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L’esercizio provvisorio e la sua disciplina

CAPITOLO III L’esercizio provvisorio

1. L’esercizio provvisorio e la sua disciplina

provvisorio alla crisi della società in house e il problema della continuità del servizio – 3. Le problematiche dell’esercizio provvisorio: l’autofinanziamento, l’intuitus

personae e la salvaguardia dei livelli occupazionali – 4. Analisi della giurisprudenza

– 5. Conclusioni

1. L’esercizio provvisorio e la sua disciplina

Fra gli istituti più peculiari che possono innestarsi sulla vicenda della crisi della società pubblica, merita un approfondimento la disciplina dell’esercizio provvisorio, regolato dall’art. 104 l. fall.

Già previsto nella originaria formulazione della legge fallimentare del 1942 con l’art. 90, all’interno del capo dedicato alla custodia e all’amministrazione delle attività fallimentari, l’istituto si presentava come una risposta ad una esigenza meramente liquidatoria: raramente utilizzato, veniva configurato come una “misura- tampone” volta a favorire la liquidazione del magazzino e la vendita dei beni aziendali più che dell’azienda nel suo complesso. Era perciò considerato un mezzo conservativo di realizzo del patrimonio fallimentare, preparatorio alla liquidazione e di carattere temporaneo107. Per come inizialmente delineato, l’esercizio provvisorio non consentiva di soddisfare pienamente l’interesse dei creditori, poiché non valorizzava la funzione produttiva del patrimonio, tanto che gli veniva preferito l’affitto di azienda, tramite cui perseguire gli obiettivi di salvaguardia dell’avviamento e dell’occupazione.

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M.FERRO, Commento all’art. 104 l. fall., in La legge fallimentare, commentario

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Con la riforma del 2006, che trasferisce la disciplina dell’istituto nel capo dedicato alla liquidazione dell’attivo (capo VI), l’esercizio provvisorio cambia la sua essenza, divenendo molto più appetibile che in passato per le imprese in crisi e per i soggetti coinvolti. Oggi, insieme all’affitto di azienda, rappresenta uno strumento che consente di stimolare la vendita unitaria del complesso aziendale attraverso la continuazione dell’attività economica: è infatti un istituto di carattere temporaneo che tende alla conservazione del patrimonio, in preparazione della futura liquidazione, attraverso una gestione sostitutiva.

È necessario sottolineare come l’esercizio provvisorio e l’affitto di azienda non siano degli istituti tra loro alternativi: gli organi della procedura potrebbero decidere di applicare dapprima uno dei due istituti, a cui eventualmente far seguire l’altro (di solito, inizialmente viene predisposto l’esercizio provvisorio, a cui segue l’affitto di azienda), ma potrebbero anche adottare una soluzione diversa, combinando i due istituti in due rami diversi di azienda. Pur avendo delle finalità analoghe, rimangono tuttavia due soluzioni diverse nel loro esplicitarsi poiché, da un lato, nell’affitto di azienda l’affittuario assumere su di sé i rischi derivanti dalla gestione dell’azienda; viceversa, nell’esercizio provvisorio, che si presenta come una sorta di “gestione pubblica processuale”108

, l’intera “alea” della gestione109 viene ripartita fra i soggetti interni alla procedura. Ciò avviene sulla base della dissociazione dell’esercizio dell’attività economica dalla responsabilità e dal rischio, che normalmente si concentrano in capo allo stesso soggetto.

108 F.F

IMMANÒ, commento all’art. 104 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, a cura

di Jorio e Fabiani, Bologna, 2007, II, p. 1585.

109 F. BARACHINI, La nuova disciplina dell’esercizio provvisorio: continuità

dell’impresa in crisi nel (e fuori dal) fallimento, in Società, banche e crisi di impresa,

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L’esercizio provvisorio, finalizzato a scongiurare gli effetti negativi che deriverebbero dall’interruzione dell’attività di impresa e dalla disgregazione del complesso aziendale, viene disciplinato nel nostro ordinamento come uno strumento volto alla conservazione dei valori aziendali e non può essere impiegato per il risanamento dell’impresa, obiettivo, questo, estraneo alla procedura fallimentare. Non è mancato chi ha parlato di un “risanamento oggettivo dell’impresa”110

, e non già dell’imprenditore, valorizzando in questo modo il valore di un’impresa che merita di rimanere sul mercato, da cui ad essere estromesso è solo l’imprenditore. L’attività di impresa, tuttavia, viene proseguita dal curatore non a scopi di risanamento ma nell’esclusivo fine di conservare il valore rappresentato da quel complesso di beni e persone111.

Alla luce degli obiettivi che l’esercizio provvisorio mira a perseguire, è significativo sottolineare il problema centrale che emerge all’interno della sua disciplina, ovvero quello di contemperare i sacrifici imposti dalla tutela degli interessi dei creditori, i quali mirano ad una immediata e piena soddisfazione, con i vantaggi che possono nascere per il sistema nel suo complesso dalla continuazione dell’attività di impresa. La prosecuzione dell’attività disposta in presenza della crisi della società determina, infatti, l’incombenza del rischio di impresa sulla procedura e quindi indirettamente sui creditori concorsuali. Sebbene l’art. 104 l. fall. non preveda un limite di durata per l’esercizio provvisorio, esso dovrà essere necessariamente temporaneo, proprio per queste ragioni. Si ritiene pertanto che debba essere confermato dal giudice delegato (sempre che non ne disponga la revoca) e che in quella occasione debba essere stabilita la durata massima dell’esercizio. In ogni caso, è destinato a cessare quando il

110 M

ANDRIOLI, commento all’art. 104 l. fall., in La legge fallimentare dopo la

riforma, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2010, II, p. 1337.

111F.FIMMANÒ, Prove tecniche di esercizio provvisorio riformato, in Giur. Comm.,

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comitato dei creditori o il tribunale ne ravvisino l’opportunità (art. 104, commi 4 e 6 l. fall.).

Questo istituto potrebbe apparire in forte conflittualità con le esigenze della liquidazione fallimentare: la continuazione dell’attività di impresa impedisce l’immediata vendita dei beni aziendali e potrebbe generare delle situazioni debitorie che dovranno essere soddisfatte dal fallimento in prededuzione e che rischiano di frustrare ulteriormente l’interesse dei creditori. Diventa pertanto necessario meglio specificare e comprendere quali siano gli interessi sottesi all’art. 104 l. fall. al fine di verificare la compatibilità di questa disciplina con le esigenze che emergono dalla crisi della società in house e di analizzare pienamente le problematiche che sono sorte sul punto.

L’art. 104 comma 1 l. fall. prevede che “Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori”. Questa prima ipotesi di avvio dell’esercizio provvisorio prevede l’intervento del tribunale che, con la sentenza di fallimento, autorizza direttamente il curatore a continuare provvisoriamente l’attività d’impresa del fallito, anche limitatamente ad un ramo di azienda. Il tribunale è chiamato ad effettuare, contestualmente all’accertamento dello stato di insolvenza, anche una verifica dei presupposti che possono rendere opportuna la predisposizione dell’esercizio provvisorio, in un’ottica di accelerazione delle tempistiche: in particolare, il tribunale dovrà apprezzare se sia possibile conciliare l’esigenza di prevenire il danno grave derivante dall’interruzione dell’attività d’impresa con l’esigenza di non arrecare pregiudizio al ceto creditorio in termini di minor soddisfacimento delle loro pretese. L’art. 104 l. fall. precisa infatti che l’esercizio provvisorio può essere predisposto al fine di evitare un

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danno conseguente all’interruzione dell’attività di impresa: ciò induce implicitamente a ritenere che il tribunale non potrebbe autorizzare l’esercizio provvisorio di una impresa già cessata prima della sentenza di fallimento 112 . Il tribunale pertanto dovrà predisporre una approfondita istruttoria prefallimentare volta a raccogliere tutte le informazioni necessarie per giungere ad una decisione sull’esercizio provvisorio in fase di dichiarazione di fallimento. Dovrà, da un lato, considerare la situazione attuale dell’impresa, come la sua capacità di produrre e vendere, di autofinanziarsi, valutando inoltre i contratti pendenti; dall’altro, opererà a priori una stima dei possibili risultati che potrebbero esser conseguiti mediante l’esercizio provvisorio. Su queste valutazioni molto si è discusso, poiché secondo una parte della dottrina113 il tribunale dovrebbe verificare, attraverso una istruttoria molto invasiva e tempestiva, che il prezzo di vendita futuro, successivo all’esercizio provvisorio, sia superiore a quello che si avrebbe in caso di cessione d’azienda in assenza di esercizio provvisorio o in caso di vendita atomistica di beni aziendali. Gli organi della procedura dovranno dunque effettuare una comparazione nella sentenza dichiarativa di fallimento tra i danni che potrebbero derivare all’impresa dall’interruzione dell’attività e il pregiudizio che ricadrebbe sui creditori dalla continuazione dell’attività di impresa114. Il tribunale pertanto potrebbe disporre perizie, ispezioni, consulenze tecniche, alla luce di quanto sancito dall’art. 15 l. fall115. Altra

112 B.M

EOLI, L’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito, in Fallimento e altre

procedure concorsuali, a cura di F. Fauceglia e L.Panzani., UTET giuridica, 2009, p.

1170. Vi è anche una tesi diversa, secondo la quale l’esercizio provvisorio potrebbe essere autorizzato dal tribunale ancor prima della sentenza dichiarativa di fallimento nell’ambito dei provvedimenti cautelari o conservativi di cui all’art. 15 l. fall.

113F.FIMMANÒ, commento all’art. 104 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, a cura

di Jorio e Fabiani, Bologna, 2007, II, p. 1578.

114F.FIMMANÒ, commento all’art. 104 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, a cura

di Jorio e Fabiani, Bologna, 2007, II, p. 1579.

115Art. 15 commi 7-8-9 legge fall., prevede che: “Il tribunale può delegare al

giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio. Le parti possono nominare consulenti tecnici. Il tribunale, ad istanza di

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dottrina116 invece ritiene che un giudizio prognostico di questo tipo non soltanto sarebbe molto difficile da effettuare in sede di dichiarazione di fallimento, ma non competerebbe nemmeno al tribunale, quanto piuttosto al curatore e ai creditori.

Il comma 2 dell’art. 104 prevede una seconda ipotesi di esercizio provvisorio, affermando che “Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata”. Questo secondo tipo di esercizio provvisorio si realizza in un tempo diverso rispetto a quanto stabilito nel primo comma: l’avverbio “successivamente” indica infatti il momento successivo alla dichiarazione di fallimento. L’istituto quindi può essere disposto ex novo anche successivamente alla dichiarazione di fallimento. In questo secondo caso, è il giudice delegato, su istanza del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori, ad autorizzare l’esercizio provvisorio con un decreto motivato, fissando la durata massima dell’esercizio.

Si ritiene che l’esercizio provvisorio, autorizzato dopo la declatoria di fallimento, persegua una finalità preminentemente liquidatoria poiché rivolto alla migliore valorizzazione del complesso dei beni: gli organi della procedura si preoccupano di raggiungere un solo obiettivo, la proficua liquidazione dei beni, valutando la convenienza della continuazione dell’attività per un miglior realizzo per i creditori. In questo secondo comma si può cogliere pertanto l’aspetto di maggiore novità rispetto alla precedente formulazione del regio decreto del 1942,

parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza”.

116 B.M

EOLI, L’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito, in Fallimento e altre

procedure concorsuali, a cura di F. Fauceglia e L. Panzani, UTET giuridica, 2009, p.

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art. 90: la disposizione non tende più solo a tutelare l’interesse privatistico ad un miglior esito della liquidazione concorsuale, ma anche quello pubblicistico di utile conservazione dell’impresa, in toto o in parte, sempre che vi sia il parere favorevole vincolante del comitato dei creditori, i quali dovranno apprezzare l’assenza di nocumento derivante dalla continuazione dell’attività di impresa117. Nel secondo comma non vengono, inoltre, espressamente richiesti i requisiti del danno grave e dell’assenza del pregiudizio nei confronti dei creditori, che invece compaiono nel primo comma, poiché l’istituto in questo caso si presenta come il frutto di un mero accordo tra gli organi fallimentari che si esprimono sull’opportunità della continuazione dell’attività aziendale, o per meglio dire, sulla convenienza per i creditori: l’unica valutazione che viene compiuta in questa sede è quella della economicità, ovvero della convenienza e opportunità dell’esercizio provvisorio in quanto propedeutico a rendere realizzabile la prospettiva dell’art. 105 comma 1 legge fall. Le esigenze cautelari ormai sono attenuate e non vi è più l’esigenza di verificare in concreto l’esistenza di un danno grave. La continuazione dell’attività di impresa sarà dunque consentita solo laddove possa consentire un migliore soddisfacimento delle pretese creditorie rispetto alla vendita e tale valutazione deve emergere dalla proposta del curatore.

Tuttavia si ritiene che i requisiti del primo comma possano essere desunti in via interpretativa118 anche nel secondo comma, poiché l’autorizzazione del giudice al proseguimento dell’attività rimane comunque subordinata al parere favorevole dei creditori e quindi alla salvaguardia degli interessi del ceto creditorio. Questo interesse continuerebbe dunque ad operare come limite negativo all’esercizio

117L.MANDRIOLI, commento all’art. 104 l. fall., in La legge fallimentare dopo la

riforma, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2010, II, p. 1336.

118B.MEOLI, L’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito, in Fallimento e altre

procedure concorsuali, diretto da F. Fauceglia e L. Panzani, UTET giuridica, 2009, p.

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provvisorio. Il parere favorevole dei creditori è pertanto condizione indispensabile per ottenere l’autorizzazione del giudice delegato, il quale, tuttavia, non avrebbe margini per effettuare valutazioni di carattere discrezionale. Infatti, in presenza di parere negativo del comitato, il giudice non potrà autorizzare la prosecuzione dell’attività; viceversa, in caso di parere positivo, una parte della dottrina ha affermato119 che egli conservi il potere di non uniformarsi al parere, non autorizzando la prosecuzione dell’attività laddove esso non appaia legittimo o opportuno. La Relazione Ministeriale che accompagna la norma non sembrerebbe lasciar spazio a valutazioni discrezionali del giudice, ma si è ormai affermata una prassi consolidata secondo cui, a fronte del parere positivo, la decisione del giudice delegato non sarebbe un “atto dovuto”. Egli conserverebbe pertanto un autonomo potere di valutazione in ordine alla legittimità e opportunità dell’esercizio provvisorio. La norma inoltre afferma che l’esercizio provvisorio deve esser disposto con decreto motivato, quindi il provvedimento dovrà contenere i motivi che spingono a ritenere che l’esercizio provvisorio possa concretamente perseguire l’obiettivo di massimizzazione degli interessi dei creditori.

La diversità di formulazione e di requisiti tra primo e secondo comma sembra originarsi da un diverso sguardo che il legislatore adotta in relazione ai due momenti in cui l’esercizio provvisorio può essere disposto. Se infatti nel primo comma il legislatore pare guardare alla continuazione dell’attività come addirittura “fisiologica”, tanto da parlare dell’esercizio provvisorio come di uno strumento per impedire l’interruzione, e non già per consentire la continuità dell’attività, nel secondo comma essa rimane subordinata al giudizio positivo sulla sua compatibilità con gli interessi dei creditori. Sembrerebbe dunque configurarsi una diversa ripartizione dell’onere della prova tra le due

119F.FIMMANÒ, commento all’art. 104 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, a

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tipologie di esercizio provvisorio: mentre nel primo comma opererebbe quasi una “presunzione” che la continuazione dell’attività possa essere compatibile con l’interesse dei creditori, nel secondo comma vi sarebbe una presunzione contraria, poiché sarà necessario dimostrare che la continuazione dell’attività sia più vantaggiosa per i creditori120

.

Un aspetto sul quale spesso ci si è interrogati riguarda il ruolo rivestito dal curatore nell’esercizio provvisorio, qualificabile, secondo la dottrina prevalente, come un’attività di impresa svolta in via sostitutiva dal curatore. Il problema nasce intorno all’individuazione del soggetto in capo a cui imputare lo svolgimento dell’attività di impresa. Si tende ad escludere che il curatore possa essere qualificato come titolare dell’attività, poiché quest’ultima viene svolta nell’interesse dell’impresa e non del curatore: egli non assume la qualifica di imprenditore, ma subentra comunque nella gestione dell’attività di impresa. L’azienda è e rimane del fallito, con il curatore che si sostituisce a lui per la gestione del patrimonio al fine di provvedere al soddisfacimento dei creditori. Questa gestione sostitutiva, diretta dal curatore, si caratterizzerebbe per il suo carattere cautelare, poiché orientata ad evitare gli effetti dannosi che l’apertura della gestione ordinaria del fallimento produrrebbe sull’azienda121

. Un altro profilo che riguarda la figura del curatore attiene all’estensione dei suoi poteri: ci si è chiesti se il compimento di atti di gestione da parte del curatore richieda singole autorizzazioni. L’esercizio provvisorio, infatti, viene svolto sulla base di quanto disposto nel programma di liquidazione e il curatore dovrà attenersi a quanto lì stabilito. Il problema si pone per i casi in cui si presentino delle nuove esigenze, non inquadrate nel programma di liquidazione, a cui il curatore dovrà dare una risposta

120 F. B

ARACHINI, La nuova disciplina dell’esercizio provvisorio: continuità

dell’impresa in crisi nel (e fuori dal) fallimento, in Società, banche e crisi di impresa,

Torino, 2014, p. 2871.

121M.FERRO, Commento all’art. 104 l. fall., in La legge fallimentare, commentario

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tempestiva. Secondo una parte della dottrina, l’autorizzazione a compiere tutti gli atti di amministrazione si estenderebbe anche agli atti di amministrazione straordinaria, nei limiti che emergono nel provvedimento che dispone l’esercizio provvisorio; secondo altra dottrina invece, l’autorizzazione all’esercizio provvisorio contiene quella a porre in essere tutte le attività di gestione ordinaria e solo gli atti che hanno carattere di straordinarietà necessitano della autorizzazione ad hoc del comitato dei creditori. La tesi maggiormente seguita è la seconda122, che risulta compatibile con il disposto dell’art. 35 l. fall.123 che richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori affinchè il curatore possa predisporre atti di straordinaria amministrazione.

È necessario sottolineare che, a ben vedere, una rigida e astratta distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione mal si adatta al fenomeno dinamico dell’impresa: il confine che separa le due tipologie di attività non può consistere in una mera qualificazione gestoria o liquidatoria dell’attività compiuta dal curatore, ma dovrà essere rintracciato nella concreta possibilità che l’atto possa diminuire significativamente l’entità del patrimonio fallimentare. La conferma di questa visione è individuabile nello stesso comma 3 dell’art. 35 l. fall.124, che, nel richiedere la preventiva comunicazione al giudice delegato per gli atti di straordinaria amministrazione di valore superiore a cinquantamila euro, ammette, implicitamente, che possano esistere anche atti di straordinaria amministrazione di valore inferiore a

122L.MANDRIOLI, commento all’art. 104 l. fall. in La legge fallimentare dopo la

riforma a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2010, II, p.1358.

123 L’art. 35 comma 1 l. fall. prevede infatti che “Le riduzioni di crediti, le

transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l'accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione sono effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori”.

124L’art. 35 comma 3 l. fall. dispone che “Se gli atti suddetti sono di valore

superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell'articolo 104 ter comma ottavo.”

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questa soglia e che dunque possano essere disposti atti di ordinaria amministrazione di valore superiore. Da ciò si ricava che la mera soglia quantitativa non può essere un indice valido per distinguere le due tipologie di attività: sarà necessario avvalersi di altri indici, più flessibili, capaci di essere inseriti nella fattispecie concreta.

Un tema molto dibattuto è quello della natura giuridica dell’esercizio provvisorio: alcuni sostengono che questo istituto si configuri come una forma di attività di amministrazione dei beni del fallito; altri invece lo qualificano come strumento di liquidazione; altri ancora tendono a seguire una terza via, sostenendo che l’esercizio provvisorio, pur essendo collocato tra le norme sulla liquidazione dell’attivo, riguarderebbe comunque la fase di amministrazione dei beni del fallito, divenendo strumento volto alla risoluzione di problemi di gestione e custodia 125 . Quest’ultima visione appare, tra tutte, quella che maggiormente risponde alle esigenze che il legislatore si era posto nel momento in cui ha delineato la disciplina dell’esercizio provvisorio. L’istituto, infatti, nonostante sia collocato in un capo unitario con la liquidazione dell’attivo, attiene comunque alla fase di amministrazione dei beni del fallito, poiché risolve i problemi relativi alla gestione,