1.4 Appunti per un profilo della storia della scultura a Genova nel Quattrocento (1440-1520)
1.4.4 Voci fuori dal coro dalla Toscana Occidentale: Leonardo Riccomann
Non dissimilmente dai magistri lombardi anche i toscani si ritrovarono frequentemente a lavorare in città, sia per il legame che questa intratteneva con i centri della Lunigiana al fine di garantirsi l’approvvigionamento di marmo, sia per il diretto interesse dei committenti, i quali cominciarono, specie sullo scorcio del secolo XV, ad aggiornare il proprio gusto sulle novità provenienti dai centri dell’Italia centrale.
Tra le prime personalità conosciute di artefici toscani operanti a Genova454, oltre al caso
peculiare rappresentato da Domenico Gagini455, si distingue la figura di Leonardo Riccomanni,
scultore originario di Pietrasanta attivo dal 1424 al 1472456. Esponente principale di una famiglia
di scultori che annovera tra le sue fila il padre Guido, il fratello Francesco e il nipote Francesco junior, Leonardo compare nei documenti negli anni Venti del secolo a Lucca457, dove riceve nel
gennaio del 1428 il prestigioso incarico di lavorare al Monumento funebre del Re Ladislao di Angiò Durazzo, morto nel 1414, da erigersi a Napoli in San Giovanni in Carbonara458. Qui, a lavorare
al monumento napoletano, vi sarà anche un altro artefice pisano, Andrea Guardi, con cui Leonardo intratterrà diverse collaborazioni negli anni a seguire. I due Riccomanni dovettero lavorare al monumento sino al 1431, quando, dopo una citazione come carpentieri459, di
Francesco si perdono le tracce, mentre Leonardo ricompare nel dicembre di quell’anno presso il cantiere alla facciata della chiesa degli Agostiniani di Pietrasanta insieme al padre, dove esegue una loggetta460.
454 Tra questi ricordiamo anche Benedetto da Rovezzano, Donato Benti, Matteo Civitali e Andrea
Sansovino. Per una panoramica di insieme e i riferimenti bibliografici, cfr. ZURLA 2015, pp. 119-165.
455 Sull’artefice, lombardo di formazione brunelleschiana, cfr. paragrafo 1.4.2.
456 Sull’artefice cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 141-148, 160-168; ARU 1908; MIDDELDORF 1976,
pp. 7-26; ALGERI 1977, pp. 69-70; TESSARI 1977, pp. 81-99; TAGLIAFERRO 1987, pp. 217-250; CIARDI 1992, pp. 341-349; DALLI REGOLI 1992, pp. 350-355; RAPETTI 1998, pp. 19-25; DI FABIO 2002; DONATI 2010;
DONATI 2016; PRINCIPI 2016.
457 Lo scultore, probabilmente nato poco dopo il 1400 e formatosi presso la bottega del padre, Guido, a
Pietrasanta, compare per la prima volta in veste di testimone in un atto rogato a Lucca il 7 novembre 1424 (CONCIONI 1994, pp. 251, 257). A Lucca Leonardo è ancora nel 1426 (12 gennaio) quando presenzia al
testamento di Margherita, moglie del medico Antonio Turignani da Silico, per la quale si crede abbia realizzato la tomba presente tutt’oggi lacunosa nella chiesa di santa Maria dei Servi (PAOLI 1986, pp. 210 ss.).
458 L’ingaggio avviene tramite il lapicida pisano Giovanni di Gante e coinvolge anche il fratello di
Leonardo, Francesco, oltre a un paio di scultori toscani, Leonardo Pardini, cognato di Leonardo, e Tommaso di Matteo da Lucca, i quali tuttavia non raggiungeranno mai Napoli. I due Riccomanni riceveranno per l’impegno, della durata di un anno, il compenso di cento ducati, oltre vitto, alloggio e spese di viaggio cfr. CIARDI 1992, p. 341; CONCIONI 1994, pp. 245, 257 ss. Sul monumento e il tentativo di discernere le varie
mani che vi lavorarono cfr. ABBATE 1994, pp. 17-22. Lo studioso ascrive a Leonardo Riccomanni alcune
sculture della sezione superiore: David, Saul, il sovrano a rilievo di destra nella cassa.
459 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 125; DI FABIO 2002, p. 4. L’erudito ottocentesco genovese,
riprendendo la notizia dalle fonti storiche versiliesi, comunica che Leonardo sarebbe rientrato in patria insieme a Lorenzo Stagi nel 1431.
460 L’impegno per il cantiere napoletano dovette essere discontinuo, dal momento che il 26 gennaio 1428
Leonardo era ancora a Lucca, dove è attestato anche il 9 novembre dello stesso anno, prima dell’impegno conseguito il 12 dicembre 1431 a Pietrasanta (CONCIONI 1994, p. 258).
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Al 1432 risale una delle sue opere più spettacolari, l’Ancona dell’Incoronazione (FIG. 183) affidatagli dall’Opera del duomo di Sarzana per l’altare di San Tommaso. Il contratto descrive un trittico con pinnacoli, dotato di uno scomparto centrale con l’Incoronazione della Vergine, e ai lati i santi Andrea, Paolo, Pietro e Giovanni e prevede un compenso per lo scultore pari a 475 lire461.
La critica è ormai d’accordo nel credere che l’opera, di autografia riccomanniana, sia stata eseguita a più riprese; interrotti i lavori nel 1433, questi riprenderanno soltanto nel 1447 per essere conclusi entro la fine del decennio462. L’opera richiama nella struttura quella dell’altare
Trenta in San Frediano a Lucca (FIG. 184), e presenta uno stile che rivela «un’assimilazione originale, in chiave espressiva vivace e spiritata, dell’arte quercesca degli anni Venti»463.
Il primo marzo 1437 lo scultore versiliese approdò a Genova per un prestigioso incarico affidatogli dal doge Tomaso Campofregoso: la sua sepoltura per la chiesa di san Francesco di Castelletto. Sebbene non sia possibile consultare il documento di allogazione, noto solo attraverso un atto successivo, si è soliti identificare il destinatario della tomba da eseguire con il doge stesso, per via di alcune testimonianze posteriori. Nel 1453464, infatti, Leonardo ottiene un
salvacondotto dal doge Piero Campofregoso per rientrare a Pietrasanta, interrompendo di fatto i lavori al monumento per Tomaso Campofregoso che, evidentemente, già procedevano a rilento. Un’ulteriore testimonianza del 1460 riferisce che a questa data il sepolcro del Campofregoso, identificato con il riferimento al contratto stilato dallo stesso Gerolamo Loggia nel 1437, non è ancora stato ultimato, informando inoltre che il Riccomanni promette all’erede di Tomaso, Gian Galeazzo Campofregoso, che si sarebbe impegnato a consegnare il monumento, coadiuvato dal nipote Francesco, entro i due anni successivi465. A causa della
demolizione del complesso francescano non è possibile rintracciare il monumento, né sapere se sia mai stato terminato. Si possono tuttavia rintracciare alcune sculture conservate presso il Museo di Sant’Agostino che potevano a diritto far parte del monumento sepolcrale citato: si tratta di tre figure di Virtù, cui doveva aggiungersi una quarta, perduta o mai scolpita, che coerentemente ai dettami iconografici quattrocenteschi ben potevano trovare collocazione in un sepolcro, nonostante le grandi dimensioni466. Due delle sculture, Temperanza (FIG. 179) e
461 Per le vicende sull’opera, cfr. SFORZA 1884, pp. 266, 299-301 nota 89; RAPETTI 1998, pp. 19-25; cat.
7, pp. 85-93; DONATI 2010.
462 Da ultimo DONATI 2010, p. 136. 463 Cfr. DONATI 2016.
464 Il documento, del 20 dicembre 1453, è edito in NERI 1877, pp. 308-309.
465 Il contratto, rogato a Sarzana il 29 maggio 1460, in cui è presente il riferimento al perduto documento
del 1437, è in NERI 1884. Lo studioso ipotizza anche altre due soluzioni per individuare il committente del
sepolcro: il fratello di Tomaso, Spinetta, morto nel 1425, o il padre, Pietro Campofregoso, ammiraglio conquistatore di Famagosta, deceduto nel 1404 e seppellito presso l’altar maggiore nel complesso francescano.
466 Inv. MSA 3691, MSA 3692; MSA 3693. Sulla ricostruzione della loro vicenda attributiva, cfr. DI FABIO
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Fortezza (FIG. 180), sebbene molto consunte per via della esposizione agli agenti atmosferici467,
presentano indiscutibili tratti stilistici che le riconducono, come è stato evidenziato, all’operato del versiliese, mentre la terza, la Prudenza (FIG. 181), è stata recentemente ascritta ad Andrea Guardi468. La figura appare infatti più classicamente intesa rispetto alle altre, stabilendo
connessioni con altre opere dell’artista eseguite negli anni Settanta del Quattrocento, come la Santa Lucia di Collechia (FIG. 182) o le figure di Virtù oggi al Museo dell’Opera del Duomo di Pisa469. Per quanto riguarda l’originale contesto delle monumentali figure genovesi di Virtù
possiamo solo, attualmente, avanzare alcune ipotesi. Sapendo il Riccomanni coinvolto nella commissione per il sepolcro di Tomaso Campofregoso, ed essendo l’iconografia delle figure femminili ben spendibile per la tipologia del monumento funerario, sembra lecito avvicinare le sculture a un ambito di questo genere, identificandone il luogo di provenienza, sebbene in via ipotetica, nella chiesa di San Francesco di Castelletto. Qui, d’altronde, non solo doveva trovare sepoltura Tomaso Campofregoso nel monumento affidato al Riccomanni, ma anche il padre, Pietro, inumato in una tomba terragna470, probabilmente Spinetta, e Giano I, che, morto nel
1447, fu fatto tumulare in un grandioso sepolcro nel coro della chiesa dal fratello, Ludovido Campofregoso, appena salito al dogato471. Un vero e proprio mausoleo della famiglia Fregoso,
che a Sarzana aveva costruito una signoria, oltre a garantirsi la carica dogale per diversi anni nel corso del secolo, e che aveva dimostrato di ammirare i modi dello scultore versiliese, operante in entrambi i contesti e per luoghi strettamente connessi alla famiglia, come Santa Maria di Castello, dove il doge Tomaso aveva favorito l’insediamento domenicano.
La vita di Leonardo negli anni Quaranta del secolo dovette svolgersi in costante movimento, tra Genova, Sarzana e Lucca, dove è documentato tra il 1443 e il 1444, in relazione
467 Le sculture pervennero al Museo di Sant’Agostino nel 2002 dopo una permanenza nel giardino della
dimora neogotica del capitano Enrico d’Albertis (1846-1932), il quale a sua volta doveva averle ricoverate da una collocazione non protetta, provvedendo a un primo risanamento di quelle che ancora oggi appaiono come critiche condizioni. Cfr. DI FABIO 2002, p. 1.
468 Per l’attribuzione al Riccomanni e il coinvolgimento del Guardi cfr. DI FABIO 2002, pp. 5-10; DONATI
2015, pp. 126-129, cat. 16 p. 174; FERRETTI 2004. Un’altra opera che la critica ha ascritto agli anni 1455-65 è
la Maddalena di Castelnuovo Magra, che alcuni studiosi attribuiscono attribuita al Riccomanni (CAGLIOTI
1999, p. 86 nota 9; DONATI 2015, pp. 128 ss.), contro la precedente assegnazione al Guardi, con parto riscolpite cinquecentesche (RAPETTI, 1998, pp. 125-127, n. 16; 296-298, n. 134.2).
469 Su queste opere cfr. CIARDI 1987, pp. 54-71; DONATI 2015, cat. 45 pp. 220-221. Un rilievo con una
figura di Virtù, la Fede, oggi all’interno delle raccolte del Bode Museum di Berlino (SCHOTTMÜLLER 1933, p.
133, n. 262), può far ipotizzare un più lungo soggiorno del Guardi a Genova. L’opera apparteneva infatti alla collezione Varni (Catalogo della collezione 1887, p. 20, n. 235), dove era diventata una Madonna col Bambino (con l’aggiunta di un’iscrizione devozionale) e attribuita al Civitali, e proveniva da San Francesco di Castelletto, dove poteva aver fatto parte di un altro monumento funebre distrutto, forse eseguito sempre in solido con il Riccomanni. Cfr. ZURLA 2015, p. 125.
470 Cfr.PIAGGIO, Epitaphia, ms. 471 Cfr. DI FABIO 2002, p. 9.
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a una società con due scalpellini carraresi, Agostino Mazzuolini e Jacopo Grossi, e uno comasco, Lorenzo di Bernardo, per l’esecuzione di un «laborerio» in cattedrale472.
Nel 1452 è nuovamente a Genova, dove gli viene subappaltato da Giovanni da Bissone il portale per la sacrestia di Santa Maria di Castello. Come si è visto altrove, da questo contratto è possibile rintracciare notizia di un precedente incontro d’affari svoltosi tra i due a Pietrasanta nel 1451473, di cui non abbiamo ulteriori informazioni, e desumere l’esecuzione di entrambi i
cimieri realizzati per il Palazzo di Giacomo Spinola, dal momento che nel rogito viene certificato l’impegno per la realizzazione del secondo da parte del versiliese, avendo già eseguito il primo per lo stesso committente. Per il cantiere di Castello il Riccomanni esegue anche altre sculture oltre al portale di accesso alla sacrestia, fra cui la mistilinea cimasa con la Crocifissione474 (FIG.
121), che in origine doveva coronarlo e che è oggi murata nei locali della Biblioteca Antica, dove si trovano anche un’acquasantiera a stelo con piletta decorata da spiritelli e festoni475 (FIG. 122)
e una scultura di Vergine annunciata (FIG. 123a), cui doveva fare da pendant un Angelo (FIG. 123b), un tempo parte delle collezioni del castello di Ceský Šternberk dei principi di Liechtenstein476 e
ora nella Galleria nazionale di Praga. Meglio conservate rispetto alle opere di Sant’Agostino, le sculture di Castello presentano strette affinità con la pala dell’Incoronazione sarzanese, specie nel confronto tra i due calvari, dalla carica fortemente espressiva, sia con le Virtù stesse, per la concezione dei volumi e le intense espressioni che accomunano la splendida Vergine annunciata alla Temperanza. Con la produzione genovese lo stile del Riccomanni, dal carattere autonomo, emerge con tutta la sua caratterizzazione, rivelando le sottigliezze di un autore di transizione, capace di piegare ai fini espressivi le proporzioni e i volumi, semplificati anche nella resa articolata e tagliente dei panneggi, dalla «sintassi franta e spezzata»477, cercando una personale
via di interpretazione degli stilemi querceschi o ghibertiani, su cui si forma, dimostrandosi attento a operare un costante aggiornamento dei suoi modi e a mostrarsi ricettivo ai nuovi stimoli.
472 Cfr. PAOLI 1986, p. 211. Altri due documenti del periodo vedono Leonardo dichiararare e saldare debiti
(23 settembre e 19 dicembre 1443) e venire assolto dal peccato di bestemmia (8 maggio1444). Cfr. CONCIONI
1994, p. 259.
473Cfr. paragrafo 3.2.
474 L’attribuzione, universalmente condivisa, risale a CASTELNOVI 1959, pp. 20-24.
475 L’acquasantiera, specie per lo stretto legame che palesa con i puttini delle mensole del portale della
sacrestia, è riconosciuta al Riccomanni da: CASTELNOVI 1959, pp. 20-24; KRUFT, 1972 (con Giovanni Gagini);
TESSARI 1977, p. 98 nota 17; DI FABIO 2002, p. 6.
476 L’individuazione dell’Angelo della collezione ceca e l’attribuzione a Leonardo spettano a Giancarlo
Gentilini; sull’attribuzione a Domenico Gagini e infine nuovamente a Leonardo si vedano Olga Pujmanová 1997, pp. 296-299 e Caglioti (1999, p. 86 nota 9). Alla scultura è stato associato da Laura Cavazzini e Aldo Galli un altro esemplare di Angelo, già appartenente alla collezione di Giuseppe Piccoli e battuto all’asta alla galleria “Il Quadrifolgio” a Milano nel 2015 (CAVAZZINI,GALLI 1999, p. 120 nota 2).
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Nonostante il contratto stipulato con Giovanni da Bissone gli impedisse di dedicarsi ad altre imprese oltre a quelle per il cantiere domenicano, il Riccomanni disattese i termini dell’accordo, impegnandosi il 14 giugno del 1452 ad eseguire per la confraternita di San Sebastiano i decori per la cappella da loro patrocinata presso la basilica di Santa Maria delle Vigne, per cui Leonardo si sarebbe dovuto attenere alle indicazioni fornite dall’orafo Simone Caldera, affiliato alla compagnia478. Non resta più nulla della struttura decorativa realizzata dallo
scultore versiliese, ma dal documento di allogazione si capisce che il suo impianto doveva essere esemplato sulla fronte della Cappella del Battista, ripartendosi in tre sezioni decorative separate da colonne e culminando con nove figure acroteriali. Queste ultime, cui si accenna nel rogito senza confermarne ancora l’impegno al Riccomanni, non rientreranno tuttavia nella prima campagna di lavori e, ridimensionate a un numero di sette, verranno eseguite soltanto nel 1475, con il subentro a Leonardo di Giovanni Donato Bertolini da Maroggia479, scultore di formazione
lombarda, il cui linguaggio figurativo è affine ai modi maturati presso cantieri come quello della Certosa di Pavia. Allo smantellamento della cappella nel 1674480 alcuni di questi elementi
sommitali, una figura di Padre Eterno, una di San Giorgio e una di San Lorenzo, furono reimpiegate sulla sommità del portale laterale dell’edificio481, permettendo di restituire a questa personalità
un piccolo gruppo di opere, come l’elegante Fortezza del Museo di Sant’Agostino482 e il rilievo
con la Madonna col Bambino conservata nella cripta della chiesa di Santo Stefano483.
Anche il cantiere della Cappella di San Sebastiano si protrasse nel tempo, rivelando una cronica incostanza nell’assolvimento delle commesse da parte di Leonardo: i lavori si interruppero prima nel 1453, quando ottenne dal doge il permesso di rientrare a Pietrasanta, e
478 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 163-165 nota 1 (12 giugno 1452). Secondo il contratto,
Leonardo avrebbe dovuto eseguire la struttura marmorea disegnata dall’orafo Simone Caldera per 450 lire genovesi (sull’attività dell’orafo a Genova cfr. DI FABIO 2016, con bibliografia precedente). Qualora fosse
stato confermato dai confratelli per l’esecuzione delle nove statue, di circa quattro palmi, pertinenti al coronamento della fronte del sacello, avrebbe ricevuto ulteriori 20 lire a esemplare. Queste saranno realizzate, in numero di sette, da Giovan Donato da Maroggia, cfr. Infra.
479 Il contratto fu firmato il 2 novembre 1475, edito in ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 168-170 nota 1.
Le statue furono consegnate il 29 aprile 1480, quando Giovan Donato riceve 114 lire per le sette figure realizzate. Ivi, pp. 171-172 nota 1. Sul cognome dello scultore ASG, Notai antichi, 1026, n. 885 (citato in Zurla 2015, p. 32 nota 120).
480 Cfr. CERVETTO 1903, p. 65 nota 1 (10 novembre 1674). Secondo la documentazione della Masseria
della chiesa, come evidenzia lo studioso, altre sculture che ornavano la chiesa furono vendute tra il 1672 e il 1674.
481 Il riconoscimento spetta a ALIZERI 1870-1880, IV 1876, pp. 171, 175 nota 1. Sulle sculture si veda
anche TAGLIAFERRO 1987, pp. 242, 243 fig. 233. Il Dio Padre si trova ancora sul portale laterale delle Vigne,
mentre il San Lorenzo è attualmente presso il Museo Diocesano di Genova (P. MARTINI in Chiese e oratori 2014, n. 5, p. 8) mentre il San Giorgio è stato trafugato nel 1982 e non se ne conosce l’attuale ubicazione.
482 Inv. MSA 488.
483 Cfr. DI FABIO 2002, p. 11. Alle due sculture, riferibili al San Lorenzo del diocesano, lo studioso aggiunge
anche la scultura di Madonna col Bambino presso la chiesa di San Lorenzo a Tivegna di La Spezia. Per ulteriori aggiunte al catalogo dello scultore, tra cui una Madonna col Bambino nella pieve di Bolano e due tondi conservati a Sant’Agostino con San Lorenzo e la Trinità (MSA 575, 577), cfr. ZURLA 2015, p. 32.
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in seguito, dieci anni dopo484, quando lo scultore sarà nuovamente impegnato nella cattedrale di
Sarzana per l’esecuzione di una seconda monumentale ancona, la Pala della Purificazione, condotta a termine con il supporto del nipote Francesco485.
Tra le opere genovesi datate intorno al settimo decennio del secolo, si può annoverare come riccomanniano, infine, il Ritratto di magistrato, forse un doge, conservato al Museo Nazionale del Bargello486, che ben si accosta all’impostazione delle Virtù di Sant’Agostino e al
fare dello scultore versiliese.
La commissione sarzanese cui si è accennato risulta particolarmente rilevante, tra le ultime sfide dello scultore pietrasantino487, per lo status sociale del suo committente, fratellastro del papa
pietrasantino Nicolò V, il cardinale Filippo Calandrini. Così come per molte altre imprese, anche i lavori per la realizzazione della seconda ancona sarzanese proseguirono pigramente: il 16 ottobre del 1470488 Leonardo prometteva di portare a termine l’impresa entro un anno e chiede
i finanziamenti necessari per avviare i lavori, che dovettero concludersi negli anni successivi, probabilmente nei termini, dal momento che alla morte del cardinale, nel 1476, la struttura marmorea sorgeva sull’altar maggiore489. I rilievi e le sculture della Pala della Purificazione (FIG.
185) mostrano un’evoluzione dello stile riccomanniano in senso fiorentino, dovuto probabilmente alle esperienze condotte a Napoli e Genova accanto ad Andrea Guardi, che è attivo negli stessi anni anche a Carrara, Pisa e altri centri della Lunigiana490. Le differenze non
sono solo stilistiche - per cui le figure appaiono più tornite e morbide rispetto alla cifra tagliente di alcune opere genovesi, ma anche compositive - per cui rispetto alla precedente ancona la porzione superiore è trasformata dall’inserimento di elementi narrativi e ornamentali, nei quali
484 Oltre alla data di commissione dell’ancona, un secondo documento in accordo con i confratelli dispensa
dai lavori il Riccomanni per tre mesi, cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 166-167 nota 1 (12 aprile 1462).
485 La nuova pala andava a sostituire sull’altare maggiore la precedente, eseguita sempre dal Riccomanni,
che trovava così spazio nella nuova cappella dedicata a San Tommaso nel 1460. Per il contratto, stilato il 13 ottobre 1463, cfr. SFORZA 1884, pp. 266, 297-299 nota 88.
486Inv. S510. Il ritratto, dopo svariate vicende collezionistiche che da Genova toccano Monaco, Vienna e
infine Firenze, trova stabile dimora al Bargello nel 1981. L’opera è identificata come ritratto di Alfonso d’Aragona e opera di Francesco Laurana da Leo Planiscig (1934, pp. 243-248) mentre è ascrivibile a Elia Gagini per Rudolph Wilhelm Valentiner (1938, pp. 75, 87 nota 5) e nuovamente opera del Laurana per Hanno- Walter Kruft, che ne propone la genovesità e la datazione, attorno al 1460 (1995, pp. 60, 211 nota 51-52). È Francesco Caglioti ad aver avvicinato la scultura a Leonardo Riccomanni (1999, p. 86 nota 9). In ultimo DONATI 2015, p. 127.
487 La fine dell’attività dello scultore si colloca tra intorno al 1472 (MILANESI 1881, p. 105 nota 2), dopo
l’esecuzione di quella che probabilmente fu l’ultima opera dell’artefice, il trittico di S. Pantaleone a Pieve a Elici (Massarosa) che porta la data 1470 e il nome del committente, un de’ Nobili, schiatta vicina ai Calandrini, ma meno nota, così come meno vibrante e riuscito risulta l’intaglio.
488 Cfr. SFORZA 1884, pp. 265-266, 296 s. n. 87.
489 Cfr. SFORZA 1884, p. 302 nota 101. Il trasferimento nella sede attuale, la cappella che prende il nome
dall’ancona, nel 1640, inizialmente priva del rilievo con l’Assunzione, sostituito da un’opera secentetsca fino al 2010, ricollocato al posto d’origine nel 2010, cfr. NERI 1875, pp. 227-232, 242, doc. I; SFORZA, 1884 p. 264. Sull’ancona si veda RAPETTI 1998, pp. 19-25, cat. 8, pp. 94-103.
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evidente appare il ricorso al repertorio classico e alla tecnica dello stiacciato (FIG. 186). Diversi artefici resero possibile la monumentale impresa, in cui la mano di Leonardo è riconosciuta dalla critica nell’Assunzione e nelle figure dei Santi, in cui spicca l’attenzione al dettaglio e alla resa statuaria.