La documentazione mostra una realtà sociale molto variegata fra i coltivatori delle terre di cui si occupa questa tesi, dagli schiavi (praebendarii e mancipia) agli aldi, dai massari (coloni dipendenti) ai libellarii (coltivatori di condizione giuridica libera). In questa sede affronteremo una breve analisi sotto il profilo meramente sociale di questi personaggi, per tornare a parlare diffusamente del loro ruolo economico nell’ultimo capitolo di questa tesi570.
La fine della schiavitù antica come modo di produzione dominante571 nel Occidente europeo non significó la scomparsa della mano d’opera schiava nelle campagne altomedievali. Nell’Italia settentrionale i contratti agrari d’epoca longobarda e carolingia, insieme con gli inventari monastici dei principali cenobi, mostrano l’esistenza di praebendarii, mentre alcuni diplomi regi permettono di conoscere anche altri schiavi, definiti come mancipia572. Entrambi i gruppi non sono se non schiavi domestici, in tutto dipendenti dai loro possessores. Nell’inventario composto sui beni del monastero di Santa Giulia di Brescia relativo alla curtis di Migliarina osserviamo le prime attestazioni a praebendarii nel territorio di cui si occupa questa tesi573. Sono ben ventuno i servi che con questa definizione risiedono sulle terre del dominico della
569 V. Fumagalli, Le modificazioni politico-istituzionali in Italia sotto la dominazione carolingia, in
Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, Spoleto 1981, I, p. 315.
570 In modo particolare i paragrafi 6.4.1., 6.4.2. e 6.4.3.
571 D. Vera, Le forme del lavoro rurale: aspetti della trasformazione dell’Europa romana fra tarda
Antichità e alto Medioevo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda Antichità e alto Medioevo, Spoleto 1998, pp. 293-338, in modo particolare a p. 337.
572 DDUgo, n. I, a. (926), p. 5. 573 Inventari, n. V, pp. 84 e sgg.
curtis. In ogni caso questi appartengono a una schiavitù di tipo nuovo574, che conserva soltanto certe analogie con quella di epoca romana. Già dall’epoca longobarda è possibile rilevare la presenza di questa nuova servitù, rappresentata in questo caso dai numerosi riferimenti a servi e aldi nella documentazione di VIII secolo, cosí come nelle leggi longobarde. L’Editto di Rotari, infatti, mostra molto chiaramente la loro importanza nell’economia agraria longobarda, come lasciano inferire le alte sanzioni pecuniarie imposte a chi recase loro alcun danno575
La documentazione relativa ai duchi di Persiceta rivela, dopo la conquista longobarda del territorio, un vasto patrimonio agrario lavorato fondamentalmente da massarii576 e aldii577. Molti dibattiti sono sorti anche nella definizione di entrambi i gruppi. Azione pur sempre controversa perché l’apparizione di uguali definizioni date a personaggi con situazioni giuridiche ed economiche palesemente diverse, rende difficile cogliere tutte le particolarità esistenti dietro le varie “etichette” che identificano le masse produttive. Basti, in questo senso, ricordare il riferimento a massari riguarda tanto contadini dipendenti che lavorano, non a caso nella parsa massaricia della curtis, su un podere loro ceduto dal possessore, quanto contadini propriamente liberi, dotati di beni di una certa entità578. Nel caso specifico delle nostri fonti, fra VIII e IX secolo, i massari paiono coloni dipendenti accasati su un appezamento terriero dato loro in concessione dal proprietario. Una terra che potevano lavorare con una relativa autonomia, perché il loro rapporto con il possessore si espletava tramite il pagamento di censi e nella corrisponsione di giornate di lavoro coatto, le corvées. Tra gli aldii invece troviamo soltanto mano d’opera semilibera, socialmente e giuridicamente ridotta a una situazione di certa ambiguità, più vicina ai servi prebendarii di quanto non lo fossero ai coloni dipendenti.
Questo quadro venne ad arrichirsi dalla presenza, nelle curtes del nostro territorio, (ne parleremo a lungo nel capitolo VI) di altri coltivatori, fondamentalmente
574 G. Pasquali, L’azienda curtense e l’economia rurale dei secoli VI-XI, in Uomini e campagne nell’
Italia medievale, a cura di A. Cortonesi, G. Pasquali, G. Piccinni Roma-Bari 2002, p. 79.
575 Edictus ceteraeque Langobardorum Leges, in M.G.H., Fontes iuris germanici antiqui in usum
scholarum, ed a cura di F. Blühme, Hannover 1869, nn 130-136, pp. 27-28.
576 … corte susiatecus, massaricios XX… finibus pago Persisita et finibus pago Duliolo et finibus pago
Montebelio et finibus castro Ferroriano et finibus corte Crespeliano, massaricii CCLXXX. CDL, I, (752), p. 294. … curtem nostram Lolustra, omnia in integrum, et casas massaricias ad eamdem curtem pertinentes, AIMAe, vol. II, coll. 199. …curtem unam in […]litulo cum casis massariciis…aliam cortem in tortiliano cum casis, massariciis… CDN, n. XIV, (789) p. 29.
577 …cassa massaricias et aldiaritias, AIMAe, vol. II coll 199, … posita in casale in loco castalione que
vocatur verdeta cum casis massariciis, aldiariciis, terris… aliam cortem in aquario cum casis, massariciis, aldiariciis… CDN, n. XIV, (789) p. 29.
uomini liberi. Nella sua diffusione lungo i decenni della seconda metà del IX secolo nelle campagne dell’Emilia orientale, il sistema curtense si avvalse (tramite il contratto di livello579) di molti di questi liberi homines, i libellarii della nostra documentazione580. Sebbene non tutti i personaggi che siglarono un contratto di livello possono essere socialmente caratterizzati in modo univoco, i contenuti contrattuali di quei atti, particolarmente nel caso dell’obbligo di corrisponsione di corvée sulle terre del dominico e l’obbligo di sottostare a clausole di giustizia dominica, mostrano in modo chiaro il loro progressivo asservimento, che accomunava lo ius libellarium allo ius massaricium, e quindi agli uomini liberi con i massari.
Strategie che spesso comportavano anche violenza, non circoscritta a qualche caso isolato, come dimostra la continua tendenza del potere carolingio a limitare, attraverso la legge, gli abusi perpetrati da parte di certi possessores ai danni di piccoli proprietari liberi e anche di libellarii o di massari, aldi e servi che lavoravano sulle terre dominicali, come dimostra il numeroso gruppo di capitolari volti a contrastare la oppressione pauperum. É questo il caso del Capitolare Papiense di Pipino581, o del Capitolare di Olona emanato da Lotario, dove si fa un continuo riferimento agli eccessi commessi su libellarii e sulle difficoltà vissute da molti liberi, finiti sotto il controllo dei potentes. Un continuo ricorso all’emanazione di questo tipo di leggi, però, é in sé prova evidente dello scarso successo ottenuto da queste misure di protezione. Infatti, al di fuori dei capitularia, nella documentazione privata, si può leggere l’esercizio di questa violenza nei confronti dei piccoli proprietari, esercizio coronato tra l’altro da successo. Uno dei casi più conosciuti, che meglio spiega questo ricorso a metodi violenti, fu la appropriazione compiuta da parte del monastero di Nonantola dei beni comunitari degli abitanti dei fines flexiciani582, dove si diede ragione alle pretese dell’abbazia, anche se i beni erano stati donati alla comunità da parte di re Liutprando583. La violenza esercitata nei confronti di questi uomini raggiunse caratteristiche trascendenti l’aspetto giuridico per assumere caratteristiche concrete nella loro fisicità: tre uomini di Flexum furono picchiati perché non dimenticassero le conseguenze delle proprie azioni contro gli
579 Di cui torneremo a parlare diffusamente nel paragrafo 6.4.3.
580 Nel paragrafo 6.4.3. i riferimenti puntuali a tutta la serie di contratti di livello conservati.
581 Pippini Capitulare Papiense (787-800) in, Capitularia, I, n. 94. Il capitolare di Olona in, Capitularia,
I, n. 165.
582 Placiti, I (a. 836).
interessi dell’abbazia584. La violenza, dunque, apparve presto, inserendosi come una caratteristica in più di questo processo d’acquisizione dei beni fondiari.
Uno dei risultati più significativi di questo processo di livellamento sociale delle masse produttive fu, invece, la riduzione significativa del numero di servi in tutta l’Italia settentrionale compiutasi dalla seconda metà del X secolo, ma soprattutto nella prima metà di quello successivo. Processo che si accompagnò a una progressiva scomparsa della mano d’opera schiavile585. La maggiore diffusione del lavoro contadino in forme e modi vicini al colonato, portó anche alla progressiva scomparsa di ogni riferimento documentario agli aldii che, dall’ultimo quarto del X secolo, non sono più citati, se non molto raramente, nelle carte che riguardano la nostra zona geografica. Cosí le differenze tra servi, massarii e libellarii rimangono fondamentali unicamente (differenza comunque da non sottovalutare) da un punto di vista giuridico e nominale, mentre svolgono una funzione economica del tutto simile formando un gruppo sociale sempre più omogeneo.
584 Wickham, Space and society, p. 548. 585 F. Panero, I servi nell’Italia medievale
C
APITOLOIV
P
ERCORSI SIGNORILI:
LA CRISTALIZZAZIONE DEI GRUPPI DOMINANTI TRAX
EXI
SECOLOLa progressiva scomparsa di personaggi connotati come exercitales, viri devoti, viri honesti, alla quale abbiamo fatto riferimento nel capitolo precedente, fu accompagnata, attorno al primo quarto del X secolo, dalla altrettanto graduale uscita di scena dalle sedute arbitrali rappresentate dai placiti di tutto quell’universo di ufficiali minori che, dopo la morte del conte Rodolfo, compariranno solo molto saltuariamente nel resto della documentazione a nostra disposizione. Contemporaneamente, è possibile osservare la presenza crescente di una serie di uomini ora caratterizzati per essere definiti con il ricorso a termini tipici del vocabolario vassallatico-beneficiario, nelle stesse assise giudiziarie586, nelle carte private587 e nelle fonti narrative588. Se queste formule comparivano in modo sporadico nella documentazione carolingia dell’Emilia orientale589, diventano via via più abituali già dalla fine del IX secolo per segnalare la fidelitas di alcuni uomini nei confronti di determinati personaggi appartenenti ai ceti dominanti nella società del territorio, vescovi e conti, ma anche re e imperatori590. Non a caso la documentazione offre casi come quello di Agino che, nel placito di Quingentas, non veniva definito da titoli ufficiali ma come vasso domni imperatoris, o di quel Thietelm, vassallo di Adalberto II, che ricevette da parte di re Guido omnem rem publicam nei territori di Brento, Montecerere, Barbarolo e Gesso591.
Questo graduale cambiamento nel vocabolario delle fonti è una delle spie più significative delle trasformazioni vissute dalla società dell’epoca, rappresentate fondamentalmente dall’affermazione di nuove logiche di relazione politica e di organizzazione sociale, prima fra tutte l’importanza acquisita progressivamente dai legami vassallitico-beneficiari nel concretizzarsi dei questi rapporti politico-sociali. Un
586 Placiti, I, n. 143 (945), Placiti, I, n. 144 (945), Placiti, II-1, n. 145 (962), Placiti, II-1, n. 146 (962)
Placiti, II-1, n. 159 (968).
587Vicini, n. 51 (955), CDN, n. CII, (1009)
588 Tra cui spicca, data la sua importanza per la storia del nostro territorio Vita Mathildis,
fondamentalmente i passi riferiti a Adelberto-Atto lungo il Libro I dell’opera.
589 Placiti, I, n. 36, (824). E così anche nel caso di Teuderico, vasallo di Autrammo, DDKaroli III, n. 15,
(880), pp. 22-24.
590 Placiti, I n. 106 (luglio 898). 591 DDGL, n. XII, a. 891, pp. 33.
cambiamento di vocabolario che cela a stento i mutamenti subiti anche dalla concezione del potere e dalle forme del suo esercizio. Se fino ai primi anni del X secolo il rapporto politico tra autorità centrale, conti e ufficiali minori si sviluppava attraverso complessi canali d’interazione che coinvolgevano da una parte gli “ufficiali” dell’apparato politico centrale e dall’altra le élites locali che abbiamo identificato nelle pagine precedenti in tutta quella serie di scavini, dativi e notai dotati di un ruolo politico di un certo rilievo, la logica di questa relazione politica e della “creazione” dell’organizzazione territoriale -che per buona parte del territorio dell’Emilia orientale si può ricostruire in modo chiaro attraverso documenti come i placiti di Quingentas592 e Renno593- conobbe cambiamenti importanti, sostanzialmente nell’arco di tempo che separa la scomparsa di Suppone nel ruolo di conte di Modena e la comparsa di Adalberto Atto dotato di tale carica, ovvero l’arco cronologico che va dall’anno 942 (l’ultimo in cui Suppo comes appare nella documentazione) al 964, anno in cui il canusino é già definito dalle fonti come incliti comitis Regiensis sive Motinensis594. Nel frattempo, tanto i meccanismi d’accesso all’esercizio del potere quanto i significati dello stesso potere avevano subito, anch’essi, cambiamenti d’enorme portata.