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Fase VI a2 Altri eventi alluvionali.

L A CERAMICA DI PRODUZIONE AFRICANA

2.7.2 L A CASSETTA LIGNEA : LE FASI DI STUDIO

Il ritrovamento della cassetta in legno (Z 522), reclinata su di un’ angolo e capovolta, ha destato subito grande curiosità, sia per la tecnica costruttiva che per l’eventuale contenuto. L’ oggetto si presentava munito di coperchio, serratura, cerniere di apertura e piedi; il coperchio era leggermente aperto per cui era facilmente visibile l’interno, riempito dal sedimento fluviale e perciò molto pesante da rimuovere. Il legno, come tutti i reperti provenienti da ambienti umidi, era molto fragile e la sua rimozione con tutto il contenuto di terra, molto rischiosa e delicata

L’intervento di asportazione dall’US di appartenenza è stato pianificato attentamente e si è proceduto accuratamente per fasi. Dopo aver effettuato la documentazione grafica e fotografica, si è proseguito con lo scavo con trowel e spatole (fig.), cercando di liberare l’oggetto dal terreno (fig.). Successivamente è stata realizzata una galleria sotto l’angolo di appoggio del reperto per poi inserire della pellicola di polietilene e avvolgerlo, in modo da consentire il contenimento dei quattro lati della cassetta per una maggiore tenuta (fig.). Lo scavo è continuato liberando la parte del coperchio e le altre zone ancora interrate: quando l’oggetto era ormai quasi libero ed era possibile valutarne il facile distacco dal terreno, la cassetta è stata estratta delicatamente e appoggiata su di un’asse precedentemente preparata. Essendo i piedi molto delicati e fragili si è preferito appoggiarla sul lato del coperchio, a questo punto il bendaggio è stato rinforzato con altra pellicola e supporti di poliuretano espanso (fig.).

Da un’analisi autoptica del reperto si evidenziava una notevole inclinazione su di un lato, con il coperchio leggermente deformato a forma di rombo e parzialmente rialzato della terra di scavo contenuta, con presenza di varie fessurazioni all’attaccatura delle assi sulle

gambe e totale distacco di un piede. Per una prima valutazione è stata ventilata l’ipotesi di effettuare delle radiografie che consentissero di verificare se all’interno del reperto vi fosse presenza di materiali metallici e, contemporaneamente, riuscire a capire la realizzazione della serratura e delle cerniere poste sul coperchio. Data l’importanza e l’unicità dell’oggetto, le radiografie possono fornire dati a livello scientifico molto importanti e conoscendo già a priori gli eventuali reperti contenuti semplificarne le fasi di scavo. Tuttavia, le precarie condizioni strutturali del reperto, l’esiguo spessore delle tavole lignee e la pesantezza del contenuto non hanno consentito un suo trasporto in sicurezza presso il laboratorio radiografico del Centro di Restauro di Firenze della Soprintendenza Archeologica. Vari fattori hanno pesato sull’attenta valutazione delle procedure da mettere in atto per il consolidamento del reperto: l’inclinazione della cassetta ha indotto a riflettere sulla necessità di procedere ad un eventuale raddrizzamento delle pareti, le problematiche dovute agli esigui spessori del legno hanno fatto si che si dovesse creare dei punti di spinta e contrapposizione che consentissero un controllo totale dell’operazione. La pulitura delle parti esterne è stata effettuata con spazzolini a pelo morbido e tamponi imbibiti di H2O demineralizzata, la rimozione del coperchio, che ha portato al distacco delle cerniere di fissaggio, ha consentito l’inizio dello scavo stratigrafico all’interno del reperto archeologico. Prima di iniziare lo scavo è stato comunque necessario procedere alla messa in sicurezza del reperto,posizionandolo, nella parte inferiore su pannelli di legno moderno realizzati su misura, così da rialzarlo, impedendo il danneggiamento dei piedini, a sua volta spessorati con del poliuretano. Infine l’intera cassetta è stata avvolta da pellicola di polietilene, in modo da contenere le pareti che sotto la pressione della terra contenuta avrebbero potuto collassare.

LO SCAVO IN LABORATORIO

Le caratteristiche del deposito e la peculiarità del reperto si sono rivelate dunque fattori determinanti nella scelta delle modalità di intervento messe in atto per il recupero, lo scavo, la documentazione e la conservazione. Già dalle prime fasi di apertura è parsa subito evidente la necessità di operare all’interno dell’oggetto con le stesse metodiche normalmente dedicate alla stratigrafia che è posta “all’esterno” del manufatto archeologico, ovvero per il contesto che di norma lo contiene. Ci si è dunque resi conto dell’esistenza di una vera e propria stratigrafia interna, il cui scavo è stato ulteriormente complicato dalla presenza di delicatissimi oggetti in materiale organico (fig. ). La necessità di operare in

spazi estremamente esigui239 ha inoltre reso necessario, una volta identificate le singole unità stratigrafiche, scavare per livelli microstratigrafici, procedendo anche con uno scavo sincrono, di più unità stratigrafiche contemporaneamente, per piani più o meno orizzontali di pochi centimetri. Questo procedimento ha permesso, pur nel pieno rispetto di tutte le relazioni fisiche e stratigrafiche del deposito interno al reperto, di ottenere una documentazione grafica di estremo dettaglio. La particolare delicatezza dei reperti, unitamente alle pressanti necessità di preservare il materiale organico dall’aggressione batterica irrimediabilmente iniziata nel momento della rimozione dal suo contesto di provenienza, hanno fatto propendere per un sistema di documentazione che presentasse caratteristiche di grande dettaglio e precisione ma, al contempo, di rapidità di esecuzione. E’ stata dunque eseguita una prima scansione tridimensionale che garantisse la documentazione essenziale dell’insieme dell’oggetto, prima che potesse intervenire qualunque deformazione dovuta all’iniziato processo di evaporazione dell’acqua contenuta nelle fibre legnose (fig.). Si è poi proceduto ad indicare almeno quattro punti fissi sul bordo dell’oggetto, le cui distanze reciproche sono state accuratamente misurate e monitorate periodicamente, questi riferimenti hanno fornito anche un primo riferimento per la quotatura dei livelli interni. La scatola, perlopiù ben conservata in tutte le sue parti, pur presentando sostanzialmente integro il meccanismo di chiusura, appariva colmata dal fine sedimento sabbioso-limoso tipico del deposito di fondale fluviale nel quale si era preservata per tanto tempo. Questo perché i cardini e la serratura in ferro hanno in parte ceduto nel tempo a causa dell’ossidazione delle parti metalliche, consentendo al coperchio di sollevarsi per alcuni millimetri, sufficienti a permettere l’infiltrazione del sedimento più fine. Una volta sollevato il coperchio ed asportati pochi millimetri di un terreno240, è apparsa una situazione complessa, resa ulteriormente delicata dalla presenza di numerosi manufatti anche in fibra vegetale e legno (fig.).

Grazie alle procedure osservate durante lo scavo in laboratorio241 ed alla documentazione grafica di dettaglio, si è potuto osservare la dinamica di caduta degli oggetti che erano contenuti nella cassetta, unitamente ai processi deposizionali e post-deposizionali subiti dai sedimenti che sono andati a colmare i vuoti lasciati dagli oggetti medesimi. Il vano principale della cassetta è risultato occupato da un contenitore in fibra vegetale

239 Dell’ordine di un volume interno di ca. cm 30x30x26.

240 La componente giallastra che spesso caratterizza i sedimenti presenti nella stratigrafia di San Rossore, è

perlopiù dovuta alla presenza di concrezioni ferrose, spesso tendenti a localizzarsi nelle vicinanze di materiale organico soprattutto ligneo, tavolta “ricalcandone” le forme ed i dettagli.

241 Talvolta per non danneggiare i delicati manufatti in materiale organico, è stato necessario procedere allo

estremamente fragile; accanto all’imboccatura di questo è stata osservata la presenza di intrusioni dall’esterno ( un frammento di posidonia e altre concrezioni tipiche di ambienti marini-salmastri) ed alcuni oggetti tra cui frammenti di ferro, localizzati lungo il bordo superiore del lato frontale, all’altezza della serratura collocata all’esterno, alcune monete di bronzo, il cui numero è andato progressivamente crescendo per raggiungere un totale di 170. All’interno di uno scomparto laterale è stato rinvenuto un bastoncino di legno con apici ingrossati e un piccolo gruppo di monete. Gli altri oggetti rinvenuti nella cassetta erano localizzati nello spazio compreso tra l’angolo in alto a destra del vano centrale e la parete del contenitore in materiale organico posto al centro (fig.): un accumulo di monete, un parallelepipedo di piombo, un piccolo contenitore ceramico, un elemento cilindrico in legno, un altro gruppo di monete e una pietra quadrangolare con un perno in ferro interpretabile come innesco di un acciarino. Nel cassetto laterale, oltre al bastoncino ligneo ed alle monete già descritte, a diretto contatto con il fondo dello scomparto, era presente una sottile fiala in legno. Su fondo del vano principale si conservava la maggior parte delle monete e la lama di un acciarino in bronzo.

Per quanto riguarda la documentazione242 (fig.) si è proceduto realizzando, per ogni livello microstratigrafico raggiunto dallo scavo, una serie di fotografie, avendo l’accortezza di verificare che la ripresa comprendesse i punti fiduciari adeguati per procedere ad un foto raddrizzamento, eseguito tramite adeguati software. Su queste basi sono stati eseguiti i rilievi necessari alla documentazione della stratigrafia interna e dal posizionamento degli oggetti contenuti nella cassetta. Terminata la digitalizzazione delle planimetrie, è stato possibile ottenere una assonometria quotata di tutti i piani rilevati, inserirla all’interno del modello tridimensionale del contenitore ligneo, ricostruendo esattamente la disposizione delle unità strati grafiche e la posizione assunta da tutti gli oggetti in esse contenuti. Con questo tipo di documentazione è inoltre possibile ottenere prospetti e sezioni passanti per qualunque piano si desideri.

ICONFRONTI

La struttura della cassetta è costituita da un parallelepipedo formato da sottili assi lignee, bloccate per mezzo di quattro montanti angolari il cui prolungamento costituisce i quattro peducci che sostengono il manufatto. Il coperchio, formato da un’unica tavola quadrangolare con gli angoli modellati a becco di civetta, è assicurato al contenitore per mezzo di due cerniere in ferro fissate sul margine superiore di uno dei lati, queste ultime sono a loro volta fissate sul lato posteriore della cassetta, all’interno di due incassi

quadrangolari simmetrici, ricavati nello spessore della tavola. Sulla faccia frontale è fissata una serratura a scatola metallica quadrangolare che costituisce il meccanismo di chiusura. Sono presenti alcuni cavicchi lignei di bloccaggio, disposti lungo i montanti angolari, che hanno lo scopo di bloccare gli incastri interni delle tavole, dando robustezza alla cassetta. All’interno è collocato uno scomparto laterale, formato da due sottili assicelle poste rispettivamente di taglio e di piatto: tale divisorio corre parallelo al lato sinistro della cassetta. Il reperto da un punto di vista tipologico si inserisce in una ben nota classe di oggetti definiti “ciste lignee”243, la cui esistenza è ben documentata in Egitto almeno a partire dalla seconda metà del XVI secolo. a.C (fig.).Caratterizzate dalla forma quadrangolare e dalla presenza di quattro peducci ottenuti dal prolungamento dei montanti angolari, sono contraddistinte nel ricco mondo egizio dalla sfarzosità e varietà delle decorazioni (applicazioni in metalli preziosi, paste vitree, pigmenti e legni di colori diversi ecc.) e per una discreta variabilità dimensionale244. Questa classe di oggetti, dalla evidente funzione di contenitore di effetti personali, avrà una grande diffusione nel mondo greco dove è già noto da fasi molto antiche, come testimoniato da alcuni studi che, in base alle fonti iconografiche, attribuiscono grande diffusione a questo tipo di cassette lignee, fin dall’età del Bronzo. Tale diffusione sarebbe da attribuirsi all’entrata in uso delle grandi seghe metalliche, in grado di produrre tavole lignee molto sottili e di spessore pressoché regolare. Il carattere in qualche modo “personale” e “privato” di questo contenitore245 sembra estremamente enfatizzato dalle numerosissime attestazioni iconografiche che si incontrano su rilievi marmorei e ceramiche attiche, soprattutto a figure rosse, a partire dal VI-V e per tutto il IV secolo a.C (fig.). L’idea che si ricava da queste immagini, talvolta legate a fatti mitologici, talvolta descrittive della realtà quotidiana soprattutto muliebre, è quella non di una semplice suppellettile, al pari di tavoli, sedie ed altro mobilio che fa da contorno alle scene ritratte, ma di un luogo prezioso e personale dove riporre oggetti “cari” o in qualche modo “indispensabili” alla persona. In epoca romana le rappresentazioni iconografiche di questa classe di oggetti sono assai meno frequenti. Alcuni autori attribuiscono questo fenomeno ad un probabile decremento della popolarità di questi oggetti, a favore della comparsa di altre tipologie di mobilio prima sconosciute, come gli

243 Identificabili con i termini greci κιβωτός, κιβώτιον, λάρναξ, φωριαμός e κίστη e latini arca, arcula, cista,

capsa (cfr. RICHTER 1966, pp.72, 114)

244 BARKER 1966.

245 Ricordiamo a tal proposito le cassettine rettangolari con coperchio scorrevole(scrinium, loculus) che

invece avevano la funzione di “scatola” (cfr. i tre ritrovamenti del relitto Fortuna Maris di Comacchio, BERTI

armadi o le grandi casse ferrate, che ne avrebbero sostituito almeno in parte la funzione246, le poche rappresentazioni a noi giunte sono perlopiù ascrivibili al repertorio dei rilievi funerari. Ancora una volta la cista lignea è rappresentata in circostanze “affettivamente significative” per il proprietario, e contiene oggetti per lui/lei indispensabili e al contempo rappresentativi della persona. E’ il caso emblematico di un rilievo funerario da Istanbul, databile al II -III secolo d.C. (fig.), dove la defunta, è raffigurata con accanto una cassetta molto simile all’esemplare rinvenuto, benché priva dei peducci247; al di sopra della cassetta altri oggetti emblematici, come uno specchio ed un rotolo di papiro. A differenza di quanto si possa pensare la cista non è un contenitore esclusivamente riferibile al mondo femminile, ne è testimonianza il rilievo funerario di Publius Longidienus, carpentiere navale (fig.): il suo monumento funerario lo raffigura mentre attende al suo lavoro di costruttore navale, chiaramente aiutato dalla sua cassetta di attrezzi, talmente robusta da permette di essere utilizzata oltre che come contenitore, anche come sgabello248. L’insieme del monumento funebre ravennate, riferibile all’età augustea e raffigurante Longidieno, sua moglie ed alcuni appartenenti alla famiglia, sembra incentrato sull’esaltazione delle capacità tecniche del faber navalis, dalla cui personale abilità sembra scaturire la fama ed il successo249. Quest’ultimo confronto appare, per il contesto stesso in cui è rappresentato, estremamente calzante con la situazione di rinvenimento dell’oggetto rinvenuto nei livelli successivi all’affondamento della nave A.

IL RESTAURO

Un’altra fase di studio è consistita, una volta terminato lo scavo, con il restauro preceduto da un’attenta azione di pulitura interna del reperto con la stessa metodologia utilizzata per l’esterno: è stato realizzato un sistema di espansori da posizionare all’interno del manufatto (fig.), che fornissero una spinta delle pareti in legno verso l’esterno a sua volta controllata dalla pellicola di polietilene precedentemente collocata esternamente. A questo punto sono stati effettuati nuovi rilievi, alla fine dei quali la cassetta è stata posta su di una tavola lignea, in una vasca con acqua demineralizzata, iniziando così il processo di desalinizzazione, con cambi periodici di acqua. Questa fase è stata monitorata giornalmente tramite un conduci metro: quando l’acqua è risultata priva di sali il reperto è stato tolto dalla vasca per poi essere immerso in una soluzione acidula al 3.5% che ha consentito uno

246 Cfr. oltre all’opinione del Richter (RICHTER 1966) , DE CAROLIS 2007,pp.132-143. 247 RICHTER 1966, pag.114, fig.582.

248 ULRICH 2007, pag.230.

schiarimento del legno e al contempo un ulteriore pulitura dai residui calcarei presenti sulla superficie. Per il ripristino del ph, dopo il bagno acidulo, i reperti sono stati posti in una vasca dove veniva erogato un flusso di acqua costante fino al raggiungimento di un ph neutro. Successivamente il reperto è stato preparato per le fasi d’impregnazione (fig.), effettuando periodicamente vari bagni in acetone per permetterne la completa disidratazione e liberare così le cavità naturali del legno pronte per essere trattate con una soluzione impregnate di colofonia. Il trattamento impregnante essendo composto da una miscela di colofonia diluita in acetone, posta in una vasca termo riscaldata a 50°, ha comportato la rimozione della pellicola di polietilene di contenimento, sostituendola con della garza di cotone. Il trattamento si è protratto per due mesi, il tempo è stato calcolato in base al degrado del legno e al suo spessore, durante la permanenza del reperto nel liquido impregnante si è reso necessario creare una struttura idonea di contenimento e raddrizzamento, utilizzabile anche durante la successiva fase di asciugatura lenta, in modo da controllare eventuali deformazioni tipiche di questo delicatissimo processo. E’ stata così progettata e costruita una cassa, assemblabile per mezzo di viti, munita di alloggi filettati in ferro i quali consentissero il passaggio di barre filettate con all’estremità piedi in gomma, che permettessero una spinta contrapposta e regolabile. La struttura è stata imbottita con elementi in legno e gommapiuma, protetti da pellicola di polietilene (fig.). Terminato il tempo di trattamento è stato tolto il reperto dalla soluzione di colofonia. La temperatura e l’acetone hanno allentato le giunture della cassa rendendole particolarmente fragili e mobili e arrecando notevoli problemi nella fase di pulitura della soluzione eccedente. Tramite garze di cotone imbevute in acetone e con l’ausilio di specilli e spatoline è stata rimossa la colofonia in eccesso. La cassetta è stata posta nella cassa precedentemente descritta e riportata in forma con l’ausilio delle barre sopra citate (fig.); il tutto è stato collocato in un contenitore, avvolto in un telo di nylon e ricoperto di sabbia, iniziando con la prima fase di asciugatura lenta e controllata (fig.)Trascorsi tre mesi di asciugatura, il manufatto è stato tolto dalla sabbia lasciato dentro la cassetta di contenimento e sottoposto ad un ulteriore asciugatura effettuata alternando coperture giornaliere con teli di nylon, il tutto per la durata di un mese. Ad asciugatura ultimata il reperto è stato tolto dalla cassa e messo in sicurezza, spessorandolo su tavole di legno in modo che i piedi non toccassero il piano di appoggio (fig.). La struttura aveva subito alcune fessurazioni e movimenti strutturali a carico delle gambe dovuti principalmente ad uno spessore esiguo del legno. Successivamente il reperto è stato ripulito dai residui di colofonia rimasti negli interstizi, sono stati incollati alcuni frammenti anche con l’ausilio di perni in acciaio e ricostruite le

parti lacunose con un integrante a base di cera 250, quest’ultimo utilizzato anche in qualche fessura per dare più compattezza e stabilità all’oggetto (fig.). Infine è stata stesa a pennello una mano di cera micro-cristallina e reso un effetto semilucido tramite lo spannamento con pennelli di setola morbida.