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Analisi della giurisprudenza

CAPITOLO III L’esercizio provvisorio

4. Analisi della giurisprudenza

La giurisprudenza si è pronunciata in più occasioni sul complesso tema dell’esercizio provvisorio nelle società pubbliche, seguendo spesso impostazioni e orientamenti diversi. Prima dell’intervento della c.d. Riforma Madia, che ha segnato un punto di svolta importante nel problema del fallimento delle società pubbliche, i tribunali si erano pronunciati in modo molto eterogeneo sulla possibilità di assoggettare le società in house all’esercizio provvisorio, talvolta adottando l’approccio funzionale, in altre occasioni privilegiando un orientamento privatistico.

La Corte d’Appello di L’Aquila, per esempio, con la sentenza del 3 marzo 2015170, ripercorre i vari orientamenti in materia di fallibilità delle società in house, richiamandosi sia all’approccio sostanziale che a quello funzionale. In particolare, la Corte sottolinea come questa ultima giurisprudenza e dottrina abbia analizzato il tipo di servizio pubblico reso dalla società per definirne l’assoggettabilità o meno all’esercizio provvisorio, distinguendo i servizi pubblici non necessari, in presenza dei quali sarà possibile procedere al fallimento e all’esercizio provvisorio, dai servizi pubblici necessari, i quali non possono esser interrotti nella loro erogazione. Ne deriva l’impossibilità di assoggettare al fallimento la società, nonchè di applicare l’istituto ex art. 104 l. fall.: la norma infatti si occuperebbe esclusivamente dell’interesse dei creditori concorsuali e non anche di quelli della

170Corte d’Appello di L’Aquila, 3 marzo 2015 su ilcaso.it, si pronuncia sul reclamo

proposto avverso una sentenza dichiarativa di fallimento che aveva riguardato la Riscossioni Comunali srl, società in house.

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comunità. La Corte d’Appello prosegue quindi contrapponendo a questi orientamenti la sentenza della Corte di Cassazione del 27 novembre 2013, n. 22209, con la quale la Corte afferma la fallibilità di tutte le società a partecipazione pubblica, indipendentemente dal tipo di servizio svolto, e riconosce l’applicabilità dell’istituto dell’esercizio provvisorio come strumento per perseguire l’interesse dei cittadini che usufruiscono del servizio dell’impresa fallita. La Corte di Appello sottolinea però come la pronuncia non si sia occupata direttamente della disciplina applicabile alle società in house; soltanto nella pronuncia dalla Corte di Cassazione del 25 novembre 2013, n. 26288 la Suprema Corte si sarebbe occupata direttamente delle società in house, sancendo la loro esenzione dal fallimento. La Corte di Appello di L’Aquila, concluso questo iter, prosegue riconoscendo nel caso di specie la sussistenza dei requisiti dell’in house providing. Soffermandosi sull’art. 5 comma 6 lettera c dello statuto della società, che recita “la società garantisce di svolgere le proprie attività in modo regolare e senza interruzioni”, la Corte afferma che “tuttavia, va seguito l’orientamento che parifica, in qualche misura, le società in house agli enti pubblici, con il conseguente impedimento alla fallibilità delle stesse”. Per la Corte di Appello, infatti, non è dirimente la circostanza che il legislatore abbia codificato il tema della società in mano pubblica nell’art. 2449 c.c. poiché la norma si occuperebbe solo del potere dello Stato e degli enti pubblici di acquisire partecipazioni in società per azioni, disciplinando così solo aspetti di diritto sostanziale: la norma non derogherebbe espressamente al diritto fallimentare e alla sua disciplina generale, consentendo pertanto l’applicazione dell’art. 1 l. fall. che esonera dal fallimento gli enti pubblici, tra cui possono essere annoverate anche le società in house. La Corte dunque, pur avendo passato in rassegna le varie posizioni giurisprudenziali e dottrinali in materia di assoggettabilità all’esercizio provvisorio delle società in house rigetta radicalmente questa

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possibilità, sull’assunto della non fallibilità delle medesime. Queste motivazioni sono altresì rintracciabili in una cospicua giurisprudenza, tra cui spicca la sentenza del Tribunale di Catania del 26 marzo 2010171: il Tribunale afferma infatti che «nel caso di società in mano pubblica che presentano il carattere di ‘necessità’ si verifica certamente la lesione dell’interesse pubblico, ove si consideri fra l’altro che la possibilità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa non è volto alla soddisfazione del pubblico interesse ma è subordinato unicamente ed esclusivamente all’interesse dei creditori del fallito (individuabile nella massimizzazione della percentuale di riparto)». Il Tribunale, accogliendo una lettura restrittiva dell’art. 104 l. fall., addiviene ad una posizione molto rigorosa circa l’applicabilità dell’esercizio provvisorio alle società pubbliche. Questo orientamento, che affonda le proprie radici nell’impostazione funzionale, ritiene che l’esercizio provvisorio non possa essere utilizzato per impedire la cessazione dell’attività di impresa, poiché volto esclusivamente alla tutela dei creditori. Esso dunque non sarebbe utilizzabile per assicurare la continuazione dell’attività di impresa in tutte quelle società pubbliche che erogano servizi pubblici essenziali, per le quali la continuità del servizio appare come un fine fondamentale.

Di tutt’altro avviso il Tribunale di Pescara172

, chiamato a pronunciarsi sulla ammissibilità della società in house al concordato preventivo.

171Trib. Catania, 26 marzo 2010, su ilcaso.it. Il caso riguardava la dichiarazione di

fallimento di A. s.p.a., società di servizi a partecipazione pubblica esercente la raccolta e lo smistamento dei rifiuti solidi urbani. Il tribunale osserva che la sola veste “formale” di società di capitali non appare sufficiente a determinare la sussistenza di uno dei presupposti per poter addivenire alla dichiarazione di fallimento. Richiamando alcune disposizioni statutarie, secondo le quali detta società può essere partecipata solo da soggetti pubblici, il tribunale valorizza lo scopo a cui la società tende (art. 1 dello statuto “.. per assicurare la gestione integrata dei rifiuti di propria competenza.. ha per scopo di assicurare la gestione unitaria ed integrata dei rifiuti secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità”) per qualificarla come ente pubblico “risultando essere sodalizio partecipato esclusivamente da enti pubblici per la migliore gestione di un servizio pubblico essenziale”. Alla luce degli indici esaminati, il tribunale definisce la società in esame come ente pubblico e pertanto non assoggettabile al fallimento.

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Dopo aver svolto alcune considerazioni sulla tematica della fallibilità delle società pubbliche, richiamandosi sia all’orientamento sostanzialistico che a quello funzionale (che escludono la fallibilità), si dedica alla critica puntale di questi due approcci, sottolineando come l’impostazione sostanzialistica- tipologica si scontri con il principio sancito dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975 (la qualità di ente pubblico può essere attribuita solo dalla legge) e come l’impostazione funzionale presupponga una lacuna nell’ordinamento che in realtà non esiste. Il Tribunale afferma infatti che «detta teoria, però, presuppone una lacuna nell’ordinamento che comporterebbe la necessità di tutelare l’interesse pubblico mediante l’esenzione dal fallimento, ma non appare corretto supporre l’esistenza di tale lacuna, mentre la continuità dell’attività e l’esigenza di cura di interessi pubblici (soprattutto con riferimento alla materia dei servizi pubblici locali) dovrebbero ad oggi ritenersi garantite da specifiche discipline, che prescindono dall’applicazione di istituti di privilegio quali l’esenzione dal fallimento». Il tribunale prosegue sostenendo che la scelta di restringere l’applicazione dell’esenzione dell’art. 1 l. fall. ai soli soggetti che eroghino servizi pubblici essenziali è comunque da rigettare, poiché non esisterebbe nessuna incompatibilità ontologica tra la sottoposizione al fallimento di questi soggetti e la continuità del servizio, che sarebbe assicurata proprio dall’esercizio provvisorio, da intendersi come «strumento temporaneo per non interrompere la gestione finchè l’ente locale non provveda a nuove modalità di affidamento del servizio, con gara o mediante autoproduzione». Il tribunale si richiama così a due importanti sentenze che aprono la strada a questo orientamento; l’una è la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 22209/2013173 nella quale la Corte sottolinea le ragioni di tutela dell’affidamento dei terzi contraenti contemplate dalla disciplina privatistica (a cui le società in house sarebbero dunque

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soggette); l’altra è una pronuncia della Corte dei Conti174

, che, per il tribunale assume particolare rilievo nella misura in cui essa affermerebbe che, qualunque sia l’indirizzo interpretativo che si intenda perseguire in ordine alla qualificabilità o meno di una società per azioni come ente pubblico, non ne deriverebbe nessuna conseguenza in termini di applicazione della legge fallimentare. La Corte dei Conti afferma infatti il principio secondo cui «la natura del rapporto funzionale con l’ente proprietario non si riflette nei rapporti con i terzi, sulla disciplina normativa applicabile all’organizzazione societaria, che rimane quella stabilita nel codice civile». Ne consegue dunque che, pur configurandosi un rapporto di delegazione interorganica tra ente pubblico e società in house, tale rapporto non si riflette sulla disciplina applicabile all’organizzazione societaria, che rimane quella ordinaria prevista dal codice civile. Il legislatore infatti non contempla nessuna alternazione apprezzabile della disciplina privatistica delle società di capitali per le società in house. Il tribunale conclude dunque affermando che il contemperamento fra la tutela dei creditori e la necessità di una efficiente gestione del servizio pubblico non debba essere ricercato in istituti di privilegio previsti per gli enti pubblici, ma nella ordinaria disciplina sul fallimento prevista per le società di capitali, tra cui anche l’istituto dell’esercizio provvisorio.

Sul tema, si segnala anche la sentenza del Tribunale di Benevento, 27 gennaio 2016175 che, nell’ambito della dichiarazione di fallimento di società in house, in considerazione degli effetti che sarebbero potuti discendere dall’interruzione del servizio pubblico fornito dalla società in ambito locale e nell’interesse della collettività, ha disposto l’esercizio provvisorio della società medesima, solo per il tempo strettamente necessario all’ente partecipante ad affidare il servizio ad un nuovo gestore, tutelando, in tal modo, anche i (prevalenti) interessi

174Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere 18-29

giugno 2009 n. 385, sulla concessione di un mutuo da parte di un Comune nei confronti di una società in house.

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dei creditori176. Anche il Tribunale di Bologna si è espresso in tal senso, autorizzando la prosecuzione dell’attività di impresa ex art. 104 l. fall. per evitare un danno grave che si sarebbe prodotto dalla brusca interruzione dell’attività e volto alla conservazione del valore dell’impresa, alla preservazione dei valori sociali verso i terzi connessi al compendio aziendale e alla preservazione del know-how aziendali verso i terzi177.

5. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni finora svolte, il problema della fallibilità delle società in house e del loro assoggettamento all’esercizio provvisorio trova un punto di definizione con la nuova disciplina della c.d. legge Madia, la l. 124/2015, e in particolare con uno dei decreti legislativi nati per dare attuazione alla riforma, il d.lgs. 175/2016 recante il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. L’art. 14, comma 1, nella generalità della sua formulazione, non

176Sull’argomento, cfr. Trib. Avellino 30 luglio 1960, in Temi Nap. 1961, 373 in cui

era stato disposto l’esercizio provvisorio urgente di una impresa di autotrasporti in concessione “in considerazione dei vari interessi, degni di tutela, di natura pubblicistica e sociale, oltre che per le ragioni economiche dell’impresa”, ha affermato che l’esercizio provvisorio può essere utilizzato per evitare danni “che all’economia del paese possono derivare dalla cessazione di imprese esercenti servizi di pubblica necessità”; Trib. Avellino, decr. 14 ottobre 1964, in Foro Pad. 1965, I, 1418 aveva disposto l’esercizio provvisorio di una società esercente servizi di linea di trasporti in concessione, al fine di salvaguardare l’occupazione, affermando che “l’esercizio provvisorio.. si presta per la sua particolare struttura a perseguire un risultato economico che va al di là della semplice possibilità di consentire una più favorevole liquidazione dei beni del fallito, non essendo escluso che un adeguato periodo di amministrazione giudiziaria valga a risanare le aziende o, comunque, a favorirne, con cessione in blocco o un concordato, il reinserimento fra quelle economicamente vitali”; Trib. Verona 23 febbraio 1991, in Foro It. 1992, I, 558 relativo ad una società di calcio dichiarata fallita, ha ravvisato il “danno grave ed irreparabile” nel rischio della “dissoluzione del patrimonio dei giocatori e nell’alterazione del campionato di calcio”.

177Trib. Bologna, Sez. IV civile fallimentare, 14 agosto 2009, su ilcaso.it. Nel caso

di specie, dietro istanza del curatore, dopo due giorni dalla sentenza di fallimento, il tribunale aveva autorizzato la prosecuzione temporanea dell’attività di impresa ex art. 104 l. fall., della società Adaltis Italia s.p.a. avente come oggetto l’attività di studio, progettazione, sviluppo, produzione e commercio di prodotti e apparecchiature diagnostiche e biotecnologiche a uso umano, veterinario, agricolo e alimentare.

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sembrerebbe lasciare dubbi sulla applicabilità dell’istituto anche alle società in house. La norma, infatti, nel prevedere che tutte le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, non delinea nessuna distinzione o deroga per le società in house, che dunque risultano assorbite dalla ampia portata della norma. Le società in house, al pari dunque delle altre tipologie di società a partecipazione pubblica, pur non essendo espressamente richiamate nel primo comma, sono sottoposte alla disciplina fallimentare e dunque anche all’esercizio provvisorio178

. Tale soluzione è confermata anche da un ulteriore dato testuale, l’art. 14 comma 6, che afferma “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, ne' acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita” con un riferimento chiaro all’affidamento diretto (e dunque alla modalità tramite cui esso si esprime, l’in house providing) e alla sottoposizione al fallimento. La volontà che emerge dall’impianto della riforma è proprio quello di avvicinare in modo molto significativo le società pubbliche alla disciplina delle società descritte nel codice civile, spazzando via riflessioni e normative che tendevano a creare delle “sacche” di privilegio per tutte quelle società in cui l’ente pubblico subentrava nel controllo. È innegabile che il fallimento della società in house presenti alcune problematiche, soprattutto per quanto riguarda la garanzia della continuità del servizio. Tuttavia, come si è avuto modo di sottolineare, gli ordinari strumenti del diritto societario e fallimentare possono venire in aiuto per impedire il propagarsi di conseguenze negative

178A.CRIVELLI, intervento sull’argomento La disciplina della crisi di impresa e la

struttura ministeriale di controllo nel nuovo TU sulle società partecipate, incontro

sul nuovo Testo Unico sulle società partecipate organizzato da Eupolis Lombardia, Milano, 25 febbraio 2016.

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della crisi della società pubblica. Questo approccio spiccatamente “privatistico” che il legislatore ha espresso ultimamente, reso necessario da una vera e propria deformazione e abuso dello strumento della società pubblica da parte degli enti pubblici, risponde all’esigenza di fare chiarezza su un quadro normativo molto nebuloso che rischiava di privilegiare, ingiustamente, delle società che operavano come delle società commerciali ma che potevano essere salvate sulla base della semplice partecipazione al capitale da parte dell’ente pubblico. Sarà necessario, tuttavia, attendere che la riforma Madia entri “nel vivo” della sua applicazione per verificare che le scelte, molto formalistiche, che il legislatore ha perseguito, siano davvero allineate con gli interessi che derivano dalla collettività, soprattutto per quanto riguarda tutte quelle società che erogano servizi pubblici essenziali.

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