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Conclusioni sulla fallibilità

Il quadro normativo che si presentava nel nostro paese fino a pochissimo tempo fa, pur rimanendo molto frammentato, era tuttavia in grado di fornire delle indicazioni sulla strada da percorrere. Cercando di leggere i vari “indizi” che il legislatore ha lasciato in punto di fallibilità delle società pubbliche, non possiamo non tener conto della riserva di legge segnata dall’art. 4 della legge 20 marzo 1975, n. 70, che sancisce il potere esclusivo della legge di riconoscere una società a partecipazione pubblica come ente pubblico. Ecco

79A. CRIVELLI, intervento in argomento La disciplina della crisi di impresa e la

struttura ministeriale di controllo nel nuovo TU sulle società partecipate, incontro

sul nuovo Testo Unico sulle società partecipate organizzato da Eupolis Lombardia, Milano, 25 febbraio 2016.

80La sentenza della Corte di Cassazione n. 26283/2013, per quanto si occupi del

problema della giurisdizione, è stata citata in una nutrita giurisprudenza per continuare a giustificare la non fallibilità delle società in house. Il Tribunale di Napoli, Sez. VII civ., con la sentenza del 9 gennaio 2014, in ilcaso.it, ha ripercorso le considerazioni della sentenza delle SS.UU. evidenziando la difficile compatibilità del fenomeno delle società in house con la configurazione della società di capitali. Non essendo possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società in house, non sarà inoltre possibile distinguere tra il patrimonio dell’ente e quello della società. Conclude il Tribunale affermando che “ anche se le SS.UU.

hanno effettuato tale ricostruzione del fenomeno dell’in house providing ai fini del riparto di giurisdizione in merito all’azione di responsabilità degli organi di gestione e controllo, ritiene questo Collegio che analoghe conclusioni siano da prendere anche relativamente alla questione della assoggettabilità della società in house alla disciplina del fallimento”.

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dunque che l’operazione interpretativa proposta dal metodo sostanziale- tipologico e dal metodo funzionale non risulta condivisibile, proprio perché tesa a superare il vincolo posto dal legislatore. I due orientamenti infatti tendono a ergersi su una evidente violazione dell’art. 101 Cost. (principio della soggezione del giudice alla legge): la riqualificazione operata dal giudice non è altro che un superamento della portata precettiva delle norme, oltre i limiti consentiti dall’interpretazione81

.

Inoltre, la mancata indicazione, in sede di riforma del diritto societario e fallimentare, delle società pubbliche tra i soggetti esclusi dal fallimento, di cui all’art. 1 comma 1 l. fall., sembra confermare una scelta di fondo: le società pubbliche possono essere ricomprese nell’alveo del diritto comune e quindi sono assoggettabili alle procedure concorsuali.

Non è condivisibile nemmeno la tesi secondo la quale la società pubblica dovrebbe essere esclusa dal fallimento poiché priva del requisito soggettivo, essendo sprovvista dell’attributo della “commercialità”82

. La vocazione commerciale deve essere recuperata in negativo dall’art. 2135 c.c. (è commerciale l’imprenditore che non eserciti attività agricola) e dall’art. 2195 c.c. sulla registrazione, in particolare dal suo secondo comma, nella parte in cui prevede che le disposizioni di legge che fanno riferimento alle imprese commerciali si applicano a tutte le attività indicate nell’articolo stesso e alle imprese che le esercitano. È dunque il modello organizzativo societario che determina la natura di imprenditore commerciale, indipendentemente dall’attività che viene svolta.

81L. SALVATO, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure

concorsuali, in F.FIMMANÒ, Le società pubbliche, ordinamento crisi e insolvenza, collana ricerche di law & economics, Milano, 2011.

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Come ha ribadito la Cassazione nella sentenza del 19 dicembre 2009, n. 2680683, in materia di responsabilità degli amministratori e di definizione della giurisdizione della Corte dei Conti, talvolta è stato privilegiato un approccio sostanzialistico ed un criterio oggettivo che «fa leva sulla natura pubblica delle funzione espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate» per evitare di svuotare completamente la giurisdizione della corte contabile. Questo criterio, ricorda la Corte, inquadra l’attività amministrativa «non solo quando si svolgono funzioni pubbliche e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o parte al diritto privato». Se questo è sicuramente valido per gli enti pubblici, che appartengono all’alveo della pubblica amministrazione, più difficoltoso è capire entro quali limiti ciò possa essere applicato anche alle società private partecipate in tutto o in parte dall’amministrazione, «le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico».

Nel momento in cui la Pubblica Amministrazione sceglie di avvalersi dello strumento societario per lo svolgimento delle sue attività, afferma la Corte, quella società sarà inevitabilmente soggetta alle regole tipiche della forma giuridica che è stata scelta, indipendentemente dall’attività economica svolta. La Pubblica amministrazione, che deterrà la partecipazione della società, si assumerà dunque il rischio di insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che entrano in relazione con la società. La Corte dunque cerca di porre un freno all’opera di “riqualificazione” della società spesso predisposta dalla giurisprudenza.

83 Cass., sez. un. civ., 19 dicembre 2009, n. 26806, in www.ilcaso.it. Cfr. L.

SALVATO, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure

concorsuali, in F. FIMMANÒ, Società pubbliche. Ordinamento, crisi e insolvenza, collana ricerche di law & economics, Milano, 2011.

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Recentemente84 la Corte di Cassazione ha ribadito questa posizione affermando che “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali e, dunque, di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta, invero, che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di un stesso mercato con identiche forme e medesime modalità. Peraltro, dall’esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato, può ricavarsi, a contrario, che ad ogni altro effetto tali soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica”. La Corte, respingendo così sia l’orientamento sostanzialista che funzionale, si richiama al recente art. 14 del d. lgs. 175/2016 per affermare la sottoposizione alle procedure concorsuali della società in house.

Analizzando poi specificamente gli interessi coinvolti dalla gestione in house, possiamo apprezzare come la scelta del legislatore di avvalersi della struttura societaria per la gestione di servizi pubblici, comporti che una pluralità di soggetti, titolari di interessi diversi, entri in relazione con la società. L’interesse pubblico alla gestione e all’erogazione del servizio non è dunque l’unico interesse meritevole di tutela, poiché ad esso si affiancano gli interessi di una ampia gamma di soggetti, come i dipendenti, i finanziatori, i consumatori, i fornitori, che fanno affidamento su quella società. La crisi della società pubblica impone di tenere in adeguato conto l’esistenza di questi interessi, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento, affinchè i

84Cfr. Cass. Civ. Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196, Massima redazionale 2017. La

Corte si era pronunciata sulla fallibilità della società Mozzate Patrimonio s.r.l., partecipata dal comune di Mozzate.

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soggetti che sono entrati in relazione con la società possano avvalersi di tutti gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento giuridico. Le tesi che conducono all’esclusione della società in house non sembrano dare opportuno rilievo a questi soggetti. Delineando, per esempio, il ruolo dei creditori di tali società, possiamo apprezzare come per essi la mancata apertura della procedura concorsuale e l’inevitabile utilizzo del solo rimedio dell’esecuzione individuale non consenta di garantire la par condicio creditorum, con conseguente violazione dei principi di uguaglianza e affidamento85.

Anche la tutela della concorrenza risulterebbe sacrificata dalla sottrazione al fallimento per le società in house: verrebbe meno la necessaria parità di trattamento tra i soggetti che operano nel mercato con le stesse forme e modalità poiché sarebbe dato rilievo ad un dato prettamente soggettivo (la totale partecipazione pubblica) a discapito delle società private. La società pubblica, per coloro che sostengono l’esclusione dal fallimento, infatti continuerebbe ad operare, pur in stato di insolvenza, finchè le esecuzioni individuali non consentano più di proseguire l’attività, oppure finchè non intervenga una revoca dell’affidamento da parte dell’amministrazione, o se i soci decidono autonomamente di porla in stato di liquidazione. Questa situazione genera così una profonda disparità fra imprese pubbliche e private. Tra gli altri interessi che rischiano di non essere adeguatamente tutelati, vi sono i terzi che, in buona fede, hanno contrattato con la società e che hanno confidato nell’esistenza di una società esistente ed iscritta nel registro delle imprese.

L’esclusione dal fallimento determinerebbe un ulteriore pregiudizio anche nei confronti della stessa società in house, la quale, non potendo beneficiare delle procedure concorsuali, non potrebbe avvalersi delle strade alternative che il legislatore offre alle altre imprese per

85L. SALVATO, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure

concorsuali, in F.FIMMANÒ, Le società pubbliche. Ordinamento, crisi ed insolvenza collana ricerche di law & economics, Milano, 2011, p. 296.

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scongiurare il fallimento, come il concordato preventivo o l’amministrazione straordinaria.

L’esenzione dal fallimento produrrebbe anche un altro vulnus, rivolto all’interesse pubblico alla corretta e trasparente gestione del servizio. Questo profilo è stato apprezzato da un duplice punto di vista: da un lato, è stato enfatizzato dai sostenitori dell’approccio funzionale per giustificare l’inclusione nell’area di esenzione dell’art. 1 l. fall. con il richiamo al “carattere necessario dell’ente”; dall’altro, questo interesse deve fare i conti con la scelta di fondo del legislatore di consentire il conseguimento dell’interesse pubblico con lo strumento privatistico, e dunque con la scelta di far gravare sulla società i rischi connessi alla sua attività. Diventa perciò necessario effettuare un bilanciamento tra le varie esigenze, non perdendo mai di vista il punto cruciale del dibattito: la nozione di imprenditore commerciale. Soltanto richiamandoci all’art. 1 l. fall. e al suo presupposto soggettivo possiamo dare una risposta al problema: se il legislatore ha scelto di consentire la gestione e l’erogazione dei servizi pubblici tramite società di diritto comune, per risolvere il problema della crisi delle società pubbliche sarà necessario verificare che esse siano in possesso dei requisiti previsti dalle singole procedure, in particolare il requisito di imprenditore commerciale, e che svolgano attività commerciale con assunzione del rischio e verificando quali siano le modalità con cui l’attività è espletata. Ciò che rileva ai fini del fallimento è la natura giuridica del soggetto e la natura commerciale dell’attività esercitata, che non dovrà manifestarsi come espressione di un potere di imperio, e che il regime giuridico non ponga limiti tali da non poter più considerare quella attività come commerciale o industriale.

Tra le conseguenze che deriverebbero dalla sottrazione al fallimento delle società pubbliche, merita ricordare l’effetto di deresponsabilizzazione degli organi di amministrazione della società controllata e dell’ente controllante per le perdite realizzate dalla

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società in conseguenza di scelte non conformi ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale: il fallimento infatti è la sede privilegiata in cui le azioni di responsabilità vengono esercitate e in essa i curatori fallimentari, in previsione del recupero della massa attiva, sono spinti ad attivare questi rimedi86. Inoltre, l’ente pubblico sarebbe costretto ad accollarsi tutti i debiti della società, mettendo a repentaglio la stabilità della finanza pubblica.

L’esclusione delle società pubbliche dal fallimento rappresenterebbe, in ultima analisi, una significativa anomalia nel sistema, poiché esse sarebbero le uniche società commerciali per le quali il legislatore non ha previsto nessun tipo di procedura concorsuale e che quindi potrebbero continuare ad operare nel mercato pur in presenza di una insolvenza manifesta fino a quando non intervenga una revoca dell’affidamento da parte dell’ente titolare87

.

L’assoggettamento delle società in house al fallimento produce, tuttavia, alcune peculiarità che non consentono una integrale applicazione della disciplina fallimentare, fra cui l’art. 42 l. fall. Lo spossessamento dei beni del fallito può infatti operare solo nei confronti dei beni aziendali che sono nella piena titolarità della società, e non invece sui beni strumentali, sulle reti e sulle dotazioni aziendali, che l’ente pubblico socio conferisce alla società affidataria del servizio ex art. 113 TUEL e art. 4 l. n. 148/2011, i quali prescrivono che venga tenuta separata la proprietà dei beni pubblici dall’attività di erogazione degli stessi. Durante il fallimento dunque non sarà possibile procedere alla alienazione di questi beni perchè, pur essendo conferiti alla società per la gestione del servizio, essi rimangono di proprietà dell’ente pubblico titolare del servizio: assistiamo pertanto ad una alterazione

86F.VESSIA, Società in house providing e procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2015,

2, p. 196.

87 Fra tutti, G. POSITANO, il fallimento delle società private a partecipazione

pubblica, in Dir. Fall., 2013, 6, p. 586 che afferma “questa situazione altererebbe le

regole del mercato, traducendosi in una ingiustificata compressione dell’interesse dei creditori, per i quali solo una procedura concorsuale può essere in grado, in linea di principio, di garantire la par condicio creditorum”.

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delle regole di formazione della massa attiva fallimentare. Il principio di impignorabilità dei beni pubblici impedisce pertanto non solo l’alienazione, ma anche la costituzione di privilegi, garanzie, pegni e ipoteche né alcun tipo di azione esecutiva individuale sui beni mobili e immobili di pubblica proprietà88.