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Tripoli, 1951. Istruzione Media, tecnico, specialista in elettronica dell’Aeronautica Militare. Nonni emigrati in Tunisia da Mazzara del Vallo e poi nel 1911 si trasferiscono in Libya, a Ḥoms e i figli nacquero in Libia. Duilio appartiene ad una famiglia numerosa di sei fratelli. Rientra in Italia il 17 settembre dopo i decreti di esproprio ed espulsione. Al porto di Napoli, i profughi vengono perfino derubati dei sacchetti della colazione. Duilio, grazie ad un “commendatore nostalgico fascista” che prende a cuore la storia dei profughi libici, ottiene un lavoro a Roma come lavamacchine e il padre lo trova in una azienda di acque minerali. Duilio si arruola in aeronautica e, come sottufficiale, si specializza in informatica militare e tecniche di fotografia. Con questa qualifica trova un’occupazione in un’industria fotografica.

Intervista telefonica, il 10, 7, 2018

Raccontami la storia della tua famiglia. Quando siete emigrati in Libia, cioè la tua famiglia?

Papà e mamma ebbero sei figli, tutti nati in Libia. Mio padre è nato a Tripoli, mia madre è nata a Ḥoms.

La famiglia da dove veniva?

In pratica, mio nonno materno fece la guerra del 1911 con i turchi, dopo di che si è fermato lì a Ḥoms. Si era sposato per procura colla nonna che veniva da Tunisi, mentre lui veniva da Mazara del Vallo.

Anche la mia famiglia è originaria di Ḥoms. […]. Ḥoms è stata una cittadina importante […]. Mi hai detto che il tuo nonno materno andò in Libia a far la guerra contro i turchi quindi le tue radici affondano in quella terra dal 1911.

Voi siete rimasti a Tripoli fino all’ultimo, fino alla cacciata?

Fino al 17 settembre 1970. Non tutti noi però, perché mio fratello Sergio è rimasto lì. Lavorava alla Libya Motor, cioè la FIAT e doveva finire tutte le pratiche e quindi non lo facevano partire. Antonio era invece con noi in nave perché alcuni anni prima era andato in tournee in Svizzera [era professore in pianoforte, Maestro e concertista internazionale].

Era professore al conservatorio di Treviso ed un eccellente pianista? Devo specificare questo nella trascrizione.

Era Maestro al Conservatorio. Il Professore vale meno del Maestro. Nella musica il Professore è diplomato mentre la laurea è quella del Maestro.

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Mia figlia è diplomata in pianoforte al Conservatorio Pollini di Padova, ma non ha più proseguito a suonare, con mio grande dispiacere.

Raccontami la storia della cacciata, cosa avete patito quando siete stati cacciati? Come è avvenuto il vostro rimpatrio e rientro in Italia: l’accoglienza. Questo è l’argomento della tesi.

Diciamo che prima di partire abbiamo vissuto la preparazione alla partenza, col decreto di Gheddafi che dovevamo andare via tutti. Inoltre c’era anche il colera e quindi abbiamo dovuto fare lunghe file per la vaccinazione, oltre che per i documenti di rimpatrio.

Abbiamo preparato bauli e valige. Ci ha accompagnato Sergio al porto e mi sono accorto che controllavano tutto; c’erano cumuli di roba ammucchiata là in dogana e tutto ciò che era ritenuto “nuovo” veniva tolto e portato via.

Quando siamo partiti la rabbia e l’euforia era tanta che per due giorni di seguito non abbiamo chiuso occhio. Non ricordo d’aver dormito. Ricordo solo che quando sono arrivato a Napoli ero completamente senza voce.

Perché?

Perché cantavamo. Finalmente ci sentivamo liberi. Era finita un’agonia, un vero e proprio incubo. L’incubo era finito. Diciamo che prima di arrivare a Napoli la nave aveva fatto una tappa a Siracusa e quelli che erano partiti prima ci sono venuti ad accogliere al porto. Poi siamo andati a Napoli e a Napoli la cosa più incresciosa è stata quella che c’era un camion militare che ci dava i sacchetti del pranzo. Forse erano panini. Se li sono fottuti e così non tutti abbiamo potuto mangiare.

L’integrazione in Italia come è stata? La casa, il lavoro come è stato l’inserimento …?

Il lavoro all’inizio era una preoccupazione grossa per mio padre. Mia madre a noi figli per gestire i soldi che avevamo ci dava una “razione” di sigarette al giorno. Ce le contava. Io sono stato fortunato perché sono arrivato il 19 settembre ed il 19 ottobre già lavoravo. Facevo il garagista, il lavagista di auto, lavavo macchine in un garage.

Era un lavoro che avevi ottenuto tramite lo Stato …?

Ma no! Quale? Quale stato? Avevo incontrato [a Roma] un amico tripolino che anche lui lavorava in questo garage e siamo andati insieme là. Il proprietario era un commendatore che era fascista. Lui aveva a cuore tutta la nostra situazione, cosa che non abbiamo visto in nessun altro. In quei tempi noi per avere un lavoro potevamo chiederlo a tutti, ma venivamo additati, fascisti. Io fino a quel momento non sapevo niente di politica. A quei tempi la storia, i nostri genitori ce l’hanno sempre tenuta nascosta. Io sono nato dopo la guerra, nel 1951.

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Certo, tu non potevi avere idea di quello che era il fascismo anche perché in Libia il fascismo non aveva raggiunto quei livelli che ebbe in Italia … Sì, sì … come ti hanno accolti gli italiani? Che scuole avevi fatto tu a Tripoli?

Io mi ero iscritto a Geometra e poi ho lasciato e poi sono andato avanti con l’elettronica.

Gli italiani in Italia come ti hanno accolto? Erano solidali con te.

Mimì, la solidarietà delle persone l’avevi da chi aveva avuto storie simili. Per esempio i profughi giuliani e dalmati. Potevi trovare tra loro o solo con chi era di destra. A quei tempi era molto forte il Movimento Sociale Italiano.

La solidarietà l’ho potuta trovare solo da quelli lì.

La cosa più strana è che mio padre non riusciva a trovare lavoro e a quel punto lì, chiesi al Commendatore dove poteva andare mio padre a trovare lavoro.

Lui mi disse: «Digli di andare al “Appia” le fonti dell’acqua minerale.

Lo presero subito perché evidentemente anche loro erano di destra. Potevi andare a chiedere ovunque ma se le tue idee erano diverse non ottenevi niente.

Noi come sai, a Tripoli, non eravamo né di destra né di sinistra, eravamo italiani e basta, ci sentivamo italiani e basta, eravamo apolitici, pensavamo soltanto a lavorare.

A noi in Italia ci consideravano il retaggio del vecchio fascismo …

Chi in Libia lavorava presso una banca veniva riassunto presso la banca in Italia; mio nonno volle farmi fare la domanda per arruolarmi nell’aeronautica e mi sono arruolato nell’Arma dell’Aeronautica Militare. Ho fatto una carriera con onore. Sono arrivato a fare il sottoufficiale in aeronautica con compiti di elettronica.

Hai imparato là tutto quello che ora sei bravissimo a fare coi computer, telecamere eccetera.

La tecnologia dei computer … però guarda che il computer che usavamo là per gli aerei era grande come una camionetta.

E Antonio invece?

Antonio invece, arrivato a Roma, decise di andare a Treviso a continuare gli studi al Conservatorio. Ha fatto una vita molto dura a Treviso perché era solo anche se là c’erano i nonni materni e gli zii.

Questi zii erano d’origine veneta?

No, erano di Mazara del Vallo, ma siccome uno dei miei zii, Vittorio Bruson era un sottoufficiale dell’aeronautica in Libia, si era sposato con una mia zia e poi, nel ’43, 44, alla fine della guerra si erano trasferiti in Italia a Treviso.

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Comunque l’impatto con l’Italia fu difficile. All’inizio tornare in Italia pareva una liberazione, ma poi noi della Libia venivamo additati come quelli che avevano fatto aumentare di cinque lire la benzina … perché avevano aumentato di cinque lire le accise sulla benzina per la nostra venuta in Italia. Quanto ne diceva la gente …!

Come avete fatto per la casa? Avete avuto facilitazioni per la casa popolare?

No, i miei nonni paterni erano già a Roma, a Centocelle, e mio padre qualche anno prima era riuscito a comprare due appartamentini piccoli. Questi, però non andavano bene per noi perché eravamo una famiglia numerosa. Eravamo in otto. Allora andammo in affitto da un amico. Poi mio padre nell’80 ha voluto comprala. La stessa casa.

C’era una forma di discriminazione verso di noi?

Noi eravamo additati a quei tempi per il fatto che per noi avevano aumentato di cinque lire le accise sulla benzina.

Per l’aiuto ai profughi di Libia, dicevano.

Ho sentito altre persone che mi hanno detto che chi andava in cerca dei bandi per la casa popolare. Glielo nascondevano. Nascondevano i bandi per il lavoro, i bandi di concorso. Me lo dicevano.

In un certo senso l’ho vissuta pure io un’esperienza del genere. Lo sai che ti davano due scatti d’anzianità?

Si, ne ho usufruito pure io di questa facilitazione, ma questi scatti erano a fine carriera, no?

Il segretario dove lavoravo io, gli avevo detto di fare la domanda, ma lui l’ha tirata alle lunghe. Poi la domanda l’ho fatta io da solo, ma per lui non c’era verso.

Ma questi scatti erano ai fini pensionistici. Io avevo 38 anni di contribuzione ed è come se avessi fatto 40 anni, non all’inizio carriera […].

Io però in pratica in Libya […] ero andato a lavorare in deserto con la Tectel e facevamo impianti elettrici per le pipeline, cioè collegavamo le pipeline ad una centrale che comandava le aperture e chiusure delle valvole […]

Era ad Ajedabia.

I rapporti che avevate con le altre comunità come erano?

Stupendi; vivevamo tranquilli. Con gli arabi io ero tremendo, perché negli ultimi tempi venivi attaccato e dovevi difenderti […].

Quando siete andati via come si sono comportati gli arabi […]?

Con l’attività di mio papà che faceva gli avvolgimenti elettrici dei motori delle pompe non c’erano problemi coi vecchi arabi; erano i giovani che erano teste calde.

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Mio padre in Italia dopo aver lavorato all’acqua “Appia”, è stato assunto alle Ferrovie dello Stato.

Quanti anni aveva quando è stato assunto?

Fai conto che lui era del 1922 e a fine 1971 aveva 49 anni. Lavorava nell’officina delle Ferrovie dello Stato.

Ancora c’è gente che si ricorda di lui perche gli ha insegnato tante cose. La gente di qua non sapeva far niente e lui invece era capace di mettere a posto i motori e ripararli […].

La gente ancora lo ricorda.

E tu quando sei venuto in Italia quanti anni avevi?

19 anni fatti.

Andavi ancora a scuola o lavoravi?

Lavoravo.

Come ti trovavi in ambiente di lavoro? Eri discriminato?

Nell’ambiente di lavoro sono sempre stato instancabile. Gli altri non facevano fatica ad affezionarsi a me.

Mimì, tieni presente che dopo la mia esperienza in quel garage a Porta Pia, dopo due mesi tre ho trovato un amico che ha visto come ero ridotto e così mi ha detto: «Perché non vieni a lavorare alla Kodak, alla MC Film, dove si stampano i negativi per fare le fotografie?». Quindi sono stato preso lì e in due mesi sono passato dallo stampaggio dello Standard al Professional perché si erano accorti che per ogni bobina che mettevo in stampa ne sbagliavo poche, perché a quei tempi bisognava prima leggere il negativo e poi dargli le impostazioni […].

È stata un’esperienza interessante.

Poi è arrivata la mia chiamata alle armi e mi sono arruolato. Avevo 20 anni […].