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L’approccio tipologico-sostanzialistico

2. La non fallibilità

2.1 L’approccio tipologico-sostanzialistico

L’approccio tipologico-sostanzialistico origina da una pronuncia del 1938 del Consiglio di Stato, il cd. caso Agip36, in cui per la prima volta il giudice amministrativo delineò la differenza tra la forma privatistico- societaria e la sostanza pubblicistica delle società pubbliche, sostenendo la prevalenza della sostanza sulla forma.

L’orientamento tipologico, che passa attraverso la visione del rapporto tra ente affidatario e società in house in termini di delegazione interorganica, in cui l’ente esprime sulla società gli stessi poteri che eserciterebbe su un proprio organo o ufficio, affonda le proprie radici nella volontà di far prevalere la sostanza pubblica della società sulla forma, al fine di arginare la svalutazione dell’interesse pubblico provocato dalle visioni privatistiche: ciò ha portato ad attribuire alle società completamente o in prevalenza partecipate dallo Stato o dagli enti pubblici una “co-qualificazione” di ente pubblico, se non una vera e propria “riqualificazione” in termini strettamente pubblicistici. Anche il Consiglio di Stato ha aderito in più occasioni a questo orientamento, affermando che la veste esterna di S.p.a. non è sufficiente a qualificare come “privata” una società, laddove questa si contraddistingua per essere affidataria di attività dirette alla cura di interessi pubblici o possa essere qualificata come “speciale”37

. Questo è stato possibile alla luce di una interpretazione estensiva e aperta della nozione di “ente pubblico”, sul presupposto, peraltro, della non vincolatività delle qualificazioni legislative38.

36 Cons. St., 19 gennaio 1938, in Foro it. 1938, III (Caso Agip), con nota di D.D

E

CAPRARIIS, Ancora sulla distinzione tra enti pubblici ed enti privati.

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Cons. Stato, sez. IV, 21 luglio 2005, n. 3914, in Cons. St., 2005, I, 1234 e Cons. Stato, sez. per atti normativi, 16 marzo 2009, n. 752/09, in Foro amm.-Cons. Stato, 2009, 869.

38 Cfr. F.V

ESSIA, Le società in house providing e procedure concorsuali, in Dir.

Fall., 2015, 2, p. 171. Il più grande esponente della teoria della non vincolatività

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Una visione siffatta ha trovato talvolta riscontro nella giurisprudenza comunitaria, in particolare con riferimento alla nozione di “organismo di diritto pubblico”39, nata al fine di definire i soggetti destinatari della normativa sugli appalti. Su questo punto si annidano però non poche contraddizioni.

I giudici amministrativi hanno spesso fatto ricorso ad un uso “atecnico” di questa espressione: si è assistito ad una strumentalizzazione da parte della dottrina e della giurisprudenza dell’espressione “organismo di diritto pubblico” al fine di ottenere e giustificare una estensione della disciplina pubblicistica anche a soggetti non propriamente “pubblici”, ricomprendendoli in questa sorta di “super-categoria”, quando in realtà tale espressione non ha nessun’altra pretesa se non quella di individuare le figure rilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina sugli appalti.

Tuttavia, è ben diverso parlare della figura dell’imprenditore commerciale (che resta sempre assoggettato al relativo statuto), e della sua qualificazione di “organismo di diritto pubblico”, predisposta per applicare le disposizioni che regolano uno specifico segmento della sua attività. La Cassazione40 infatti ha avuto modo di ribadire che la qualificazione di una società come “organismo di diritto pubblico”

39La nozione di organismo di diritto pubblico attualmente prevista dall’art. 3, comma

1, lettera d, del d.lgs. n. 50 del 2016, in recepimento dell’art. 2, par. 1, n. 4 della direttiva 2014/24/UE, dell’art. 3 par. 4 della direttiva 2014/25/UE, nonché dell’art. 6, par. 4 della direttiva 2014/23/UE, ricalca pedissequamente la definizione già delineata dalle direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e recepita, nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

L’art. 3 comma 1 lettera d, prevede la definizione di organismo di diritto pubblico come “qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell'allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.

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rileva soltanto nei settori indicati dalla normativa comunitaria in materia di aggiudicazione di appalti ad evidenza pubblica.

I sostenitori dell’approccio tipologico-sostanzialistico hanno affermato la loro visione di “riqualificazione o coqualificazione” della società pubblica in ente pubblico anche in relazione al momento della crisi di tali società. Essi infatti escludono l’applicabilità del fallimento e del concordato preventivo alla società pubblica ed, in particolare, alla società in house , sulla base della equiparazione tra tali tipi di società e gli enti pubblici, ritenendole assoggettabili alla eccezione prevista per questi ultimi dall’art. 1 l. fall. Alla luce della costante “erosione” dei caratteri privatistici delle società pubbliche che si è prodotta negli ultimi anni, in favore di una loro progressiva pubblicizzazione, l’assoggettabilità al fallimento, giustificata esclusivamente sulla base della loro natura privata apparirebbe così una “battaglia di retroguardia”41.

Tra le prime sentenze che hanno seguito questo orientamento, spicca la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 9 gennaio 200942. In questa pronuncia, il Tribunale esclude l’assoggettabilità a fallimento di una società per azioni a totale partecipazione pubblica (nella specie, titolare del servizio di raccolta rifiuti in ambito provinciale) «in ragione della sua natura pubblicistica», richiamandosi alla «evoluzione giurisprudenziale che ha portato alla valorizzazione degli aspetti sostanziali e dell’attività di tali società a discapito degli aspetti formali e della veste giuridica assunta dalle

41 Cfr. G. D’A

TTORRE, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è

possibile, in Fall., 2010, 6, p. 689 e ss., il quale afferma che “Dire che, malgrado la

presenza di un socio pubblico e di altri caratteri derogatori rispetto al modello del diritto comune, la società in mano pubblica totalitariamente controllata rimane pur sempre un soggetto privato, parificato in tutto e per tutto agli altri soggetti di diritto privato, significa intendere la materia concorsuale come una monade, nella quale dette società vivono una esistenza loro propria, avulse da ciò che per le stesse è previsto in tutti gli altri settori dell’ordinamento”.

42 Tribunale di S.M. Capua Vetere, decreto 9 gennaio 2009, in Fall. 2009, 6, p. 713 e

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stesse». La pronuncia del Tribunale affonda le proprie radici su vari argomenti richiamati dalla giurisprudenza precedente43 al fine di affermare la natura pubblica della società in questione, valorizzandone alcuni profili. Tale società era il frutto di una trasformazione di preesistenti consorzi di gestione dei servizi locali e il capitale sociale era totalmente pubblico; inoltre, vi erano delle limitazioni previste dallo statuto all’autonomia funzionale degli organi societari, all’esercizio dei diritti dell’azionista e dell’attività della società. Infine, la società era stata commissariata prima di essere sciolta per legge, e aveva ricevuto dei finanziamenti per raggiungere gli obiettivi previsti per la raccolta differenziata, a seguito dell’ordinanza del Commissario delegato per l’emergenza dei rifiuti in Campania.

Il Tribunale riconosce pertanto che, al ricorrere di determinate condizioni, individuate nella limitazione all’autonomia gestionale degli amministratori, nel capitale sociale interamente pubblico, nell’ingerenza di organi costituenti espressione dello Stato nella nomina degli amministratori, nell’erogazione da parte dello Stato di finanziamenti per il perseguimento delle finalità pubblicistiche, debba essere affermata la natura pubblica della società. Gli indici rilevatori della natura “pubblicistica” della società vengono sostanzialmente ricondotti a due profili: un primo aspetto, quello gestionale, ed un secondo, quello delle attività.

Questa impostazione sistematica viene confermata anche in una successiva pronuncia del Tribunale44, nella quale i giudici dichiarano tuttavia l’insolvenza di una società in mano pubblica che gestiva il

43 Il Tribunale presenta l’elenco degli argomenti posti a fondamento della sua

decisione: a) art. 1 del d.lgs. 30 marzo 2001, n 165; b) la sentenza della Corte Costituzionale n. 466/1993 sui presupposti del controllo della Corte dei Conti sulle società per azioni, a totale o prevalente partecipazione pubblica, derivanti dalla trasformazione dei preesistenti enti pubblici economici; c) la nozione di “impresa pubblica di derivazione comunitaria”; d) la giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla irrilevanza della veste formale della società.

44Trib. Santa Maria Capua Vetere, Sez. III civ., 22 luglio 2009, in Fall., 2010, 6, p.

689, con nota di G.D’ATTORRE, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via

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servizio pubblico di trasporto nella provincia di Caserta. La decisione sulla applicabilità della disciplina concorsuale segue lo stesso percorso argomentativo della precedente sentenza: in questo caso, tuttavia, i giudici hanno ritenuto che non sussistessero elementi sintomatici della natura pubblica della società. Il principio di diritto che viene affermato è però il medesimo, cambiano soltanto le fattispecie in esame.

Tra le altre pronunce che meglio esprimono questo orientamento possiamo ricordare la sentenza del Tribunale di Napoli, 31 ottobre 201245, nella quale il Tribunale affronta il problema della concreta qualificazione della società in mano pubblica (nel caso specifico si trattava di una società in house, la Astir S.p.a.) avvalendosi del metodo tipologico ed escludendo l’assoggettabilità al fallimento e al concordato preventivo della stessa. Secondo i giudici partenopei, è necessario chiedersi se una società a partecipazione pubblica presenti caratteristiche tali da determinare il venir meno della sua natura privatistica. La questione della sua concreta qualificazione, ovvero se possa esser qualificata come imprenditore commerciale o se si sia in presenza di una società in mano pubblica, viene valutata dal Tribunale sulla base di alcuni indici sintomatici che inducano a farla considerare non come un soggetto di diritto privato ma come un ente pubblico: tra questi, vengono richiamati lo svolgimento della propria attività in tutto o in parte a favore dell’ente pubblico, la mancanza di vocazione commerciale, la limitazione dei poteri gestionali dell’organo amministrativo e l’attribuzione all’ente pubblico di maggiori poteri di quelli che spettano al socio in virtù del diritto societario. Alla luce di tali parametri, il Tribunale esamina lo statuto della società nonché gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali delineatesi fino a quel

45Trib. Napoli, 31 ottobre 2012, in Fall., 2013, 7, con nota di G.D’ATTORRE, Il

concordato preventivo delle società in mano pubblica. Nel caso di specie, era stata

presentata una domanda di concordato dalla Astir S.p.a. in liquidazione, che risultava avere come socio unico la Regione Campania. La società operava nel settore della raccolta di rifiuti e bonifica del territorio.

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momento per giungere ad una conclusione definitiva sulla possibilità o meno per la società di accedere alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. I giudici partenopei manifestano così la loro adesione all’orientamento “pubblicistico”, secondo cui, in presenza di alcuni indici sintomatici, una società può essere qualificata come soggetto sostanzialmente pubblico. All’esito dell’analisi, il Tribunale ha riconosciuto la presenza di alcuni elementi che permettono la “riqualificazione” di una società che formalmente si presenta come una società privata, ma che sostanzialmente opera come un soggetto pubblico: anche in questa pronuncia, gli indici rivelatori della natura pubblicistica della società sono individuati nel profilo gestionale (assenza di autonomia gestionale del consiglio di amministrazione, poteri di controllo penetranti dell’ente pubblico, necessaria titolarità di tutte le partecipazioni in capo all’ente pubblico) e nel profilo dell’attività (lo statuto stesso qualifica la società come “strumento operativo e di servizio della Regione Campania nel settore dell’ambiente, ed operante, in veste di società in house, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 13 della legge n. 248/2006, esclusivamente a favore della Amministrazione Regionale, senza poter partecipare ad altre società o enti e senza poter svolgere altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne affidamento diretti ne mediante gara” art.1 del suo Statuto).

I sostenitori di questo metodo hanno spesso invocato anche un’ulteriore causa di esclusione dal fallimento: l’assenza del requisito della commercialità. Secondo questa visione, le società pubbliche sarebbero prive della vocazione commerciale poiché chiamate a gestire un servizio pubblico, e non un bene o un servizio industriale, presentandosi come prive dello scopo di lucro.

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Il Tribunale di Avezzano46, per esempio, ha affermato che un soggetto può essere sottoposto al fallimento solo a condizione che in esso sia riconoscibile la qualifica di “imprenditore” che esercita una “attività commerciale”47. L’art. 1 l. fall. imporrebbe quindi un accertamento

specifico del requisito della vocazione commerciale, che dovrebbe essere escluso quando l’attività economica svolta non consenta né in astratto né in concreto il perseguimento della attività lucrativa.

La giurisprudenza di legittimità ha sempre preso le distanze da questa impostazione48, il cui fondamento appare del tutto privo di verità. Spicca tra le diverse pronunce, la n. 21991/201249 della Corte di Cassazione, nella quale viene affermato il principio secondo cui le società a partecipazione pubblica, costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale, sono assoggettabili al fallimento in quanto acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione e non dall’inizio in concreto dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale. Mentre quest’ultimo è dunque identificato dall’esercizio effettivo dell’attività, nelle società commerciali è invece compito dello statuto procedere a questa identificazione: l’assunzione della qualità di imprenditore commerciale avviene infatti in un momento anteriore rispetto a quello in cui è possibile definire quale fine abbia scelto la persona fisica. In definitiva, poi, quel tanto che basta perché vi sia impresa è l’economicità (idoneità al pareggio tra costi e ricavi).

46Trib. Avezzano, 26 luglio 2013, in ilcaso.it, 2013, secondo cui al di fuori delle

società legali disciplinate dalla legge particolare, non esiste un tertium genus tra ente pubblico e società di diritto privato.

47F.FIMMANÒ, Il fallimento delle società pubbliche, su www.ilcaso.it 48come in Cass., 27 settembre 2013 n. 22209.

49Cass., Sez. I civ., 6 dicembre 2012, n. 21991, in Fallimento, 2013, 1273, con nota

di BALESTRA, Concordato, assoggettabilità delle società partecipate da enti pubblici

e prededucibilità del finanziamento dei soci. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha

rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che, a sua volta, aveva confermato in sede di reclamo la sentenza dichiarativa di fallimento di una società a partecipazione pubblica costituita dal Comune di Formia per la gestione dei parcheggi.

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Non solo, infatti, non sarebbe possibile affermare aprioristicamente che la gestione di servizi pubblici sia sempre priva della vocazione commerciale o industriale (il servizio potrebbe essere erogato da una impresa privata, magari in regime di monopolio legale), ma sarebbe anche pericoloso poiché determinerebbe l’esclusione dal fallimento anche per imprese a capitale interamente privato per il solo fatto che si occupano della gestione di un servizio pubblico, qualificato a priori come “non commerciale”. Ciò trova conferma nella volontà del legislatore nazionale di consentire che lo Stato possa costituire società, o partecipare ad alcune di esse, perseguendo interessi generali tramite l’interesse tipico della società privata, lo scopo di lucro.

È stato sottolineato50 come l’approccio tipologico- sostanzialistico si presti a varie note critiche: in primis, è difficile comprendere quali siano le norme di diritto societario derogate le quali risulti ammissibile la riqualificazione della società in ente pubblico; in secondo luogo, questa modalità di ricavare la nozione di ente pubblico in senso negativo, a contrario, come ciò che non è società, lascia aperte molte perplessità.

Fra le altre criticità del metodo, rileva il fatto che il perno di questa impostazione consista nel non ritenere vincolanti le qualificazioni legislative circa l’attribuzione della natura di ente pubblico o società privata e nell’affidare all’interprete il compito di “correggere” il dettato normativo, giungendo a riconoscere nelle mani dei giudici un potere “creativo” che non spetta loro.

Questo approccio sembra presentare anche dei significativi problemi in termini di certezza del diritto, in relazione alla nozione stessa di “ente pubblico”, poiché non sono mai stati individuati degli indici rivelatori

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della natura pubblicistica che fossero chiari ed univoci, rimettendone il riconoscimento nelle mani degli interpreti51.

La giurisprudenza di legittimità ha sempre rifiutato il metodo sostanziale, come è avvenuto nel caso cd. Agip di cui sopra, in cui la Cassazione per la prima volta respinse la precedente pronuncia del Consiglio di Stato nella quale era stata affermata la prevalenza della sostanza pubblicistica sulla forma privatistica: la Cassazione ribadì l’importanza dell’applicazione della disciplina comune societaria in mancanza di deroghe espresse previste dal legislatore52.