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Tripoli 22, 11, 1950, grado di istruzione: perito delle comunicazioni, scrittore.

Padre di Pantelleria, emigra in Libia nel 1912, madre genovese. Il padre è un imprenditore agricolo. Andrea abita nel quartiere multi etnico della Dahra, dove si integra perfettamente con i coetanei libici e mussulmani attraverso il gioco del calcio. Andrea sostiene che Gheddafi ha compiuto una rivoluzione giusta contro un regime corrotto e che erano giuste le ragioni dell’espulsione degli ex colonialisti ed ex fascisti italiani che si sono macchiati di crimini contro il popolo libico. È una voce controcorrente rispetto agli altri italiani, il padre compreso, che contesta duramente le idee del figlio.

Andrea dopo il rimpatrio va a lavorare all’INPS. Intervista de visu a Paderno del Grappa, 8,9,2018

Io sono Andrea Sammartano e sono nato a Tripoli il 22 novembre del 1950, sono pensionato e prima ho lavorato all’INPS.

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Mio padre era di Pantelleria. Andò giovanissimo in Libia nel 1912, quando aveva solo due anni appresso a mio nonno che era agricoltore e avevamo una concessione in Libia. Mia madre era figlia di un genovese e la mamma di mia mamma, mia nonna era maltese […]. Sono diplomato ed ho studiato in Italia e lavorato all’INPS.

Avendo studiato in Italia ho capito la differenza tra la cultura che avevamo a Tripoli e quella degli italiani in Italia. Infatti, in contemporanea ero a Tripoli nel periodo estivo e a Fermo a studiare nel periodo invernale.

Ripeto: questo mi ha fatto conoscere le abitudini culturali degli italiani in Italia e quelli che risiedevano a Tripoli.

Ho scritto due libri, il primo essenzialmente autobiografico: dal 1950 anno della mia nascita al ’70 anno dell’espulsione.

Quando avevi 20 anni.

Come perito delle comunicazioni, ho iniziato a lavorare a Tripoli per una compagnia americana che si occupava di ponti radio.

Poi sono stato espulso …

Un professore americano d’origine palermitana, che insegnava all’università di New York e che si interessava proprio del post-colonialismo italiano, aveva notato una particolarità nel mio libro: cioè che io avevo subito un cambio d’identità. Loro, questo lo studiavano proprio come tema nelle popolazioni che vivevano in paesi stranieri. Aveva notato che io avevo subito un cambio decisamente forte.

Da che cosa lo notava questo?

Lo notava dallo scritto, dopo avere letto il mio primo libro.

Non l’ho ancora letto.

Ovvieremo a questa carenza, perché te lo regalerò. Posso rispondere all’ultima domanda.

Notava che c’era una certa arretratezza, tra virgolette, in quelli che vivevano a Tripoli.

In che senso?

In senso positivo. In una spontaneità ed una semplicità. Una spontaneità nel tenere vive le amicizie, nel rispettarle fino in fondo, in una lealtà forte nei rapporti amicali. Questo probabilmente era dovuto al fatto che eravamo una comunità …

Probabilmente anche al fatto che quando si è in pericolo … ti arrocchi …

Anche se ti dico che io in pericolo non mi sono mai sentito perché mi sono talmente integrato è questo grazie al calcio …

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Sì, è vero giocavo nella Ḍahra, una squadra di prima divisione ed oltretutto la squadra del mio quartiere. Io sono nato e ho vissuto alla Ḍahra …

Dove stavi alla Ḍahra?

Stavo alla Ḍahra al-kabīra, la Ḍahra Grande [Ḍahra in arabo significa dorso, schiena perché era una piana in declivio tra il mare e un lieve altopiano [era un quartiere molto popoloso e popolare]. Stavo nel palazzo della farmacia Esperia.

[…] quando sei stato cacciato come è andata?

Il mio racconto è un po’ in controtendenza rispetto alle esagerazioni che ho ascoltato in molti casi. Io il periodo della rivoluzione di Gheddafi l’ho vissuto molto bene nel senso che era qualcosa che mi sentivo e infine la cacciata è stata dolorosa perché per me, ma era perché era come se stessi per lasciare i miei fratelli. Il dolore più forte era quello del distacco da loro. Giocavo infatti in questa squadra e prima di partire ero stato invitato al matrimonio di un mio compagno di squadra. Ho partecipato entrando in pieno nella loro famiglia con le donne stesse che d'altronde, come sai era difficile avvicinare. Mi sono talmente integrato che per me è stato un trauma opposto a quello dei nostri compatrioti.

Per me, io non ho subito nessuna vessazione da parte dei libici.

Hai subito un decreto d’esproprio ed espulsione per cui hai dovuto lasciare tutto quello che avevi, i beni della tua famiglia …

Ma anche questo l’ho vissuto come una cosa giusta, perché ritenevo giusto, non che ci espellessero, ma che ci fosse una ragione di fondo per la nostra espulsione io l’ho sempre sostenuta.

Ho anche litigato con mio padre. Sulla nave che ci riportava in Italia io mi sono azzardato a dire che in fondo era stata una cosa giusta perché noi avevamo perpetrato nei loro confronti

Un peccato originale …

Delle violenze tali che un giorno o l’altro ci avrebbero portato …

Ma fino ad allora non si sapevano certe cose … non c’erano stati i libri di Del Boca … in realtà fino a quel momento si era trovato un modus vivendi tra la comunità italiana e i libici … non dico fraterno, forse da cugini se vogliamo chiamarlo così … però quando sono arrivati i professori egiziani nelle scuole [fomentati da Nasser, il presidente egiziano] si è cominciato a diffondere questo odio … verso … ed è venuto fuori che c’era stato il colonialismo, un colonialismo italiano.

Il regime della monarchia di Idris tendeva a nascondere che c’era stato un colonialismo italiano, prima di tutto per la sopravvivenza della monarchia stessa, perché il re tendeva a proteggere sia la monarchia che sé stesso, perché durante il colonialismo io ho scoperto che,

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non so se sorprenderò, è che il re ha tradito la sua gente suo popolo, con degli accordi capestro … cogli italiani.

È riportato anche nei libri di storia che era stato promesso a Idris una forma di protettorato per cui lui rimaneva …

Ma accordi molto remunerativi per lui …

Sì, ma sono cose note … se tu pensi che sebbene il vino sia proibito dall’islam, si sa che tutti i vigneti della Cirenaica fossero di proprietà del re e di magnati ebrei …

Io mi arrabbio quando vedo che le immagini del re vengono edulcorate con espressioni: «Ah! Il nostro sovrano! Un grande re!».

Comunque io non dico che non ci fossero dei problemi, ma credo che abbia saputo mantenere gli equilibri tra varie comunità etniche, tribali e confessionali che altrimenti si sarebbero ammazzate, una serie di genocidi … Gheddafi ha mantenuto poi l’ordine con il pugno di ferro, ammazzando un po’ di gente e creando un regime di terrore, ma poi … guarda!

Mimì per onestà nei tuoi confronti ti dico che non sono d’accordo su quest’ultimo punto …

Io me lo ricordo quando venivano in Italia a trovarci gli amici libici che non avevano neanche il coraggio di dire una parola … avevano terrore di parlare male di Gheddafi … Andavano ad Abano a fare i fanghi e ricordo che invitavano a cena Carlo e me e c’era il nostro professore di arabo […] e si parlava della situazione … e c’erano molti notabili libici

Hai detto la parola giusta…, erano notabili, ex monarchici che naturalmente facevano propaganda …

In realtà erano tutti passati dalla parte di Gheddafi. Quando venivano ed era tanta gente insieme e […] invitava a cena me, mio cugino Carlo, anche perché noi eravamo ex allievi e loro sai che insegnavano nelle scuole italiane. Lui ci invitava anche perché ci teneva a fare vedere a queste persone che lui aveva i suoi allievi arrivati. Per esempio, noi siamo riusciti a portar via parzialmente i nostri soldi grazie all’allora Governatore della Banca di Libya, che era uno di quelli nominato dal re … Anche lui veniva a farsi curare da mio cugino cardiologo Era tutta gente che quando è cambiato regime ha cambiato bandiera …

In Italia questo è uno sport nazionale … […] Ma ti devo dire che il re è stato scalzato da Gheddafi con un colpo di mano militare, ma già aveva subito delle contestazioni inaudite per l’epoca, anche perché ci furono dei morti …

Lo so, perché mio nonno era il proprietario del Lido di Tripoli e noi avevamo una villa all’interno del complesso … Accanto c’era l’ex caserma Cesare Billia, una sede dell’università [dove ci fu una feroce repressione di una contestazione studentesca]. Poi nel ’60 il nonno vendette le azioni del Lido a […] e ci trasferimmo in città. Mio nonno si mise a

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costruire case a Gurgi e Giorgimpopoli [due sobborghi residenziali conseguenti alla richiesta di case per il boom del petrolio]. Te lo può confermare Zina. Il nonno aveva la campagna a Castel Benito e Gasr Garabulli era un grande concessionario ed è per questo che conosciamo da secoli la famiglia Augugliaro. Gli Augugliaro, i Vivolo, Dicairano

Certo, […] tutti nomi noti, sì li ho sentiti nominare …

Dopo la morte di mio nonno i miei vissero in città, a Tripoli fino al ’69 e dopo la rivoluzione con mio cugino decidemmo di cominciare a trasferire i nostri beni in Italia … […].

Arriviamo a Napoli … sulla nave come era l’atmosfera?

Ho litigato con mio padre perché mi sono azzardato a dire che era poco in confronto a quello che avevamo fatto a loro … Gli dissi che la colpa di alcune generazioni ricadeva sui figli. Non indicavo lui come colpevole diretto e quindi c’era una certa responsabilità soprattutto politica, perché la gente che è stata mandata lì era dovuta dalla crisi paurosa che avevamo in Italia … Mandare lì tanti coloni perché in Italia morivano di fame, perché in Italia c’era un sovrappiù di popolazione. [Per l’Italia] è stato un grande affare, perché oltretutto questi mandavano indietro dei bei soldi per cui è stato un grosso affare per l’Italia. Oltretutto ho scoperto che oltre ad essere stati particolarmente violenti, perché noi siamo stati tanto violenti che siamo stati i primi ad usare il gas iprite sulle popolazioni civili …

All’epoca tuo padre non poteva sapere questo, perché è venuto fuori poi con Del Boca … lui non poteva sapere … non poteva assolutamente saperlo … Oggi come oggi lo sappiamo …

Ma io avevo già avuto un accenno e in linea di massima avevo …

D’accordo, perché circolavano le fotografie di Omar Al-Muktar impiccato …

Esatto! Io ho avuto la fortuna di vivere con una nonna che era molto, molto perspicace e che alcune cose me l’aveva accennate in linea generale. In linea generale … come eravamo stati durante la colonizzazione! Se poi ci aggiungiamo il comportamento dei nostri politici durante il nostro rimpatrio e così arriviamo … Se il nostro governo si fosse comportato diversamente col nuovo stato libico [quello rivoluzionario], non dico che ancora saremmo stati lì, ma ci saremmo andati vicini.

A loro non fregava niente [del nostro riconoscimento] a loro interessava buttarci fuori perché eravamo un peccato originale storico e soprattutto per trovare un nemico esterno per solidificare il nuovo regime …

Questo è vero, è servito per la propaganda …

Queste teorie politiche che ora sono dibattute su Facebook, non so se tu segui...

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Molti dei nostri conterranei, non li chiamo compatrioti perché la patria è il luogo dove tu nasci e vivi … ma molti di questi … delle volte leggo delle cose … leggi cosa scrivo in proposito sul prossimo numero di “Oasi” se me lo pubblicano […] questa gente scrive delle cose sull’emigrazione inaccettabili, delle cose delle quali non si vergognano... Sui migranti dicono cose che gridano vendetta davanti a Dio. Non si può dire che per non farli arrivare bisogna togliere il tappo dal barcone e farli affogare. Mi rendo conto purtroppo che alcuni nostri conterranei sono […], razzisti, xenofobi […] … La xenofobia porta al razzismo, ad una violenza inaudita …

Bravo, questo è un altro dei motivi per cui ho concepito quando ero in Libia la necessità di riscattarmi ai loro occhi fin quando sono rimasto.

Io sono testimone e, chi lo nega è un bugiardo. Che ci fossero dei rapporti di amicizia è vero, ma anche che ci fossero stati dei casi di grande ipocrisia perché quando loro erano presenti, noi dicevamo delle cose e nel momento in cui non erano più presenti parlavamo di arabi sporchi, incivili …

Beh! È vero. Li chiamavamo bonariamente gli “svizzeri” …

E come adesso quando chiamiamo dei neri. Non li chiamiamo negri perché se no ci danno dei razzisti, salviamo la forma … ma […].

Come siete stati accolti quando siete arrivati a Napoli?

Siamo stati accolti con un po’ di rabbia … e di sospetto che potessimo usurpare qualcosa …

Siete stati nei campi profughi.

No, io avendo dei parenti in Toscana, nei campi profughi non ci sono andato, ma ho sentito delle testimonianze molto amare.

Ne potresti raccontare qualcuna?

Sì, campi sporchissimi …

Sicuramente l’ambiente era sporchissimo come sarà sporchissimo dove portano i migranti adesso, le caserme e [… ] A parte questo, il lato umano …? Come era l’atmosfera?

Siamo stati tacciati di fascismo perché eravamo visti come i discendenti di una certa […] Io credo, comunque, che noi possiamo certamente confessare che l’ideologia là prevalente era fascista […].

Concordo. Perché anch’io provengo da quella cultura. Riconosco che in casa i miei libri di ragazzo erano intrisi di concetti culturali di quella matrice … perché erano appartenuti ad una, due generazioni precedenti alla mia. Se ti ricordi il libro di scuola di storia della Libya, edito dal governo libico, parlava del fascismo in maniera esaltante. Ma credo durò a lungo

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in tutta l’Italia del dopoguerra … Però anche adesso vedo che c’è un atteggiamento in quella direzione …..

Ma anche ora neanche dopo cinquant’anni …

Che ci fosse discriminazione nei nostri confronti perché ci consideravano fascisti è vero … tanto è vero che io per la mia assunzione in ospedale […] per il fatto di avere il titolo preferenziale di profugo […] ero guardato male [..] d’altro canto 10 punti in un concorso equivalevano a una libera docenza [eliminavamo tutti gli altri concorrenti]. E le farmacie in soprannumero, i ricercatori che per anni aspettavano il concorso di professore associato e si vedevano scavalcare da un “libico” piombato là …

Questo ha portato ad una discriminazione e a un astio nei nostri confronti …