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conquista liutprandea

L’analisi del mondo rurale durante l’epoca tardoantica e le prime decadi dell’alto medioevo nel territorio di cui si occupa questa tesi, dipende in modo quasi esclusivo dai dati ottenuti nelle diverse campagne di scavo archeologico771. È quindi la cultura materiale e non la scrittura l’elemento a illuminare i caratteri del ambito rurale tra V e la prima metà dell’VIII secolo. Come si diceva poco sopra, infatti, è solo durante gli ultimi anni di questo secolo che le carte conservate nei centri monastici cominciano a fornire informazioni al riguardo. Questo non significa, però, che l’interpretazione della natura dell’insediamento come pure quella delle campagne dell’Emilia orientale sia impossibile. Le numerose ricognizioni archeologiche che sono state portate avanti negli ultimi venti anni -dallo scavo d’accertamento stratigrafico fino all’indagine di superficie- offrono una enorme quantità di dati materiali utili a questo lavoro.

Molti degli studi dedicati a risolvere le difficoltà d’interpretazione di questo problema, soprattutto quelli più lontani nel tempo (scritti una ventina d’anni fa), si ponevano quale obiettivo principale la necessità di individuare una continuità o una discontinuità nell’occupazione dei siti oggetto della loro ricerca, per l’arco di tempo che va del V all’VIII secolo. Da questo genere di interrogativi si ottenevano risultati che in alcune occasioni consistevano nella semplice realizzazione di elenchi dei “luoghi della continuità” da contrapporre agli spazi abbandonati, conclusione definitiva di un’epoca di crisi, o alle nuove fondazioni, conseguenza della nascita di un mondo e di una realtà agraria diversa. Evidentemente altri lavori, soprattutto nella prima metà degli anni novanta, ricollocavano i problemi della continuità/discontinuità al di là di questo antagonismo forzato, perché si sfruttasse piuttosto come una possibilità concreta d’affrontare questo periodo con un rinnovato sguardo772, utile all’interpretazione delle formazioni sociali tardoantiche e altomedievali. Ultimamente, invece, le più importanti

771 Anche se contiamo con i testi di Cassiodoro e di Procopio di Cesarea, questi non ci permettono di

ccogliere le particolarità di un intricata rete d’insediamenti nell’ambito rurale, perché sono fonti legate alle strutture (e perciò alle vicende politiche) dei poteri centrali.

772 C. La Rocca, Le necropoli altomedievali, continuità e discontinuità. Alcune riflessioni, in Il territorio

tra tardoantico e altomedioevo. Metodi di indagine e risultati 3º seminario sul tardoantico e l’altomedieoevo nell’area alpina e padana. Monte Barro – Galbiate (Como) 9-11 settembre 1991, a cura di G.P. Brogiolo e L. Castelleti, Firenze 1992, pp. 21.

sintesi che si sono occupate di questo periodo lasciano in secondo piano queste preoccupazioni, preferendo altri approcci, molto più ricchi e complessi773. Per tutto ciò, anche in questo caso, come già nei capitoli precedenti, si è scelto di non concentrarsi sul problema fine a se stesso della continuità o della discontinuità, ma piuttosto di tentare l’analisi dei significati legati alle evidenze dei sistemi di popolamento tra V e VIII secolo, la cui dinamicità rischierebbe di essere oscurata da una contrapposizione tanto artificiale quanto sterile delle categorie continuità/discontinuità,.

Le campagne nell’Emilia orientale dell’epoca romana erano caratterizzate da un insediamento sparso, debitore dell’opera di colonizzazione e bonifica cominciata in questa zona immediatamente dopo la conquista. Come già segnalato nelle pagine dedicate alla geografia del territorio, questo processo modificò in buona misura l’ambiente naturale esistente nelle aree pedecollinari e dell’alta pianura, permettendo l’insediamento di un nutrito gruppo di contadini liberi che operava su piccole e medie proprietà774 fondiarie775, distribuite in modo molto regolare sullo spazio centuriato776. Un chiaro esempio di questa realtà è offerto dai resti della cava nord di Calderara di Reno, poco a ovest di Bologna. Accanto a queste, altre aziende più estese, le villae, non dovettero invece essere mai molto numerose. Proprietà di possessores residenti nella città poterono, sì, servirsi di mano d’opera schiavile, ma né la quantità né la natura giustifica un’immagine delle campagne emiliane formata da latifondi schiavistici777.

773 Cito come esempio sufficientemente significativo di tutto ciò gli atti degli ultimi tre convegni tenutisi

in Italia riferiti a queste problematiche. Campagne medievali. Strutture materiali, economia e società nell’insediamento rurale dell’Italia settentrionale. VIII-X secolo, Atti del convegno Nonantola, San Giovanni in Persiceto 14-15 marzo 2003, a cura di S. Gelichi, Mantova 2005. Dopo la fine delle ville: Le campagne dal VI al IX secolo. 11º Seminario sul tardo antico e l’alto medioevo, Gavi 8-10 maggio 2004, a cura di G.P. Brogiolo, A. Chavarría Arnau, Marco Valenti, Mantova 2005. “Scavi fortunati” e invisibilità archeologica. La formazione del villaggio altomedievale (VI-X sec.). Parco Archeologico e Tecnologico di Poggio Imperiale –Poggibonsi (Siena), 9-10 dicembre 2004, in corso di stampa ma consultabile in rete sul sito archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/INSEGNAMENTO/nov/nov56.html.

774 Lo scavo è stato pubblicato in Antiche genti della pianura. Tra Reno e Lavino: ricerche archeologiche

a Calderara di Reno, a cura di J. Ortalli, P. Poli, T. Trocchi, Firenze 2000, pp.

775 J. Ortalli, La fine delle ville romane p. 10.

776 Sembra che la distribuzione fosse addirittura di due insediamenti per centuria, cfr. G. Bottazzi,

Programmazione ed organizzazione territoriale nella pianura bolognese in età romana ed alcuni esiti alto-medievali, in Romanità della Pianura, Atti delle Giornate di Studio S. Pietro in Casale, 7-8 aprile 1990, Bologna 1991, pp. 43-112. G. Bottazzi, Centurazione e popolamento nel territorio carpigiano, in Carpi, 1984, pp.155-161.

777 D. Vera, Il sistema agrario tardoantico: un modello, in La storia dell’alto medioevo italiano, pp. 136-

138, e dello stesso autore Le forme del lavoro rurale: aspetti della trasformazione dell’Europa romana fra tarda Antichità e alto Medioevo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda Antichità e alto Medioevo, Spoleto 1998, pp. 293-342. Questi problemi legati alla mano d’opera schiava saranno approfonditi nel paragrafo 6.4.1.

Questo quadro entrò in crisi già dalla fine del II secolo e lungo i decenni del III, l’Emilia, insieme con il resto dell’Italia settentrionale778, soffrì una crisi economica e demografica che si rifletté nella contrazione di molti siti e nell’abbandono di altri: una realtà osservabile, in maggiore o minor misura, in tutti i territori, da Modena779 fino al limite orientale del territorium civitatis di Claterna780, e da cui prende avvio un processo di concentrazione fondiaria da parte dei grandi possessores781. Questo dato trova un riscontro archeologico apparentemente contraddittorio (individuazione di un numero sempre più scarso di villae), che però non va confuso con una crisi dei centri agricoli. Sebbene il loro numero sia inferiore, la sequenza stratigrafica offre dati chiari circa la loro ampiezza e monumentalità, ancora maggiore se paragonata alle villae emiliane dell’epoca del Principato782, prova fisica dell’espansione della grande proprietà.

Le evidenze materiali relative al periodo che va dal III secolo agli inizi del IV continuano su questa scia, anche se a questa altezza offrono un quadro più ambiguo, articolato su un doppio livello. Mentre le terre dell’Italia settentrionale continuano a palesare i segni di uno stagnamento economico (quando non addirittura di franca recessione783) la natura degli insediamenti mostra una certa ripresa784, pure destinata a terminare presto: lungo le decadi centrali del V secolo sarà, infatti, sopraffatta dalla congiuntura negativa che colpisce la vita economica nonché le strutture politiche e sociali dell’Impero; una situazione che nei decenni successivi andrà poi aggravandosi, come dimostra l’esame archeologico. Il secolo IV e la prima metà del V vedono così una flessione nell’occupazione delle campagne, avviatasi contemporaneamente alla crisi dell’impianto urbano delle città e alla progressiva “fuga” di alcuni possessores che

778 E. Lo Cascio, Dinamiche economiche e politiche fiscali fra i Severi e Alessandro, in Storia di Roma,

III/1 L’età tardoantica, p. 255 e sgg.

779 S. Gelichi, S. Malnati, J. Ortalli, L’Emilia centro occidentale tra la tarda età imperiale e l’alto

medioevo, in Società romana e Impero tardoantico. III Le Merci gli insediamenti., a cura di A. Giardina, pp. 552 e sgg. S. Gelichi, Modena e il suo territorio nell’alto medioevo in Modena dalle origini all’anno mille. Studi di Archeologia e storia, I, 1988, pp. S. Gelichi, Territori di confine in età longobarda: L’ager mutinensis, in Città, castelli, campagne, pp. 154.

780 M. Librenti, M. Zanarini, Strutture materiali e forme insediative nel territorio bolognese in età

medievale, in Archeologia e insediamento rurale in Emilia Romagna nel medioevo. Contributi per una ricerca, a cura di S. Gelichi, Bologna 1991, pp. 35 e sgg. C. Negrelli, Il territorio tra Claterna ed Imola: Dati archeologici e valutazioni storiche dalla tarda antichità all’alto medioevo, in San Pietro Prima del Castello, pp. 274 e sgg.

781 Ortalli, La fine delle ville, p. 14, con bibliografia relativa.

782 M. Catarsi Dall’Aglio, Edilizia residenziale tra tardoantico e alto medioevo. L’esempio dell’Emilia

Occidentale, in Edilizia residenziale tra V e VIII secolo, a cura di G.P. Brogiolo, Mantova 1994, pp. 151 e sgg.

783 L. Cracco Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti fra agricoltura e commercio

dal IV al VI secolo, Bari 1995 [1961].

abbandonarono le loro residenze in città trasferendosi nelle loro proprietà in campagna785, rintracciabile nella tenuta e nell’ampliamento di alcune villae come centri di conduzione agricola786. In ogni caso, in questo quadro d’interpretazione generale bisogna tenere ben presente l’incidenza delle variabilità microregionali787. Così, nei dintorni dell’attuale comune di Nonantola, possono rintracciarsi i segni di una ripresa dell’insediamento dalla fine del V788; o nell’ager claternate, si documenta la continuità di buona parte degli insediamenti, con tracce evidenti di nuove occupazioni789.

In generale, l’immagine che caratterizza il paesaggio agrario in quest’epoca è comunque quella della progressiva concentrazione della proprietà. Anche quando sono riscontrabili casi di nuove occupazioni o di fondazioni ex novo (che sono però poche), gli archeologi sottolineano come questi fenomeni siano strettamente legati al processo di espansione dei grandi patrimoni agricoli790. Lungo la seconda metà del V e la prima

del VI secolo, i dati offerti dall’esame archeologico appaiono ancora più chiari: l’accelerazione del processo porta ad assetti insediativi progressivamente scollegati dalla maglia di siti creata nei decenni precedenti. Prove materiali di questo fenomeno sono riscontrabili tramite i “pozzi deposito”, ovvero cavità usate per immagazzinare una grande quantità di utensili agricoli e da tavola791, rinvenuti tra i territoria di Mutina e Bononia. La cura con la quale furono sotterrati fa pensare alla volontà delle persone che lo fecero di recuperarli presto; che ciò non fu mai fatto è prova dell’abbandono di buona parte dei centri in cui i contadini abitavano, mostrando al contempo la definitiva rottura delle logiche del popolamento rurale antico in un momento indeterminato ipotizzabile tra VI e VII secolo792. Dati che in quest’occasione sono pressoché identici in altri spazi microregionali del nostro territorio793 e che segnano anche la tappa finale

785 L. Cracco Ruggini, La città imperiale, in Storia di Roma, IV, Caratteri e morfologie, a cura di E.

Gabba, A. Schiavone, Torino 1989, pp. 230 e sgg.

786 J. Ortalli, La fine delle ville romane, p. 14-15.

787 S. Gelichi, M. Librenti, C. Negrelli, La transizione dall’antichità al medioevo nel territorio dell’antica

Regio VIII, p. 60.

788 S. Gelichi, M. Librenti, Alle origini di una grande proprietà monastica: il territorio nonantolano tra

antichità e altomedioevo, in La norma e la memoria. Studi per A. Vasina, a cura di T. Lazzari, L. Mascanzoni, R. Rinaldi. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Nuovi Studi Storici, 67, Roma 2004, pp. 25-41, particolarmente a p. 35

789 C. Negrelli, Il territorio tra Claterna ed Imola, p. 287 e sgg.

790 S. Gelichi, M. Librenti, C. Negrelli, La transizione dall’antichità al medioevo nel territorio dell’antica

Regio VIII, p. 63.

791 Il tesoro nel pozzo, pp. 124 e sgg.

792 N. Giordani e D. Labate, L’insediamento rurale in Emilia Centrale, in Il tesoro nel pozzo, pp. 133-

167.

793 J. Ortalli, Il territorio bolognese. Assetto insediativo e fondiario della campagna emiliana tra prima e

tarda romanità, in Il tesoro nel pozzo, p. 20. S. Gelichi, M. Librenti, C. Negrelli, La transizione dall’antichità al medioevo nel territorio dell’antica Regio VIII, p. 68 e sgg.

dell’operatività delle poche (ma significative da un punto di vista fondiario) villae identificate in questa zona794.

I fenomeni d’abbandono dovettero risultare drammatici per gli abitanti dello spazio rurale, ma non devono intendersi come la prova inconfutabile di uno spopolamento delle campagne dell’oriente emiliano, dovuto piuttosto al persistere del contesto di guerra e all’insicurezza che contraddistinse l’Italia tra il VI secolo e la seconda metà dell’VIII secolo. Le difficoltà legate a questo momento di forte crisi politica ed economica poterono causare una flessione demografica, ma –come la difficile situazione di certe regioni odierne ci dimostra- risulta difficile attribuire alla guerra (anche quando fosse un fenomeno endemico) la responsabilità di convertire in un deserto zone fortemente popolate. La rottura della rete degli insediamenti tardoantichi, dunque, s’interpreta meglio nell’ottica della nascita di nuove logiche di organizzazione del territorio e non con il lanciarsi nelle mani dei vari deus ex machina. Questa “scomparsa” della popolazione di ampi spazi va interpretata nel nostro territorio attraverso meccanismi d’accentramento, di concentrazione di quei gruppi sociali in una serie di centri il cui ruolo politico, amministrativo e sociale trasformerà anche i sistemi di gerarchizzazione territoriale degli insediamenti nei primi decenni dell’altomedioevo. Un processo che deve quindi essere messo in stretta relazione con la nascita di quei distretti castrali ai quali si è dedicato il primo capitolo di questo lavoro che, non a caso, sembrano sorgere in un momento sincronico alla rottura della rete d’insediamento tardoantica, datata dall’archeologia (anche se con qualche problema dovuto alle tipologie della cultura materiale) tra VI e VII secolo795.