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Filippo I per Otacilia Severa Marcia Otacilia Severa (morta nel 248?).

3.1 P RINCIPI GENERALI

3.1.1 C ENNI DI EVOLUZIONE NAVALE

Fin dall’antichità il rapporto uomo – mare è stato problematico, precario, incerto. L’uomo, ben ancorato con i piedi per terra, ha sempre visto il mare con timore, una sorta di ostacolo, un deserto blu, su cui poter intravedere a distanza, come un miraggio, un’oasi, altre terre impossibili da raggiungere. E’ importante assimilare il pensiero di quest’uomo fermo sulla costa a scrutare l’orizzonte, perché solo in questa maniera si può comprendere l’importanza dei primi tentativi compiuti per navigare e di tutta la storia della navigazione. Deve essere stata, però, la possibilità di integrare le produzioni agricole e venatorie con prodotti marini a porre il mare sotto un’ottica diversa, forse più amichevole: l’essere valido integratore e ricca fonte alimentare, come testimonierebbero in età preistorica la semplice raccolta di “frutti di mare”, piccoli molluschi, pesci di scogliera e, successivamente, la pesca

287 Su questo strato si applicava a caldo la pittura a cera nota come “encausto”, soprattutto sull’opera morta

che veniva spesso ornata in modo vistoso. Le fonti letterarie, infatti, ma anche le raffigurazioni di Pompei mostrano come queste pitture potessero essere elaborate e Plinio il Vecchio ricorda che i pittori famosi erano originariamente pictores navium (Nat.Hist.XXV, 149; BASCH 1987, nn.970,977, 1030, esposti alla Mostra Romana Pictura, Rimini 1986.

288 Questo sistema fu riscoperto soltanto nel XVI secolo, per essere sostituito nel XVII da un rivestimento in

rame: BONINO 2005,pp. 105-106; GIANFROTTA, POMEY 1980,pp. 258-260.

289 Il quinconce è la disposizione di cinque unità nel modo in cui è tipicamente raffigurato il 5 sulla faccia di un

dado.

290 TCHERNIA 1968-1970.

291 BONINO 2003.In realtà questo tipo di rivestimento, conosciuto a partire dal IV secolo a.C., è largamente

utilizzato fino alla metà del I secolo d.C. (le navi di Nemi, infatti ne offrono l’ultima testimonianza, cfr.BONINO

2003, pag.123) e sembra scomparire prima della fine del II secolo d.C., dal momento che tutte le carene scoperte databili ad epoca posteriore non presentano tracce della sua utilizzazione. Le cause dell’abbandono del rivestimento in piombo non risultano chiare; potrebbero essere di ordine economico (richiedeva infatti l’impiego di quantitativi ingenti di piombo) oppure tecniche (uso di spalmi e di pitture ad encausto, indubbiamente meno costose e conosciute da tempo, Nat.Hist.XXV, 49).

anche nelle tecniche e metodologie più e volute, avrà spinto l’uomo ad uno sfruttamento intensivo del mare e alla creazione di strutture, costruzioni per solcarne la superficie. Le prime imbarcazioni sono state indubbiamente zattere costituite da più tronchi legati insieme o da fasci di canne intrecciate (ratis, zattera), evolutesi in un secondo momento in piroghe scavate in un unico tronco (linter, piroga, monossile). Tralasciando la “nautica egiziana”, le successive tappe della storia delle imbarcazioni, che possiamo seguire attraverso le rappresentazioni vascolari greche o i mosaici romani attestano un’evoluzione funzionale che portò alla creazione di tipologie navali a seconda che servissero per la guerra, per la pesca o per il commercio, ma descrivono anche la storia dell’uomo nella lunga avventura che lo portò ad affrontare il mare, tanto da far scrivere a Strabone (Geografia, I, 1, 15) che “in un certo senso siamo degli anfibi, animali marini non meno che terrestri”.

Le navi da trasposto (ολκάδες, onerariae) col tempo finirono per assumere una forma sempre più tondeggiante ed un sistema di propulsione essenzialmente velico, mentre quelle da guerra (naves longae) un profilo più allungato, con la prua munita di rostro ed un sistema di propulsione misto, cioè a remi e a vela. Logicamente una nomenclatura più articolata designava i diversi tipi e modelli di navi commerciali, come attestano, per esempio, il mosaico di Althiburus e delle terme di Themetra (Tunisia)292. La maggior parte delle navi onerarie trasportava merci di varia natura, e in più vasellame, vettovaglie e suppellettili di diverso genere. Le anfore viaggiavano impilate nelle stive in più strati sovrapposti; per attutire i colpi determinati dal modo ondoso, tra le pance dei contenitori accostati si interponevano fronde, rametti di specie arboree cespugliose e quanto fosse utile a questo scopo. Generalmente le anfore venivano smaltite, dopo l’uso, in discariche situate presso gli scali293, perché impossibile riutilizzarle, dato che la terracotta si impregnava facilmente degli umori e degli odori dei liquidi contenuti, in particolar modo se il contenuto era olio salsa di pesce. Le anfore vinarie, invece, erano impeciate e resinate all’interno. Esistevano, poi, navi specializzate per particolari merci quali le naves lapidariae, le frumentariae e le vinariae, adibite solo al trasporto del vino, vere e proprie “navi containers” all’interno delle quali erano sistemati stabilmente nella stiva i dolia per il trasporto del vino sfuso294. Tra i carichi più singolari vanno annoverati quelli trasportati

292 Per le navi da guerra la denominazione varia in base alla distribuzione dei rematori.

293 Famosa la discarica presso il porto fluviale di Roma, quella che diede luogo al monte Testaccio, costituita

per la maggior parate da anfore olearie della Betica

294 Una volta giunti a destinazione, il vino era travasato in altri contenitori, venduto o conservato negli Horrea

dalle naves bestiariae o cercuri, navi impiegate per il trasporto degli animali selvaggi che erano utilizzati negli spettacoli circensi; altre navi eccezionali dovevano essere adibite al trasporto degli obelischi, come quella che trasportò l’obelisco a Roma per il circo di Caligola.

La stazza dei mercantili antichi poteva raggiungere livelli notevoli:la capacità di trasporto era calcolata in anfore (unità di 45-50 kg) o modii (ca.6.6 kg); dalle fonti sappiamo dell’esistenza di navi dalle stive capaci di contenere oltre 10.000 anfore, intorno alle 500 tonnellate, ovvero fino a oltre 180.000 moggi di grano. Una capacità di carico pari a ca. 330 tonnellate (50.000 moggi) era il requisito minimo richiesto dallo stato romano per il conferimento di speciali condizioni a chi volesse offrire a nolo la propria imbarcazione per i trasporti dell’Annona295. Tra i relitti più noti ricordiamo la Madrague de Giens, nave di ca.40 m., con anfore disposte su tre o quattro livelli, e anche la nave di Albenga che invece presentava almeno cinque strati di contenitori da trasporto. Durante le lunghe traversate, per la stabilità della nave era importante la presenza della zavorra, onnipresente nelle stive; oltre alla sabbia, anche pietrame di varia pezzatura era utilizzato per questa funzione e, in qualche caso, anche i legumi296. In ogni caso si cercava di non ritornare dal viaggio con la nave priva di un certo quantitativo di carico: se questo fosse stato di peso inferiore a quello di andata, la differenza sarebbe stata rimpiazzata dalla zavorra.

Per quanto riguarda la navigazione nei fiumi e nei laghi ci si serviva, invece, di navi a fondo piatto trainate da mandrie di bufali, o di semplici barchini, alcuni dei quali rinvenuti anche a San Rossore.