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SECONDA PARTE LE STORIE, LA MEMORIA

8 LE STORIE INDIVIDUAL

Maria Mortellaro

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Nata a Tripoli, 1944. Istruzione Media. Professione casalinga.

Le famiglie, paterna e materna, erano originarie dalla Sicilia. Ambedue i nonni paterni sono di Siracusa. Il nonno va in Libia in servizio di leva come finanziere, nel 1911. Dopo la guerra italo - turca, apre un’attività commerciale di generi alimentari all’ingrosso. Si sposa e i figli nascono e crescono in Libia. I nonni materni provengono dalla provincia di Trapani, il nonno di Paceco e la nonna di Marsala, ma fin dalla prima infanzia dei figli emigrano in Tunisia e poi in Libia.

Maria, il marito Guido ed il primo figlio rientrano volontariamente in Italia colla nave, il 23 maggio 1970, perché a Guido le autorità libiche non hanno rinnovato il permesso di lavoro. Si stabiliscono a Padova il 6 giugno .

Intervista telefonica, il 7 luglio 2018.

50 Ligi Gianluca, Lezione d’Antropologia Sociale Magistrale, 4,3, 2012, A.A. 2012-2013, Università Ca’Foscari.

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Quando siete rientrati dalla Libia?

Siamo partiti da Tripoli il 23 maggio del 1970, un po’ prima dalla confisca. Sono arrivata a Padova il 6 di giugno. Siamo in Italia da 48 anni.

La tua famiglia da quanti anni risiedeva in Libia?

Mio nonno Francesco andò in Libia nel 1911. Era finanziere e partì per la guerra del 1911, mandato dall’esercito italiano che andava a conquistare la Libia.

Da dove proveniva?

Da Siracusa. Tutti e due i miei nonni provenivano da Siracusa.

Tuo nonno nella vita privata cosa faceva?

Quando è finita la guerra mio nonno è rimasto là ed ha aperto un negozio di generi alimentari all’ingrosso. Poi lui si è sposato con mia nonna che era anche lei di Siracusa ed è venuto con lei in Libia. Ebbero cinque figli

I nonni materni erano di Siracusa pure loro?

No, uno era di Trapani, anzi di Paceco, mentre mia nonna era di Marsala. Però, quando i figli erano piccoli, di sei o sette mesi li avevano portati in Tunisia. Quindi loro avevano vissuto in Tunisia.

Questo rientra nello schema caratteristico di tanti italiani che andavano prima in Tunisia, per poi trasferirsi in Libia. Storia simile a quella di mio nonno.

Mia mamma e i miei zii, infatti sono nati a Tunisi. I miei nonni [materni] hanno avuto tre figli e tutti e tre nati a Tunisi.

L’argomento della tesi riguarda comunque il rientro in Italia … voi mi sembra che avevate una campagna a Gurgi o Gargaresh …

Mio nonno [paterno] quando i figli dovevano andare a scuola li mandò in Shar’a Espaniol, [la sede antica dei Fratelli delle Scuole Cristiane]. Mio padre e mio zio Paolo, che si toglieva con mio padre solo diciassette mesi, erano tutti e due ex allievi dei Fratelli Cristiani.

Poi, questo negozio di mio nonno ha preso fuoco, si è incendiato. Dopo, mio nonno ha comprato dei terreni che sono rimasti là fino al momento del rimpatrio. Erano terreni che in parte aveva dato ai figli … per coltivarli.

Tuo padre di che anno è?

Del 1920.

Mio padre era del 1916 ed anche lui frequentava la scuola dei Fratelli Cristiani in Shar’a Espaniol. E adesso che abbiamo contestualizzato da quanto tempo la tua famiglia risiedeva in Libia, passiamo a parlare del vostro rimpatrio.

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Come è stato il vostro rientro […] l’accoglienza in patria degli italiani che stavano all’estero, a Tripoli?

Noi siamo partiti il 23 maggio e siamo partiti perché c’erano già problemi. A Guido hanno detto che era un po’ difficile rinnovargli il permesso di lavoro e quindi di residenza in Libia. A quel punto Guido ha detto: «Va ‘bbè, vado via! ». Anche Carlo, medico e amico nostro ci aveva detto che anche lui andava via. Sì, lui è partito una settimana prima di noi e così siamo partiti anche noi due mesi prima della confisca. A Padova sono arrivata il 6 giugno.

Dove lavorava Guido a Tripoli?

Prima ha lavorato all’Alitalia e poi è andato a lavorare come contabile dall’ingegner Muntasser che era un privato.

Voi siete arrivati con l’aereo…?

No, no noi siamo arrivati con la nave.

Vi siete pagati il biglietto …?

Questo non me lo ricordo, ma sicuramente abbiamo pagato il biglietto, perché noi non siamo stati cacciati dal decreto d’espulsione come gli altri italiani, il 21 luglio del 1970, ma costretti [dalle circostanze] ad andar via.

Come siete stati accolti a Napoli?

A Napoli non siamo stati accolti tanto bene!

Intanto ci hanno detto di andare a fare colazione in un bar lì di fronte che avevano messo a disposizione. Io la colazione non l’ho presa perché avevo sentito quelli che erano scesi prima di noi. Mi hanno detto che non hanno mangiato quelle brioche perché erano dure di almeno due giorni. Hanno avuto a che dire perché facevano proprio schifo. Gli hanno detto: «Noi non mangiamo questa roba qua, datela a chi volete voi …, ma non alle persone».

Alcuni se la sono pagata la colazione [altrove].

Poi dovevamo andare al campo profughi per avere il certificato di profugo. Siamo andati col pullman al campo profughi e poi quando siamo usciti da là e abbiamo ritirato la macchina [arrivata da Tripoli colla nave], abbiamo chiesto ad uno del campo profughi dove dovevamo andare per Roma. E questo ha detto: «Se volete l’indicazione … datemi diecimila lire». C’era uno dietro di noi che aveva visto e sentito tutto e gli ha detto: «Ma non ti vergogni a chiedere soldi a questa povera gente?». Poi ci ha detto di seguirlo e ci ha accompagnato.

Le autorità italiane vi sono state amiche o vi trattavano con distacco e fastidio?

Questo non te lo so dire perché, noi siamo arrivati in giugno, c’erano le ferie e Guido andava in giro in cerca di un lavoro. Trovò una fabbrica, la “Gorena” che faceva camice e altri capi d’abbigliamento. Cercavano personale.

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Era già settembre, ma sono stati disponibili e l’hanno assunto. Gli hanno detto: «Noi l’assumiamo, però non è che le cose qua vadano molto bene e glielo faremo sapere». Ha lavorato là per un anno, ma poi hanno dovuto ridurre il personale, ma gli hanno dato tutto il tempo per trovarsi un nuovo lavoro. Poi ha lavorato alla “Siatem”, una ditta dove c’erano professori universitari che facevano apparecchiature elettromedicali in zona industriale e lì è rimasto fino alla pensione.

Ma gli italiani d’Italia, i nostri connazionali, come vi hanno accolto al vostro rientro? Avete avuto problemi, invidie, rivalità?

Con me personalmente no. Almeno allora, però quando sono arrivati gli altri, sai che i profughi sono arrivati tutti in luglio, per esempio lo zio di Renzo e altri che cercavano tutti casa, rispondevano: «No, ai profughi no!».

C’erano difficoltà, non ti davano le case perché pensavano che venendo da fuori, che eravamo profughi e quindi …

Dicevano [i profughi] : «Sì, noi paghiamo anche un anno anticipato, abbiamo bisogno di una casa perché non sappiamo dove andare! Siamo gente a posto». Loro invece dicevano che noi eravamo venuti a prendere loro il lavoro. Sai, questo per sentito dire, perché a me … io personalmente non posso dire di essere stata trattata male, però dicevano: «Ora che vi hanno cacciato dalla Libia, venite qui e volete le case, il lavoro … venite a levare il lavoro a noi».

Effettivamente questo è capitato. Diffidenza … Per esempio chi andava a fare domanda nelle graduatorie delle scuole per le cattedre, praticamente ti additavano: «Questo è un libico».

È capitato personalmente anche a me … in ospedale [nel concorso per l’assunzione] i punti in più dati ad un profugo davano fastidio, a parte che io ero anche orfano di guerra.

Sì, so che qualcuno ha avuto questi problemi e gli dicevano: «Siete arrivati qua per venire a levare il lavoro a noi …». Ma a me non è mai successo. Dicevano che eravamo tutti fascisti, i tripolini sono fascisti, sono arrivati i fascisti …

A Bologna i profughi dalmati non li volevano far scendere dal treno e buttavano il latte per terra … pur di non darlo ai bambini dei profughi dalmati e dell’Istria; lo buttavano per terra. Questo è stato il nostro rientro in patria e poi …

Io personalmente ho trovato una persona che stava nello stesso pianerottolo mio che ci dava consigli, andate qua, andate là … fate così, veramente io non posso dire di essere stata trattata male. Io ho trovato questa famiglia di persone disponibili. Avevo mio figlio Alberto piccolo e mi hanno aiutato. Dopo un mese, un mese e mezzo dopo è arrivata mia sorella incinta e mio cognato … Io cercavo casa nel quartiere nuovo di San Carlo e abbiamo trovato lì vicino un

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palazzo in costruzione, quasi finito. Ho trovato il costruttore che mi ha detto che aveva un appartamento […] e me lo ha dato. Gli ho chiesto se voleva una caparra [vista la situazione generale di diffidenza nei profughi] e lui mi ha detto di no che l’appartamento me lo dava in fiducia e che gli bastava la parola. Ha detto:«Io glielo do per un paio di anni, dopo se lei ha la possibilità di acquistarlo bene […] altrimenti me lo deve lasciare. Se lo compra qualcun altro per affittarlo gli dirò di favorire lei». Dopo due anni lui ha messo in vendita l’appartamento, ma prima lo ha detto a me e siccome io non potevo comprarlo lui mi ha detto che stava finendo un altro palazzo e che non mi metteva in strada […]

Riassumendo, hai avuto gesti di solidarietà da parte dei nostri connazionali […]. Cosa rimpiangi della Libia, avevi 25 anni, appena sposata un bambino piccolo. Hai nostalgia ora che ti sei ambientata nel tessuto sociale italiano?

Nostalgia! Rimpiango le amicizie, sono venuta a Padova e non è che tutti gli amici e parenti siamo venuti tutti qua nel Veneto. Io poi ci sono ritornata a Tripoli nel 2009.

Come l’hai trovata?

Nel centro fino alla fiera era tutta più o meno uguale, dalla fiera in poi, il Lido poi ! Lì non ci ho capito più niente. Non mi sono più potuta raccapezzare: strade nuove, cercavo dei riferimenti, ma non li trovavo proprio. Però sono andata in Shar’a Mohammad ‘Abda, lì in dove abitavamo noi poi, con altri due, la zona dove abitava mia nonna, mia mamma, dove abitava il papà di Guido, dove avevano il forno e passando abbiamo fatto quella nostra strada, sono passata da Shar’a Mizrān e da Shar’a Mohammad ‘Abda, dal ex Via Porta Pia.

Qui ho incontrato un uomo davanti alla porta dove abitavo io e gli ho detto che avevo abitato lì e lui mi ha chiesto: «Ma dove? Qui?».

Mi ha fatto entrare e c’era una signora che non sapeva parlare neanche una parola di italiano e mi ha fatto vedere la casa.

Ecco lì sì che ho avuto un momento di commozione, no quando sono arrivata a Tripoli e c’era gente che piangeva. Sì, c’era la gente che piangeva. Là mi è venuto da piangere a vedere casa mia. Questa qui a vedermi in lacrime mi ha detto: «Torna domani e mangia con noi!». Ho rifiutato, ho detto grazie e le ho detto che dovevo partire …

Maria, ti ringrazio. Un’ultima cosa sulla nave quando siete partititi da Tripoli [per rimpatriare] come era l’atmosfera?

Io ricordo che c’era la tristezza di una collega di Guido che lavorava all’Alitalia. Anche lei rimpatriava definitivamente con la famiglia, marito, due bambini. Non so se la ricordi, Adriana Quattrocchi.

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Andavano a Genova. Il viaggio è stato bruttissimo perché c’era mare mosso. Lei rimpatriava definitivamente, mentre gli altri sapevano che poi dovevano tornare perché ancora non c’era stata la confisca e l’espulsione.