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Tripoli, 9, 7, 1948. Istruzione superiore, geometra.

La famiglia è emigrata a Tripoli da Lampedusa nel 1912, dove ha vissuto fino al rimpatrio. Il padre commerciante di mobili viene informato da amici libici di un imminente colpo di stato probabilmente, alla morte del re. Decidono di vendere l’attività e di tornare in Italia. Raffaele è di leva e fa l’ufficiale a Foligno. Non rinnova la ferma perché, conoscendo le lingue vorrebbero passarlo di grado, ma avviarlo ai servizi segreti. Si mette a lavorare come disegnatore meccanico e poi si impiega al’INPS grazie ai benefici dello status di profugo. Salvo qualche battuta di colleghi non subisce discriminazioni, ma racconta lo squallore dei campi profughi di Latina e Frosinone dove furono avviati alcuni suoi familiari.

Sono Raffaele Brignone, figlio di Rosario, il mobiliere che era a Tripoli. La famiglia di mio padre migrò in Libia da Lampedusa dal 1912 e da allora io e le mie sorelle siamo sempre stati lì fino all’avvento di Gheddafi. Mio padre che era molto legato a personaggi dell’esercito, nel 1969, fu avvertito che qualcosa stava succedendo: o la morte del Re o qualcuno del governo che voleva andare al potere. Allora mio padre che aveva grandi magazzini come deposito, perché prima che arrivasse la merce dall’Italia passavano almeno tre mesi e quindi non si

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poteva aspettare disse: «Vendiamo tutto quanto, torniamo in Italia, le tue sorelle sono già in Italia e andiamo pure noi. Però tu appena arrivi in Italia ti prendono militare.

Infatti, io quando andavo in Italia come turista avevo il visto parziale […].

Anche io […], pur essendo orfano di guerra, avevo lo stesso problema.

Mio padre parlò col Maresciallo Ciancio, che era l’addetto militare dell’ambasciata e questi gli disse: «Non ti preoccupare. Gli faccio la visita militare e lo iscriviamo alla scuola allievi ufficiali».

Mio padre ha venduto e ha trasportato tutto il suo capitale al mercato nero tramite una banca che non faccio nome …»

Banco di Roma, dai!

Bravo! Bravo!

L’abbiamo fatto tutti. Prendeva dal 18% sul capitale trasferito, ma anche al 35 … a seconda di chi eri, se conoscevi ….

Sono andato a fare questa scuola militare a Foligno, scuola ufficiali.

Dentro incontrai un maresciallo che mi fermò e mi disse: «Tu vieni dalla Libia? Non potevi restartene là? Cosa vieni a fare qua?».

Risposi: «Lei maresciallo si reputi fortunato che se quando sarò ufficiale non torno qua, perché lei passerà guai». Se n’è andato via in silenzio …

Come ti hanno accolto, tu che eri un libico […]. Quanti anni avevi allora?

Diciannove anni quando sono rientrato in Italia. Mentre stavamo facendo le esercitazioni militari un mio collega mi disse: «Lo sai che in Libia c’è stato un colpo di stato?».

«Ma stai scherzando?» … gli dissi, perché non sapevo niente.

Quando siamo rientrati in Italia, noi avevamo già casa e non ci hanno mandato al campo profughi di Latina e Frosinone. Là mettevano i prigionieri slavi che faceva l’Italia durante la guerra. Li portavano in questi campi di concentramento. I miei parenti, i miei zii sono stati in questi campi di concentramento: una famiglia di cinque persone in una stanza di metri 4x5 con letti a castello, due sedie ed un tavolo. Mangiavamo fuori all’aperto nelle gavette d’alluminio e là dentro c’era tutto tranne che la minestra. Dopo un certo periodo li trasferirono in un albergo ma un mese dopo gli dissero che dovevano andar via. Gli diedero 500.000 lire, un letto un materasso, le lenzuola e gli dissero che dovevano trovarsi una casa, ma dovevano andare via da là. Dal campo. Io, poi trovai lavoro a Senigallia come disegnatore meccanico.

Come mai non hai continuato la carriera militare come ufficiale?

Mi avevano fatto la proposta di firmare per la carriera militare. «Ti mandiamo in una scuola militare, tu conosci l’arabo, l’inglese …, ti passiamo di grado …».

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Sono andato in questa scuola, ma ho capito che era una scuola per i servizi segreti e io mi volevo sposare. Là a trent’anni non ti facevano sposare.

C’era discriminazione nei confronti dei cosidetti italo – libici a causa delle agevolazioni concesse ai profughi? […].

Ti dirò che sono perfino arrivati a chiamarmi a casa per un posto di disegnatore meccanico di attrezzi per la lavorazione del legno. Mi hanno messo nel settore di progettazione delle macchine, progettista. C’era il capo-officina che un giorno è venuto su a dirmi: «Ma tu vieni dalla Libia? Ma tu sei venuto in Italia per rubarci il lavoro?»

Ho risposto che non rubavo il lavoro a nessuno. Me lo hanno offerto, sono venuti a casa a chiamarmi i proprietari della fabbrica per venire a lavorare qui.

Ti hanno fatto ostruzionismo?

No. Ho detto al capo officina: «Se vuoi che restiamo amici, bene. Se poi tu non vuoi rapporti con un italiano che è nato in Libia e che è stato cacciato da Gheddafi, tu stai in officina, io sto qua nel mio ufficio di tecnico …

Dopo lo Stato ha aperto i concorsi riservati ai profughi alle Poste ed al INPS. Non conoscevo il tipo di lavoro e così ho chiesto [dove conveniva andare].

Mi han detto: «E’ meglio l’INPS perché danno quindici mensilità, a Dicembre danno delle sovvenzioni per la legna [del riscaldamento].

E così sono entrato così all’INPS, ma con un concorso di terza categoria.

Poi ho fatto tutti i concorsi interni possibili ed immaginabili e […] dopo vari anni di servizio all’INPS sono andato in pensione. […] .

Intervista De visu a Paderno del Grappa il giorno 08,09,2018.