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9 STORIA DELLA MIA FAMIGLIA, SCRITTA COME MI È STATA NARRATA

9.1 - 1898. Le origini.

«Cristazzu!» urlò Concetta Gangarossa rivolgendosi al Crocifisso.

Non era possibile che Colui che aveva predicato misericordia gli avesse portato via il marito Berengario Infantolino, a soli 37 anni, lasciandola con sei bambini da sfamare.

Il più grande era Domenico detto Mimì, poco meno di otto anni, nato nel 1890, il più piccolo Giuseppe, chiamato Peppino, nato nel 1896, che aveva otto mesi e che Concetta allattava. Dopo Domenico, a meno di un anno l’uno dall’altro a scalare, Emanuele, Marianna , Salvatore detto Totò, Rosina e Giuseppe 52.

Ora lei, a meno di trent’anni, era una donna sola, senza «arte né parte» per mantenerli, se non quella del telaio e del filet 53 che ogni ragazza del Meridione d’Italia, a fine Ottocento, imparava a fare da bambina in attesa d’un marito.

Nella stanza calò il silenzio assordante delle prefiche, la loro nenia si fermò per quella bestemmia e quelle professioniste della morte s’acquetarono perché nessun altro dolore poteva essere più grande di quella disperazione.

Non erano ricchi, ma a Comiso54, Berengario era l’amministratore dei marchesi Ferreri55 che erano i signori della città. Godeva della loro stima e anche della fiducia di contadini e braccianti. Poi, il cancro alla faringe gli aveva deturpato orribilmente i bei lineamenti giovanili e in breve tempo lo aveva ucciso.

Si avvicinò una sorella più giovane di Concetta, Biagia detta «Suzza». Aveva sposato da poco Tommaso Basileo, un artigiano del marmo, che si fregiava del titolo di scultore perché era capace di plasmare quella dura pietra, ma per vivere scriveva epigrafi sulle lapidi del cimitero.

52 Domenico detto Mimì (1890), Emanuele detto Nele (1891), Marianna (1892) chiamata Mariannina, Salvatore

detto Totò (1893), Rosina (1894) e Giuseppe detto Peppino (1896).

53 Il filet è un raffinato ricamo effettuato su rete

54 Il nome Comiso ha derivazione greca: Κομίζω, ricovero, rifugio, per i latini Jhomisus, per i bizantini Comicio,

ma più verosimilmente deriva dalla trasformazione della parola araba ḥāms che significa quinto. Era il quinto della merce razziata o dei territori conquistati in guerra che, per diritto, era dell’emiro. Nei Paesi che conobbero la dominazione araba è frequente il nome Ḥums o Al-Khums o Khums, esonimo italiano Homs. C’è n’è in: Libia, in Libano ed in Siria. La parola spagnola al-còmiso deriva dall’arabo: significa confisca.

55 Il notabile comisano Gioacchino Ferreri, esperto di diritto, nel 1795, fu investito del titolo nobiliare di

marchese dal re Ferdinando I di Borbone. Fu presidente, nel 1810, del Regio Parlamento Siciliano, nel 1813, Ministro delle Finanze e nel 1821 Ministro degli Interni del Regno delle Due Sicilie. La famiglia Ferreri era antagonista nel territorio dei principi Naselli, feudatari fin da epoca Normanna. Divenne importante nel territorio ragusano e tra le più influenti alla corte borbonica.

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Era in partenza per la Tunisia che da molti emigrati era descritta come un Eldorado.

Donna Suzza cinse la spalla di Mimì e si avvicinò a Concetta. Questa capì che avrebbe perso il suo primogenito; sarebbe partito con la sorella ed il marito per Sfax56 e chissà quando l’avrebbe rivisto. Era un sacrificio che avrebbe assicurato una migliore sopravvivenza degli altri figli e così Mimì, fin da piccolo, patì il grande dolore della perdita del padre e del distacco dalla madre.

Quel bambino, poco adatto ad alzare pietre, aveva un’intelligenza brillante e un perspicace intuito. Zio Tommaso decise di farlo studiare, un po’ per queste sue attitudini, ma forse per levarsi di torno quel ragazzino affiliato, ora che aspettava un figlio suo. Finite le elementari dai Frères Maristes57

, lo mandò al seminario minore dell’arcidiocesi di Cartagine58.

Furono lunghi anni di studio. Era sul punto di diventare prete quando, durante una delle sporadiche vacanze a Sfax 59, affacciata ad un balcone, vide una bella ragazza: Lidia.

9.2 - Una testa dura come il marmo.

Romeo Marchetti era nato a Massa, in Toscana, nel 1865 e faceva lo stesso mestiere di Tommaso.

Fin da giovane era andato a lavorare la pietra bianchissima di Carrara60 alla quale Michelangelo attribuiva un’anima perché “imprigionava” figure umane.

Romeo aveva una faccia tonda e sanguigna, basco sulle ventitre, un fiocco nero per cravatta

56 Sfax, in arabo Safāqis, è l’antica Syphax berbera, la Taparura romana, ricostruita dagli Aglabiti nel IX secolo,

nella seconda metà del 1000 resistette alle invasioni delle tribù arabe dei Banu Hilal e diventò un emirato. Gli abitanti di Sfax vengono chiamati ironicamente «fakūsi», da «fakūs» che nel dialetto tunisino-libico significa cetriolo (in arabo standard cetriolo si dice «ḥiyār»). Dare del «fakūs» ad una persona, nella tradizione familiare di chi scrive, non indica esclusivamente l’origine della città dove è molto comune la coltura di questo ortaggio, ma ha anche un valore canzonatorio. Non è comunque escluso che il nome della città sia legato a quest’ortaggio.

57 I fratelli Maristi delle Scuole Cristiane o Piccoli Fratelli di Maria sono religiosi-laici (non sacerdoti) che si

dedicano all'istruzione primaria e secondaria ed all'educazione cristiana della gioventù maschile in convitti studenteschi ed orfanotrofi, per lo più in terra di missione.

58 Chartage era un’arcidiocesi voluta dal cardinale Charles Martial Allemand Lavigerie (1825-1892), fondatore

della Società dei Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Péres Blancs, Padri Bianchi e delle Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa, le Suore Bianche. Le due congregazioni si impegnarono per l’abolizione della schiavitù. Gli schiavi dell’Africa nera, erano un fiorente commercio tra il XIX e il XX secolo.

59 Mimì, da anziano, spesso narrava ai nipoti la profonda solitudine delle domeniche in seminario, quando gli

altri compagni andavano a far visita alla famiglia, ma Sfax distava da Cartagine circa 300 chilometri e lui non aveva tanti mezzi. Narrava che un giorno fu invitato dai genitori di un compagno. Provenivano dal Massachussetts, dagli Stati Uniti d’America. Gli offrirono una merenda con pane tostato, burro e marmellata. Mimì non conosceva il burro e lo trovò sgradevole. Lo consolarono con della cioccolata. Il compagno si chiamava Francis Joseph Spellman e diventerà cardinale di New York, prelato molto influente della politica americana per oltre un ventennio. Sostenitore dell’anticomunismo di Mc Carthy e della politica estera di Kennedy nelle crisi internazionali negli anni Sessanta. I due compagni di seminario si riabbracciarono a fine anni Cinquanta durante lo scalo dell’aereo dell’alto prelato all’aeroporto di Tripoli.

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alla maniera degli anarchici. Aveva sposato Romilde Vannucci di quattro anni più giovane, donna dal portamento altero, quasi regale, tanto che la assimilavano alla regina Margherita. Ma con i monarchi Romeo non voleva aver niente a che fare. Passava per una testa “calda”, anche se in fondo era un mite e non avrebbe fatto male neanche a una mosca. Si era fatto la fama di essere un provocatore e quelli erano i tempi dei moti della Lunigiana61.

Politicamente esposto, lo toglievano dalla circolazione mettendolo in carcere, insieme a mezzo paese, solo se un re, regina o uomo di governo girava da quelle parti.

Romeo era stanco di quel vivere e, nel 1901, si trasferì con la famiglia al sud, su lidi più tranquilli del Mediterraneo, dove il lavoro da marmista non mancava: la Tunisia.

Romeo e Romilde ebbero nove figli. Cinque figlie femmine: Elmira, Margherita, detta Peppina, Lidia, Elda e due maschi: Luigi e Dante nati in Toscana. A Sfax poi, nel 1902 e nel 1903 nacquero Jean ed Assunta.

Non immaginava certo che quel nipote di Tommaso, che Romeo chiamava il “pretino”, si sarebbe innamorato di sua figlia fino a “spretarsi” e che Lidia l’avrebbe atteso per sposarlo. Mimì rinunciò a prendere i voti, si mise a lavorare e fece altri mille mestieri pensando di mettere su famiglia.

Ora che la madre e alcuni fratelli l’avevano raggiunto a Sfax, su di lui, che era il maggiore, pesavano aspettative e responsabilità. Aveva studiato e, in un paese in cui la maggior parte delle persone era analfabeta, era un punto di riferimento per quella collettività di emigrati. Nel 1908, Mimì decise di spostarsi in Tripolitania. Come raccontava ai nipoti era andato là «… a fare lo spione per il governo italiano …» facendo il pendolare colla Tunisia colle carovane e camuffandosi da commerciante di tappeti e filati.

Ufficialmente vi sbarcò con una divisa militare il 26 Ottobre 1911, come riferisce l’annuario dei “pionieri” della conquista libica62.

9.3 - «Tripoli bel suol d’amore»

Nel 1881, con un’occupazione militare, la Francia aveva istituito un protettorato sulla Tunisia. I numerosi immigrati che fino ad allora avevano mantenuto la cittadinanza italiana e goduto di un di un vero e proprio privilegio d'extraterritorialità per le loro attività, si trovarono davanti

61 La Lunigiana è un’area geografica tra Liguria e Toscana. Nel gennaio del 1894 gli anarchici insorsero contro il

governo di Francesco Crispi. Nacque come manifestazione popolare per le repressioni contro i cosiddetti «Fasci siciliani dei lavoratori», si trasformò in scontro con le forze dell’ordine. Ci fu una carica di cavalleria con morti e feriti tra gli insorti e cadde un carabiniere. Molti dimostranti furono arrestati, alcuni ripararono sui monti. Un anarchico attentò a Crispi e ci furono processi sommari di tribunali militari e così anche gli anarchici “senza colpe” evidenti o i socialisti venivano preventivamente messi in galera o inviati al confino solo per il fatto di essere conosciuti come tali.

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all’alternativa di optare per la nazionalità francese, beneficiando degli stessi diritti dei coloni d’Oltralpe, oppure rimpatriare o emigrare in Libia che si pensava, sarebbe diventata italiana. Si diceva, infatti, che le potenze internazionali avrebbero “chiuso un occhio” sull’occupazione italiana della Libia che, in fondo, era ben poca cosa rispetto allo scippo coloniale perpetrato da Francia ed Inghilterra attestate saldamente ad Ovest ed Est nell’Africa mediterranea 63. Già dalla fine dell’Ottocento, Manfredo Camperio, esploratore di convinzioni nazionaliste, considerava possibile l’occupazione italiana della Libia ed ora la possibilità era diventata “necessità”, anche se appariva come “un premio di consolazione”.

«Francisi e inglisi si mangiaro u pisci e ni lassaro a resca!» 64 ironizzava in teatro l’attore comico siciliano Angelo Musco, commentando la politica internazionale della spartizione delle colonie.

I pionieri italiani lì residenti, erano una piccola comunità di poco più d’ottocento persone, per lo più ebrei toscani occupati in attività imprenditoriali che mantenevano un saldo contatto con la madrepatria. A Tripoli avevano fondato un’agenzia di credito che successivamente darà origine al connubio col Vaticano nel Banco di Roma, un giornale in lingua italiana, una linea di navigazione con l’Italia e una scuola in lingua italiana, ebraica e araba.

Gli scambi commerciali tra Italia e Tripolitania riguardavano la compravendita di tappeti, filati, pellame e soprattutto sparto, una pianta erbacea perenne, le cui fibre erano utilizzate per produrre carta e cordami. Queste attività commerciali, spesso, erano una “copertura per spiare”, per conto del governo italiano, le capacità militari turche e gli umori della popolazione araba.

I servizi di intelligence utilizzavano, infatti, gli italiani provenienti sempre più numerosi dalla Tunisia. Sapevano molto bene dialetto, lessico, fraseologia, consuetudini ed abitudini degli arabo-berberi ed essendo per lo più d’origine siciliana, bruni e di carnagione scura, si mimetizzavano con gli indigeni.

Mimì che parlava perfettamente arabo, italiano e francese per questa conoscenza delle lingue e soprattutto per la sua capacità di relazionare con le popolazioni locali, venne contattato per fare l’informatore sullo stato di quei territori.

63 Ai francesi non interessava e avrebbero accettato che gli italiani prendessero la Libia per “riparare allo

schiaffo di Tunisi” inflitto all’Italia con l’occupazione della Tunisia. Ancor meno interessava agli inglesi che da Gibilterra a Malta, dall’Egitto a tutto il Mar Rosso controllavano ormai le vie d’acqua con l’Oriente; anzi un’occupazione italiana della Libia era gradita per arginare la politica espansiva coloniale francese nel Mediterraneo occidentale.

64 “Francesi ed inglesi si sono mangiati il pesce e ci hanno lasciato la lisca”. La battuta satirica si fa risalire ad

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Nel contempo saggiava le possibilità di lavoro nel settore edile e commerciale: acquistava terreni e costruiva case.

In Italia, intanto, non si parlava altro che di Libia: per alcuni c’era il timore della guerra, per altri la conquista della Libia era un miraggio di prosperità e potenza, per altri ancora era un’opportunità per contenere l’emigrazione nelle Americhe.

Nel contraddittorio che agitò l’Italia, tra le indecisioni, i dubbi 65 prevalsero le certezze e l’ottimismo e anche un governante saggio come Giovanni Giolitti66 si convinse che la guerra si doveva fare67.

Così l’inebriante profumo di «Tripoli, bel suol d’amore» ubriacò gli italiani e il patriottismo risorgimentale si trasfigurò nel nazionalismo colonialistico. La «Grande Proletaria»68 finalmente si mosse il 3 Ottobre 1911.

Gli italiani: nobiluomini in cerca di gloria, borghesi in cerca d’affari, nobildonne vestite da crocerossine in cerca d’emozioni, contadini veneti, emiliani e siciliani, braccianti del Centro- Sud Italia, italiani della Tunisia, Mimì compreso, indossarono il casco coloniale e andarono ad issare il tricolore su quelle dune di nessuno, o quasi.

65In parlamento Giustino Fortunato, deputato eccessivamente scrupoloso e spesso d’idee mutevoli, in una seduta

esternava la sua preoccupazione sui progetti bellici coloniali di «… quella piccola nazione appena uscita dalle guerre d’indipendenza». In un’altra si contraddiceva, rammaricandosi per il fatto che il Mediterraneo fosse diventato un lago franco-inglese e quindi si doveva conquistare Tripoli a qualunque prezzo e in un altro intervento, altrettanto contraddittorio, sosteneva che se «… Tripoli non poteva essere italiana, rimanga com’è, una provincia della Turchia». Il socialista e pacifista Francesco Papafava affermava che la Tripolitania doveva restare a disposizione dell’Italia, « … per quando l’Italia potrà e vorrà occuparla …», senza tener conto di cosa avrebbero fatto gli ottomani per tenersela. Cesare Lombroso, antropologo criminale e giurista di grande prestigio temeva che il successo della spedizione tripolina ci avrebbe inebriato e avrebbe orientato la nostra politica non più verso la libertà, ma verso le idee imperialistiche. Non aveva torto, ma i più, la stampa e l’opinione pubblica, gli intellettuali continuavano a dire: «Quei quattro libici sparsi in un territorio grande cinque volte l’Italia, ci accoglieranno come i liberatori dal giogo ottomano; non sono molto diversi dai siciliani e calabresi e con un po’ di Francescani al seguito, magari si convertiranno al cattolicesimo e s’integreranno. Si va a Tripoli perché innanzitutto è romana, […] è ricca, fu il granaio di Roma e il lavoro italiano farà miracoli. Mai più la fuga di braccia, mai più i nostri figli in paesi stranieri […] gli arabi sono venali ed infingardi e basterà saperli vezzeggiare e comandare [….] Andare a Tripoli è anche un dovere di civiltà …» Sergio Romano 2005, La

quarta sponda. La guerra di Libia 1911-1912, Milano, Longanesi, p. 28.

66 Giovanni Giolitti fu, dal 1892 al 1915, più volte presidente del Consiglio. La sua politica moderata, antitetica a

quella aggressiva di Francesco Crispi, riusciva a far convergere nel dibattito parlamentare i temi graditi alla Destra e alla Sinistra storica.

67 Per Giolitti la guerra libica era necessaria « … per cercare un giusto equilibrio nel Mediterraneo e per creare

uno sfogo alle dilaganti tendenze nazionalistiche e […] alle aspirazioni più pericolose, irredentistiche …» . Angelo Del Boca 2008, Italiani, brava gente?, Vicenza, Biblioteca Neri Pozza, p. 110.

68Cominciava così il discorso di Giovanni Pascoli pubblicato su «La Tribuna» del 27 novembre 1911, nel quale

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9.4 - Dalla Tunisia alla Libia.

Mimì e Lidia si sposarono a Sfax nel 191369 e poi si trasferirono stabilmente a Ḥoms70, dove nacque Concetta.

Il trattato di Losanna, il 18 Ottobre 1912, aveva messo fine alla guerra italo-turca, ma non alla guerriglia con le popolazioni arabe che, fomentate da ufficiali turchi e guidate dai capi

qabīlah 71, aderenti alla confraternita religiosa della Senussia, avevano ridotto, di fatto, la sovranità italiana alle città della costa: Tripoli, Ḥoms, Misurata e Zuara72.

Nel 1915, nella I a Guerra Mondiale, l’Italia fu opposta agli Imperi Centrali e di nuovo si trovò contro la Turchia, alleata di Austria e Germania.

Mimì aveva intrapreso l’attività di costruttore edile ed era impegnato per trasformare lo “scaro” di Ḥoms, un’insenatura usata per l’ancoraggio e lo stallo delle barche dei pescatori, in un porto con un molo per l’attracco delle navi.

La città venne bombardata dai tedeschi dal mare e Lidia e la piccola Concetta trovarono riparo in campagna, mentre Mimì, che era scampato miracolosamente al bombardamento navale infilandosi in un pozzo del porto, fu mandato sulle alture del Mergheb, in arabo al-marġab, per rinforzare il forte che dominava la città, attaccato da terra dagli arabi.

Finita la guerra, pacificata parte della Tripolitania, il governo italiano frammentò quello «scatolone di sabbia»73 in “concessioni agrarie” per distribuirle ai coloni, perché le coltivassero.

Poi gli italiani cominciarono a costruire città e villaggi, strade, porti, chiese, mercati, ospedali, a scavare pozzi, a far muovere navi dalla madrepatria cariche di aratri e badili, mulini, frantoi e camion. Ora si sentivano grandi tra i grandi, avvolti nel mito imperiale di Roma, finalmente a lavorare in “casa propria”.

Così anche i fratelli, le sorelle e i cognati raggiunsero Mimì, trasferendosi dalla Tunisia alla Libia. A Sfax rimase solo Emanuele, Nele, che sposò Josephine, dando origine al ramo

69 Come risulta nel registro dei «Mariages civils et catholiques en Tunisie».

70 Homs, Al-Khums, è una città della costa libica a circa Km 120 da Tripoli e a pochi chilometri dalle rovine

della città fenicia Lebda, la romana Leptis Magna. Costruita dagli ottomani, il suo ancoraggio era importante per l’esportazione dello sparto, una pianta perenne le cui fibre sono impiegate per produrre carta e cordami. La città è sulla strada camionabile litoranea.

71 La cabila, qabīlah è un clan, famiglie legate da legami di parentela e affinità.

72 Le popolazioni arabe, fomentate dai turchi, tra i quali Enver Bey, un ufficiale che apparteneva al movimento

dei Yeni Türkler, Giovani (Nuovi)Turchi continuavano a resistere. I capi della guerriglia che appartenevano alla confraternita dei Senussi: facevano scorrerie, imboscate, tagliavano le vie di comunicazione, razziavano i capisaldi e i presidi italiani. Gli italiani furono costretti ad un ritiro generalizzato in quasi tutta la Libia, e si limitavano ad occupare solo alcune città della costa: Tripoli, Misurata, Ḥoms e Zuara. Con alterne vicende la guerriglia dei patrioti libici continuò fino al 1931, quando fu repressa e giustiziato il leader, Omar Al-Muḥtar.

73 Così aveva definito la Libia, Gaetano Salvemini, deputato socialista contrario all’intervento coloniale. Per

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francese della famiglia. Totò, prolungata la ferma di sottufficiale dell’esercito, sposò un’emiliana, Antonia, Tonina e infine rientrò in Italia. Vennero poi in Libia le sorelle Marianna e Rosina maritate con altri comisani74 conosciuti a Sfax; Peppino, il fratello più piccolo che, innamoratosi di Assunta, la sorella più giovane di Lidia, la sposò.

In Libia arrivarono anche le sorelle di Lidia: Elmira, Elda e Margherita (Peppina)75, ramo toscano della famiglia, che avevano sposato dei siciliani di Sfax. Il fratello di Lidia, Luigi, un “ragazzo del Novantanove” della Prima Guerra Mondiale, si accasò in loco con una maltese, Lucia, Dante con una pugliese, Lina.

Tutti si sistemarono in Libia, compresa la madre di Mimì, Concetta, i suoi suoceri Romeo, chiamato alla toscana «il Bà» e Romilde «la Mà» e l’anziana mamma di lei, Marianna Bertoli che nipoti e pronipoti che nacquero poi numerosi, chiamarono: «Nonnina».

Il 18 ottobre 1916 nacque Berengario. La nascita del figlio maschio realizza la continuità della stirpe e secondo la tradizione, gli fu messo il nome del nonno paterno.

A Ḥoms si era formata una comunità di cinque generazioni tra parenti, paterni e materni, un’autentica colonia di zii e cugini di vario grado, estesa ad amici e conoscenti, che negli anni “stringevano” relazioni tra le famiglie con nuovi vincoli: compari e comari di matrimonio e di battesimo dei figli.

Ḥoms era “il terreno” dove affondavano, profonde, le radici delle due famiglie che si allargavano, s’intersecavano e capillarizzavano con quelle di altre gruppi di italiani e maltesi. Sopraggiunsero altri italiani inviati dal governo, funzionari amministrativi o militari che si