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Le problematiche dell’esercizio provvisorio:

CAPITOLO III L’esercizio provvisorio

3. Le problematiche dell’esercizio provvisorio:

l’autofinanziamento, l’intuitus personae e la salvaguardia dei livelli occupazionali

Il reperimento dei mezzi finanziari è uno dei bisogni primari che l’impresa avverte sia nell’immediatezza della crisi, per impedire la cessazione dell’attività e la perdita di valore dell’azienda, sia nel lungo periodo, per consentire la gestione ordinaria ed eventualmente per predisporre misure di riorganizzazione dell’impresa. Questo tema, studiato e approfondito particolarmente dalla dottrina nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione o nel piano attestato, appare invece del tutto ignorato per l’esercizio provvisorio, nonostante, soprattutto per una società in house, esso potrebbe configurarsi come un mezzo ottimale per garantire la continuazione dell’impresa. Il disinteresse mostrato dalla dottrina al profilo in esame potrebbe derivare, da un lato, dalla limitata diffusione nella prassi dell’istituto dell’esercizio provvisorio, anche perché, spesso, una volta che l’impresa giunge al fallimento, non ci sono le condizioni per l’ottenimento del finanziamento; dall’altro lato, l’attenzione che il legislatore ha

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M. SANDULLI, commento all’art. 104, in La riforma della legge fallimentare, II, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, Torino, 2006, p. 606.

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riservato agli strumenti di prevenzione della crisi ha determinato una riduzione di interesse e di approfondimento sulla eventualità di consentire delle forme di finanziamento durante l’esercizio provvisorio. In terzo luogo, la mancanza di un mercato e di una prassi consolidata del finanziamento, risulta senza dubbio configurarsi come un ulteriore motivo di questo disinteresse, unito alla percezione che il problema del finanziamento dell’esercizio provvisorio sia da affrontare non sul piano teorico, ma caso per caso, coinvolgendo soprattutto lo studioso aziendalista più che il giurista157.

La mancanza di una disciplina dettagliata in materia e di una riflessione giuridica consolidata portano ad approcciarsi a questo tema cercando di definirne il più possibile precisamente i connotati, tenendo conto delle particolarità delle società in house e del loro rapporto con l’ente pubblico partecipante.

Il curatore, su questo fronte, ha una grande libertà d’azione. Il legislatore non predispone una gerarchia di strumenti applicabili alla società in crisi per ottenere il finanziamento, pertanto le scelte in materia ricadranno nella discrezionalità del curatore, nella veste di gestore dell’impresa, in quanto capace di effettuare una valutazione il più possibile ampia e articolata sulle caratteristiche delle società e sulle sue necessità. Nella prassi, tuttavia, la forma più diffusa mediante la quale viene ottenuto il finanziamento è l’auto-finanziamento. Di solito, la procedura non riesce ad offrire delle garanzie idonee agli (eventuali) nuovi finanziatori che non hanno mai intrattenuto rapporti con la società e che, difficilmente, decidono di concedere un finanziamento ad una società in crisi: finanziamento che sarà (eventualmente) restituito solo all’esito della liquidazione. Non vi sono tuttavia norme che pongono un divieto esplicito al ricorso a fonti di finanziamento esterno; il curatore dovrà naturalmente agire con peculiare attenzione, non assumendo obbligazioni che difficilmente potrebbero essere

157P.FABBIO, L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, Napoli, 2011, p.

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soddisfatte. Tuttavia, difficilmente i terzi, estranei alla procedura, decidono di finanziare l’esercizio provvisorio, a meno che non abbiano un peculiare interesse al buon esito della procedura o all’ottenimento di poteri di controllo, gestione, o di diritti di prelazione sull’azienda. Ecco dunque che l’impiego di risorse interne alla procedura, l’autofinanziamento appunto, può presentarsi come un utile rimedio al problema in esame. Tali risorse interne potrebbero avere varia natura: potrebbero essere ricavi dell’esercizio provvisorio o somme derivanti dall’esercizio di diritti o azioni o corrispettivi per la cessione o il godimento di beni.

Nel caso delle società in house, tale liquidità potrebbe quindi essere offerta dallo stesso ente pubblico partecipante: alla luce del rapporto di delegazione interorganica che lega la società in house all’ente pubblico, il finanziamento conferito da quest’ultimo alla società per l’espletamento dell’esercizio provvisorio potrebbe dunque essere inquadrato come un atipico caso di autofinanziamento. Se una lettura di ampio respiro del sistema delle procedure concorsuali così descritto dal legislatore ci spinge a rivedere l’esercizio provvisorio come un istituto non eccezionale, risulta quindi necessario dare adeguato rilievo alle esigenze che si presentano dalla sua attuazione, quale appunto quella del finanziamento.

Anche portando alla massima estensione questa lettura, arrivando ad affermare che il Tribunale potrebbe disporre l’esercizio provvisorio per dare attuazione ad esigenze collettive pur danneggiando i creditori, purchè tuttavia questo pregiudizio venga ridotto all’indispensabile, questa tesi potrebbe comunque essere contemperata dalla possibilità per l’ente locale di versare delle apposite cauzioni alla società, facendosi così carico di evitare gli eventuali pregiudizi che altrimenti si realizzerebbero verso il ceto creditorio dalla continuazione dell’attività di impresa. L’assenza di pregiudizio nei confronti dei creditori si esprimerebbe nell’evitare che il propagarsi dei debiti di

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massa derivanti dalla continuazione dell’attività arrivi a coinvolgere i creditori e le loro pretese di soddisfacimento: l’ente locale quindi potrebbe accollarsi, in parte o del tutto, i debiti prededucibili derivanti dall’esercizio provvisorio. Con riferimento al più ampio tema dei finanziamenti, pare pertanto ammissibile che l’ente pubblico si occupi del finanziamento della società in house durante l’esercizio provvisorio, laddove questo possa risultare necessario per eliminare eventuale effetti pregiudizievoli derivanti dall’esercizio provvisorio.

La normativa pubblicistica contenuta nell’art. 6 comma 19 della legge n. 122 del 2010158 prevedeva che “al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità” potevano esser autorizzati eccezionalmente aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito e rilascio di garanzie nei confronti delle società a partecipazione pubblica non quotate che avessero registrato perdite per tre esercizi consecutivi, o che avessero utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali159. Nel caso in cui l’ente pubblico si fosse trovato nella condizione di non poter intervenire per finanziare l’impresa da esso partecipata, la società avrebbe dovuto necessariamente andare incontro al fallimento: ci si chiede infatti quale interesse vi sarebbe stato a mantenere in vita questi soggetti che, qualora in crisi, non potevano essere finanziati 160. La Corte dei Conti, in un suo parere161, aveva sostenuto che “il decreto ha imposto l’abbandono della logica del

158L’art. 6, comma 19, legge 122/2010 Conversione in legge, con modificazioni, del

decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

159 Il procedimento previsto dalla legge imponeva che, per l’erogazione dei

finanziamenti alle società a partecipazione pubblica, fosse necessaria una autorizzazione su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri ministri competenti e soggetto alla registrazione della Corte dei Conti.

160 L.E.F

IORANI, Società pubbliche e fallimento, in Giur. Comm., 2012, I, p. 562.

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Corte dei Conti, parere 753 del 12 luglio 2010 della Sezione Regionale Controllo Lombardia, su www.corteconti.it

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salvataggio a tutti i costi di società pubbliche partecipate dalla pubblica amministrazione che versano in situazioni di irrimediabile dissesto, ovvero l’inammissibilità di interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto”: il finanziamento si presentava come uno strumento da usare con particolare parsimonia e solo al presentarsi di situazione di peculiare gravità e urgenza.

La norma è stata abrogata dall’art. 28 del d. lgs. 175/2016, ma l’art. 14 comma 5 ripropone, con qualche lieve modifica, la regola già fissata nell’art. 6 comma 19, stabilendo che “Le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, ne' rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali”. Questo divieto però non è assoluto, perché questi interventi potranno essere consentiti “al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanità” attraverso un apposito procedimento162. La norma prevede inoltre che siano fatti salvi “i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti”, ma sempre che siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall'Autorità di regolazione di settore (ove esistente) e comunicato alla Corte dei

162È necessaria una apposita autorizzazione, su richiesta della amministrazione

interessata, redatta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei Conti.

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conti, che preveda il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre anni.

La ratio della disciplina è impedire che la perdita registrata dalla società sia colmata dai conferimenti della amministrazione socia, attraverso degli aumenti di capitale deliberati ad hoc. La norma mira, viceversa, a stimolare la copertura della perdita con l’adeguamento delle condizioni del contratto di servizio e consentendo la spesa virtuosa per investimenti, sempre che essi siano funzionali al conseguimento dell’equilibrio finanziario nell’arco di un triennio. I divieti posti dalla nuova disciplina non pregiudicano l’applicazione della normativa civilistica sulla riduzione obbligatoria del capitale per perdite. L’amministrazione partecipante è tenuta a provvedere al ripianamento in misura proporzionale alla propria partecipazione e non oltre163.

È necessario tuttavia sottolineare che la disciplina antitrust non ha mai guardato con favore alle ipotesi di finanziamento pubblico alle imprese insolventi, considerando molto alto il pericolo che tali finanziamenti si traducano in una violazione del divieto di aiuti di Stato.

Un altro problema che discende dall’applicazione dell’istituto dell’esercizio provvisorio alle società in house riguarda la sorte del contratto di affidamento del servizio in seguito alla dichiarazione di fallimento. Potrebbero infatti presentarsi alcuni dubbi circa la continuazione del rapporto contrattuale tra l’ente pubblico appaltante e la società appaltatrice con riferimento a quei contratti contraddistinti dal requisito dell’intuitus personae, per i quali il legislatore esclude che, con il fallimento, possa comunque proseguire il rapporto contrattuale. Il contratto di servizio è naturalmente connotato dall’intuitus personae, ovvero dalla essenzialità delle qualità

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D. DI RUSSO, Crisi di impresa e insolvenza delle società a partecipazione

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soggettive del contraente. L’art. 81 l. fall. disciplina questo aspetto, prevedendo che “Il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all'altra parte nel termine di giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie.

Nel caso di fallimento dell'appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva è stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto. Sono salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche”. La norma non esclude

quindi che il rapporto prosegua con la curatela, ma subordina questa ipotesi alla scelta del curatore. Oggi la materia è regolata dal d. lgs. n. 50 del 18 aprile 2016164 , che, pur non essendo direttamente applicabile alle società in house providing165, ci offre degli spunti di riflessione importanti sui principi che regolano la materia. Con l’art. 110 viene previsto che l’originario rapporto tra l’ente appaltante e la società fallita possa proseguire nei confronti del curatore, se autorizzato all’esercizio provvisorio e dopo aver sentito l’ANAC166

: ecco dunque

164D. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE

e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”

165Così come previsto dall’art. 5 comma 3” Il presente codice non si applica anche

quando una persona giuridica controllata che è un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l'appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.”

166Art. 110 d. lgs. n. 50 del 18 aprile 2016 prevede che: “Le stazioni appaltanti, in

caso di fallimento, di liquidazione coatta e concordato preventivo, ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell'appaltatore, o di risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 108 ovvero di recesso dal contratto ai

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che non vi sono impedimenti normativi o logici alla continuazione dell’attività di erogazione di servizi da parte della stessa società fallita attraverso l’intervento del curatore167

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Un altro profilo che crea alcune perplessità, riguarda la possibilità di predisporre l’esercizio provvisorio per salvaguardare il livello di occupazione della società. Risulta importante capire se il mantenimento dell’occupazione possa essere l’unico o uno dei molteplici interessi che l’esercizio provvisorio, in una lettura più estesa dell’istituto, mira a perseguire.

Un dato di primo rilievo in questa analisi ci viene offerto da una considerazione: il fallimento, a differenza della amministrazione straordinaria, non ha come fine istituzionale il mantenimento dell’occupazione168. Solo nell’art. 104 bis l. fall., in tema di affitto di

azienda, sussiste questo richiamo. La norma infatti recita nel comma 2: “La scelta dell'affittuario è effettuata dal curatore a norma dell'articolo 107, sulla base di stima, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati. La scelta dell'affittuario deve tenere conto, oltre che dell'ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”. In realtà, anche nell’affitto di

sensi dell'articolo 88, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto, interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori. 2. L'affidamento avviene alle medesime condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta. 3. Il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC, possono: a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto; b) eseguire i contratti già stipulati dall'impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale”.

167M.CUOCO, La gestione della crisi di una società in house, su www.osservatorio-

oci.org

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F.FIMMANÒ, commento all’art. 104 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, a cura

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azienda, il richiamo all’occupazione non si presenta come il fine ultimo a cui l’istituto tende, quanto piuttosto come un criterio comparativo che l’affittuario deve tener bene presente al momento della stipulazione del contratto.

Il criterio dell’art. 104bis non sembrerebbe inoltre suscettibile di generalizzazione169 : è da escludere l’idea che dalla norma sia rintracciabile un principio generale capace di indirizzare l’interpretazione delle altre norme. Nell’art. 104bis infatti, il criterio del mantenimento del livello dell’occupazione si presenta come subordinato rispetto agli altri criteri, diventando decisivo solo nei casi in cui vi è una parità delle condizioni economiche prospettate dalle varie offerte. Inoltre, il richiamo ai livelli occupazionali si pone solo in un momento “a valle”, successivo alla scelta sulla predisposizione o meno dell’affitto: riguarda cioè un momento successivo, non la decisione a monte.

Nell’art. 104, invece, non è presente un criterio di questo tipo. Ecco dunque perché, mentre nell’art. 104 l. fall. non vi è nessun riferimento al livello occupazionale, questa esigenza si presenta nel 104 bis. Possiamo quindi escludere che l’esercizio provvisorio abbia come fine istituzionale il mantenimento del livello occupazionale: anche seguendo una lettura molto ampia della norma che ci porta a valorizzare il bacino di “interessi terzi”, diversi da quelli dei creditori, sicuramente l’esercizio provvisorio, anche nell’ambito delle società in house, non potrà perseguire direttamente l’obiettivo della tutela del livello occupazionale. Dobbiamo tuttavia interrogarci sulla possibilità di ricomprendere, in via interpretativa, questo interesse tra gli interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli creditori a cui l’esercizio provvisorio, indirettamente, può tendere. Per raggiungere questo obiettivo, può essere d’aiuto una analisi della più recente giurisprudenza in materia di esercizio provvisorio, la quale, in alcuni momenti, ha considerato il

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P.FABBIO, L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, Napoli, 2011, p.

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livello occupazionale come un profilo meritevole di protezione mediante l’art. 104 l. fall.