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1.4 Appunti per un profilo della storia della scultura a Genova nel Quattrocento (1440-1520)

1.4.2 I bissonesi di prima generazione Domenico, Elia e Matteo da Bissone

Al pari dell’attività caronese è altrettanto essenziale per lo sviluppo della scultura del Quattrocento a Genova l’operato di Domenico Gagini da Bissone, brillante personalità artistica di formazione fiorentina che presenzierà in città per almeno un decennio, lasciando in eredità ai suoi successori importanti testi figurativi con cui confrontarsi219.

Sulla formazione del Bissonese gli studi hanno ormai messo in luce un inconfutabile esordio fiorentino: da questo contesto, infatti, la sua produzione figurativa riceve costanti impulsi, da lui rielaborati in maniera del tutto personale. A rivelare questa parentesi formativa toscana è il Trattato di Filarete, che annovera tra i discepoli del Brunelleschi un “Domenico dal Lago di Logano”, la cui precisa identità è destinata a rivelarsi in una serie di successive testimonianze archivistiche, quali i registri dei conti del cantiere della basilica fiorentina di San Lorenzo (1442- 1443) e l’inventario dei beni presenti nella casa del Brunelleschi subito dopo la sua morte, nel 1446. Da quest’ultima testimonianza, in particolare, emerge chiaramente lo stretto rapporto che aveva intrecciato le vite dei due artefici: vi si ricorda, infatti, di una stanza nella quale era solito stare “Domenico di Pipo di ser Brunellesco”, quasi fosse stato, per quest’ultimo, un figlio adottivo220. Il soggiorno fiorentino presso uno dei protagonisti del Rinascimento sarà

fondamentale per lo sviluppo del codice espressivo di Domenico e offrirà a un giovane e talentuoso artista ancora alla ricerca del proprio linguaggio artistico la possibilità di comprendere e fare proprie le più recenti svolte della modernità: dalla sensibilità spaziale alla cognizione volumetrica delle figure, saranno le nuove soluzioni figurative offerte da questo contesto, piegate di volta in volta alle sue esigenze a permettere a Domenico di sviluppare una grammatica e una sintassi formale tutte personali, come dimostrano le numerose citazioni tratte da soluzioni brunelleschiane, ghibertiane e donatelliane, ma anche lippesche, e applicate persino in campo architettonico, nella concezione della cappella del Battista, presso la Cattedrale di San Lorenzo a Genova221.

La carriera genovese di Domenico ha inizio intorno al 1448, data a cui risale il primo documento di commissione pervenutoci che lo riguardi, ossia il rogito222 tramite cui i priori della

Confraternita del Battista, Baldassarre Vivaldi e Gaspare Cattaneo, affidano allo scultore il compito di progettare e ornare una nuova e più degna cappella dedicata a San Giovanni

219 Sull’attività genovese di Domenico Gagini cfr. KRUFT 1970b, pp. 33-50; KRUFT 1971b, pp. 20-27;

KRUFT 1972a, pp. 13-18; 240-241; VALENTINER 1940, pp. 76-87; DI FABIO 2004a, pp. 48-71; DI FABIO

2011c, pp. 623-641; DI FABIO 2012, pp. 163-173.

220 Sulle notizie inerenti la formazione del maestro bissonese presso il Brunelleschi: CAGLIOTI 1999, pp.

70-90, con bibliografia precedente.

221 Cfr. Infra.

222 Il contratto, datato il 4maggio 2018, èedito inALIZERI 1870-1880, IV, 1876, pp. 127-129 nota 1;

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Battista223. L’esigenza di riformulare in strutture più appropriate lo spazio dedicato al santo

Precursore in Cattedrale è naturale conseguenza di una rinnovata attenzione alla devozione nei confronti del corpo del santo, fin dal Medioevo simbolo di unità civica oltre che soggetto di una speciale devozione224, che si manifestò nella realizzazione di ben tre arche per custodirlo: una

argentea, del 1176; una marmorea, del 1225circa; per arrivare a quella, argentea, per l’ostensione processionale delle sue ceneri, commessa nel 1438225.

Già dal 1299 la nascita della specifica Confraternita226 garantiva attenzione costante al culto

del Battista e al mantenimento degli spazi sacri a lui dedicati, come dimostrano gli episodi di privati, legati alla congregazione, che concedettero locali e commissionarono a proprie spese elementi decorativi per ornarne l’altare, probabilmente fin dal XII secolo posto alla destra dell’altar maggiore227. Ed è proprio l’area accanto all’altar maggiore che viene deputata in un

primo momento ad accogliere le strutture rinnovate, affidate al Gagini su incarico della Confraternita stessa, che già da qualche anno si apprestava, tramite «suffragij […] che dalla pietà dei cittadini furono porti liberamente»228, a raccogliere i finanziamenti necessari a una nuova e

più maestosa cappella in vista dell’auspicato rinnovamento di quello spazio sacro che nelle fonti è citato come somigliante piuttosto a un «forno o pertugio anziché ad un altare»229. Il primo

223 Sulle vicende storiche e decorative della cappella del Battista si segnala la bibliografia principale in:

CALCAGNINO 1648, ed. 1697, pp. 120 ss.; BANCHERO 1855, pp. 175-178; BANCHERO 1846, II, p. 64-66;

ALIZERI 1846-1847, I, 1846, pp. 55-56; SALVI 1931, pp. 896-900; KRUFT 1970b, p. 33; TAGLIAFERRO 1987,

pp. 260-261; DI FABIO 1998, p. 300; DI FABIO 2011d, pp. 117-118; PISANI in La cattedrale di San Lorenzo2012, I, pp. 280-281; SÉNÉCHAL 2012; ZURLA 2015, pp. 181-199; DI FABIO 2017b, pp. 82-114. Più in generale sui

lavori di restauro ottocenteschi in Cattedrale si veda DI FABIO 1984, pp. 193-248.

224 Sin dalle trattazioni di Jacopo da Varagine (1941) la figura del Santo assurge a emblema di identità e

unione civica, in una speciale commistione di devozione e municipalità che si riflette nel particolare ruolo rivestito dalla Cattedrale genovese, insieme luogo sacro e civico. Su questi aspetti devozionali e sulle vicende e il significato del culto del Battista in città, a seguito dell’arrivo delle ceneri da Mira (1099), cfr. NICOLÒ DELLA PORTA, Historia translationis reliquiarum beati Ioannis Baptiste ad civitatem Ianuae ..., Genova, Archivio di Stato, ms. 62, edito in parte in Recueil des historiens des croisades. Historiens occidentaux, V, Paris 1895, pp. 236-247; CALCAGNINO 1648, ed. 1697; DI FABIO 1998 pp. 88-91, 258-279; POLONIO FELLONI 2000, pp. 35-65; DI

FABIO 2007a, pp. 302-316. Sul Tesoro: DI FABIO 1999b, pp. 103-134; ALTAVISTA 2008, pp. 91-110; G. AMERI

in La cattedrale di San Lorenzo2012, I, pp. 157-166; AMERI 2015, pp. 11-58.

225 Sulle vicende dell’Arca processionale del Battista, conservata al Museo del Tesoro di Genova, che

dovettero protrarsi per alcuni anni e sui suoi autori, tra cui Teramo Danieli, Beltramino de Zuttis e Simone Caldera, cfr. DI FABIO 2016, pp. 271-294, con bibliografia.

226 Sulla Confraternita si vedano gli studi contenuti in PAOLOCCI 2000.

227 Tra questi interventi si ricordano quelli operati dalla famiglia Campanari nel 1323, che determinarono

un primo ampliamento sfondando parte del muro presbiteriale in cambio del privilegio di potervi far sposare le donne di famiglia (cfr. CALCAGNINO 1648, ed. 1697, pp. 120-121; BANCHERO 1846, II, p. 65; SALVI 1932, pp. 896-897); quelli attuati da Luca Fieschi nel 1327, il cardinale cui si dovette l’esecuzione di una tribuna per l’ostensione dell’arca contenente le ceneri del Precursore (cfr. DI FABIO 2011d, pp. 118-119); e ancora un

timido rinnovamento datato al 1410 (DI FABIO 1998, p. 300). Per la gli interventi decorativi nel Medioevo, cfr. DI FABIO 1998 pp. 183-185.

228 Cfr. CALCAGNINO 1648, ed. 1697, p. 137.

229 Cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 99. In un documento del novembre del 1448 si evince come

infatti fosse dal dogato di Tommaso Campofregoso che si ricavavano da trattenute sulle paghe di stipendiati dal Comune una certa somma, destinata alle casse della Confraternita del Battista al fine di condurre l’opera a compimento, cfr. CALCAGNINO 1648, ed. 1697, pp. 136-137; BANCHERO 1846, II, p. 65; ALIZERI,1870-

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progetto, dignitoso, ma non troppo monumentale, prevedeva di ampliare la precedente cappella, ubicata in un non meglio precisato punto lungo la parete nord del presbiterio, tramite l’inserimento di un baldacchino marmoreo, articolato in due spazi coperti a crociera, con tre colonne, nove statue e quattro rilievi, sollecitando le competenze scultoree e architettoniche dell’artefice lombardo230. Tuttavia, nel giro di un paio d’anni, l’inizio dei lavori dovette mettere

in evidenza le difficoltà di procedere in tal senso, visto l’ingombro che si sarebbe venuto a creare presso lo spazio del presbiterio, che avrebbe ostacolato le esigenze del culto.

Non si deve dimenticare che, contemporaneamente, presso un non precisato fianco dello stesso altare maggiore, stava sorgendo il grandioso tabernacolo marmoreo dedicato al Santissimo Sacramento, che un’altra societas di benemeriti privati cittadini affidava, appena qualche giorno dopo la commissione gaginiana, a Filippo Solari, Andrea da Carona, Iacopo da Barchino e Giovanni da Campione231. Ma oltre che per supposte esigenze pratiche, il cambio di

piani per il progetto della cappella del santo Precursore fu fortemente oggetto di dibattiti in sede pubblica, come dimostra l’appassionato discorso pronunciato dal cancelliere della Repubblica Jacopo Bracelli nel 1450232 di fronte a un nutrito gruppo di eminenti concittadini riunitosi

nell’aulica cornice della cattedrale genovese. La forza degli argomenti esposti dall’umanista non lasciò indifferente la cittadinanza, che non poté esimersi dall’appoggiare un nuovo e grandioso progetto per la cappella, sebbene questo dovesse approntarsi dopo il dicembre del 1451. In questo momento, un documento rivela che, nel corso di lavori ancora in atto presso l’altare per

1880, IV, 1876, pp. 100-101 nota 1. Non era fatto inusuale che il comune finanziasse le imprese decorative attraverso la concessione di rendite e privilegi, ma il compito veniva assolto da un ente pubblico, che dai primi del Trecento si identifica con l’ufficio dei Salvatori del Porto e del Molo, poi sostituito dai Padri del Comune, la cui competenza varava tutti i provvedimenti volti a sovvenzionare qualsiasi tipo di spesa pubblica, solitamente rivolta in primis ad opere di imprescindibile utilità pubblica, come il consolidamento dell’Arsenale, del Molo o dell’Acquedotto, cfr. POLONIO FELLONI 1996, pp. 131-132; TAGLIAFERRO 1987, p. 226. Ai Padri del Comune si rivolse Ambrogio de Marini nel 1452 per ottenere il permesso di edificare la propria cappella accanto a quella del Battista, conquistando un risultato favorevole, così come quello ottenuto dai fratelli Fieschi Matteo e Jacopo, che si garantirono l’approvazione dei lavori per la cappella da erigere al presule Giorgio. Su queste opere in ultimo G. AMERI in La cattedrale di San Lorenzo2012, I, pp.257-260. Per una trattazione più approfondita sui due sacelli cfr. paragrafo 3.4.

230 Il primo progetto per la cappella prevedeva diciotto mesi di lavoro e un compenso orientato tra le 800

e le 1000 lire, cfr. ALIZERI 1870-1880, IV, 1876, p. 127, DI FABIO 2004a, p. 53; KRUFT 1972a, pp. 16-18; SÉNÉCHAL 2012, pp. 90-91; L. PISANI in La cattedrale di San Lorenzo2012, I, pp. 284-285.

231 Sulla collocazione del monumento Maria Falcone (2018, pp. 85, 104 nota 21) propone di individuare

nel cornu evangelii un sito appropriato a questo genere di manufatti, per prassi qui solitamente eretti (Caglioti 2006, pp. 72-73). La presenza della cappella del Battista fin dalle sue forme trecentesche fa tuttavia supporre che per il caso genovese si potesse scegliere optare per una scelta meno consueta, per non affollare la stessa porzione di muro con le due nuove e monumentali strutture, le cui altezze ondeggiavano significativamente sui sei metri. Cfr. nota 218. Non si conosce il destino subito dal monumento prima che parte dei suoi frammenti fossero murati lungo il tamburo della nuova cupola, nel corso del Cinquecento, ma il tabernacolo, se terminato, non dovette stare in opera a lungo, dal momento che nemmeno il visitatore francese Jean d’Auton, in visita con il sovrano Luigi XII nel 1502, ne farà menzione nella sua descrizione della chiesa, nonostante si dimostri assai attento alle produzioni marmoree ivi contenute. Per la visita del re di Francia a Genova vedi Infra.

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gli ampliamenti inizialmente previsti, si decise l’arretramento della mensa stessa, consentendo così il miracoloso ritrovamento e la traslazione delle reliquie di San Siro233. Dal discorso del

Bracelli si evince quanto, oramai, la ristrutturazione monumentale del sacello non rispondesse più a esigenze soltanto devozionali, e si ergesse piuttosto a emblema della città stessa, focalizzando l’attenzione della committenza, infiammandone gli animi, sulla importanza civica dell’impresa, che solo seguendo modelli altrettanto grandiosi, individuati tanto nel mitico riferimento al tempio di Salomone quanto nelle arche che ospitavano le spoglie di san Domenico a Bologna o di san Pietro Martire a Milano, poteva garantire un diretto dialogo concorrenziale con i più importanti poli culturali e politici della penisola.

La nuova fatica architettonico-scultorea prevedeva lo sfondamento di una porzione di muro lungo la navata settentrionale, così da ottenere un’apertura verso la piazza antistante la chiesa di San Giovanni il Vecchio, che veniva a rimpicciolirsi per fare spazio al nuovo sacello. Domenico Gagini, che evidentemente aveva sino a quel momento soddisfatto le richieste della consortìa, era riconfermato come caput magister dell’impresa, ed è probabile che vi fossero reimpiegati alcuni dei marmi che la bottega si era già avvicendata a scolpire secondo il precedente progetto, sebbene non sia noto in quale misura234. La nuova opera (FIG. 67) rivela tutta la confidenza che

Domenico aveva con i modelli fiorentini, che in qualità di allievo del Brunelleschi aveva potuto senza dubbio ammirare, come dovette accadere per la cappella de’ Pazzi, cui ben si associano la scansione geometrica che la fronte del sacello genovese (FIGG. 68, 84) e la stessa articolazione interna dei suoi spazi presentano235. Nel progetto del Bissonese, tuttavia, le suggestioni

233 Cfr. NEGROTTO (1796), Notizie ms., pp. 367-374, doc. I, tav. LXXXVI; BANCHERO 1855, pp. 165-

174, 287-294, doc. XLII (3 dicembre 1451).

234 Non è noto in quale misura i lavori per il primo progetto fossero stati portati a compimento. Cfr.

KRUFT 1970b, pp. 34, 36; KRUFT 1972a, pp. 16-18; SÉNÉCHAL 2012, pp. 90-91; PISANI in La cattedrale di San Lorenzo 2012, pp. 284-285. Quest’ultima studiosa esclude la corrispondenza tra i due progetti delle colonne

di sostegno, che i contratti rivelano di due misurazioni differenti, e propone di identificare nei quattro rilievi citati dal contratto e da eseguire per il primo progetto, non le quattro Storie del Battista, come diceva Hanno- Walter Kruft (1972a, pp. 16-18) bensì quattro tra i tondi con le scene di vita dei Santi. Gli evidenti riferimenti tra la Nascita del Battista genovese e la scena della Nascita di Santo Stefano affrescata da Filippo Lippi per il Duomo di Prato, riferiti a una data non precedente al 1452, escludono l’identificazione degli elementi del primo progetto con i quattro grandi rilievi istoriati attualmente in opera. Per gli affreschi del Lippi cfr. GNONI

MAVARELLI 2009; RUDA 1993, pp. 258-259. Tra le figure di Santi a tutto tondo la critica non è concorde nell’identificazione di quanto realizzato per il primo e il secondo progetto del sacello, che vedeva accrescere le sculture da nove a undici. Kruft pensa che la figura femminile posta tra il San Giovanni Battista e il San Lorenzo fosse in origine concepita per essere una Madonna col bambino, da porre al centro del prospetto, ma la posa innaturale e il gesto della figura, che sembra atto al sostegno di una fiaccola, forse rimossa, fa propendere Linda Pisani (in La Cattedrale di San Lorenzo 2012, I, pp. 284-285) per il riconoscimento della figura fin da subito nella Virtù. Più mediato è il parere di Sénéchal (2012, pp. 90-91), che vi riconosce la sovrapposizione di entrambe, una Vergine Maria che funge anche da esempio indiscutibile di virtù caritatevole.

235 Il primo a notare tale riferimento fu il Reymond (1899, p. 245), poi il Rolfs (1907, pp. 37-38), che

aggiunse la notazione della presenza della stessa cornice strigliata. Sebbene il progetto della cappella Pazzi venne portato a termine soltanto nel 1461, il progetto brunelleschiano risale al 1429, data a cui risalgono i primi documenti di pagamento (BELTRAMINI 2008, p. 147), ed è a questo che Domenico dovette fare

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fiorentine perdono il nitore e la pulizia cromatica che sono conferite alla cappella in Santa Croce, per porre l’accento sugli aspetti di decorazione scultorea. La fronte, una struttura a serliana forata da tre fornici, se per la parte inferiore si ispira strutturalmente al progetto originario della cappella fiorentina, termina poi in un ricco fastigio di ispirazione tardogotica, costituito da una serie di archi mistilinei alternati e decorati da pinnacoli, su cui svettano figure a tutto tondo alte poco meno del naturale. Ogni arco mistilineo inquadra un tondo istoriato, che effigia il santo soprastante in un momento saliente della sua vicenda agiografica, e sormonta un arco centinato, dentellato e aperto sopra una coppia di Padri della Chiesa ed Evangelisti affrontati. Tra queste due soluzioni strutturali corre una strigilatura, che si svolge al di sopra delle arcate e per tutta la lunghezza della serliana, intervallata da immagini di Agnus dei, desunte dalla decorazione robbiana presente all’interno del modello toscano. La sobrietà e l’equilibrio delle forme brunelleschiane trova dunque nella traduzione gaginiana uno sconvolgimento in favore della decorazione: l’effetto d’insieme è un tripudio di ornamento, che in una sorta di horror vacui ricopre tutte le partiture architettoniche rendendo la decorazione assoluta protagonista236. La

luce si infrange sui racemi intrecciati che ricoprono le colonne e sulle scene narrative dei rilievi, correndo morbidamente lungo i floridi tralci abitati da puttini che le incorniciano, per poi percorrere i pieni e i vuoti delle nicchie a conchiglia abitate da Profeti: la semplicità delle partiture lisce della fronte fiorentina, dove le lesene rudentate sono sostituite da una soluzione decorativa più vicina agli elementi di cornice della Porta del Paradiso di Ghiberti, è dunque completamente negata. L’interno, frutto di rimaneggiamenti successivi, doveva presentarsi riccamente ornato, come dimostrano i brani di restauro realizzati nel 2000, che rivelano tracce di dorature e pigmenti di azzurrite, mentre gli Evangelisti e le lunette istoriate verranno messe in opera in un secondo tempo, sul finire del secolo.

Un gusto per la policromia che trovava riscontro nella scelta da parte dei priori della consortìa di affidare la decorazione della volta e delle pareti esterne al medium pittorico, incaricandone autore il lombardo Vincenzo Foppa, che sarà largamente apprezzato dall’élite locale237. Gli

affreschi, oggi perduti, a eccezione di qualche frammento posto in prossimità della fronte, che a tratti continua la decorazione scultorea238, ai lati e tra le sculture di santi che si ergono solitari

come è stato notato differisce in non pochi elementi (BULGARELLI 1996, pp. 72-73, 99 nota 155). In ultimo

si vedano SÉNÉCHAL e PISANI in La cattedrale di San Lorenzo2012, I, pp. 90; 281-282.

236 Per i parallelismi tra la cappella Pazzi e il progetto gaginiano cfr. PISANI in La cattedrale di San Lorenzo

2012, I, p. 282.

237 Sul pittore si vedano in particolare i contributi della mostra bresciana del 2002: Vincenzo Foppa. Un

protagonista del Rinascimento (2003).

238 Sulle pitture GALLI 2002, pp. 213, 219 nota 2; La Cattedrale di San Lorenzo 2012, II, pp. 289-292, figg.

293-296. Michela Zurla avanza l’ipotesi che la decorazione pittorica, riguardando anche il prospetto esterno della cappella, dal momento che nel documento si vuole affrescare «tam in facie quam in cello», costituisca un sicuro termine ante quem (ZURLA 2015, p. 186). Mentre il termine temporale vale senza dubbio per la

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come pinnacoli in cima alla composizione, venivano commissionati il 2 gennaio 1461239. A

questa data risale infatti il documento di ingaggio, in cui il Foppa prometteva di dipingere tam in facie quam in cello ipsius cappelle prout placuerit dictis prioribus, i quali a loro volta, diffidenti nei confronti di un pittore ancora poco noto al di fuori della Lombardia, imponevano rigide condizioni lavorative, riservandosi la facoltà di licenziare l’artista qualora i risultati presentati non fossero stati di loro gradimento e sempre che essi non decidessero di rivolgersi a un pittore più idoneo alle loro esigenze, obbligando addirittura in questo caso il pavese alla restituzione della somma consegnatagli come anticipo240. Per ovviare a questo scetticismo, il pittore aveva

chiesto al signore di Milano, Francesco Sforza241, una lettera di raccomandazione, che giunse

dietro sollecito dell’artista, il 28 giugno dello stesso anno. Dal testo della missiva, in cui il pittore è definito ‘abilissimo nell’arte sua’ si evince che a quella data i lavori pittorici fossero già in fieri, dal momento in cui il Foppa si impegna a lavorare diligentius all’impresa già avviata. Le pitture, che forniscono inoltre un utile puntello per datare il termine ante quem dei lavori di costruzione242,

furono così apprezzate che nel 1463 si additava a Giovanni Mazone di Alessandria come pulcerrima l’immagine di Dio Padre affrescata nella volta della cappella, che il pittore doveva riprodurre, uguale se non più bella, nel polittico a lui commesso per lo stesso ambiente il 16 maggio 1463243. Se ne deduce che a queste date parte delle decorazioni della volta fossero dunque

terminati, avrebbero urtato la stesura delle pitture, specie nella parte sommitale, dove queste avrebbero dovuto scomodamente aggirare le sculture apicali della fronte gaginiana. Questa, era probabilmente condotta per la maggior parte del suo alzato, e si deve pensare terminasse gomito a gomito con il pittore.

239 ASG, Notai antichi, 727, n. 4, pubblicato in VARNI 1866, pp. 23-24 nota 1; ALIZERI 1870-1880, I, 1870,

pp. 354-355 nota 1; FFOUKLES,MAIOCCHI 1909, p. 290, doc. 3; MAIOCCHI 1937, p 112, n. 15; AGOSTI,

NATALE, ROMANO 2003, p. 300, n. 3.

240 Nel documento non è precisato il prezzo dell’impresa, che rimaneva a discrezione dei Priori, così come

la facoltà di licenziare lo stesso pittore, secondo rigide prescrizioni. A fare da fideiussore al Foppa il pittore genovese Gaspare dell’Acqua cfr. FFOULKES,MAIOCCHI 1909, pp. 30-31; SALVI 1932; ALGERI,DE FLORIANI