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Il caso della famiglia da Sala é uno degli esempi che, nelle terre del persicetano, meglio mostrano la tendenza di alcune famiglie al radicamento fondiario e all’esercizio di prerogative signorili sui propri allodi, cosí come la tendenza all’integrazione e all’arricchimento del proprio patrimonio familiare con la progressiva entrata nelle reti vassallatiche dei grandi possessores del territorio, fondamentalmente attraverso la firma di contratti di precaria e Grösslibelle sulle terre di questi ultimi. Conosciuti con il nome da Sala dalla definizione che, per primo, gli attribuì Girolamo Tiraboschi656, i membri della famiglia compaiono in una serie di documenti lungo un un periodo di tempo che va dall’anno 987 al 1071657, coinvolgendo ben quattro generazioni della famiglia658. Purtroppo la nostra conoscenza si ferma alla sola linea di discendenza maschile: la frammentarietà del dossier documentario non ci offre dati con la ricchezza che sarebbe auspicabile, perché sebbene la linea di paterna sia nota (si veda graffico), tuttavia, non conosciamo né le unioni matrimoniali che distinsero la loro azione sociale ed economica né le strategie patrimoniali e politiche che tali unioni perseguivano.

Officia --- Giso (defunctus ante 1014) I I Albericus (defunctus ante 1038) I I Tegrimus (defunctus ante 1071) I I Albertus

(detto Azzo defunctus 1089)

656 CDN, p. 143, nota 2. La più recente indagine sulla famiglia, sebbene in epoca bassomedievale in A.

Tugnoli Aprile, Il patrimonio e il lignaggio. Attività finanziarie, impegno politico e memoria familiare di un nobile bolognese alla fine del XV secolo. Bologna 1996. Le pagine 17-21 sono dedicate a una rapida rassegna della storia della famiglia dalla fine del X alla fine dell’XI secolo.

657 Drei, n. LXXIV (987); Drei, n. LXXVII (989); CDN, n. CVIII (1014); CDN, n. CXXI (1026); CDN,

CXLIII (1038); Drei II, n. CXI, (1062), CDN, n. CLXXXIV (1071); CDN, n. CCXXXV (1071).

658 Conosciamo anche altre testimonianze che fanno riferimento ai membri della famiglia che vanno però

Grafico 2. Schema genealogico della famiglia da Sala (987-1089)659

Due sono i documenti della fine del X secolo che presentano i capostipiti della famiglia: i coniugi Officia e Giso. Nell’anno 987, Officia filia quondam Gausfredi de comitatu Parmense, con il consenso di suo marito Gisoni filius quondam Adami de comitatu Motinensis660, vendette per cento lire di argento al vescovo di Parma Sigefredo II (cugino di Tedaldo di Canossa661) corte una que esse videtur in comitatu Motinensis in fundo loco ubi dicitur Sala cum castro et capella in eodem loco constructum nonché la metà di aliis omnibus casis et rebus quibus sunt positis in dicti loci que dicitur Matulini sed vise Vico Frascario, Luciliani, Generizulo, Argene ubi dicitur corte de Rimpaldo, Runcalie hubi dicitur Pulicino cum suarum pertinentibus, terre, vigne e paludi localizzabili, fondamentalmente, nell’antico distretto persicetano (non a caso l’atto fu firmato a Perxexito). Beni che il vescovo diede subito in precaria alla coppia. Due anni più tardi, nel 989, Gisoni de Sala, questa volta da solo, vendette sette massaricie di sua proprietà poste in fundis locis que dicitur Pinaria prope castro Sala et in Braida seo in Prado atque in Galega et in Nalturi eciam in Campo Veclo662. Non sappiamo, invece, se la chiesa parmense gli riconcesse le massariciae appena vendute in livello o in precaria. Quello che appare chiaro, invece, è l’importanza del patrimonio familiare che compare fin da subito ben radicato in un’area geografica circoscritta, composto da curtes, massariciae e fundi, e soprattutto dalla proprietà di un castro, quello di Sala (presso l’odierna Sala Bolognese). Questa netta concentrazione geografica dei beni dovette garantire loro un’importante capacità di esercizio della signoria sui coltivatori delle loro terre (laboratoris, vengono chiamati nella carta dell’anno 987) cosí come un certo ascendente sociale ed economico su altri piccoli proprietari della zona.

L’alienazione di una parte di questi beni, oltre ad aumentare la disponibilità di denaro da parte della famiglia in un momento di crescita economica663, dovette servire anche per allacciare stretti rapporti vassallatici con la chiesa parmense, perché in qualità di detentori di un contratto di precaria potevano sfruttare le terre una volta allodiali della

659

In questo quadro si è tenuto conto soltanto dei discendenti diretti di Officia e Giso, segnalando soltanto il primogenito di ogni generazione. La frammentarietà della documentazione non permette conoscere né il nome né, tanto meno, l’origine delle moglie di ognuno dei discendenti.

660 Drei, n. LXXIV (10/05/987)

661Figlio di un fratello di Adelberto-Atto di Canossa, cfr. V. Fumagalli, Le origini di una grande dinastia

feudale, p. 22.

662 Drei, n. LXXVII (19/06/989)

famiglia e che adesso sono proprietà, grazie alla loro donazione, della chiesa di Parma, entrando cosí nella rete di uno degli istituti ecclesiastici più importanti dell’Emilia, proprietaria di un ampio patrimonio nella nostra area geografica, che includeva beni vicino a Modena, come le curtes di Sablone e Marzaglia664 (una volta di pertinenza comitale), beni posti nel Frignano665 e beni a ridosso del persicetano come la curtes di Vilzacara666. Il fatto che Gissa sia detta, significativamente, de comitatu parmense potrebbe indicare una parentela che spinse la coppia ad allacciare rapporti con la chiesa parmense. Un’ipotesi che al momento non possiamo confermare.

Mappa VI. Possessi della famiglia da Sala (1040 c.).

In giallo: proprietà allodiali. In rosso: Terre detenute in affitto.

Questo processo di donazione o vendita delle terre allodiali di una famiglia, seguita dalla firma di precarie per riaverle in affitto è un processo che si può seguire in molti altri esempi dell’area geografica al centro di tale lavoro. È questo, infatti, il

664 L’acquisto delle curtes da parte della canonica parmense in Placiti, I, n. 142 (944). 665 Ibidem (944).

666 Donato alla canonica di Parma da Lotario III, Diplomi di Ugo, Lotario, Berengario e Adalberto,

Lotario n. IX (14/06/948) = CDN, n. LXXXVI, passata poi alle dipendenze dell’abbazia di Nonantola nell’anno 1034.

momento nel quale enfiteusi, livelli e precarie con non coltivatori diventarono i mezzi adoperati dalla contrattualistica agraria dell’Emilia orientale per sancire nuove relazioni economiche e politiche (ne parleremo diffusamente nel paragrafo 6.3.2.2.). Cosí, se tramite la vendita di queste terre e della metà del castello di famiglia i da Sala avevano perso, strictu sensu, potere patrimoniale, tuttavia, non persero la loro capacità di radicamento e di azione su quelle stesse terre che, geograficamente, rimanevano sempre circoscritte attorno a San Giovanni in Persiceto e Sala Bolognese (vd. Mappa VII). Come detentori di precarie restavano, infatti, radicati nei luoghi che nell’antico distretto persicetano erano stati di loro proprietà, ampliando in modo importante le zone sulle quali esercitare la loro azione signorile, benché adesso quegli stessi beni non possano essere considerati più come loro allodi. In questo momento, il possesso di terra tramite affitto era diventato, sia per i ceti eminenti sia per i medi allodieri come la famiglia dei Sala, importante quanto il possesso di allodi veri e propri667.

L’accesso allo sfruttamento di un maggior numero di terre attraverso la loro detenzione in affitto (particolarmente precarie) fu un processo che, come dimostrano altri esempi, dovette rafforzare ancora nell’XI secolo il ruolo della famiglia nell’antico distretto persicetano. Mentre alla fine del X secolo i da Sala apparivano vincolati soltanto alla chiesa di Parma, Alberico, figlio di Giso, siglò nell’anno 1014668 una

precaria anche con il monastero di Nonantola. Grazie a questa passava a controllare un importante numero di beni di pertinenza abbaziale (situati anch’essi nel persicetano669 e nelle terre poste attorno a Nonantola, come Albareto e Ravarino; vd. Mappa), che venne accresciuto nell’anno 1026 tramite l’investitura di vari personaggi tra cui si trovava Tegrimo da Sala670, figlio di Alberico da parte di Nonantola della corte e castello di Santa Agata Bolognese, insieme con altri beni prope Montebelio. La natura beneficiaria

667 Su questo particolare si vedano le considerazione fatte nel paragrafo 6.3.2.2.

668 CDN, n. CVIII, (1014). Sulle lacune dell’edizione di Tiraboschi, cfr. il commento che su questa carta a

fatto M. Parente nel contesto della mostra nonantolana in cui questa carta venne sposta al pubblico, Nonantola nei secoli XI-XII. Rinascita e primato culturale del monastero dopo le distruzioni, a cura di M. Parente e L. Piccinini, Carpi 2003, pp. 54-55.

669 … cortecellam unam positam in Baolanitico cum quibusdam alias masaricias ibidem posita, seu et in

casale butari, quod vocatur genericulo, et in Rastellino, seu et quasdam massaricies in pago Perseceta, et in loco dicto quinta…nec non et concedo tibi quasdam terras in Blancanise et in riolo et in Pontelongo Dove c’é un castum, et in Albareto et in loco Ravarino…et concedo tibi precaaria de quibusdam rebus quindam Gifredi de nonantula, que sun in ipso castro Nonantula et i Caniversa et in Sancto Martino et ubi dicitur da Fossato et in Gaxata, et in Bagezano et in zunchareza et in panario vel per alias locas infra corte nonantule… nec non concedo tibi ham dicto Albrico cortem una cum castellare uno quod vocatur Sancta Agatha cum omnibus pertinencis cum omnibus pertinenciis…et est inter Argene et Cento, et sunt predicte res in Baolanitico et in Genericulo seu et in Pago Perseceta, et in quinta juges centum decem et septem, que quodam fuerunt dictas Ursono duco, que vero sunt in crote rastilino iuges quatuordecim, e in loco riolo iuges quatuor, in predicto ponte longo et in blancanise juges sex… CDN, n. CVIII, (1014).

che caratterizza questo atto permette alcune considerazioni sui beni posti, verso la metà dell’XI secolo, sotto l’influenza della famiglia Sala perché, sebbene nel loro insieme costituiscono le zone d’azione signorile del gruppo, tuttavia, possono essere divisi in tre tipologie diverse a seconda della natura “patrimoniale” di ogni singolo appezzamento posto sotto il loro controllo. La prima rappresentata da vere e proprie terre allodiali che, dopo la vendita alla canonica di Parma della metà del castello di Sala e della sua capella, dovevano consistere nell’altra metà del castello insieme con varie massareciae e fundi osservabili ancora nel 1038, quando Tegrimo (nipote di Officia e Giso), donó all’abbazia di Nonantola ventiquattro iugeri di terra situtati fra Rastellino e Ponte Longo (presso l’odierna Sant’Agata Bolognese)671, dove si localizzava un altro castrum672. Evidentemente non conosciamo altre terre di loro proprietà al di fuori di quelle incluse negli atti conservati presso gli archivi di Parma e Nonantola, perché la documentazione, nella sua discontinuità, ci restituisce soltanto l’immagine di quei beni venduti o donati a entrambi gli istituti religiosi prima citati, ma ipotizzare l’esistenza di altri è possibile, perché non pare probabile che, nella donazione concessa da Tegrimo in favore di Nonantola, questi alienasse tutte le proprietà della famiglia.

La seconda tipologia è data dai beni in affitto, quelle terre concesse in precaria da parte della chiesa di Parma e, soprattutto, dei beni dell’abbazia di Nonantola, che cedette in affitto alla famiglia ben 133 iugeri di terre arabali e vigne673. E, infine, terre ricevute in beneficio, come nel caso della curte que dicitur Sancte Agathe, et castellare et ecclesia ibidem constructa fuit674 con la quale l’abbazia nonantolana investí, insieme con altri personaggi, Tegrimo da Sala. Un beneficio, si badi bene, di natura soltanto economica, non feudale, disposto con il proposito di pagare la fedeltà vassallatica della

671 Tegrimus fece donazione in favore dell’abbazia di Nonantola di … terras arabiles et vineatas atque

prativas, seu terras, casas, hedificiaque et pascua super se habentes juris mei cujus supra tegrimi reiacentes in loco qui dicitur Rastelini et in riolo, atque in ponte longo, seu in blancanise… laborate seu detente et operate per vitalem et suos frates, qui cognominantur domini Ursi, et per Martinum qui dicitur de Gajolo atque suun fratrem et sunt ipse res cum casis, hedificiis, terris arabilibus et vineatis, atque prativis in nominato loco rastellini … jugera quattuordecim… Namque ipse res que rejacere videntur in prefato loco riolo et sun recte et laborate seu detente per[…] ulsum de eodem loco et sum ipse res cum casis et hedificiis, terris arabilibus et vineatis super tote insimul in prefato loco riolo ad dictam mensuram justam iugera quattuor…Atque ipse res que esse videntur in predicto loco pontelungo et blancanise, sicuti sunt recte et laborate seu detente per homines qui dicuntur blancani de nominato loco ponte longo et sunt ipse res cum casis et hedificiis terris arabilibus et vineatis atque pascuis super tote insimul in eisdem locis ponte longo et blancanise per prefatam mensuram iusta iugera sex… CDN, n. CXLIII (1038).

672 Fondato nel X secolo è documentato come sede di redazione di un atto di vendita dell’anno 993, CDN,

CIII (993).

673 CDN, n. CVIII (1014). 674 CDN, n. CLXXXV, (1071).

famiglia nei confronti del monastero675. Una fidelitas che si era venuta costruendo dagli inizi del secolo attraverso quella serie di precarie e donazioni che legavano i da Sala con l’abbazia di Nonantola.

Sono dunque tre i tipi di possesso (allodiale, affituario e beneficiario) che distinguono, attorno al quarto decennio dell’XI secolo, la ricchezza fondiaria nei luoghi in cui i da Sala esercitano la loro piccola signoria. L’abile ed efficiente uso di ognuno di essi e soprattutto la coerenza e contiguità geografica degli spazi dove si localizzavano questi (che gli permettevano di controllarli in modo più diretto ed efficiente che se fossero stati dispersi in tutto il regnum o in più comitati) gli permise di apparire come una della famiglie più importanti del territorio posto tra Bologna e Modena, al punto che negli anni della lotta per le investiture il castello di Santa Agata, da loro controllato grazie al rapporto vassallatico con Nonantola, divenne una roccaforte del partito imperiale676. La loro sconfitta a opera delle truppe di Matilde di Canossa fece cambiare partito alla famiglia che entrò a far parte della vassallità canossana677. Sarà la stessa Matilde che, nella donazione della curtis de Vilzacara alla chiesa di San Cesario, ne definisce i membri viros nobiles qui mihi multum servierunt in discordia Henrici quarti678 (dimenticando le loro precedenti velleità imperiali) mentre indicava, poco oltre, come in quella stessa corte i da Sala detenessero alcuni mansi per sua concessione679.

La morte di Matilde di Canossa e lo sfaldamento del suo “stato”680, che segnò il trionfo delle città padane, significò per i nostri una battutta d’arresto nella loro ascesa sociale e nella loro capacità d’azione politica nel territorio, che la fidelitas nei confronti di una casata “principesca”681 poteva garantire loro, come successe nel caso di altre

675 La considerazione sulla natura non feudale di questi investiture di benefici in G. Sergi, I Canossa:

poteri delegati, feudali e signorili, in G. Sergi, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali. Torino 1995, p. 231.

676A. Tugnoli Aprile, Il patrimonio e il lignaggio, p. 20.

677G. Fasoli, Nota sulla feudalità canossiana, in Studi Matildici. Atti e memorie del convegno di Studi

Matildici. Modena 1964, p. 75, e E. Nasali Rocca, Note sulla feudalità canossana, in Studi Matildici. Atti e memorie del II convegno di Studi Matildici. Modena 1971, p. 87.

678CDPol, n. 82 (08/05/1112), p. 259. 679

…habebant mansos novem in eadem cute (sic), CDPol, n. 82 (08/05/1112), p. 259.

680 Riprendiamo la definizione offerta da V. Fumagalli, I Canossa tra realtà regionale e ambizioni

europee, in Studi Matildici. Atti e memorie del III Convegno di Studi Matildici, Modena 1978, pp. 27-37.

681 Fondamentale nella definizione dei Canossa come principes l’opera di Donizone, Vita Mathildis, chi

dá tale epiteto a vari membri della casata. Sul linguaggio di Donizone cfr. V. Fumagalli, I Canossa tra realtà regionale e ambizioni europee, pp. 27-37.M. Nobili, L’ideologia politica in Donizone, in Studi Matildici. Atti e memorie del III convegno, Modena 1978, pp. 263-279. Sulle valenze regali della figura di Matilde di Canossa, T. Lazzari, Miniature e versi: mimesi della regalità in Donizone, in Forme di potere

famiglie quali, per esempio, i da Palude. Da allora, rimasero radicati fondamentalmente nella zona di Sala, dove avevano il patronato della pieve682. Un radicamento fortemente caratterizzato dal rapporto vassallatico con il monastero di Nonantola. Non a caso i da Sala compaiono, dopo il 1115, soltanto nelle carte di quest’abbazia, fatto che indica la forza dei vincoli che li univano al cenobio con cui la famiglia, già dagli inizi del secolo XI, sembra aver allacciato i legami più saldi di tutta quella intricata rete di fedeltà che caratterizza i loro rapporti politici, sociali ed economici con conti, chiese e monasteri tra X e XI secolo. A partire dal secolo XII cominciarono a cedere molti dei loro beni in favore di monasteri bolognesi come Santa Maria di Reno e San Salvatore683 Inurbati nella città felsinea dagli inizi del secolo successivo, un’accurata politica matrimoniale condotta fra Trecento e Quattrocento permise loro di stabilire stretti rapporti con gli esponenti dei vertici della società cittadina bolognese come i Gozzadini o i Pepoli684,

ma quella è un’altra storia.

nel pieno medioevo (secc. VIII-XII). Dinamiche e rappresentazioni, a cura di G. Isabella, “Dpm. Quaderni”, n. 6 (2006), pp. 57-91.

682Pieve nella quale fu sepolto nel 1089 lo stesso Alberto da Sala. Tugnoli Aprile, Il patrimonio e il

lignaggio, p. 19.

683Ibidem, p. 21.

TERZA PARTE

L’ECONOMIA

CAPITOLO V

I

CAMBIAMENTI DELL

ECONOMIA DALL

ANNO

500

ALL

ANNO

1000.

Le condizioni politiche e sociali della tarda antichità comportarono la continuità nell’alto medioevo di certi caratteri indissolubilmente legati a cambiamenti strutturali di grande portata, osservabili nella nascita di una nuova organizzazione territoriale o nella apparizione di nuovi attori ai vertici della società in continua relazione con i diversi poteri nati dopo la disgregazione delle strutture politiche romane. La struttura economica, influenzata dalla congiuntura politica e dalla dinamicità di questi rapporti sociali, non è (non può essere) estranea a questo trend, perché rispecchia in sé in modo molto chiaro questo doppio fenomeno di cambiamento e continuità. È per questo che, lungo le pagine dei primi capitoli di questa tesi, si è più volte ribadita la necessità di non porre a base dell’interpretazione di questo periodo di transizione l’opposizione meccanica continuità/discontinuità come quesito teorico. Deve essere il concetto stesso di transizione a essere al centro della nostra analisi: se lo studio della struttura sociale e dei rapporti politici stabiliti tra ognuno dei suoi segmenti ci ha permesso l’osservazione, tra VI e VIII secolo, di cambiamenti strutturali di grande importanza è perché, tra la disorganizzazione dell’impero romano e l’inserimento del nostro territorio nell’impalcatura politica del regnum, esistette un periodo intermedio, un periodo di transizione.

Sotto il profilo della struttura economica, e da un punto di vista prettamente teorico, i periodi di transizione si considerano come momenti storici nei quali convivono vari modi di produzione, senza che nessuno di essi riesca a imporsi del tutto su una formazione sociale concreta, momenti che hanno importanti conseguenze tanto sulla realtà macroeconomica quanto sulle vicende economiche locali e che non possono ritenersi conclusi fino all’imporsi di uno di questi modi. Questa capacità di ogni sistema sociale di far coesistere al suo interno altri modi di produzione685, la pluristrutturalità

che lo definisce, che diventa in periodi di transizione una pluristrutturalità competitiva, permette di studiare in modo più accurato società segmentarie come quella

685 C. Wickham, The Other Transition: From the Ancient World to Feudalism, in Past and Present, 103

documentata, dopo la sua disorganizzazione, nei territori del mondo romano. In questo caso la segmentarietà si spiega, appunto, su due fronti: da una parte, la convivenza competitiva di vari modi di produzione all’interno di un'unica formazione sociale senza che nessuno di essi raggiunga un chiaro dominio sugli altri686; dall’altra, l’ampia autonomia che contraddistingue ognuno degli attori politici e sociali (i vari segmenti) che la compongono.