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Tripoli, 12, 7, 1950, Istruzione superiore, Ragioneria; attore.

La famiglia è d’origine siciliana, già emigrata in Tunisia, si è recata a Tripoli nel 1911. È composta da genitori e quattro figli. Sfollati in Sicilia durante la guerra ritornano a Tripoli e abitano in un quartiere popolare. Il padre lavora con la società del Gas. Durante il regno di Idris si trasferiscono in centro città perché le “Case operaie”, dove abitano, vengono riassegnate ai libici.

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Dopo il diploma inizia a lavorare a Tripoli, prima come fattorino e poi come impiegato, ma sopraggiunge la rivoluzione del 1969.

Il 21 luglio 1970, quando fu emanato l’editto di espulsione di Gheddafi, Franco è in Italia a Ostia e non torna a Tripoli. La famiglia rimpatria nel settembre 1970. Franco passa un breve periodo nel campo profughi di Calzanella a Napoli e descrive le condizioni “disumane” e di igiene del campo, dove si affollano già profughi dalla Somalia e della Tunisia, da anni in attesa di sistemazione. Vive a Ostia. Hobby: attore, scrittore.

Intervista telefonica, 11, 08,2018.

Mi chiamo Franco Macauda e sono nato a Tripoli nel 1950.

La mia famiglia paterna è andata a Tripoli nel 1911, passando dalla Tunisia. Mia madre invece era nata ad Avola in Sicilia nel 1920, ma nei primi anni di vita si era trasferita a Tripoli. I miei genitori si sono conosciuti a Tripoli. […]

Durante la guerra la mia famiglia dovette andare in Sicilia come profughi [sfollati] tanto che le mie sorelle sono nate là, a Pachino.

Dopo la guerra i miei vollero ritornare a Tripoli nel 1949 e quindi io che fui il quarto figlio nacqui a Tripoli l’anno successivo.

Da quel momento in poi ho vissuto a Tripoli, in un quartiere molto popolare, in periferia, quasi in campagna, le case operaie che erano quelle case basse e bianche con intorno un grande giardino.

Conosco queste case; erano nella zona della parrocchia di Sant’Antonio [la squadra di calcio dell’oratorio di Sant’Antonio era nota per essere molto forte; era antagonista di quella della scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane di La Salle).

Poi ci fu un editto del Re e queste case furono date agli arabi, Così noi tutti che abitavamo in quella zona ci trasferimmo in città.

Io andai ad abitare in Shar’a Michelangelo che era adiacente alla chiesa della Madonna della Guardia. Da quel momento ho abitato a Tripoli, di fronte alla Madonna della Guardia, in zona Corso Sicilia.

Io ho abitato, anzi sono nato dentro il Lido di Tripoli perché mio nonno ne era proprietario e da Corso Sicilia ci passavo tutti i giorni e quindi quella zona la conosco molto bene fin da piccolo.

Io avevo molti amici nella zona del Lido [nomina alcuni amici].

Arrivando ai giorni nostri, io mi trovavo proprio lì quando il colonnello Gheddafi fece il colpo di stato. Nella mia esperienza, nella mia famiglia quel giorno non ci fu un dramma o paura. Dalle notizie che ci arrivavano avevamo saputo che la polizia reale si era arresa, ma che non

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c’era stato spargimento di sangue. Un colpo di stato ma senza colpo ferire. Avevo avuto questo sentore. Nei giorni successivi ci furono 20 giorni di coprifuoco e noi amici ci incontravamo sui terrazzi. C’era qualcuno che faceva il sidro di mele per sopperire al fatto che non si aveva vino.

In quei momenti lì, che non uscivo di casa, li passavo sui tetti. Mia madre e mio padre uscivano in alcuni momenti per andare a comprare le cose da mangiare o a sbrigare le pratiche. Ricordo un signore che girava sui terrazzi a portare questo sidro. Dopo, preso il diploma di Ragioneria, ripresi la vita normale e da ottobre del ’69 mi misi a lavorare come fattorino della Ditta Branciamore, che importava tubi e materiali da costruzione.

Giorgio Branciamore mi instradò nella ragioneria e sulla contabilità affiancandomi una persona molto esperta. Presi le prime lezioni di guida, la patente però poi la presi in Italia e frequentavo anche amici e le prime ragazze.

Paradossalmente dall’ottobre del ’69 al giugno del ’70 fu un periodo felice della mia vita. Almeno personalmente. Invece qui sento degli amici che raccontano momenti un po’ drammatici …

Nel giugno del 1970 ho preso la nave e fu l’ultima volta che vidi la Libia. Mio Padre mando me, le mie sorelle e i miei nonni definitivamente in Italia, ancor prima che venisse l’editto di espulsione di Gheddafi.

Quando venne l’editto di espulsione degli italiani di Gheddafi noi già stavamo qui in Italia perché, lungimiranti, avevamo già comprato una casa ad Ostia. Venimmo qua, io soprattutto per cercare il lavoro e per fare il militare. Mio padre aveva detto: "«Prima andate avanti voi. Noi restiamo qui e se capita qualcosa vi raggiungiamo».

Così quando Gheddafi fece quell’editto di espulsione degli italiani, il 22 luglio credo che fosse, io ero già in Italia. Ho vissuto poco con drammaticità quell’evento, mentre nei racconti dei miei amici fu una cosa molto sofferta per loro. Io stavo in Italia, mi stavo già integrando e diciamo che quell’editto fu per me un’occasione per trovarmi un lavoro e per non fare il servizio militare.

Mi spiego, sfruttai quell’occasione per non fare il servizio militare. Intanto arrivavano tanti miei amici a Roma, Ostia, Latina; tanti amici di Tripoli.

Il mio contatto con i campi profughi fu un po’fortuito. Mia madre e mio padre arrivarono nel settembre del 1970 dopo aver sbrigato le pratiche imposte per il rimpatrio; io andai a prenderli alla nave. Non andammo al campo profughi perché avevamo già una casa.

Ho avuto la stessa situazione. Andai a prendere mia madre e mia nonna a Napoli per avere il certificato di profugo.

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La stessa cosa. Io andai a prendere mia madre a Napoli e chiesi di rimanere là coi miei zii al campo profughi di Calzanella di Napoli.

Ricordo che i tripolini che stavano in quel campo profughi là diventarono matti e fecero di tutto per poter sistemare e pulire quell’ambiente perché era veramente uno schifo. Prima che arrivassero i nostri connazionali tripolini cambiarono ben otto direttori nel giro di due tre mesi perché lì era veramente qualcosa di disumano, di schifoso.

C’erano ancora dei somali e dei tunisini in condizioni pazzesche: scarafaggi che camminavano, docce rotte e arrugginite, uno schifo, una cosa disumana, inimmaginabile. C’era già il malvezzo di prendersi i soldi destinati a loro e trattarli in quella maniera.

I tripolini hanno avuto questo di buono, mentre quei poveri somali […] bivaccavano …

Erano somali e tunisini o italiani della Somalia e Tunisia?

Italiani come noi. Prima di noi erano stati espulsi gli italiani dalla Somalia e anche dalla Tunisia … [da alcuni decenni prima].

Erano condizioni disumane […]. Lì c’era gente ormai da anni che viveva in condizioni veramente pietose. Non hai proprio idea di quello che c’era.

Ricordo che quando andai via già le cose funzionavano meglio … in virtù del fatto che “i nostri” videro subito che le cose andavamo male.

Io avrei voluto rimanere ancora a Napoli per iscrivermi all’Università a Lingue Orientali, ma mio padre mi fece venire a Ostia perché m’avevano preso a lavorare alla Posta. La mia famiglia in quel momento aveva veramente bisogno: lavoravamo in pratica io e mia madre soltanto. Mia madre faceva la maestra ed io alle Poste. Mia sorella si doveva sposare, i miei nonni e mio padre prendevano una pensione provvisoria, anzi mio padre proprio per niente …

Tuo padre a Tripoli cosa faceva?

Lavorava al Gas. Mia madre invece faceva la maestra alla Scuola Roma in Via Lazio.

La conosco. Si chiamava Scuola Elementare Roma. Era una scuola proprio di fronte al Liceo. Ci passavo davanti ogni giorno.

Quindi tornai a stare a Ostia per lavorare alle Poste. Ostia divenne la mia città e ora sono quasi cinquant’anni che ormai vivo a Ostia.

Gli italiani d’Italia i tuoi colleghi di lavoro come vedevano a te profugo della Libia?

Forse sarà il mio carattere, ma sinceramente ho trovato delle persone squisite. Anche mia madre e mia nonna sono state proprio amate, amate nel vero senso della parola. Anche io. Gli unici attriti, diciamo così sono stati sul posto di lavoro nel 1970-71, perché quando siamo entrati nel posto di lavoro, coloro che lavoravano lì volevano far entrare i loro figli. Sicuramente l’avrebbero ottenuto questo posto se non ci fossimo stati noi. Così ebbero nei

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nostri confronti un po’ di livore. Così, il primo anno e mezzo è stato triste perché percepivamo da loro un certo astio nei nostri confronti. Comunque anche con questo clima io personalmente sono stato voluto bene da tutti quanti.

Ci consideravano persone di destra, collusi col fascismo?

Io no, perché da subito ho mostrato le mie inclinazioni che sono di Sinistra. Ma anche i miei amici. Io ripeto forse l’unica cosa è stato questo malessere per aver occupato posti di lavoro in quattro e quattr’otto senza un concorso, senza niente. Ci sono rimasti male in questo senso. Per quanto riguarda la politica non ho avuto problemi …

So che frequenti Facebook, ma non so se hai visto certi post decisamente razzisti …

Io su Facebook ho deciso di non occuparmi né di calcio né di politica …

Leggo ciò che scrivono e noto questo rigurgito … tutto sommato rispetto le loro idee, pur non essendo d’accordo […].

Io credo che la maggiore difficoltà l’hanno avuta quelli dei villaggi, quelli che vivevano fuori Tripoli che si erano fossilizzati nel loro mondo, mentre chi viveva in città aveva comunque una visione più ampia.

Io dei villaggi non sono riuscito ad intervistare nessuno. Spero a Paderno del Grappa di trovare qualcuno che abitava nei villaggi. Qualcuno di Breviglieri o di Crispi, Giordani ….

Mac carissimo, è stato un vero piacere sentirti e ci vediamo a Paderno, spero.