• Non ci sono risultati.

Fase VI a2 Altri eventi alluvionali.

2.7 FASE VB: I MATERIALI DELL ’US 6081

Cronologia: fine II – III secolo d.C.

16 – Forma Ostia I, 261

Num. Inv.:

Dimensioni:.diam. cm

Posizione stratigrafica: 6098 sett.3

Descrizione e osservazioni: l'orlo di questo piatto-coperchio, diffuso principalmente

nel bacino occidentale del Mediterraneo. presenta un notevole ingrossamento nella parte terminale che lo rende sensibilmente diverso rispetto alle forme precedenti. Il fondo può essere apode, con piede ad anello o con presa, mentre l'orlo è solitamente annerito.193 Impasto: colore rosso, depurato, contenente scarsissimi inclusi di quarzo eolico. Frattura a margini netti, ruvida al tatto. In corrispondenza dell'orlo è presente una patina cinerognola o un ingobbio di colore giallo

Note: 2 orli

Cronologia: fine II – inizi V secolo d.C.

2.7FASEVB: I MATERIALI DELL’US6081194

193 TORTORELLA 1985, p. 212, tav. CIV, 5-7.

194 La fase Vb è relativa ad una sostenuta attività fluviale che ha provocato il deposito di sabbie a

granulometria fine e media, interpretabili come momento di maggiore intensità della corrente piuttosto che come vera e propria alluvione. Di tutte le US individuate, l’US 6081 è risultata, dal punto di vista dei materiali, quella quantitativamente più interessante, anche e soprattutto per il rinvenimento della cassetta lignea (Z522).

La singolarità del contesto e le particolari modalità di formazione dei depositi all’interno del cantiere delle Navi Antiche di Pisa pongono spesso seri problemi di interpretazione riguardo i materiali rinvenuti, poiché i differenti bacini stratigrafici sono il risultato di una sinergia continua tra eventi naturali (azioni di accumulo e trasporto delle correnti) ed interventi umani, a volte fortemente impattanti sull’ambiente circostante (centuriazione e relativi canali, disboscamento). Per questo motivo, accanto ai macro-eventi come le alluvioni principali e l’affondamento dei relitti, spesso ci si imbatte in alcune “anomalie stratigrafiche” che determinano la compresenza, nello stesso strato, di materiali disomogenei dal punto di vista cronologico oppure funzionale195. In altre parole, è spesso difficile distinguere tra gli oggetti affondati per violenti eventi alluvionali e sottoposti, quindi, a rivolgimenti e successive dispersioni e quelli, invece, caduti accidentalmente in acqua; inoltre, la lettura viene ulteriormente complicata quando entrano in gioco altri tipi di manufatti, per nulla secondari, che interi o fratti, concorrono alla formazione del deposito di fondale fluviale se gettati in maniera più o meno volontaria in seguito a fenomeni di discarica in momenti di relativa “tranquillità” della corrente fluviale o anche depositati, per motivi ed utilizzi vari, su terreno prossimo alla riva. In particolare, questo dubbio riguarda i numerosi reperti riferibili alla vita quotidiana e agli oggetti personali, per i quali non vi è mai l’assoluta certezza della loro appartenenza alla dotazione di bordo o al carico o a cadute accidentali.

Queste problematiche si sono evidenziate chiaramente durante l’analisi dei manufatti attribuibili al contesto di rinvenimento della cassetta lignea (Z522): si tratta di sabbie a granulometria fine e media interpretabili come alluvione di limitata intensità, in cui la forza delle acque ha intaccato la parte più superficiale del deposito del naufragio della nave ed ha trascinato o spostato, forse da breve distanza, alcuni oggetti spesso interi che sono rimasti “intrappolati” nelle maglie delle ordinate della nave ancora emergenti: anfore (cd. di Spello e di “Empoli”, Almagro51C, Gauloise 4, Africane 2), oggetti d’uso comune (ceramica grezza da fuoco, da mensa e rivestita di ingobbio rosso), vetri, laterizi e monete, purtroppo illeggibili (Z552, Z553).

Tra il materiale recuperato, la classe maggiormente attestata in termini quantitativi è quella dei contenitori da trasporto cui seguono, in percentuale nettamente inferiore, esemplari di ceramica comune e di produzione africana, nonché vetri e laterizi. In particolare, prevalgono esemplari di anfore cd. di Spello e Gauloise 4, di poco più antiche rispetto alla cronologia dello strato della cassetta lignea, che compaiono in gran numero

anche nei livelli pertinenti al carico della nave; la presenza anche di un’africana tipo Ostia LIX porterebbe ad ipotizzare che il contesto sia riferibile alla parte più superficiale del carico della nave A, smosso dalla posizione originaria dopo il naufragio in questo momento di maggiore vigore della corrente.

Il rinvenimento nel 2007, durante le operazioni di scavo del carico, di alcune anfore cd. di Spello e Gauloise 4 ancora incastrate tra le ordinate della nave, così come un’anfora di Forlimpopoli durante le operazioni del 2003 finirebbero per avvalorare questa ipotesi, confermata anche dallo scavo dei settori situati a NE della nave D che hanno restituito le stesse identiche tipologie. In definitiva, l’immagine che si evince è quella di un contesto estremamente articolato risultato dall’iterazione e sovrapposizione di più fenomeni quali l’azione di correnti di differente intensità e l’apporto di ulteriori elementi per eventi più casuali, ed identificabile col carico della nave A spostato dalle correnti poco più a ovest, al di fuori del relitto, in prossimità della navi D ed I196 e sconvolto, almeno nella sua parte più superficiale, da un’alluvione di limitata intensità che ha coinvolto la cassetta lignea e tantissimi altri materiali eterogenei.

LE ANFORE

Il contesto stratigrafico ha restituito esemplari integri ma anche numerosi frammenti diagnostici (per lo più orli, ma anche qualche puntale) pertinenti a contenitori da trasporto di produzione francese, italica e africana e inquadrabili per lo più tra la fine del II ed il III secolo d.C. Si collocano in questo arco cronologico le anfore Gauloise 4 (cfr. schede nn. 1-4), contenitori fortemente standardizzati che trasportavano il vino della Francia meridionale, e quelle cd. di Spello (cfr. schede nn. 6-12), le cui manifatture sono attestate nelle valli del Tevere197, dell’Arno e dell’ager Volaterranus costiero198. All’interno di questa tipologia si segnalano due frammenti con graffito riferibili alla spalla di due contenitori (cfr. schede nn.10,17); probabilmente, più che come segni produttivi o decorativi, essi potrebbero essere messi in relazione con il contenuto e/o con il commercio del prodotto, così come è stato giustamente ipotizzato per un esemplare proveniente da Spello199, ma al momento non è possibile fornire una lettura ed una interpretazione certe. Inoltre, l’assenza di analisi

196 CAMILLI et alii, 2005, pp. 217-218. 197 LAPADULA 1997, p. 149.

198 CHERUBINI,DEL RIO,MENCHELLI 2006, p. 74; PANELLA 1989, p. 160; MENCHELLI 1986, p. 172; MENCHELLI 1988,

p. 139; MENCHELLI 1994, p. 213.

archeometriche non permette di stabilire l’esatta provenienza sia degli esemplari pisani che dell’anfora di Forlimpopoli rinvenuta, come detto, nel 2003200.

Sempre tra la fine del II ed il III secolo d.C. iniziano a circolare anche i prodotti della viticoltura del Valdarno e della costa alto tirrenica, traspostati nelle anfore di “Empoli” (cfr. scheda n.5) che, in questo periodo, vengono realizzate in officine dislocate in prossimità di aree coltivabili201 e perdurano almeno fino al V se non addirittura alla prima metà del VI secolo d.C202. Con esse entrano in scena anche le province africane, in particolar modo arrivano salsamenta dall’Africa Proconsolare nelle africane tipo 2B e 2D.

In conclusione, il III secolo d.C. vede diffondersi un nuovo tipo morfologico di anfora vinaria caratterizzato dalle ridotte dimensioni, dall’orlo estroflesso e dal fondo piatto, probabile indizio di una scarsa commercializzazione per la difficoltà nello stivaggio; concretizzatosi con le anfore galliche finirà per influenzare i recipienti prodotti nella penisola italica (anfore c.d. Spello e Forlimpopoli), trovando confronti con contenitori derivati dalle stesse morfologie (Dressel 30 e Almagro 51C) e perdurando con l’anfora di “Empoli” che morfologicamente sembra raccoglierne l’eredità.