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L’approccio funzionale

2. La non fallibilità

2.2 L’approccio funzionale

Un’altra parte della giurisprudenza, perseguendo una strada diversa da quella che propone un approccio tipologico- sostanzialistico al tema delle società pubbliche, è giunta ai medesimi risultati in tema di fallimento avvalendosi di un metodo alternativo, il cd. “metodo funzionale”. I giudici hanno individuato nel carattere della “necessità dell’ente rispetto alla realizzazione delle finalità”53

l’elemento chiave della distinzione tra ente pubblico e società privata.

Questo secondo metodo non si interessa al problema di qualificare- riqualificare la società pubblica come soggetto privato o ente pubblico, ma si propone invece di individuare concretamente la disciplina pubblicistica o privatistica da applicare all’ente sulla base di una valutazione di compatibilità della disciplina di diritto comune prevista

51Cfr. SALVATO, I requisiti di ammissione alle procedure concorsuali, in Le società

pubbliche. Ordinamento, crisi e insolvenza di F.FIMMANÒ. Individua vari requisiti, quali: la modalità della costituzione e il finanziamento della società, le regole del funzionamento del consiglio di amministrazione, i controlli esercitati sulla società, la disciplina dei poteri degli azionisti, i vincoli posti all’esercizio delle attività.

52 Cass., Sez. Un., 7 marzo 1940 n. 1337, in Foro it. 1940, I. 53

per un’analisi sul punto, cfr. F.FIMMANÒ, Fallimento delle società pubbliche, su

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per le società di diritto privato con le normative settoriali54. Il problema non è più dunque quello di qualificare la società come pubblica/privata, quanto piuttosto quello di capire se in una determinata materia debba trovare applicazione l’una o l’altra disciplina. Si realizza così il superamento di un approccio descrittivo in favore di un metodo basato su argomenti sistematici e teleologici55. L’applicazione di questa visione al momento della crisi della società comporta una valutazione, da effettuarsi caso per caso, avente ad oggetto la compatibilità della disciplina fallimentare con gli interessi protetti nella fattispecie. È stato sottolineato, infatti, come l’interesse pubblico all’erogazione del servizio e alla sua gestione continuativa potrebbe risultare compromesso dalla procedura fallimentare.

Se la ratio dell’esclusione dal fallimento per gli enti pubblici prevista nell’art.1 l. fall. risiede nella incompatibilità della procedura con la tutela degli interessi pubblici e la prosecuzione dell’ordinaria attività dell’ente, per estendere l’ambito dell’esenzione alle società pubbliche sarà fondamentale verificare caso per caso tale incompatibilità. I sostenitori del criterio funzionale affermano pertanto l’esclusione delle società pubbliche dalle procedure concorsuali soltanto se la società in mano pubblica ha un carattere “necessario” per l’ente pubblico.

Gli interessi pubblici possono essere distinti in due macro- categorie: una prima, comprensiva di interessi la cui cura viene affidata dalla legge a soggetti di diritto privato appositamente costituiti, i quali non potrebbero fallire se esclusivi titolari della gestione dell’interesse pubblico; una seconda categoria, in cui la gestione dell’interesse viene affidata a soggetti privati che spontaneamente si assumono l’incarico, i

54G.D’ATTORRE, Il concordato preventivo delle società in mano pubblica, in Fall.

2013, 7, p. 877 e ss.

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quali risulterebbero esentati dal fallimento solo se non sostituibili da un altro operatore o dalla amministrazione stessa56.

Se l’attività della società pubblica è considerata necessaria per l’ente pubblico partecipante ai fini dell’erogazione di un servizio pubblico essenziale, allora quella società dovrà essere esclusa dal fallimento. Si creerebbe infatti una oggettiva incompatibilità tra la procedura fallimentare e la tutela degli interessi pubblici tale da escludere l’assoggettabilità al fallimento. La procedura interferirebbe, a ben vedere, con l’attività ordinaria dell’ente a causa della sostituzione degli organi politici di gestione con gli organi della procedura; produrrebbe così un’indebita ingerenza sulla sovranità dell’ente e dei suoi organi (art. 104 e ss. l. fall.) e un pregiudizio alla continuatività del servizio pubblico. Tale vulnus discenderebbe direttamente dalla previsione dell’art. 42 l. fall. (spossessamento del debitore e cessazione attività di impresa), che si dimostrerebbe in grado di ledere l’interesse pubblico alla regolare e continuativa esecuzione del servizio.

Seguendo questo ragionamento, potranno essere esentati dal fallimento anche soggetti privati a cui sono stati affidati incarichi che riflettono interessi pubblici, ogni qualvolta questi soggetti non siano sostituibili da altri operatori o dall’amministrazione stessa senza che si produca un vulnus alla continuità del servizio pubblico.

Viceversa, la società pubbliche, prive dei requisito della “necessità”, dovrebbero essere assoggettate alle procedure concorsuali: in questi casi infatti, il fallimento non violerebbe nessun interesse pubblico57. Altra giurisprudenza, ha guardato al profilo della “necessità” sotto un diverso punto di vista: ad essere necessario non sarebbe l’ente che svolge il servizio, ma il servizio stesso (pensiamo ai servizi essenziali quali il trasporto pubblico, lo smaltimento dei rifiuti..) e da ciò si

56Cfr. L. SALVATO, I requisiti di ammissione alle procedure concorsuali, in F.

FIMMANÒ, Le società pubbliche. Ordinamento, crisi e insolvenza, collana ricerche di

law & economics, Milano, 2011.

57D’ATTORRE, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, in

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ricaverebbe la necessità che il soggetto sopravviva e non venga esposto a una procedura tipicamente liquidativa.

Per quanto attiene agli interessi coinvolti dalle procedure fallimentari, in particolare l’interesse dei creditori e del debitore fallito, secondo questa impostazione, necessariamente dovrebbero essere “sacrificati” alla luce di un contemperamento di interessi: l’interesse dei creditori ad avvalersi dello strumento dell’esecuzione concorsuale, pur presentandosi come meritevole di tutela, non apparirebbe come un interesse assoluto, poiché chiamato a cedere il passo laddove una valutazione comparativa degli interessi in gioco lo richiedesse. Ed ecco quindi che l’interesse pubblico alla continuatività del servizio sembra prevalere sia sull’interesse dei creditori che sull’interesse del debitore insolvente.

In definitiva, secondo i sostenitori di questo metodo, l’opposta opzione per una ricostruzione “tipologica” nell’ambito di applicazione della disciplina fallimentare peccherebbe per “eccesso”, ricomprendendo nell’area dell’esenzione dal fallimento anche società pubbliche prive del carattere della “necessità”, per le quali l’assoggettamento alle procedure concorsuali non determinerebbe nessuna lesione dell’interesse pubblico. La scelta, infatti, di sottrarre determinate società pubbliche dalle procedure concorsuali deve essere soppesata con particolare attenzione, poiché essa non risulta priva di conseguenze: basti pensare agli interessi dei creditori che troverebbero tutela nella procedura concorsuale e che, viceversa, non sarebbero soddisfatti in caso di esenzione della società al fallimento. Laddove, infatti, venisse predisposta l’esenzione dal fallimento per una società pubblica che non sia titolare di un servizio pubblico essenziale, ciò non produrrebbe nessun contributo o vantaggio effettivo alla tutela dell’interesse pubblico, ma recherebbe un pregiudizio ai creditori che

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trovano la loro primaria sede di tutela proprio nella disciplina concorsuale58.

Tra le pronunce che aderiscono a questo approccio, vi è la decisione della Corte di Appello di Torino, con il decreto del 15 febbraio 201059: con questa sentenza, i giudici sottopongono alla procedura di amministrazione straordinaria un consorzio, costituito ai sensi dell’art. 31 d.lgs. n. 267/2000 tra enti pubblici, riformando il decreto del Tribunale di Ivrea che si era espresso in senso contrario. La Corte afferma che la giusta strada da percorrere per individuare la reale natura dell’ente è quella ricorrere ad un approccio «di recente progressiva affermazione, ispirato ad un metodo piuttosto che tipologico (..) di tipo funzionale comportante una applicazione per così dure “a scacchi” di disposizioni di diritto pubblico, qualora espressamente previste, e di diritto privato, qualora, in assenza di diverse previsioni, non vi sia ragioni di deroga ad esse». La Corte riconosce che solo nel carattere di “necessità” dell’ente rispetto alla realizzazione delle finalità dell’ente pubblico può essere trovato il fondamento dell’esenzione dalle procedure concorsuali: nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto assoggettabile alla disciplina dell’amministrazione straordinaria il Consorzio poiché i suoi scopi «sono diversi da quelli istituzionali degli enti partecipanti, tenuto conto dello svolgimento delle attività economiche a carattere imprenditoriale (..) non costituenti necessariamente attività di servizio pubblico, (..) trattandosi di attività interamente indirizzate al libero mercato, con marginale rilievo dei settori in affidamento diretto».

58G.D’ATTORRE, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile,

in Fall., 2010, 6, p. 689e ss.

59Decreto 15 febbraio 2010, reso nel procedimento R.V. G. n. 1998/09, in Fall.,

2010, 6, 689, con nota di G.D’ATTORRE,Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile. Nel caso di specie, il requisito di “necessità non è stato

riscontrato e i giudici non hanno perciò individuato nessun ostacolo all’assoggettamento ad amministrazione straordinaria.

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Anche in questa pronuncia dunque, spicca l’orientamento di fondo: il dato formale della natura del soggetto è pressoché irrilevante.

In realtà, appare difficile sostenere che, alla luce di questo legame di “necessità”, debba essere esclusa l’applicazione tout court della disciplina concorsuale. Infatti, se certamente si potrebbero produrre delle conseguenze negative laddove la società fosse sottoposta a fallimento, le stesse problematiche non sembrerebbero presentarsi nel concordato preventivo60: questa procedura non determina né lo spossessamento del debitore, né impone l’interruzione del servizio pubblico, e non attribuisce al tribunale nessun potere autonomo di scelta sulla destinazione del complesso aziendale. Appare inoltre poco condivisibile questa tesi poiché la società che gestisce il servizio pubblico, partecipata dall’ente locale, non si trasforma nel titolare del servizio, ma opera sempre come semplice affidataria: non sarebbe dunque apprezzabile nessuna reale ingerenza dell’autorità giudiziaria nell’autonomia della pubblica amministrazione. Altre perplessità sorgono sull’aver posto a fondamento dell’esenzione dal fallimento il contenuto e le caratteristiche dell’attività esercitata: se è il requisito della “necessità” a fondare l’esenzione dal fallimento, il dato normativo dell’art. 1 l. fall. sarebbe completamente superato, poiché, in ragione di tale approccio, anche una società privata a cui è stata affidata la gestione di un servizio pubblico dovrebbe sempre essere esentata dal fallimento se ritenuta necessaria dall’ente pubblico affidante 61 . Il rischio dunque è quello di addivenire ad una interpretazione contra legem. In questi casi, infatti, manca completamente la base normativa su cui poter giustificare tale

60Trib. Napoli 31 ottobre 2012, in Fall., 2013, 7, 875 ss, con nota di D’ATTORRE, Il

concordato preventivo della società in mano pubblica.

61Trib. Pescara, decr. 14 gennaio 2014, in www.ilcaso.it in cui il Tribunale rileva

che non sussiste una incompatibilità ontologica tra il fallimento e le società pubbliche che erogano servizi pubblici essenziali poichè l’istituto dell’esercizio provvisorio (art. 104 l. fall.) può diventare uno strumento temporaneo per non interrompere la gestione

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esenzione, poiché se per le società pubbliche sarebbe possibile procedere ad una interpretazione estensiva dell’art. 1 l. fall, non è possibile raggiungere la medesima conclusione per le società private. Per scongiurare questo pericolo, potremmo immaginare di combinare questa teoria con il metodo tipologico- sostanzialistico e di unificare quindi gli indici soggettivi richiesti da quest’ultimo metodo con il dato funzionale.

Un’ulteriore problematica ruota intorno alla scelta di estendere l’esenzione al fallimento ai soli soggetti che svolgono servizi pubblici essenziali. Risulta di per sé abbastanza complesso individuare una esatta nozione di servizi pubblici essenziali62, ricordando inoltre che l’esigenza di continuità del servizio riguarda non solo questi ultimi, ma anche i servizi pubblici non essenziali.

Con riferimento alle società partecipate dagli enti locali, alcune criticità si presentano se volgiamo lo sguardo al dato della titolarità del servizio. La società concessionaria del servizio non è titolare del servizio stesso, ma soltanto gestore, perché la titolarità rimane incardinata in capo all’ente locale. La dichiarazione di fallimento dovrebbe dunque determinare il ritorno della competenza all’ente territoriale. Non diventa dunque giustificabile l’esenzione al fallimento per le società gestori, poiché il fallimento determinerà esclusivamente la cessazione della gestione.

62Una definizione di servizio pubblico essenziale è contenta nell’art. 1 della legge

12 giugno 1990, n 146 in materia di esercizio del diritto di sciopero. L’art 1 così afferma: “ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali(…) quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, alla assistenza e alla previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di comunicazione” ma si dubita che questa definizione possa essere impiegata in un settore molto diverso, quale quello delle procedure concorsuali.

L’art. 43 Cost. non sembra essere di particolare aiuto: introduce il concetto di impresa che esercita un servizio pubblico essenziale per individuare le attività che la legge può riservare originariamente o trasferire a fini di utilità generale, lasciando emergere una nozione di servizio pubblico che finisce per coincidere con il settore pubblico.

46 3. La fallibilità: l’approccio privatistico

L’approccio privatistico ritiene fondamentale un’analisi puntale delle disposizioni legislative che, a livello nazionale e comunitario, si occupano delle società pubbliche, al fine di comprendere la disciplina applicabile. Nella sua versione più rigorosa, soltanto laddove un ente pubblico viene definito come tale dal legislatore, sarà assoggettato alla disciplina sugli enti pubblici. Nella sua versione più moderata, si ammette invece la convivenza della normativa pubblicistica e privatistica nella società se il legislatore ha espressamente previsto l’applicazione di determinati istituti di natura pubblicistica63

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Per molto tempo, l’orientamento seguito dalla giurisprudenza e dalla dottrina in materia di fallimento delle società pubbliche è stato quello di riconoscere l’applicabilità delle disposizioni sulle procedure concorsuali anche nei confronti di questo modello di società. La mancanza di una norma che espressamente esonerasse le società pubbliche dal fallimento (come avviene per gli enti pubblici), ha portato questa dottrina ad affermare con peculiare forza la necessità di assoggettare al fallimento anche le società pubbliche.

Una pronuncia molto significativa, che ha aperto a questo tipo di riconoscimento, è la sentenza della Cassazione del 10 gennaio 1979, n. 15864, che vede il riconoscimento della applicabilità del regime privatistico ordinario, e dunque della disciplina fallimentare, per una

63 In diversi settori, il legislatore consente l’applicabilità alle società della disciplina

pubblicistica, sulla base di una espressa previsione normativa. Questo si realizza nella normativa in materia di appalti pubblici per contratti stipulati con terzi, di esenzione dalla necessità di gara ad evidenza pubblica per gli affidamenti in house e nella normativa sul diritto di accesso agli atti amministrativi.

64Cass., 10 gennaio 1979, n. 158 in Fall., 1979, 2, p. 593, nella quale la Corte

afferma che “una società per azioni, concessionaria dello Stato per la costruzione e l’esercizio di un’autostrada, non perde la propria qualità di soggetto privato – e quindi ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale e così suscettibile di essere sottoposto ad amministrazione controllata – per il fatto che ad essa partecipino enti pubblici come soci azionisti e che il rapporto giuridico istaurato con gli utenti dell’autostrada sia configurato, dal legislatore, in termini pubblicistici, come ammissione al godimento di un pubblico servizio previo il pagamento di una tassa (pedaggio) e che lo Stato garantisca i creditori dei mutui contratti dalla società concessionaria per la realizzazione del servizio”.

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società concessionaria di un servizio pubblico, partecipata da enti pubblici.

A sostegno di questa tesi, possono essere richiamati molti argomenti. In primo luogo, si ritiene che la società in mano pubblica non perda la sua natura di soggetto privato (e la sua soggezione allo statuto dell’imprenditore commerciale) se, in alcuni settori, viene disciplinata da regole pubblicistiche. In secondo luogo, i sostenitori di questa impostazione ritengono che l’eventuale esenzione dal fallimento per le società pubbliche determinerebbe una serie negativa di conseguenze, che coinvolgerebbero gli interessi non soltanto dei creditori, ma anche quello della società e l’interesse pubblico. In ultima ragione, la non fallibilità delle società pubbliche determinerebbe una violazione del diritto della concorrenza e una disparità di trattamento tra imprese pubbliche e private, in violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 116 TFUE65.

Questo orientamento si è spesso contrapposto agli altri due metodi: vi sono varie sentenze in cui i giudici hanno preso le distanze dal metodo funzionale e tipologico- sostanzialistico, come è avvenuto in una famosa pronuncia del Tribunale di Palermo66 in cui è stata ritenuta infondata la pretesa della società di vedersi riconosciuta la natura sostanziale di ente pubblico, poiché il dato formale della personalità giuridica – ribadisce il Tribunale- non può essere superato dai vari indici sintomatici della natura pubblica invocati dalla parte.

65F.NICOTRA, Società a capitale pubblico ed assoggettabilità a fallimento: aspetti

problematici, in www.dirittoamministrativo.it

66Trib. Palermo, Sez. IV civile e fallimentare, 11 febbraio 2010, n. 4, ha ammesso

alla procedura di amministrazione straordinaria una s.p.a. interamente partecipata dal Comune, costituita per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, riconoscendo che, alla luce della delibera istitutiva e dello statuto della stessa, non poteva essere qualificata come ente pubblico in senso sostanziale poiché aveva “un’organizzazione del tutto analoga a quella di una società per azioni, con le sole peculiarità derivanti dalla partecipazione al capitale sociale del Comune di Palermo, ai sensi dell’art. 2449 c.c.”. Inoltre, la società aveva dei rapporti con l’ente territoriali tali da non privarla della sua autonomia, così come delineati nello statuto. Il Tribunale sottolinea inoltre che la società aveva svolto attività di impresa, mediante la quale intendeva “intraprendere una vera e propria attività economica imprenditoriale, valorizzando le capacità di sviluppo insite nel nuovo soggetto”.

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Lo stesso principio è stato invocato dal Tribunale di Velletri67 che ha dichiarato il fallimento di una s.p.a. con capitale totalmente pubblico, preposta all’attività di gestione del servizio locale di raccolta e trasporto di rifiuti, affermando che «la società è inquadrabile nella sfera del diritto privato anche se utilizza della risorse pubbliche per lo svolgimento della propria attività giacchè la forma giuridica assunta non è contraddetta dalla disciplina statutaria». Dello stesso tenore, la Corte di Appello di Napoli68 afferma in maniera netta che «le società in mano pubblica, anche quando siano concessionarie esclusive di servizi pubblici essenziali, forniscano beni o servizi esclusivamente all’ente pubblico che ne è unico socio, siano alimentate da risorse pubbliche, siano sottoposte a penetranti poteri di ingerenza e controllo di carattere pubblicistico e siano, ad altri specifici effetti, equiparate agli enti pubblici, non possono essere definite, in linea generale, enti pubblici al fine della sottrazione alla procedura di fallimento, di concordato preventivo e di amministrazione straordinaria, salvo che, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 70/75 sia la stessa legge a definirle espressamente come tali ovvero a fornire indicazioni ermeneutiche tali da indurre a ritenere del tutto impredicabile il contrario». I giudici, in particolare, hanno inteso sottolineare come, in assenza di una precisa scelta normativa, non fosse possibile riqualificare come enti pubblici società formalmente private poiché la riserva di legge dell’art. 4 l. 70/75 non poteva considerarsi superata o abrogata dalle discipline che hanno accolto una nozione più ampia di ente pubblico o di organismo di diritto pubblico; tra queste, è possibile annoverare la definizione di

67Trib. Velletri, Sez. fallimentare, 8 marzo 2010, in www.ilcaso.it

68Corte di Appello di Napoli, 24 aprile 2013, in Fall., 2013, 767, con la quale la

Corte ha confermato la dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale di Napoli nei confronti della società di trasporti EAV BUS s.r.l., indirettamente controllata, tramite la EAV Holding s.r.l., che ne era l’unica socia, dalla Regione Campania.

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organismo di diritto pubblico dettata nel Codice degli appalti69 o nella disciplina in tema di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni. Questi, tuttavia, sono interventi di esclusivo carattere settoriale, non utilizzabili per la ricostruzione della natura pubblica di un ente.

4. Le risposte della Corte di Cassazione: le sentenze n. 22209 del