Filippo I per Otacilia Severa Marcia Otacilia Severa (morta nel 248?).
2.8 L’ ANFORA DI “E MPOLI ” FOSSILE GUIDA DEI LIVELLI POSTDEPOSIZIONALI
Dall’analisi dei depositi posteriori all’affondamento della nave A si percepiscono momenti caratterizzati da una corrente molto debole, a volte stagnante, e altri di intensa attività fluviale, ovvero veri e propri alluvioni. In particolar modo, la violenza di quest’ultimi fenomeni avrebbe causato l’erosione di un fondale nelle vicinanze e avrebbe trascinato e depositato in uno strato a matrice sabbiosa di colore grigio scuro numerosi frammenti ceramici per lo più ricomponibili quali lucerne (Dressel 30), terra sigillata africana D (forme Hayes 50b, 58b, 59, 65 e 67) e quasi cinquanta frammenti diagnostici pertinenti all’anfora di “Empoli”, di cui presentiamo una classificazione di massima in base alla morfologia dell’orlo o del puntale(tav.). Dal punto di vista morfologico, prevalgono gli esemplari con orlo estroflesso e bordo arrotondato, i cui diametri si aggirano sui 10 cm ca., mentre, per il momento, sono poche le attestazioni di orli ad anello a profilo arrotondato. I puntali sono tutti internamente cavi con segni di tornitura piuttosto netti e fondi per lo più piatti con diametri tra i 4 ed i 4.5 cm (tav.4, 4-5). Gli impasti sembrano pertinenti per lo più all’area toscana costiera e alla valle dell’Arno, ma analisi più approfondite potranno confermare o rivalutare quanto sembra di cogliere ad un primo esame visivo delle argille. Il contesto ha restituito, seppure in quantità minore, anche anfore Africane 2, Keay 25(sottotipo 1-3), Keay 35.b254 e due esemplari di Almagro 51C che ci permettono di datare questo evento tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C . Inoltre, le stratigrafie hanno riportato alla luce tra il vasellame da mensa anche esemplari di ceramica rivestita da ingobbio rosso255, soprattutto boccali ma anche brocche trilobate con bordo arrotondato, breve collo troncoconico e ansa con insellatura centrale impostata sull’orlo (fig. ) che trovano stringenti confronti con gli esemplari di Fiesole256. Inoltre, un piatto con orlo rientrante che morfologicamente ricalca la forma Hayes 61 in sigillata africana D, ma presenta sulla superficie interna una decorazione dipinta a festoni pendenti semicircolari
253 Le fasi VIa1 e VIa2 si riferiscono ai depositi posteriori all’affondamento della nave A. Tra le tante US si è
preferito dare rilievo all’US 6047 che presenta il maggior numero di materiali classificabili.
254 Appartenenti alla prima generazione di anfore cilindriche di grandi dimensioni, le anfore di forma Keay
XXXV, sono nei primi due terzi del V secolo d. C. tra i contenitori più diffusi nel bacino occidentale del Mediterraneo. I dati emersi dallo studio del relitto Dramont E – del cui carico fanno parte anfore di tipo Keay XXXVA e B, sembrano dimostrare che le due varianti sono state destinate rispettivamente al trasporto di olio e di salse di pesce. Sebbene l’atelier presso il quale è avvenuta la produzione principale sia quello di Sidi Zahrouni, nel territorio di Neapolis/Nabeul, sono attestate anche altre produzioni.
La variante B, alla quale appartiene l’esemplare di San Rossore, è caratterizzata da orlo a sezione triangolare e, anche se lo stato di conservazione è cattivo, appare tuttavia possibile attribuire il frammento in oggetto ad un contenitore di piccolo modulo (altezza: 120 cm; diam. massimo 48 cm).
255 CANTINI 2009.
ed impressioni di forma circolare. L’esemplare (fig.) trova confronti a Fiesole257 , Pistoia258, Luni259, Lucca260 ma anche a Empoli in contesti di fine IV – inizi V secolo d.C.261 Con ogni probabilità il rinvenimento può essere interpretato come carico unitario di una nave non ancora individuata all’interno dell’area di scavo, investita da un violento evento alluvionale collocabile presumibilmente tra la fine del IV e gli inizi del V, che ha portato con se anche laterizi da costruzione (mattoni), da fornace (mattoni con invetriatura) e da copertura (tegole, coppi, tubo di volta) e solo il suo rinvenimento potrà chiarire e sciogliere molti dei dubbi che esistono sulla possibile rotta, sul carico e sulle sue modalità di naufragio.
In questo contesto, come già accennato, la forma più attestata che funge da fossile guida nelle stratigrafie postdeposizionali è quella pertinente all’anfora di “Empoli”, principale contenitore dell’Etruria settentrionale e indicatore privilegiato per poter apprezzare la prosperità dell’economia locale e definirne, se possibile, i suoi confini. Le ricerche condotte negli ultimi anni lungo la fascia costiera hanno individuato nuove linee di diffusione di questa tipologia anforica, ma soprattutto hanno fatto luce anche sui luoghi di produzione, alcuni dei quali individuati lungo la costa nord-etrusca. Confronti stringenti con gli esemplari rinvenuti a San Rossore si possono istituire con i frammenti riportati in luce a pochi m in linea d’aria dal sito, in Piazza dei Miracoli, dove le numerose e recenti campagne di scavo hanno permesso di aggiungere nuovi tasselli conoscitivi alla storia di quest’area nevralgica262.
Nell’insieme, le anfore di “Empoli” sono attestate in buona quantità. Sono stati individuati infatti 16 orli e 9 puntali (tav.), oltre ad un gran numero di pareti appartenenti a questa produzione. Purtroppo fin dall’età altomedievale i pesanti interventi e sbancamenti hanno
257 Fiesole 1990, pag. 377, tav.32,7. 258 Pistoia 1987, pag.204, p.221. 259 Luni 1977, pag. 609, tav 264,9.
260 CIAMPOLTRINI,NOTINI 1990, fig.24, 4-11; fig.26, 5,7 261 FILIPPI 2007, pag.21.
262 Il sito presenta una continuità di vita praticamente ininterrotta dall’età etrusca fino ai giorni nostri, con
una lunga serie di interventi che hanno portato all’aspetto attuale della piazza. Per quanto riguarda l’epoca romana, fin dall’età repubblicana l’area fu occupata da un quartiere residenziale con abitazioni, alcune delle quali hanno restituito elementi decorativi di un certo pregio. Questa destinazione sarà mantenuta fino ad età tardoantica, con numerosi interventi e restauri che si succederanno per tutta l’età imperiale.
La situazione muta radicalmente intorno agli inizi del VI secolo d.C., allorché si assiste all’abbandono definitivo delle abitazioni e alla loro obliterazione; in questa fase l’area della piazza è coinvolta da drastici interventi che ne cambieranno definitivamente la natura, fino alla nascita del complesso religioso (ALBERTI, PARIBENI c.s.).
In virtù della lunga continuità di vita di questo settore cittadino, sono state individuate nel complesso tutte le principali produzioni anforarie di età romana provenienti da tutto il Mediterraneo, dalle greco-italiche di età repubblicana fino ai contenitori di VI e VII secolo d.C., che costituiscono forse i reperti di maggior interesse: tra essi figurano anche tre frammenti di anfore globulari, i contenitori più recenti venuti in luce nel contesto.
intaccato buona parte delle stratigrafie di età tardoantica della piazza263, compromettendone una conoscenza adeguata. Per questo motivo i frammenti diagnostici delle anfore di “Empoli” sono tutti residuali in strati di età altomedievale, e sono dunque scarsamente utili ai fini di una migliore definizione cronologica e tipologica di questo contenitore. Gli orli rinvenuti costituiscono un ottimo esempio dell’ampia varietà riscontrabile nel loro aspetto. È degno di nota il fatto che all’esame macroscopico i frammenti presentano due tipi di impasto leggermente diversi. Il più diffuso (con 13 orli) è di colore rosa-beige, duro, con rari inclusi bianchi di piccole e medie dimensioni e lucenti di piccolissime dimensioni, già attestato in un esemplare di Dressel 2-4 sempre da piazza dei Miracoli. A questo impasto, da ritenere con buona probabilità caratteristico della valle dell’Arno, se ne affianca uno, molto meno diffuso, con 3 sole attestazioni, di colore giallo- arancio, saponoso al tatto, con inclusi bruni e bianchi di piccole dimensioni. Due dei tre orli in cui questo impasto è attestato mostrano anche una certa somiglianza. Per questo secondo impasto è al momento impossibile proporre l’area di origine: un’ipotesi è che esso possa essere originario dell’ager Volaterranus. Bisogna infine ricordare la presenza di un frammento di parete appartenente con buona probabilità ad una anfora di “Empoli” (nonostante lo spessore sia leggermente maggiore rispetto alla norma), che reca evidenti difetti di cottura, da interpretare come uno scarto di fornace (tav.1, 12). Il reperto è realizzato nell’impasto rosa-arancio, duro, maggiormente diffuso, elemento che confermerebbe la sua origine da località poste vicino al corso dell’Arno, e da Pisa in particolare. Non lontano da Piazza dei Miracoli, è attestato un altro rinvenimento di questa tipologia anforica. Cambia il contesto. Dopo un approdo fluviale (San Rossore) ed un’area residenziale (Piazza dei Miracoli) è la volta di una necropoli, individuata pochi anni fa in
263 Prendendo in considerazione il totale delle anfore attestate in piazza dei Miracoli per il periodo compreso
tra il III e gli inizi del VI secolo (tav.1, 13), si nota la predominanza delle importazioni africane, con il 41% del totale, e la sostanziale tenuta di quelle iberiche (con il 20%), nonostante un calo rispetto ai primi secoli dell’impero. In linea con quanto emerso da altri contesti italiani e mediterranei, non stupisce la grande quantità di contenitori africani: ciò che va sottolineato per questo periodo è invece la massiccia presenza di anfore di “Empoli” che rappresentano il 33% del totale ma che sono il contenitore in assoluto più diffuso, seguite dalle Keay 25 africane e dalle Almagro 51 C lusitane. Questi dati sono forse il segno della prosperità di questo settore dell’Etruria nel III e IV secolo, una situazione che sembra protrarsi ancora nel successivo, perlomeno nella prima metà, come attestano gli arrivi di spatheia e africane cilindriche di grandi dimensioni, pur in quantità apparentemente minori rispetto al periodo precedente. In definitiva, in età medio e tardo imperiale la città sembra rifornirsi di vino quasi esclusivamente sul mercato locale, contrariamente a quanto avviene nei secoli precedenti, quando sono presenti anfore vinarie dalla Gallia, dalla Spagna e dall’Italia meridionale. Solo a partire dal V secolo, questo predominio sembra lievemente intaccato dalle esportazioni dal Mediterraneo orientale e dal sud Italia, con esemplari di Late Roman Amphorae 1, 2, 4 e di Keay 52. In piazza dei Miracoli questi contenitori sono però presenti con pochissimi frammenti, indizio delle modeste quantità che giungono a Pisa, forse perché destinate al trasporto di vini pregiati.
Via Marche264. In particolare due inumazioni presentano grandi frammenti di anfore di “Empoli” a copertura degli arti inferiori, usanza insolita ma spiegabile con la volontà di trattenere il defunto nel sepolcro e a scongiurarne il ritorno nel mondo dei vivi, significato analogo a quello attribuito ai chiodi in ferro, presenti in alcuni casi all’interno delle tombe.
Il quadro che si delinea per i contesti citati mostra Pisa come collettore e punto di carico e scarico delle merci provenienti dalle varie regioni dell’impero e, in particolare dall’Etruria, nel periodo compreso tra la fine del II e la fine del IV – inizi V secolo d.C.
Il carico della nave A, per esempio, attesta l’arrivo, tra la fine del II ed il III secolo d.C., sia del vino della Francia meridionale contenuto nelle Gauloise 4, che di quello proveniente dalla valle del Tevere che viaggia in alcune delle anfore di Spello rinvenute in situ. Ad esse, certamente, si affiancano le produzioni riferibili più propriamente alla valle dell’Arno, come attestato da alcuni esemplari, e anche le anfore di Forlimpopoli, a cui sono riferibili fornaci nell’ager volaterranus e nella media valle dell’Arno265 . Questi dati trovano conferma nelle stratigrafie di piazza dei Miracoli che, sebbene non conservino esemplari di Forlimpopoli, evidenziano comunque, anche se in quantità ridotte rispetto al contesto di San Rossore, la presenza degli altri contenitori.
Nel periodo cronologico compreso tra il III e gli inizi del V secolo d.C., l’anfora di “Empoli” diventa una costante fissa nelle stratigrafie pisane; il deposito di San Rossore, per esempio, fornisce una forbice cronologica attendibile collocabile tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C., mentre per la necropoli di Via Marche, dove il materiale risulta di reimpiego, e piazza dei Miracoli, interessata più volte da pesanti sbancamenti, non possediamo dati più precisi. E’ possibile, invece, estrapolare qualche informazione sui centri delle manifatture perché molti degli esemplari sono accomunati dal tipo di impasto e quindi dalla medesima area di produzione che comprende centri del litorale e del Valdarno. Il rinvenimento in piazza dei Miracoli di uno scarto di fornace aggiungerebbe, inoltre, un ulteriore tassello al quadro, delineando l’esistenza di una probabile fornace nelle vicinanze. In questo arco cronologico, quindi, le anfore di “Empoli”, sembrano essere la tipologia meglio attestata. E’ questo un dato che fa riflettere perché, se da un lato nella prima età imperiale abbiamo una tipologia eterogenea di contenitori vinari provenienti dalle diverse zone dell’impero, dall’altro nel periodo tardoantico l’anfora di “Empoli” risulta, almeno per questi contesti, la
264 Il sepolcreto di via Marche, individuato nell’immediato suburbio settentrionale della città, ha restituito
quasi 200 inumazioni a fossa semplice, ad enchytrismos e a cappuccina: esse si datano principalmente fra il III e il V secolo d.C., stando alla tipologia dei contenitori riutilizzati per le sepolture in anfora, con alcune tombe più tarde (COSTANTINI 2007-2008). In questo contesto, va sottolineata la presenza di un gruppo di 11 inumazioni che hanno gli arti inferiori coperti da coppi, tegole o frammenti di anfore, mentre il resto del corpo è privo di protezione
più attestata, il che farebbe propendere per un ruolo di tutto rilievo delle produzioni vinicole dell’Etruria nell’approvvigionamento della città.
Quasi contemporaneamente alla diffusione di questi contenitori entrano in scena anche le produzioni africane. Senza addentrarci in questioni inerenti il tipo di derrate che questi contenitori trasportavano, è importante sottolinearne l’elevata percentuale nei contesti pisani riconducibili alle produzioni del Nord Africa quali le Africane 1A e B (presenti in tutti e tre i siti), le Africane 2 (di cui due soli frammenti sono documentati in piazza dei Miracoli) e le Keay 25 che, nel contesto di San Rossore, si trovano in associazione alle anfore di “Empoli”, per cui aiutano a sostenere la datazione finale dell’evento alluvionale alla prima metà del V. Dagli inizi del V secolo, infatti, le derrate africane viaggeranno nelle Keay 35, rinvenute seppure in quantità esigue in tutti e tre i contesti. Si inseriscono perfettamente in questo quadro anche le produzioni iberiche con l’Almagro 51A e B e la più tarda Almagro 51C.
In conclusione Pisa, almeno per quanto riguarda il sito di San Rossore e, se vogliamo di Piazza dei Miracoli, tra il III e gli inizi del V secolo d.C. diventa, tramite l’approdo fluviale, ricettore di merci provenienti dalla parti più svariate dell’impero ma, anche e soprattutto, dall’aria dell’entroterra e dell’Etruria settentrionale in generale. E’ qui che arriva o è da qui che parte la nave con le anfore di “Empoli”, le africane e lusitane, ed è qui che questi stessi contenitori vengono utilizzati in contesti abitativi e funerari266.
266 Ai dati pisani si possono aggiungere quelli dei contesti livornesi: la precoce comparsa del contenitore tra la
fine del II e la prima metà del secolo successivo risulta attestata con certezza solo presso la villa di S. Vincenzino. La notevole diffusione di questi contenitori nel corso del III, del IV e ancora nel corso di parte del V secolo d. C. appare invece un dato comune ai contesti pisani e ai siti costieri dell'area livornese, siano essi importanti scali commerciali, ville o siti di altro tipo. Emergono come principali poli produttori la valle dell'Arno e l'ager volaterranus costiero, nell'area compresa tra i fiumi Fine e Cecina. L'abbandono dell'edificio commerciale di Portus Pisanus e la crisi che, attorno alla metà del V sec. d. C., colpisce la villa di S. Vincenzino sembrano indicare che quella stessa cesura dell'assetto economico ipotizzata per il centro urbano di Pisa è stata un fenomeno di carattere generalizzato, di notevole impatto anche sulla produzione del vino veicolato nelle anfore di Empoli. Altro dato che emerge da tutti i contesti pisani e livornesi è l'importanza del consumo del vino nord-etrusco a livello locale; la presenza massiccia delle anfore di “Empoli”, solitamente il contenitore da vino con il maggior numero di attestazioni, presso Portus Pisanus e il complesso residenziale di S. Vincenzino – che pure non deve essere stato estraneo alla gestione della produzione del vino e delle relative anfore da trasporto – trova un pieno riscontro nei dati dei contesti pisani. La centralità rivestita dal mercato nord-etrusco per questa produzione sembra essere indirettamente confermata anche dai bassi indici di attestazioni delle anfore di Empoli in molti contesti romani; ricordiamo tra tutti il caso del Nuovo Mercato Testaccio, dove nei livelli di spoliazione datati tra il 270 e il 400 d. C. si contano 12 frammenti sui 5310 rinvenuti (COLETTI, LORENZETTI 2010, p. 158, fig. 2).
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RCHITETTURA NAVALE“…la nave, oggi come ieri e come domani, costituisce non solo uno dei mezzi per affermare la supremazia dell’uomo sull’ambiente che lo circonda, non solamente un veicolo di esplorazione e di scoperta, non unicamente uno strumento per trasportare le merci ed aprire nuove vie commerciali, ma anche e soprattutto un atto di fede e amore per il mare. Scrivere dunque delle navi è impresa non mai finita, poiché il mondo della
navigazione non è un’arida e schematica elencazione di fatti e dati, ma soprattutto un’indagine, a volte affannosa, su di un mondo che fa parte della vita stessa dell’uomo, della sua evoluzione, della sua civiltà. Un’altra non lieve difficoltà si presenta a chi tenta di approfondire e dettagliatamente analizzare tale materia, vasta e appassionante anche nei più minuti particolari: la nave, e per essa il mare, ha un suo linguaggio proprio, che non è né un gergo
né un esotico modo di parlare, ma un lessico ben preciso, esatto che non può prescindere dai suoi termini senza provocare confusione e incertezze…”
(CUCARI 1975,pag.24)