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Analogie e discontinuità L’assetto delle strutture agrarie nell’VIII secolo: curtes

secolo: curtes ducali e fiscali, massae, casalia e silvae.

Ancora una volta, la nostra analisi prenderà le mosse dal quartetto di carte prodotte dalla famiglia dei duchi di Persiceta. Queste sono le prime a fornirci un quadro

794 La scansione temporale della fine delle villae nelle diverse parti dell’Italia centro-settentrionale può

essere seguita in La fine delle ville romane: Trasformazioni nelle campagne tra tarda antichità e alto medioevo, così come in R. Francovich e R. Hodges, Villa to Village. The transformation of the Roman Countryside in Italy c. 400-1000. London 2003.

795 Tra l’anno 550 e il 650 cfr. S. Gelichi, Pozzi-Deposito e tesaurizazzioni nell’antica Regio VIII-Aemilia

in Il tesoro nel pozzo, p. 41. Una cesura che coincide anche, e non a caso, con il vuoto nella sede episcopale di Modena

di una certa coerenza tanto sulla natura della proprietà quanto sulla gestione del lavoro contadino a cavallo tra gli ultimi anni del dominio longobardo e i primi di quello carolingio. Evidentemente tutti i problemi legati alla loro tradizione documentaria, più volte esposti nelle pagine precedenti prendendo in esame diverse problematiche quali l’’origine della famiglia, i loro rapporti parentali con i ceti dominanti della società ravennate, etc., aprono, anche in questo caso, una serie di questioni che saranno via via prese in considerazione.

Il dossier documentario è composto, come si ricorderà, da tre donazioni al monastero di Nonantola e una vendita al monastero di San Salvatore di Brescia. Fra le donazioni ritroviamo una carta del 752796 nella quale Ursus clerico, figlio di Iohannes dux di Ravenna concedeva svariati beni a Nonantola. Si tratta di una falsificazione redatta nello scriptorium del suddetto monastero alla fine dell’XI secolo o negli inizi di quello successivo. Mentre le donazioni degli anni 776797 (concessa da Iohannes duca di Persiceta al monastero di Nonantola) e 789798 (fatta da Ursus dux, figlio del suddetto Iohannes duca di Persiceta) hanno subito anch’esse forti interpolazioni tra la fine dell’XI o gli inizi del XII secolo. La vendita al monastero di San Salvatore di Brescia di beni posti in Redù fatta da Iohannes duca di Persiceta nell’anno 772799 è invece una copia del XII secolo.

La testimonianza inclusa nella carta del 752 è quella in cui compare il maggior numero di corti, con riferimento anche all’esistenza di un ampio elenco di massaricii800, ovvero contadini dipendenti (tanto liberi quanto servi, ne parleremo oltre) che lavorano in concessione le terre appartenenti a una curtis801. Va però precisato il fatto che il patrimonio della famiglia risulti da subito caratterizzato da un’organizzazione fondiaria che oltre alle curtes, comprende anche casalias e fundi. Infatti, la comparsa delle prime, in una data precedente all’affermarsi della curtis come azienda agraria nelle zone a ridosso della Romània -zona che conobbe un altro tipo di struttura fondiaria, dove si mantenne a lungo l’organizzazione della proprietà di tradizione romana, divisa in massae e fundi- e soprattutto la comparsa di tali centri curtensi in una cartula offersionis

796 CDL, I, n. 101 (= CDN, n. VI).

797 CDN, IX, pp. 21-24. Copia del XII secolo conservata presso l’’archivio abaziale nonantolano. 798 CDN, XIV, pp.. 28-31 (= Savioli, AB, I/2, n. 9, Gaudenzi, II, n. 3, pp. 24.29).

799 CDL, II, n. 271 (= Torelli, n. IV). Conservata nell’archivio di Stato di Reggio Emilia.

800 … corte mea et fundo Susiatecus, tota et integra, cum ecclesia Sancti Petri apostoli Christi, cum

omnia a sibi pertientia, quod est de a rac(ione) facta massaricio XX. Più altri 280 in finibus et corte Crespeliano… cfr. CDL, I, n. 101, p. 291-292 e p. 294.

801 B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei

di complicata tradizione documentaria come è quella dell’anno 752, obbliga a fare alcune considerazioni in merito al problema dell’organizzazione agraria del patrimonio ducale con l’obiettivo di chiarire le caratteristiche generali del paesaggio agrario nonché le origini dello stesso sistema curtense nelle terre dell’oriente emiliano.

Le prime osservazioni si devono al carattere della falsificazione del documento. In esso, il falsario nonantolano avrebbe potuto adeguare all’anno 752 il linguaggio proprio della fine dell’XI secolo per quel che riguarda le aziende agrarie ivi contenute, in un’operazione simile a quella fatta per quel che riguarda il lessico distrettuale, come si evince dal passo che segnala la localizzazione delle corti e dei fundi inclusi nella donazione in comitatu Mot(inensi) uel Bon(oniensi)802, e cioè attribuendo una data d’epoca longobarda a realtà proprie dell’XI secolo, quando la curtis era diventata già da due secoli l’azienda agraria dominante in buona parte dei territori del Regnum Italiae. In ogni caso non crediamo si possa dubitare dell’effettiva esistenza, nella seconda metà dell’VIII secolo, di molti dei beni citati nella carta, localizzabili nei distretti di Persiceta, Montebellium e Ferronianum. Tra l’altro, in varie carte successive, questi centri continuano a comparire ancora all’interno del patrimonio fondiario dell’abbazia di Nonantola, come rivela una testimonianza inclusa in una precaria dell’XI secolo (scritta quindi poco prima della redazione dei falsi che furono redatti, come si è già più volte avvertito, attorno alla seconda metà dello stesso secolo o nei primi decenni di quello successivo803) conclusa tra il monastero di Nonantola e Albrico filius quondam Gisonis de loco Sala, dove, citando luoghi del persicetano coinvolti nella trattativa, si ricordava come un tempo fuerunt dictas Ursono duco804.

Più complicato risulta, già nella seconda metà dell’VIII secolo, comprovare la veridicità dell’esistenza di alcune fra le curtis citate. In alcuni casi questa può essere ratificata ricorrendo alla documentazione dei decenni successivi, come nel caso della corte de Fainano (Fanano, nel Frignano), il cui possesso veniva confermato al cenobio nonantolano nel primo terzo del X secolo da parte di re Ugo805 e nel 982 da Ottone II806. In altri, invece, sembra si tratti piuttosto di costruzioni a ritroso, su beni che non appartennero a Nonantola se non in un tempo successivo, come nel caso di Tortiliano

802 CDL, I, n. 101, pp. 293-294.

803 Sull’immagine dell’VIII secolo offerta dai falsi nonantolani è fondamentale, l’interpretazione che di

essi fornisce G. M. Cantarella La figura di sant’Anselmo nel contesto del monachesimo longobardo, in Reti medievali Rivista, IV, 2003/2 (luglio-dicembre), pp. 1-13, sebbene più incentrata sulla figura di Sant’Anselmo.

804 CDN, CVIII, (a. 1014), p. 144. Anche in questo caso si tratta di una copia del XII secolo. 805 DDUgo, placiti perduti 10 (926-931). La citazione di tale diploma in DDOII, n. 283. 806 DDOII, n. 283 (982), p. 330.

che, in una carta dell’826, non pare affatto strutturata come una curtis807, offrendo in questo senso le prove che insinuano dubbi sulla totale veridicità di alcuni aspetti riguardanti l’effettiva struttura della sua organizzazione fondiaria808.

Le donazioni compiute dalla famiglia negli anni 776 e 789 offrono, invece, una maggiore sicurezza da questo punto di vista. Malgrado le interpolazioni del copista, forniscono entrambe una coerente localizzazione geografica dei possedimenti ceduti, nella quale i beni in mano alla famiglia continuano a comparire all’interno dei distretti castrali. Nelle donazioni di Iohannes dux e di Ursus, suo figlio, i modi con i quali ci si riferisce ai centri curtensi descritti, altri ancora, risultano differenti: alcuni compaiono con la aggiunta del riferimento agli spazi di massaricio a essi pertinenti (così nei casi delle curtis de Peritulo e Lolustra809, Meliti810, Casale811 e Acquario812, Verabliani,

Carpenetulo e Verleto813 situati nei distretti persicetano e montebelliense), mentre per

altri casi non si fa cenno all’esistenza di casae massariciae a essi collegate, concessi al lavoro dipendente, e compare soltanto il nome dello stesso centro curtense seguito dalla formula in integrum814, aspetto che non ci permette di osservare nel dettaglio le modalità e i caratteri della sua organizzazione interna. Questo succede in parte per la stessa natura del dossier documentario; composto fondamentalmente da donazioni, dove non si ricorre alla descrizione delle stesse essendo sufficiente fornire, senza altre aggiunte, un semplice elenco di quanto passa alle dipendenze dell’abbazia.

Diversi sono i particolari delle donazioni che possono servire a chiarire alcuni aspetti al riguardo. Già il fatto che in esse non si segnali mai l’esistenza di centri dominicali, insieme con l’apparizione degli spazi propri del massaricio soltanto (e non

807 …hoc est basilica sancte marie in Tortilianum in fine Castroferoniense sito cum casis et omnibus

rebus ad eandem basilicam pertinentibus… duo milia nongenti et quinquaginta octo inter terras arabiles et vidatas…et vidatas seus prativas iuges sedecim et medium tabule vigintiquinque… CDN, XXVII (826). Si citano i beni ricevuti dall’abbazia di Nonantola in una permuta intrapresa fra questo e il monastero di San Salvatore di Tolla, che ricevette in cambio veni a Castell’Arquato, nel piacentino.

808 Concordiamo con Schiaparelli quando segnala come la falsificazione impedisca di tener conto, come

dati veridici, soltanto dei testimoni che appaiono in calce al testo, così como del notaio che appare rogandolo. CDL, I, n. 101.

809 … et casas massaricias ad eamdem curtem pertinentes… CDN, IX (776), pp. 22-23.

810 … Curtem nostram in Meliti et casas massaricias ad eandem Curtem pertinentes… CDN, IX (776),

pp. 23

811 … curtem nostram, que est posita in Casale, in Casale, in loco Castilioni, qui alio nome Verdeta

vocatur, eo quod Viridianum Regis, ibi resideat… cum casas massaricias et aldiaritias… CDN, IX (776), p. 23

812 Tradimus adque donamus vobis Curtem nostram que est posita in Aquario cum casas massaricias et

aldiaricias… CDN, IX (776), p. 23

813 … in integrum cum casis massariciis et aldiariciis, CDN, XIV (789), p. 29.

814 … Curtem nostram in Petroni cum sua pertinentia omnia in integrum, seu et curtem nostram in

sempre) in calce alla enumerazione delle singole corti, in modo assolutamente generico, è molto significativo perché potrebbe trovare giustificazione nell’inesistenza, all’interno patrimonio ducale, di un rapporto perfettamente organico fra il dominico e il massaricio in alcune delle curtis cedute tramite cartulae offersionis a Nonantola. Una chiara prova di questo si osserva nell’alienazione di cinque massariciae situate prope castro Gissaro815 (localizzabili nel distretto di Brento) fatta dal duca Iohannes in favore dell’abbazia, dove esse paiono realtà autonome, senza legami con alcun centro curtense816.Tutti questi particolari tendono a rafforzare un’immagine delle suddette strutture dominata ancora dalla mancanza di sistematicità nel raccordo tra dominico e massaricio che sarà invece tipica del sistema curtense nei decenni centrali del secolo IX. In ogni caso, è innegabile l’esistenza di proprietà così divise, anche se ancora contraddistinte da questo debole rapporto, in quelle aree poste, fino al 727, ai limiti più occidentali dell’antico Esarcato bizantino d’Italia. Uno spazio dove il paesaggio agrario presentava ancora, dopo la conquista liutprandea, forme di organizzazione di salda tradizione romana. Questo fatto dimostra la capacità longobarda d’influenzare, anche in pochi anni, nelle zone di più recente conquista, la sistematizzazione in forme “precurtensi” di certi ambiti dello spazio agricolo817. Infatti, non solo il patrimonio appartenente alla famiglia ducale mostra tracce di questi caratteri. Le terre di altri possessores, così come ampi spazi facenti parte del fisco regio documentabili nell’area fra Modena e Bologna in queste stesse date, mostravano un’organizzazione fondiaria simile. Così, buona parte delle terre fiscali concesse da parte dei re longobardi in varie donazioni appaiono descritte per mezzo della citazione del loro centro curtense e delle casae massariciae a esso pertinenti. È questo il caso dei beni appartenuti al duca longobardo Peredeo818, la cui presenza patrimoniale negli spazi geografici situati tra Modena e Bologna era radicata proprio nel possesso di terre di sicura origine fiscale come la curtis di Canetulo con le sue massaricie, sulla riva sinistra del fiume Panaro, presso l’odierna Solara, appena fuori dal distretto persicetano, cum universa edificia et terretoria vel famiglia, donazione che includeva un porto sul fiume Moclena819. Centro

815… massaricias quinque prope Castro Gissaro, quod dicitur Britu… CDN, IX (776), p. 23 816 B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia, p. 51.

817 Per B. Andreolli e M. Montanari l’epoca longobarda si caratteriza infatti come tappa “precurtense”,

perché sebbene le carte prodotte nella prima metà del secolo VIII permettano osservare l’esistenza di curtes e massariciae, non esiste un rapporto organico fra queste, sancito dal lavoro coatto dei contadini dipendenti residenti nelle terre del “massaricio” cfr. L’azienda curtense in Italia, p. 52.

818 Su Peredeo, cfr. Capitolo paragrafo dedicato ai vertici della società longobarda.

819 Forse donata da Liutprando a Peredeo prima della conquista dei castra e della città di Bologna, CDL,

curtense che molto presto finí per ingrossare il patrimonio nonantolano. Attraverso un placito posteriore sappiamo, infatti, che questa corte, la quale Peredeo duce possessa fuit, fu donata a Nonantola da parte di re Aistolfo820. Grazie a queste e altre donazioni regie821, l’abbazia appare, fin dalla seconda metà dell’VIII secolo, come uno degli enti principali nella detenzione di beni fiscali posti negli antichi distretti castrali (si veda la tabella 2) a cominciare dalla stessa curte Gena822 (situata nell’odierno comune di Nonantola, all’interno del distretto persicetano), dove fu eretto l’edificio monastico823.

Come già è stato detto, tutti questi riferimenti a curtes negli spazi geografici che fra l’oriente di Modena e l’occidente di Bologna si estendono dal crinale appenninico del Frignano alle pianure dell’odierno comune di San Giovanni in Persiceto, per quanto relativamente numerosi, non possono essre intepretati, però, come la prova di una totale organizzazione del paesaggio agrario tramite strutture curtensi strictu sensu, definite in base all’effettiva funzionalità di un sistema economico di tipo curtense, e cioé in grado di integrare in modo omogeneo, ancora prima del IX secolo, dominico e massaricio attraverso le prestazioni di lavoro coatto corrisposto da parte dei massarii sulle terre a conduzione diretta di ognuna delle corti fin qui citate. Non conosciamo, infatti, nessuna attestazioni che consenta l’osservazione diretta di massarii sulle terre dominicali, e nemmeno contiamo (per quel che riguarda l’VIII secolo) su nessun contratto agrario (livello o enfiteusi che sia) che segnali l’obbligo di espletare un certo numero di corvée da parte dell’affittuario nelle terre padronali.

le testimonianze siano inclusi in documenti falsi… confirmamus tibi omnes res illas… in curte Canetulo in territorio Motinensi cum omnibus pertinentis suis… CDN, III, p. 12. (=CDL, III, n. 26, a. 18/02/752). Confermata da Desiderio in una carta conservata in copia del XII secolo (anch’essa un falso) nell’archivio capitolare di Lucca, CDL, III, n. 32 (16/02/759).

820 Placiti, I, n. 106 (lugio 898). Nel placito gli si sostenne come i documenti presentati da Nonantola

fossero autentici: istas bona sunt infatti sosterrano i testimoni chiamati a esprimersi sulla natura di tale documentazione. La appartenenza della corte viene ribadita da un placito perduto dell’811 (Placiti, I n. 10).

821 Altri beni ci permettono di osservare l’esistenza di curtes nella nostra zona. Si pensi infatti alla

donazione dei monasteri licalizzabili nel persicetano donati da Aistolfo a Nonantola, San Giovanni in curte Frasenetula, San Donnino in curte Argele, San Vitale in curte Calderaria e Santa Maria in Laurentiaticus, cfr. CDL, III n. 26.

822 La carta che mostra la donazione della corte di Gena all’episcopio modenese è un’invenzione del

falsario modenese che compilò la carta nell’XI secolo (CDL, III, n. 24 = Vicini, 1 (c.749-756). Infatti il confronto con le carte Nonantola, così come il proprio tenore della carta modenese (che include la donazione d’immunità da parte di Astolfo sui beni donati alla chiesa cattedrale di Modena) fanno sí che non si prenda in considerazione questa carta nel momento di annalizare le curtes esistenti nell’oriente emiliano.

823 CDL, III, n. 26 (18/04/752). Benché il diploma di donazione sia una falsificazione del XIII secolo,

sembra rispecchi dati contenuti in carte autentiche, cfr. A. Gaudenzi, Il monastero di Nonantola, , pp. 125-127. Sulla stessa curtis si veda, da ultimo, il recente S. Gelichi, M. Librenti, Alle origini di una grande proprietà monastica: il territorio nonantola tra antichità e alto medioevo, in La norma e la Memoria. Studi per Augusto Vasina, a cura di T. Lazzari, L. Mascanzoni, R. Rinaldi, (Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Nuovi studi storici, 67), Roma 2004, pp. 25-41.

Questo non significa nemmeno la totale assenza, nella nostra area, di tale tipo di prestazioni. Disponiamo, per l’appunto, di una citazione a lavori svolti da parte di coltivatori che, sebbene giunta a noi in forma indiretta in quanto inclusa in una conferma contenuta in un diploma dell’imperatore Lodovico il Pio824, mostra chiaramente l’esistenza, in una data vicina alla fine del VII secolo, di lavoratori che realizzavano servizi e angariae nelle terre di proprietà della chiesa di Modena, nella villa Puziolo. Possono identificarsi in essi le prestazioni di lavoro di natura pubblica dell’epoca tardoantica? Il fatto che la notizia appaia in un diploma imperiale fa pensare a una loro connessione certa con servizi di matrice pubblica, ceduti a un grande possessore come la chiesa cattedrale di Modena. In ogni caso, questa attestazione, pur nella sua unicità, mostra quanto fossero diversi questi servizi rispetto alla corvée d’epoca carolinga, tanto quantitativamente quanto (soprattutto) qualitativamente825 dal

momento che non possono essere paragonati con la sistematicità raggiunta dalle prestazioni di lavoro alle quali furono sottoposti i contadini dipendenti del IX secolo.

Da un altro punto di vista, bisogna tener ben presente come, in un’area geografica di tradizione esarcale, quale è l’oggetto della nostra indagine, conquistata dai longobardi soltanto molto tardi, si mantenne a lungo una struttura fondiaria e un’organizzazione dello spazio agrario di tradizione romana che, nonostante appaia già in molti casi organizzata mediante curtis, vide sopravvivere ancora a lungo nelle fonti altre strutture fondiarie di più antica tradizione. Così, insieme ai centri curtensi, la documentazione offre l’apparizione di massae, (che definiscono l’agglomerato di vari fundi826), saltus e fundus827. Le differenze strutturali fra massae e curtis erano molto forti828. Nel caso delle prime non esisteva la bipartizione fra dominico e terre date in concessione tipica della curtis. D’altra parte, nelle nostre terre ebbero una diffusione capilare, come ha messo in evidenza la recente pubblicazione dell’archivio arcivescovile di Ravenna, arricchendo di nuovi esempi il novero delle massae esistenti

824 Cunincpertus rex fecit ad ecclesiam Sancti Geminiani de villa Puziolo sive tributum vel succidiales

atque angarias, quas servi eiusdem Sancti Geminiani ad ipsum casalem laborandum et excolendum habuerunt, Vicini, n. 9 (08/02/822).

825 B. Andreolli, La corvée precarolingia, in B. Andreolli, Contadini su terre di signori. Studi sulla

contrattualistica agraria dell’Italia medievale. Bologna 1999, pp. 69-85, in modo particolare 78 e sgg.

826 B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda curtense in Italia, p. 162.

827 Struttura vigente ancora nella seconda metà del X secolo nelle terre più vicine alla città di Bologna,

come nel caso dei fundi Vitaliacula, Castelioine, Prada e Orbes venduti ai fratelli Pietro e Lamberto, nipoti di Vulgunda, da parte di Pietro di Leoperto, Cencentti X, n. VIII, (19/11/974?).

828 La diversità nelle strutture agrarie tra Langobardia e Romània sono state a lungo studiate da V.

Fumagalli, Introduzione del feudalesimo e sviluppo dell’economia curtense nell’Italia settentrionale, in Structures Féodales et Féodalisme dans l’Occident Méditerranéen (X-XIII siècles), Roma 1980, pp. 313- 323 e A. Castagnetti, L’organizzazione.

nell’antico territorio esarcale. Nelle carte in esso custodite, la continuità di questo vocabolario d’origine romano può essere notata soprattutto in quelle zone situate a est di Bologna nel X secolo, dove la chiesa ravennate continuò a strutturare i propri possedimenti fondiari fondamentalmente in massae829, come nei casi della massa de’ Ronci, documentata nella pianura a est di Bologna ancora nell’ultimo quarto del secolo X830, o di quella di Funi, nei presi di Funo d’Argelato831. Esempi che a est di Bologna continuano oltre, fino all’XII secolo832. Ma è possibile osservarne altri anche a ovest, proprio sugli spazi che a lungo segnarono la frontiera fra Langobardia e Romània. Questo fatto offre la prova della capacità di sopravvivenza di tali struttuture in zone che subirono una forte destrutturazione nella transizione fra tarda antichità e altomedioevo. È il caso di alcune terre donate da Aistolfo al monastero di Nonantola, tanto nella zona di pianura del modenese a nord del cenobio quanto nel Frignano, descritte all’interno della massa Cenoso833 (nella pianura) e delle massa Lizano et Gabba834 nell’area di montagna del distretto frignanese. Il paragone fra i territori più vicini a Ravenna e questi casi appena citati dell’oriente emiliano, non può spingersi più avanti, perché l’unità di