una conversazione istituzionale e una conversazione ordinaria, come ricordano Fele e Paoletti (2003, pp.98-99) esistono una gamma intermedia di comportamenti in cui, piuttosto di una rigida pre-allocazione dei turni, si può parlare di una forma più o meno forte di “orchestrazione” da parte dell’insegnante del formato di partecipazione in cui questa, in collaborazione con gli alunni, produce l’ordine conversazionale che permette il tranquillo svolgimento delle attività.
Strutture di partecipazione rigidamente realizzate vedono un’alternanza dei turni tra insegnante e bambini, in cui il primo fa la mossa iniziale e il bambino risponde, la risposta del bambino è seguita dal turno dell’adulto che può realizzare una mossa di feed-back e/o una nuova mossa di avvio (nella forma tipica della tripletta precedentemente illustrata).80
Si tratta di quella struttura definita come tripletta, che caratterizza l’interazione verbale in classe e che tradizionalmente ha assunto una valenza negativa rispetto alle possibilità di partecipazione attiva dei bambini. Tuttavia, come illustrato precedentemente, una organizzazione di questo tipo non è da considerare limitante e valutativa a priori, poiché può avere un ruolo positivo per la partecipazione dei bambini, offrendo un supporto (scaffolding) all’esercizio delle loro competenze comunicative.
Sono possibili tuttavia anche strutture di partecipazione più flessibili, ma non per questo in assoluto meno in grado di supportare le competenze comunicative dei bambini, che possono prevedere un’alternanza dei turni tra pari, un’autoselezione da parte dei bambini, un loro intervento diretto nei turni degli altri interlocutori. Dunque la possibilità di interazioni meno
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Si fa qui riferimento alle ricerche sulla discussione in classe, realizzate anche con bambini delle scuole dell’infanzia, poiché, sebbene non siano indirizzate all’analisi del controllo dei turni, evidenziano i cambiamenti possibili con una diversa gestione dell’interazione, che comprende la possibilità di favorire il confronto/conflitto tra pari e la loro cooperazione allo sviluppo del discorso, sollecitando passaggi di turno tra bambini e non solo con l’insegnante (Cfr. Pontecorvo et al., 1991).
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rigidamente e direttamente controllate dall’adulto, sebbene sia sempre il suo comportamento verbale a renderle possibili.
Le scelte discorsive rimangono infatti nelle mani dell’insegnante, ma possono costruire molteplici formati di interazione, che organizzano in modo differente il contributo dei bambini. Per esemplificare la forza di questo aspetto si può prendere in considerazione un esempio illustrato da Fasulo e Pontecorvo (1999, pp. 131-142) rispetto alla scuola primaria, ma estendibile anche alla scuola dell’infanzia. Le ricercatrici prendono in considerazione due momenti di attività, condotti dalla stessa insegnante, che si realizzano attraverso strutture di partecipazione diverse. Nel primo caso si ha un modello di interazione domanda/risposta nel quale l’insegnante di scuola primaria pone, all’intera classe, domande di approfondimento utilizzando il pronome “mi” (es. “chi mi spiega…), dopo le quali i singoli alunni si possono autoselezionare per rispondere, candidandosi alzando la mano. “Questo formato di interazione
crea un modello di partecipazione in cui il gruppo degli alunni è una sorta di organismo unico, a più teste, […] la ‘testa’ di volta in volta selezionata interagisce in modo individuale con l’insegnante, offrendo a lei la verifica dell’esattezza dei propri ricordi. Non viene invece predisposto uno spazio per la verifica o l’integrazione di conoscenze tra gli alunni, come se appunto parlassero già tutti per mezzo del compagno di turno. Il carattere pubblico delle risposte dovrebbe servire a rendere vero questo presupposto, cioè a restituire a tutti gli alunni l’elemento di conoscenza che uno solo, in collaborazione con l’insegnante sta costruendo” (ivi, pp.135-136).
In questo modello i bambini possono autoselezionarsi, ma è l’insegnante che decide chi può intervenire e dire la sua. A livello simbolico questo tipo di interazione veicola diversi specifici significati, sia rispetto al ruolo dei bambini: quali ascoltatori e alunni che possono dare la risposta esatta; sia rispetto allo statuto del sapere, che è nelle mani dell’insegnante; sia rispetto al senso dell’apprendimento, che passa linearmente dall’adulto ai bambini e viene dal primo verificato. Nel secondo episodio riportato, la stessa insegnante non rivolge domande al gruppo classe, ma seleziona direttamente un bambino per rispondere. Questa volta non si tratta di domande di approfondimento, ma della sollecitazione a raccontare un episodio a scelta da parte del bambino. Come indicano le studiose, paradossalmente, (ma non troppo) il fatto che ci sia singolarità nella selezione del parlante stimola la partecipazione da parte degli altri alunni, che non si preoccupano di alzare la mano, ma comunicano ai compagni i loro episodi preferiti confrontandosi tra pari. Interpellando un singolo individuo l’insegnante restituisce a ognuno una fisionomia separata e il diritto ad esprimere la propria opinione. Anche se l’insegnante nell’episodio descritto rimane la principale interlocutrice dei bambini, gli interventi dei compagni
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sono commenti al punto di vista dei pari e non risposte alle domande dell’insegnante. Il turno in questo caso non torna sempre all’insegnante, ma si sussegue tra i bambini.
I due episodi hanno la stessa insegnante come protagonista e fanno parte di una stessa “attività”, ma in un caso si tratta di una domanda di approfondimento, nel secondo caso di esprimere un’opinione, dunque l’insegnante, interpretando probabilmente le due situazioni come differenti, mette in atto delle strategie che costruiscono un contesto interattivo diverso, attraverso il quale costruisce però, oltre al ruolo dei bambini, anche un significato relativo allo statuto della conoscenza che così si produce, nel primo caso deve essere ratificata dall’adulto, mentre nel secondo, trattandosi di opinioni, può avvenire un confronto tra pari.
Questo esempio restituisce la complessità e la significatività di questo livello dell’interazione che se gestito con consapevolezza permette di adottare alcuni comportamenti finalizzandoli agli obiettivi educativi e didattici.
Avere il diritto di parola e poterlo esercitare prendendo l’iniziativa in prima persona vuol dire per il bambino viversi come soggetto competente e responsabile dell’interazione in corso, che partecipa al suo svolgimento. Avere come interlocutore il gruppo dei pari e non solo l’insegnante vuol dire costruire non solo un senso di appartenenza al gruppo, ma anche il significato di un sapere condiviso in cui non è (solo) l’adulto a decidere della verità o dell’adeguatezza dei fatti e dei punti di vista, ma il confronto con altri, sia insegnante che compagni.