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In un contesto articolato e problematico come quello genovese, dove molti dei manufatti marmorei superstiti sono ancora privi di una paternità, e dove la critica ha contribuito a creare il mito storiografico di un presunto stile “gaginiano”, l’unico approccio concreto a un primo

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tentativo di classificazione stilistica risiede nell’individuazione di precise grammatiche formali, cui avvicinare, di volta in volta, la lettura dei brani figurativi anonimi.

Lo stile di Giovanni, forte dei puntelli documentari, risulta ben esplicabile in un vocabolario di caratteri ricorrenti e manierismi, utile non solo a dirimere le questioni attributive inerenti il chiarimento del suo catalogo, ma anche a rivalutare tutte le opere che, sulla scia dell’errato punto di vista sopracitato, hanno portato a definire tutta la produzione di sovrapporta del terzo quarto del secolo come “gaginiana”.

Il confronto con gli stilemi giovannei può dunque porsi come importante puntello cronologico e attributivo, uno spartiacque cui riferirsi per fare ordine nel grande corpus di frammenti e pezzi adespoti sparsi tanto per i musei cittadini e internazionali quanto per il reticolato urbano del centro storico.

Nella concezione del rilievo l’interpretazione di Giovanni da Bissone si differenzia anzitutto da quello di Domenico ed Elia Gagini per la fondamentale indifferenza che l’autore sembra nutrire per la tecnica dello stiacciato donatelliano, dovuta probabilmente alla mancanza di interesse verso l’orchestrazione di composizioni equilibrate e composte di matrice fiorentina. Nei rilievi riconducibili a questo artefice, infatti, le figure non perdono sodezza e sono anzi caratterizzate proprio da una morbida plasticità, che predilige effetti di tornitura e aggettante altorilievo anche quando lo spessore della lastra non è generoso, come nel caso delle Virtù assise del sepolcro Fieschi (FIG. 32, 33). Allo stesso modo arricchiti da profondi sottosquadra sono alcuni dei personaggi della targa del portale Doria in San Matteo, ad esempio i due armigeri, che sembrano appropriarsi dell’accennata profondità del terreno roccioso ai loro piedi senza difficoltà, o l’intero gruppo del cavaliere sul destriero, che è così sapientemente rilevato nei suoi arti, compresi quelli prospetticamente meno visibili, da sembrare pronto a balzare fuori dalla scena da un momento all’altro. Lo stesso discorso si può fare per le mensole che ornano sia gli angoli del portale Doria sia le strutture di base della tomba Fieschi (FIGG. 254, 277-279): gli effetti di tornitura delle figure le fanno quasi sembrare corpi estranei rispetto alla struttura architettonica cui sono congiunti, lasciando loro estrema libertà di movimento. I diretti termini di riferimento di queste figure sembrano essere in particolare gli spiritelli posti ad animare i peducci del palazzo di Branda Castiglioni (FIGG. 32, 33), nell’omonimo borgo lombardo, eseguiti qualche anno prima dai maestri caronesi97. Gli effetti di morbida rotondità non si

perdono nemmeno con il cambio di materiale, dal candido marmo di Carrara alla scistosa pietra nera, con cui è realizzata la dolcissima Vergine della chiave di volta della cappella Fieschi (FIG. 267), e raggiungono gli esiti migliori nell’appropriazione della terza dimensione, ravvisabile nelle statuine a tutto tondo dell’Annunciazione (FIG. 262, 264), pertinente ugualmente al complesso

97 Cfr. paragrafo 1.4.1

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fliscano, e nella figura di Opizzino Spinola (FIG. 239), troneggiante nella sua nicchia posta sul prospetto di Palazzo Spinola di Fontane Marose.

Pur dipendendo strettamente da modelli lombardi, come si è visto per il riferimento caronese, il rilievo di Giovanni non accoglierà mai quella sussultante animazione percepibile tramite i panneggi accartocciati che gran parte dei rilievi della seconda metà del secolo presenteranno, compresi alcuni brani della cappella del Battista, come si è visto, o le soluzioni moderate adottate da Elia per la cappella della Vergine delle Rose98. La tornitura raffinata delle figure giovannee

sembra piuttosto dipendere dagli esempi più emblematici offerti dalla tradizione cosmopolita lombarda tardo-trecentesca e primo-quattrocentesca, del cantiere del Duomo di Milano, dove trionfano le soluzioni eleganti di Jacopino da Tradate e dei fratelli Dalle Masegne: si tratta delle stesse suggestioni che, non casualmente si crede, saranno selezionate proprio dal linguaggio caronese cui, come si è tentato di dimostrare nel paragrafo precedente, la grammatica giovannea deve molto.

Gli elementi decorativi contribuiscono a rendere più sofisticati gli intagli, veicolando un gusto per i dettagli preziosi indiscutibilmente etichettabile quale tardo-gotico. Vertici qualitativi di assoluta raffinatezza sono visibili nella scultura di Opizzino Spinola (FIG. 239), la cui sottoveste è impreziosita da maniche a palloncino, che si restringono all’altezza dell’avambraccio, sulle quali l’intaglio modula i ghirigori di una preziosa stoffa ricamata, probabilmente un velluto tagliato a decori floreali, allacciata al polso con una serie di quattro minutissimi bottoncini. Lo stesso motivo sinuoso sembra foderare il rivestimento interno del robbone, come si vede dal risvolto ai piedi del personaggio e dalle ampie maniche della tunica, che, stando alla moda coeva, si aprivano sugli arti superiori con un caratteristico taglio fino a terra, lasciando intravedere la veste sottostante. Di velluto è anche, infine, il colletto, che spicca, pianeggiante, sulle movimentate pieghe create sul petto dal ricadere morbido della spessa sopravveste. Un’attenzione ai dettagli molto minuta e quasi destinata ad essere impercettibile, se si considera l’altezza a cui sono ed erano poste queste figure. Elegante cifra morelliana sembra poi essere il ricciolo con cui termina la veste rialzata dal movimento del ginocchio dello Spinola, un occhiello ottenuto con una

98 La tipica caratterizzazione del panneggio accartocciato è marchio di fabbrica di alcune soluzioni

elaborate alla Certosa di Pavia a partire dagli anni Settanta del Quattrocento ed ebbe poco successo in Genova e in Liguria. Tra le opere che più si avvicinano a queste tendenze stilistiche si evidenzia il rilievo della lunetta dell’Adorazione del Bambino del portale di accesso alla cappella di Lazzaro Doria, un tempo nella Certosa di San Bartolomeo e oggi conservato al Vitoria & Albert Museum (Inv. 221.1879. Sulla storia del pezzo e le proposte attributive si veda il paragrafo 1.4.3); la lunetta analoga nel soggetto dell’ingresso principale di Nostra Signora degli Angeli a Voltri (cfr. VARNI 1870, pp. 7, 25-26 nota 14; CERVETTO 1903, p. 297; CASTAGNA, MASINI

1929, p. 453; P. BOCCARDO in Le arti a Levanto 1993, p. 95, ZURLA 2015, p. 33 nota 128); le lunette con le Storie del Battista eseguite da un anonimo lombardo tra il 1492 e il 1496 per la decorazione interna del sacello (si veda il paragrafo 1.4.2); la lunetta di portale con le Stimmate di San Francesco e l’Annunciazione della Santissima Annunziata di Portoria (cfr. paragrafo 4.1); e alcuni marmi della sagrestia della cattedrale di Savona, rimontati in un assetto non corrispondente alla condizione originale (per cui si rimanda al paragrafo 1.4.2 Matteo Gagini (?) da Bissone).

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attenta lavorazione del trapano, che si ripropone anche nell’abito della Vergine Annunciata (FIG. 264) sulla fronte Fieschi e, in un formato a S meno tridimensionale nei rilievi delle Virtù o della fanciulla in pericolo di piazza san Matteo (FIG. 251). La stessa raffinata attenzione agli abiti si ritrova anche in quest’ultima figura del sovrapporta doriano, che indossa un’altra tunica tipicamente quattrocentesca, la pellanda, ampia e maestosa, aderente al seno per mezzo di una cintura e poi fluente e larga, caratterizzata dalle particolarissime maniche, lunghe e ampie, secondo una moda diffusa nel mondo d’Oltralpe.

La conduzione giovannea dei panneggi si distingue soprattutto per la scelta di movimentare le maniche, spesso attillate e mosse da molteplici colpetti di punta che le arricciano, come si vede nella delicata figurina della Principessa del portale Doria (FIG. 251), nelle figure femminili della sovrapporta con l’Adorazione dei Magi (FIG. 305) in via degli Orefici99, e nel tondo con il

Dio Padre benedicente, dove il dettaglio è particolarmente insistito nel chiaroscuro. Accanto a questa soluzione formale si può poi trovare la scelta di una manica più ampia, solitamente abbinata a una camicia più attillata che copre il polso, dove tuttavia il modus operandi non cambia, come si vede dalle figure delle Virtù o dell’Annunciata. Panneggi più esuberanti e mossi qualificano invece le parti inferiori delle vesti, caratterizzate da più o meno vivaci svolazzi e eccessi di stoffa dal valore decorativo, e da tipici tagli che si ripropongono con valore strutturale nei punti nevralgici per la resa del panneggio, quali la V tra le ginocchia delle figure assise, la grande falcata della piega che dal ginocchio sinistro attraversa in diagonale la figura, o le moltiplicate onde di stoffa ai piedi delle vesti, veri e propri eccessi esornativi volti alla ricerca di effetti di movimento o profondità.

Le fisionomie adottate da Giovanni sono accomunate da caratteri pieni e rotondi, per cui le figure presentano tratti dolci dalle gote piene e dai menti tondeggianti, dove spiccano labbra carnose e occhi pronunciati, dimostrando di privilegiare sempre una resa plastica non risolta sui valori superficiali. Le palpebre spesse, l’arcata sopraccigliare approfondita, le labbra socchiuse sono connotati tipici dei volti giovannei, che nel portale Doria raggiungono interessanti gradi di personalismo fisiognomico, assumendo ognuno fattezze diverse. Le chiome femminili spesso presentano una simile conduzione: la fronte, forse per i suoi valori convessi, viene lasciata ben in vista, attorniata da sottili ciocche di capelli ondeggianti separati da una attaccatura centrale.

99 La targa scolpita, di recente attribuita a Giovanni da Bissone, presenta interessanti elementi in comune

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