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1.4 Appunti per un profilo della storia della scultura a Genova nel Quattrocento (1440-1520)

1.4.5 Ancora lombardi: Giovanni, Antonio e Pace di Beltrame Gagin

Un secondo gruppo di artefici, la cui attività fiorisce a partire dagli anni Settanta del secolo sino ai primissimi decenni del Cinquecento, ritrovano in Bissone la borgata di provenienza. Si tratta dei fratelli Giovanni, Antonio e Pace Gagini, il cui rapporto di parentela è reso esplicito da un documento del 1504, in cui Giovanni, in una dettagliatissima procura stilata dal notaio Oberto Foglietta, sistema una serie di debiti e concessioni, citando tutti i membri della propria famiglia491.

Giovanni di Beltrame Gagini da Bissone

La carriera di questo artefice è stata spesso sovrapposta a quella di Giovanni da Bissone, per cui di recente si è proposta la separazione critica, permettendo al Gagini di rivendicare la propria identità, sebbene il suo catalogo di opere sia inconsistente, essendo andati distrutti e dispersi tutti i monumenti da lui eseguiti e tramandati nella memoria collettiva solo dalle carte492.

L’attività dello scultore è nota a partire dagli anni Ottanta del secolo quando alcune testimonianze lo rivelano testimone di altri magistri493 e responsabile dell’affidamento di un

giovane apprendista presso la bottega di un tal Pietro di Vico di Ruggia494. Si tratta di mansioni

tipicamente afferenti la realtà corporativa, che denunciano la già raggiunta matura età del nostro artefice, costretto nel 1486 a prestare servizio per una giornata di lavoro presso la fabbrica del Molo dietro ordine dei i Padri del Comune, al pari degli altri magistri attivi in città495.

491 ASG, Notai antichi, 1158, n. 215, 8 novembre 1504; trascritto in maniera parziale in CERVETTO 1903,

pp. 255-256, doc. XVIII.

492 Per la dettagliata separazione documentaria e biografica di Giovanni Gagini e Giovanni da Bissone e

la corretta assegnazione delle rispettive opere, si veda la disamina condotta al paragrafo 2.1.

493 ASG, Notai antichi, 1028, n. 572 (17 giugno 1482), cfr. ZURLA 2015 p. 359.

494 ASG, Notai antichi, 1028B, n. 908 (12 ottobre 1484) cfr. ZURLA 2015 p. 359. un altro contratto di

apprendistato, datato all’8 luglio 1488 lo vede protagonista in veste di maestro, mentre accetta come apprendista Antonio Solari da Carona per sette anni (ASG, Notai antichi, 1030, n. 539; cfr. ZURLA 2015 p.

359). Un altro caronese, Francesco di Gaspare Aprile, entrerà a bottega dal maestro nel 1491, sempre per uno stesso periodo di 7 anni (4 giugno, ASG, Notai antichi, 1032, n. 346, cfr. ZURLA 2015, p. 359).

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Nel 1488 Giovanni riceve il primo rilevante incarico noto, che ne qualifica le doti scultoree e l’apprezzamento da parte della committenza. Ci si riferisce alla commissione affidatagli da Leonardo de Fornari per l’arredo scultoreo della cappella di suo patronato eretta nella chiesa di Santa Maria delle Vigne496. Secondo il contratto, la cappella doveva presentare una fronte

analoga a quella della cappella di Sant’Anna, di patronato di Ottaviano Vivaldi, presente nello stesso edificio, recante una struttura con due colonne ed un arco, arricchita dalle figure della Vergine Annunziata, dell’Angelo e di Dio Padre e da altri decori marmorei, evidentemente su modello della cappella Fieschi eseguita in cattedrale da Giovanni da Bissone. La cappella, di cui il presule aveva ottenuto il patronato nel 1487, era dedicata a San Leonardo e doveva probabilmente accogliere il sepolcro del De Fornari, commissionato a Matteo di Jacopo da Bissone il 15 maggio 1492 e oggi perduto497, come ricorda l’iscrizione trascritta da Domenico

Piaggio498. In questo modo la cappella avrebbe ricalcato anche nella funzione l’aspetto del sacello

voluto da Giorgio Fieschi, anch’egli in passato titolare del vescovado di Mariana499. L’esecuzione

dei lavori dovette incontrare alcuni intoppi, forse per la concomitanza di altre commesse in cui Giovanni era coinvolto e di cui non ci è pervenuta memoria, se nel gennaio dell’anno successivo il Gagini decide di affidare a Jacobus Marocus500, originario del lago di Lugano e suo socio per

l’occasione, il completamento dei lavori, ricorrendo a pratiche comuni nel mondo corporativo genovese501. Nello stesso periodo, d’altronde, il vescovo de Fornari gli aveva affidato anche

l’esecuzione di una cappella per la chiesa di Nostra Signora della Consolazione che gli viene retribuita insieme al saldo corrisposto per il sacello delle Vigne l’11 marzo 1491502.

Il successivo impegno scultoreo risale al 26 gennaio del 1495. Giovanni Gagini vi si impegna a realizzare per Stefano Avondo e Genesio Macia una cancellata marmorea con per la chiesa di Nostra Signora di Caprafico, a Nervi, seguendo il disegno fornito dai committenti503.

Le attività da magister antelami di Giovanni Gagini non si esauriscono nella realizzazione di

496 Datato al 17 settembre 1488 ed edito in ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 175-176 nota 2; CERVETTO

1903, pp. 254-255, doc. XVI.

497 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 180 nota 1; CERVETTO 1903, p. 277, doc. XLVII. Inoltre vedi

supra.

498 Cfr. PIAGGIO, Epitaphia ms., II, c. 92r.

499 Al De Fornari vanno ascritte altre due cappelle fatte erigere allo scadere del secolo in altri contesti

religiosi cittadini: una in cattedrale, titolata alla Vergine e ricordata dall’elenco di cappellanie del 1492 (ACSLG, 277, c. 21v, edita in ZURLA 2015, pp. doc. 11) e una in san Francesco di Castelletto, dedicata al santo titolare,

ricordata da un’antica epigrafe (PIAGGIO, Epitaphia ms, III, c. 226r.).

500 Jacobus Marocus de lacu Lugani è probabilmente lo stesso artefice originario di Maroggia che nel 1511

appare nella documentazione relativa ai lavori per la cappella di Santa Maria delle Rose nella chiesa di Castello redatta da Romerio da Campione. Per questo documento cfr. supra. Originario dello stesso luogo sarà Giovanni Donato da Maroggia, attivo nello stesso cantiere di Santa Maria delle Vigne insieme a Leonardo Riccomanni, cfr. paragrafo 1.4.4.

501 Il documento data al 31 gennaio 2018, cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 177-178 nota 1. 502 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 180 nota 1; CERVETTO 1903, p. 255, doc. XVII.

503 ASG, Notai antichi, 915bis, n. 16; citato in ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 181 e in CERVETTO 1903,

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manufatti scultorei e nell’assunzione degli oneri corporativi, come la partecipazione all’elezioni dei consoli504, la gestione degli affari interni alla corporazione505 e l’assolvimento delle richieste

comunali: grande attenzione è data, come per i fratelli e il suo omonimo conterraneo, al mercato del marmo, attività imprenditoriale per cui la documentazione è assai generosa di testimonianze documentali, concentrate tra il 1498 e il 1499. In rapporto con carraresi commercia grandi quantitativi di marmi e colonne506, che probabilmente rivende con facilità sul mercato locale,

non solo per fini ornamentali, ma anche commerciali. Le centocinque colonne consegnate a Bernardo di Benedetto Lomellini507 ad esempio, realizzate in diverse dimensioni, sembrano una

partita con cui zavorrare una nave pronta allo smercio piuttosto che una consegna di messa in opera508. Da questo momento in poi il mercato dei prodotti marmorei si configura come una

delle attività maggiori dello scultore509, forse interessato a procurarsi cospicui guadagni per

rientrare presso la terra natia: la stessa procura del 1504 sembra l’ultimo atto di un uomo interessato a lasciare la città sistemando tutti i propri affari. L’ultimo documento genovese inerente Giovanni Gagini lo vede ammonito dai Padri del Comune, che con un decreto rivolto a tutta la comunità corporativa ordinava la rimozione delle pietre in eccesso dai ponti, nei pressi del molo e in altri luoghi pubblici510.

L’artefice, dopo una vita condotta nella città costiera, era dunque pronto per tornare, arricchito, presso le terre natie, dove si stabilì dal 1507 per condurre gli ultimi anni di vita con

504 È presente in un elenco di magistri riunitasi per eleggere i rappresentanti dell’arte nel 1499 (ASG, Notai

antichi, 1038, n. 580, 18 dicembre 1499; edito in DECRI 1996, p. 421).

505 Diversi documenti lo vedono immischiato in faccende economiche, quale fideiussore, nel caso ad esempio

in cui garantì per il fratello Pace circa l’affitto di una bottega (ASG, Notai antichi, 1037, n. 400; 23 luglio 1498; cfr. ZURLA 2015, p. 360) o nominatore di procuratori per risolvere questioni e riscuotere debiti (ASG, Notai antichi, 1038, n. 527, 26 novembre 1499; cfr. ZURLA 2015, p. 360).

506 Il 15 gennaio 1498 e il 7 febbraio 1498 Giovanni prende accordi per la consegna di marmi e colonne

da parte di Francesco di Pellegrino da Carrara detto Pelliccia e Giuliano di Nicola da Carrara detto della Fiora (ASG, Notai antichi, 1037, n. 50; ASG, Notai antichi, 1037, n. 62, cfr. ZURLA 2015, p. 360). Il 29 aprile del 1499

invece è Matteo da Bissone a vendere al collega alcuni marmi carraresi di varie dimensioni e forme (ASG, Notai antichi, 1038, n. 235; cfr. ZURLA 2015, p. 360).

507 ASG, Notai antichi, 1037, n. 174 (20 aprile 1498), cfr. ZURLA 2015, p. 360.

508 Similmente si pongono le trentadue colonne, procurate questa volta in solido tra Giovanni Gagini,

Matteo da Bissone e Bernardo di Domenico da Bissone, per essere vendute a Raffaele Soprani di Andora (ASG, Notai antichi, 1038, n. 20, 11 gennaio 1499; cfr. ZURLA 2015, p. 360). Su questi aspetti legati al commercio del marmo e allo smercio del materiale in cambio di altre materie prime, sfruttando le rotte commerciali, cfr. paragrafo 1.2.

509 Oltre ai documenti citati si possono annoverare il carico di dodici colonne dotate di basi e capitelli

eseguiti per Domenico di Benedetto Lercari (ASG, Notai antichi, 1038, n. 252, 8 maggio 1499, cfr. ZURLA

2015, p. 360); l’acquisto di marmi e pietre nere, lavorate e non, messo in vendita dai Furno presso la propria bottega sita al Ponte Calvi (ASG, Notai antichi, 1159, n. 66, 26 febbraio 1506; cfr. CERVETTO 1903, pp. 256-

257, doc. XIX).

510 ASCG, Padri del Comune, 8, n. 71 (1 luglio 1506), trascritto in modo parziale in DECRI 1996, pp. 422-

423, doc. 3. Tra i magistri elencati, oltre ai tre fratelli Gagini, si annoverano: Giovanni Antonio Piuma, Michael Pessolo, Michele Carlone, Simone Meli, Guido “de Arosa”, Matteo “de Matarana”, Girolamo Viscardi, Antonio Tamagnino, Pietro da Gandria, Giovanni Graziolo, Romerio da Campione, Pietro Carlone, Bernardo da Campione, Matteo de Brea. È facile notare che si tratta di tutti gli artefici i cui nomi sono noti dalla documentazione per essere attivi in campo scultoreo e architettonico.

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la moglie Caterina Lopia. A Mendrisio lo ricorda infatti un’iscrizione datata al 1514, che ci informa sulla data del rientro, e rivela il ruolo di committente da lui rivestito per il finanziamento di una pala in pietra da porre sull’altare di Santa Caterina nella chiesa di San Giovanni Battista di Mendrisio, oggi conservata nel Museo d’Arte cittadino. Attività mecenatesca che si riconferma nel 1517, quando secondo la documentazione nomina Giovanni per aver donato alla stessa chiesa anche l’ancona lapidea per un secondo altare, dedicato ai Santi Rocco e Sebastiano, a quella data in esecuzione e quasi portata a termine da Tommaso da Como511.

Antonio di Beltrame Gagini da Bissone

Il meno documentato dei tre fratelli è Antonio Gagini da Bissone, per cui è possibile citare un esiguo numero di carte che, tuttavia, si rivelano significative per intuire le competenze raggiunte dall’artefice. Il primo luglio 1506, così come Giovanni da Bissone e il terzo fratello, Pace, anche Antonio viene nominato nell’elenco di magistri512 cui i Padri del Comune impongono

la rimozione dei rocchi di pietra e delle lastre di marmo che occupano i siti pubblici, e in special modo il Ponte Calvi. La menzione ci offre almeno un paio di informazioni: Antonio aveva bottega presso il molo, dove lavorava e commerciava manufatti marmorei.

Gli interessi imprenditoriali dell’artefice, legati al commercio del marmo, sono noti d’altronde in un atto rogato nel 1512, secondo il quale Antonio habitator Janue si trovava a Carrara per l’acquisto di alcuni marmi513, e in uno rogato il 14 aprile 1515, che lo vede coinvolto nella

fornitura di un ingente numero di colonne per conto di un signore spagnolo, tramite mediazione dell’imprenditore Giuliano Grimaldi. Quest’ultimo documento riveste grande interesse perché testimonia il redditizio mercato a dimensione europea e mediterranea che i prodotti marmorei genovesi avevano sviluppato all’inizio del Cinquecento, divenendo preziosa merce di scambio e nello specifico per questo episodio, tra Genova e la Spagna. Secondo l’atto514, Giuliano Grimaldi

e l’oratore spagnolo Ramiro de Guzmán, di stanza a Genova, avrebbero trovato un accordo circa il valore di un certo numero di colonne intagliate da Antonio da Bissone prima del loro invio in terra spagnola. Le colonne erano probabilmente destinate all’arredo della dimora di Antonio de Fonseca, fratello del vescovo di Burgos e aristocratico legato ai Re Cattolici tanto da divenire uomo di fiducia ed esecutore testamentario di Isabella la Cattolica. Il Fonseca era entrato in contatto con il Gagini tramite Agostino Grimaldi, Agostino Vivaldi e Nicola Grimaldi, mercanti genovesi che gestivano un giro di interessi in diverse città spagnole, sia per conto di

511 Su quest’opera cfr. paragrafo 1.1, nota 63. 512 Cfr. nota 271.

513 Cfr. CERVETTO 1903, pp. 115-116.

514 ASG, Notai antichi, 1453, n. 168. Il documento è trascritto solo parzialmente in CERVETTO 1903, pp.

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una propria compagnia finanziaria, sia per conto della corte reale spagnola, tra il 1510 e il 1520515. Il potente aristocratico spagnolo si assicurava, con la mediazione dei fidati mercanti

genovesi e del Guzmán, che i lavori venissero condotti per tempo e con diligenza, tutelando i propri interessi. Per assolvere a questo importante compito, Ramiro de Guzmán aveva chiesto consiglio nella valutazione delle colonne a due magistri attivi all’epoca per i Re Cattolici, lo scultore fiorentino Domenico Fancelli e il nobile spagnolo suo supervisore Gonzalo de Morales, che si trovavano a Carrara per l’esecuzione del sepolcro di Ferdinando ed Isabella destinato alla Capilla Real di Granada516.

Secondo l’articolato testo del documento, la commissione affidata al Gagini avrebbe riguardato un numero complessivo di centosessantadue colonne, divise in quattro tipologie, forse differenziate per via del carattere dimensionale e decorativo, dal momento che ogni gruppo prevedeva un diverso costo, che dovevano essere eseguite secondo le indicazioni contenute in un disegno fornito dai committenti517. Un numero ingente di elementi che probabilmente erano

destinate a ornare il cortile e altri ambienti del castello di Coca, entrato in possesso del Fonseca nel 1505.

Le colonne, rimosse e poste in vendita nell’Ottocento, non sono più rintracciabili, ma la testimonianza documentaria della loro esecuzione è estremamente significativa per comprendere le dinamiche e le complesse relazioni, fatte di intrecci economici e politici, che soggiacevano a questo genere di commesse dal carattere internazionale. L’episodio mostra il riuscito coordinamento di magistri e mercanti, la cui collaborazione garantiva indiscussi vantaggi reciproci: i primi potevano allargare i propri orizzonti di committenza e far sì che i marmi genovesi raggiungessero i porti del Mediterraneo, dove trovare apprezzamento e stimolare emulazione, i secondi si garantivano la commerciabilità di prodotti di lusso per una committenza di prestigio, costruendo un traffico redditizio, che trovò l’apice nei primi due decenni del secolo. Poche sono le altre testimonianze sul bissonese. Nel 1510 Antonio era stato scelto, insieme a Gerolamo Viscardi, da Romerio da Campione e Antonio da Milano per valutare il prezzo di alcuni beni che il primo doveva vendere al secondo, consentendo loro di raggiungere un accordo518. Non è possibile invece avallare quanto asserisce Cervetto, per cui, insieme al

515 Su questi aspetti cfr. ZURLA 2015, p. 263 nota 23, con riferimenti bibliografici.

516 Il Fonseca era stato più volte coinvolto in committenze artistiche. e lo sarà ancora in seguito, che lo

videro rapportarsi con frequenza sia con lo scultore Fancelli e con i citati mercanti genovesi. Su queste opere e su questo rapporto, cfr. ZURLA 2013, pp. 132-145.

517 Giuliano Grimaldi aveva seguito personalmente il lavoro di Antonio da Bissone, non solo per assicurarsi

di condurre a termine l’affare ma anche perché sarebbe stata sua responsabilità spedire la merce, come rivela un altro rogito del dicembre successivo (9 dicembre 1515; ASG, Notai antichi, 1453, n. 355, cfr. ZURLA 2015,

p. 263 nota 25). Il carico con le prime ventotto colonne, pronte per l’invio in Spagna, avrebbe fatto rotta per Cartagena, dove sarebbe stato intercettato da un intermediario, mentre le rimanenti sarebbero state conservate da Antonio da Bissone presso il proprio magazzino aspettando ulteriori disposizioni sull’imbarco successivo.

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fratello Pace, nel 1520 Antonio avrebbe sottoscritto la supplica rivolta ai Padri del Comune dagli scultori per ottenere la famosa scissione della loro arte da quella dei magistri antelami. La rilettura del documento consente di individuare infatti un Antonius de Solario de Bissone e un Antonius de Pilacorte de Carona, entrambi non identificabili, evidentemente, con Antonio Gagini da Bissone519.

Seguendo il Cervetto, invece, si può citare invece il registro di pagamenti che ricorda come un Antonio da Bissone venne retribuito nel 1526 per aver preso parte a non meglio precisati lavori per il pulpito della cattedrale di Genova520, testimonianza che si può registrare come probabile

ultima attestazione del maestro.

Pace di Beltrame Gagini da Bissone

Il terzo figlio di Beltrame Gagini, Pace, si distingue dai fratelli per accogliere nella propria cifra stilistica una componente marcatamente lombarda, che deve alla sua esperienza presso il cantiere della Certosa di Pavia, avvenuta a partire dal 1493 insieme al parente e socio Antonio della Porta, detto il Tamagnino521. Occorrerà pertanto prendere in considerazione le vicende

inerenti la monumentale fabbrica pavese per rintracciare i primi passi dell’esperienza scultorea del Gagini.

Intorno all’ultimo decennio del secolo molti artefici mossero i loro passi tra Pavia e Genova e si inserirono con successo nel contesto artistico locale, contribuendo alla diffusione di quelle espressioni moderne che si erano andate formulando nel cantiere certosino e dimostrandosi aperti alle suggestioni e ai contatti culturali che una città come Genova poteva offrire. Tra queste personalità troviamo pittori, quali Vincenzo Foppa522, Lorenzo Fasolo523 e

Francesco da Pavia524, e scultori, siano essi noti alla critica, come Gerolamo Viscardi525, Antonio

519 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 350 nota 1; CERVETTO 1903, pp. 265-266, doc. XXX.

520 I pagamenti per il pulpito della Metropolitana, in cui si cita Antonio da Bissone, sono riferiti agli anni

1526-27 e sono citati da CERVETTO 1903, p. 116 nota 1.

521 La parentela si deduce dalla firma lasciata sul monumento sepolcrale di Raoul de Lannoy, governatore

francese di Genova, e della moglie, eseguito per la chiesa di Folleville, che recita: «ANTONIUS DE PORTA TAMAGNINUS MEDIOLANENSIS FACIEBAT ET PAXIUS NEPOS SUUS».

522 Cfr. supra in Domenico Gagini.

523 Lorenzo Fasolo è documentato per la prima volta a Genova nel 1495, mentre è attestato a Pavia un

paio di anni prima, cfr. MAIOCCHI 1937-1949, I, 1937, p. 376, doc. 1571; II, 1949, pp. 1-2, 8, 18, 64, docc.

1591, 1592, 1613, 1615, 1657, 1881, 1882. Sull’artefice: VARALDO 1978, pp. 80-82; FONTANAROSSA 1998,

pp. 44-58; DE BENI 2000, pp. 30-44; MANAVELLA 2018, pp. 3-24.

524 Il nome nasconde due personalità, presenti entrambe nella Matricola dei pittori del 1481 (VARNI, 1870,

pp. 32 ss.; ALIZERI, 1873, II, p. 84): Francesco de Ferrari (LAMERA 1987, pp. 706-709), e Francesco Grasso,

originario di Verzate, nell’Oltrepò pavese (SORCE 2002, pp. 710-712).

525Per la prinicpale bibliografia sullo scultore cfr. VARNI 1870, p. 37; ALIZERI 1870-1880, II, 1873, p. 366,

IV, 1876, pp. 210-218, 283-291, 294-302, V, 1877, pp. 42-43; CERVETTO 1903, pp. 15, 102-105; Viscardi, Girolamo 1940; KRUFT 1971a; KRUFT 1971b, p. 21; KRUFT 1972b, pp. 701-704; TAGLIAFERRO 1987, pp. 243-

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della Porta e Pace Gagini, quanto ancora indefiniti per via delle scarse testimonianze documentarie526. Garante dei rapporti tra le due città (come mette in luce già Luigi Augusto

Cervetto, sembra essere stato Antonio Lercari, il quale rivestì la carica di priore dei certosini a Genova, presso la Certosa di San Bartolomeo di Rivarolo, tra il 1481 e il 1490, e successivamente a Pavia, per poi essere riassegnato a Genova intorno al 1499527.

Il cantiere della Certosa fu pertanto un’incredibile fucina di artefici, guidati da coloro che saranno tra i principali protagonisti della stagione artistica lombarda a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, capaci di imprimere un linguaggio caratteristico alla scultura regionale per decenni: intorno al progetto della facciata, avviata nel 1473 ed interrotta nel 1478, troviamo dapprima i fratelli Antonio e Cristoforo Mantegazza e Giovanni Antonio Amadeo, e nell’ultimo decennio del secolo, accanto alla conferma dell’Amadeo (1491), la costituzione della società con Antonio Della Porta e col più giovane dei due Mantegazza (1492)528. L’incarico necessitava di

un’articolata bottega, che si avvalse di un nutrito numero di collaboratori alla pari e di apprendisti, alcuni dei quali ancora rintracciabili nella documentazione529. Tra queste maestranze

figura anche Pace Gagini, sin da questo momento definito sculptor, che firma un accordo con il Della Porta il 6 novembre 1493530, ponendosi alle dipendenze dei tre responsabili per i quattro

526 È il caso ad esempio di Antonio di Battista Carlone, che entra alle dipendenze del Della Porta il 13

giugno 1492 (MAIOCCHI 1937-1949, II, 1949, p. 3, doc. 1598; MORSCHECK 1978, p. 296, doc. 212; ZURLA

2015, p. 78 nota 325) o di Francesco Brocchi da Campione, documentato a Pavia nel 1513, quando fornisce un carico di pietre nere secondo indicazioni del Della Porta, per il decoro della facciata e dei due sacrari del coro, cfr. MORSCHECK 1978, pp. 338-339, doc. 505; ZURLA 2015, p. 78 note 326-329.

527 Sul personaggio, attivo anche nella commissione di opere d’arte, assegnato alla diocesi savonese tra il

1507 e il 1509 prima della morte a Genova nel 1512, cfr. CERVETTO 1903, pp. 74-83; GALBIATI 1927, pp. 391-393; ZURLA 2015, pp.78-79 nota 330.

528 Sulle vicende inerenti la facciata del complesso pavese e il ruolo giocato dalle varie personalità citate

cfr. MORSCHECK 1978, ALBERTINI OTTOLENGHI 2008; FIORIO 2010, pp. 107-127. Sul contratto di stipula della società, che ripartisce equamente i doveri e le responsabilità, tra cui l’assunzione dei collaboratori, cfr.