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Cantiere di Pisa – San Rossore: Area 1 – Nave A. Ricostruzione delle modalità di naufragio e successivo interro del relitto attraverso le analisi delle stratigrafie e lo studio dei materiali archeologici

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il cantiere delle Navi Antiche di Pisa San Rossore prende nome dallo scalo ferroviario sorto nella zona ad occidente delle mura medievali della città, in direzione del litorale, a poco più di cinquecento metri in linea d’aria da piazza dei Miracoli; nel 1998 furono effettuati nel suo perimetro alcuni lavori per la realizzazione di un nuovo centro direzionale delle Ferrovie dello Stato della linea tirrenica, Roma – Genova, da cui emersero i primi ed importanti reperti1. L’intervento è iniziato secondo le modalità dello scavo d’emergenza, incentrandosi principalmente sull’identificazione ed il recupero dei beni presenti nell’area indagata ed è stato finanziato dalle stesse FS. Successivamente, a causa del numero elevato di relitti individuati, si è trasformato in un’operazione a lungo termine, in un cantiere stabile con modalità d’indagine del tutto diverse. Il passaggio da scavo di emergenza e recupero, con le modalità della rescue archaeology, all’attenzione ed al dettaglio che un deposito archeologico di una tale ricchezza necessita, ha fornito un massa di dati crescente in progressione geometrica e ha maturato i tempi per una revisione generale della lettura dell’ambiente, del contesto e delle dinamiche ad esso inerenti, all’interno della quale questo lavoro si pone come ulteriore tassello conoscitivo. L’obiettivo del progetto è quello di ricostruire, attraverso l’analisi delle stratigrafie e lo studio dei materiali archeologici, le modalità di naufragio e il successivo interro del relitto della nave A, la grande oneraria, collocata all’estremità nord – orientale dell’area di scavo (area 1). Indagata in più momenti è stata parzialmente riportata alla luce dal momento che parte del suo fasciame si trova ancora oggi al di fuori dell’attuale zona di cantiere. Problemi di ordine logistico, quale la presenza delle paratie metalliche (la cui messa in opera ha, purtroppo, tagliato in due il relitto) e la vicinanza al binario della linea tirrenica delle Ferrovie, impediscono al momento un eventuale allargamento ed approfondimento dello scavo.

Il progetto cerca di collocare ed interpretare gli eventi secondo una sequenza stratigrafica completa e particolareggiata, avvalendosi non solo dei dati propri della cultura materiale ma, dove presenti, anche di quelli paleoambientali e topografici, nonché delle notizie, sempre più numerose, provenienti dalle analisi fisico – chimiche effettuate sul deposito.

I risultati ricavati, infine, sono stati incrociati con i dati – pochi ma significativi – ricavati da altri simili contesti, in modo da poter fornire un’interpretazione plausibile delle dinamiche di formazione e di quelle postdeposizionali del relitto.

1 Cfr. BRUNI 2003,pp.15-25 per un riassunto degli eventi che hanno preceduto l’assetto attuale del cantiere;

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La chiave di lettura di questo lavoro è quello di intendere il relitto non solo come manufatto a sé, ma come serie di eventi che hanno portato, nel loro insieme, all’affondamento della nave e alla sua deposizione sul fondale. E proprio per comprendere meglio le dinamiche di deposizione/ dispersione/ disfacimento del relitto, l’attenzione è stata focalizzata sullo studio dei processi formativi del deposito e, archeologicamente parlando, sulla complessa sequenza stratigrafica delle terre in cui il relitto è immerso. L’eccezionalità del sito di San Rossore, infatti, sta nella peculiarità della sua natura, che si allontana dal modello dell’evento, inteso come fenomeno eccezionale che ruota intorno ad uno o più reperti, per avvicinarsi a quello dell’ambiente, non solo per la ricchezza dei rinvenimenti, ma soprattutto per la sua caratteristica di deposito fluviale/alluvionale, in una sorta di cerniera dove le dinamiche deposizionali e postdeposizionali a carattere sommerso si intersecano con quelle tipiche dell’ambiente terrestre. Mai come in questo contesto l’unità stratigrafica non rappresenta un evento puntuale, frutto di un’azione, ma un processo morfogenetico complesso, dovuto ad una somma di eventi protratti nel tempo. Gli anni dedicati a sviluppare questo lavoro sono stati prevalentemente dedicati allo scavo vero e proprio del relitto e al lavaggio, siglatura e catalogazione dei reperti. I dati ricavati dalla studio e dall’analisi delle evidenze archeologiche e della cultura materiale, trovano in queste pagine la loro giusta sintesi, suddivisa in tre distinti capitoli e vari paragrafi, rispettivamente dedicati all’inquadramento paleoambientale e storico -topografico del contesto, all’analisi delle stratigrafie pertinenti al relitto e allo studio del suo carico con qualche accenno ai livelli post-deposizionali ed, infine, all’esame strutturale dell’imbarcazione con riferimento anche alle sue essenze. Le tavole, le immagini e la nutrita bibliografia supportano e testimoniano l’intero e lungo lavoro.

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ONTESTO

“Alphae veterem contemplor originis urbem quam cingunt geminis Arnus et Ausur acquis.” Rutilio Namaziano, De reditu suo, I, 565

1.1INQUADRAMENTO PALEOAMBIENTALE

Esaminare tutte le diverse trasformazioni geomorfologiche che hanno interessato l’area di scavo, e più in dettaglio, il suburbio di Pisa è necessario e propedeutico alla comprensione delle dinamiche stratigrafiche che hanno sigillato per sempre i relitti ed i loro materiali.

Il deposito di S. Rossore si colloca all’interno della pianura costiera pisana, la cui attuale configurazione è il risultato di una serie di processi geologici che, protrattisi per un lungo intervallo di tempo2 a partire dal Miocene Superiore (circa 10 ma= milioni di anni), hanno dato vita ad un bacino sedimentario, sviluppatosi in seguito a fenomeni di sprofondamento tettonico in un’area precedentemente caratterizzata dalla formazione e dal sollevamento della catena montuosa dell’Appennino Settentrionale e caratterizzato negli ultimi millenni da una intensa dinamica fluviale, costiera ed antropica (fig.1).

Dopo il Miocene, con l’inizio dell’era Quaternaria (circa 1,7 ma)3 l’area fu interessata, dapprima, da una trasgressione marina attestata da depositi sabbioso – argillosi e, in seguito, da una graduale regressione, testimoniata da sedimenti sabbiosi di spiaggia e, più in generale, di ambienti costieri. Le instaurate condizioni climatiche continentali determinarono, durante il Pleistocene medio (da 0,7 a 125.000 anni fa), la deposizione di ciottoli e sabbie fluviali e, nel Pleistocene superiore (ultimi 150.000 anni circa), due importanti fasi di fluttuazione del livello marino, regolate da fenomeni di cambiamento eustatico e climatico. Tali fasi coincisero con la penultima e l’ultima glaciazione, quando cioè le calotte polari, soprattutto quella artica , ed i ghiacci delle catene montuose si estesero verso latitudini e quote più basse ed i livelli marini si abbassarono significativamente fino a 120 m. rispetto all’attuale livello del mare. A seguito di ogni regressione, quindi, le pianure fluviali e costiere, come quella pisana, finirono per essere

2 MAZZANTI,RAU,1994;DELLA ROCCA et alii 1987;MAZZANTI,PASQUINUCCI 1983. 3 BOSCHIAN et alii 2006;MAZZANTI 1984.

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molto più estese e mostrare un assetto fisiografico significativamente diverso da quello attuale. Profonde valli fluviali, parzialmente colmate da sedimenti ghiaioso – sabbiosi, erano presenti nelle aree della pianura attualmente caratterizzate da sedimentazione alluvionale di materiale fine. I successivi miglioramenti climatici delle fasi interglaciali favorirono un nuovo innalzamento del livello marino, modificando la sedimentazione nelle pianure costiere.

Nel caso della pianura pisana, per esempio, i depositi che derivano dal miglioramento climatico dopo la penultima fase glaciale sono sabbie di spiaggia presenti lungo la costa livornese, testimonianza dell’innalzamento marino noto come Tirreniano. Tra i 100.000 ed i 10.000 anni (ultima fase glaciale) il livello marino tornò a salire, inondando aree precedentemente subaeree, dominate da deposizione fluviale grossolana ed eolica. La risalita fu complessa e discontinua4, cronologicamente scandita in almeno due fasi: la prima collocabile tra 13.000 ed 11.000 anni fa ed una seconda più importante tra 10.000 a 5.000 anni fa circa (primo – medio Olocene). La piana pisana fu interessata, quindi, dal variare della deposizione da ambienti continentali, durante il periodo glaciale, ad ambienti costieri (spiaggia, laguna e laghi e di pianura fluviale a bassa energia, durante il miglioramento climatico olocenico É proprio questa la fase che scandisce lo stadio più recente dell’evoluzione della zona, la cui comprensione tuttavia non può derivare solo dalla dinamica climatico – eustatica degli ultimi 13.000 anni ma anche e soprattutto dall’incidenza dell’evoluzione idrografica dell’area e dall’influenza dell’impatto umano sul cambiamento ambientale5 degli ultimi millenni.

Durante l’età del ferro l’uomo occupa la pianura pisana: il clima è continentale (la cosiddetta “piccola era glaciale”), la pianura non risulta interessata da piene catastrofiche, la linea di costa si trova notevolmente spostata verso terra ed il livello del mare si ipotizza fosse di 1-2 m. più basso rispetto all’attuale. Con l’età romana l’area diviene fortemente antropizzata, caratterizzata dalla presenza di numerosi tracciati fluviali con andamento meandriforme e con frequenti variazioni dell’alveo; è proprio in questo periodo che buona parte della pianura viene spesso sommersa da acque fluviali e marine che, ristagnando, tendono nel tempo a creare zone paludose6. I principali corsi d’acqua sono l’Arno (Arnus) ed il Serchio (Auser); il primo, il più importante, aveva uno sbocco diretto in mare

4 ANTONIOLI et alii 1999.

5 BENVENUTI et alii 2006, PALLECCHI 2005;BENVENUTI et alii 2004;PRANZINI,SILENZI 2004; BEGLIOMINI et alii 2003;

BENVENUTI et alii 2002;DALL’ANTONIA,MAZZANTI 2001;BENVENUTI et alii 2000.

6 Sono presenti ancora diverse aree umide come il Padule di Agnano ai piedi del monte Pisano, il sistema

Stagno – Coltano oltre il lago di Bientina e le zone interessate ancora da acqua marina tra le dune sabbiose del litorale.

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dividendosi in tre rami, oggi difficilmente localizzabili, mentre il secondo, o il suo ramo principale, confluiva nell’Arno verso Pisa. Con il variare delle condizioni climatiche, caratterizzate da un generale aumento della piovosità, si determina un forte aumento del carico detritico dei corsi d’acqua e grazie all’attività antropica (aumento delle aree coltivabili, centuriazioni, disboscamenti, bonifiche) si modifica anche l’assetto geomorfologico della piana pisana: la linea di costa si allontana a causa del deposito dei sedimenti traspostati dai fiumi, l’Auser abbandona definitivamente il ramo di Bientina, non si unisce più all’Arno e raggiunge autonomamente il mare. Il contesto vegetale vede la presenza di piante arboree tipiche di un bosco mesofilo planiziale del quale fanno parte querce caducifoglie, come la farnia, e piante igrofile, come l’ontano ed il salice, che testimoniano la continuità di corsi o specchi d’acqua dolce, oppure zone dove la falda freatica è pressoché superficiale.

Tra i caratteri ambientali, è necessario sottolineare il verificarsi di intense precipitazioni che, concentrate in brevi intervalli di tempo, si ripetevano periodicamente generando, con la rottura degli argini, esondazioni catastrofiche dei fiumi, attraverso cui rovesciavano nella pianura enormi quantità di sedimenti sabbiosi misti a materiali eterogenei, che finivano per colmare le depressioni del terreno. In questo contesto trova la sua collocazione un antico canale, posto tra l’abitato pisano ed il mare con percorso est – ovest, probabilmente inattivo e interpretabile come un paleoalveo di un corso d’acqua che col tempo si era spostato da quest’area, ma che si trovava comunque in comunicazione con il mare in modo da poter essere utilizzato dalle navi per avvicinarsi alla città. Un tratto di questo paleoalveo è compreso nell’area golenale in cui sono state ritrovate le navi.

1.2INQUADRAMENTO STORICO.PISA IN EPOCA ROMANA.

Pisa iniziò a gravitare nell’orbita romana a partire dalla metà del III secolo a.C. ca. (probabilmente nell’ambito di un foedus con Roma non esplicitamente documentato): i suoi porti svolsero un ruolo importante nell’ambito di operazioni militari romane nel Mediterraneo occidentale7 e nel II secolo a.C. la città divenne base per le azioni belliche terrestri e marittime contro i Liguri che compivano, in quel frangente, incursioni nel territorio facendo razzie8. Questo stato di fatto permise a Roma di costituire un sistema di basi portuali sicure lungo la costa tirrenica e soprattutto di consolidare la sua posizione

7 Nel 225 a.C. il console C. Atilio Regolo sbarcò a Pisa dalla Sardegna, dove si era appena instaurato un

governo romano stabile (Polyb.2.27). Il porto pisano fu nuovamente utilizzato da P. Cornelio Scipione, padre dell’Africano, per il trasferimento delle truppe romane a Marsiglia (Polyb. 3.4.2; 56.5; Liv. 21.39); cfr. SEGENNI

2003,pag. 81; BRUNI 1998,pag.237.

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nell’Italia centro settentrionale: Pisa viene esplicitamente menzionata come provincia, come “sfera di competenza” dei magistrati consoli o pretori, incaricati delle operazioni militari in questo periodo.

In seguito alla guerra sociale (90 – 89 a.C.) la città divenne municipium9e, probabilmente, fu iscritta nella tribù Galeria10: il suo territorio si estese dalla Versilia

(Cinquale, Strettoia) al crinale del monte Pisano, ai fiumi Era e Fine11. La fase municipale durò molto poco, perché tra il 42 ed il 27 a.C. forse dopo Azio (31 a.C.) e probabilmente per opera di Ottaviano, la città fu interessata dalla deduzione di veterani12 e divenne colonia con il nome di Opsequens Iulia Pisana13, come definita nella documentazione epigrafica (CIL,

XI, 1420). L’istituzione della colonia e l’insediamento di veterani, ebbero conseguenze significative sull’organizzazione amministrativa della città, che fu sottoposta anche ad una ristrutturazione urbanistica, alla centuriazione di parte del territorio e all’impianto di un capillare popolamento rurale ad essa contestuale14.

1.2.1LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE

Questa parentesi storica che riassume per grandi linee i momenti importanti di una trasformazione culturale ed urbanistica è imprescindibile ed importante per contestualizzare il deposito di san Rossore, ed è il punto di partenza per una migliore comprensione di ciò che rimane oggi, archeologicamente parlando, della fase romana. Purtroppo, lo studio della città antica e del suo suburbio è reso difficoltoso e particolarmente complesso a causa dell’intensa attività edilizia medievale e postmedievale, delle caratteristiche idrologiche e di subsidenza di tutta l’area pisana, pertanto la sua immagine è ricostruibile soprattutto attraverso la fonti antiche ( Strabone, Livio, Plinio, Rutilio Namaziano) e i documenti epigrafici.

9 Un importante documento relativo alla definizione dei termini municipium e municipes, definisce i Pisani tra

gli esempi della terza categoria di municipes (Fest.155 L).

10 FABIANI 2007,pag. 389.

11 In epoca etrusca il territorio era esteso ad una vaste parte dell’Etruria nord-occidentale.

12 Il numero dei veterani non è attestato; si calcolano ca.1400/2400 o addirittura 3000 per analogia con altre

deduzioni di età triumvirale – augustea. Essi, probabilmente, appartenevano alla XIX legione, come testimonierebbe una attestazione epigrafica funeraria di un certo SEX. ANQUIRINNIS L.f. Galeria, che aveva svolto servizio militare proprio presso questa legione (CIL, XI 1524). L’estensione dei lotti assegnati ai veterani in proprietà privata non è documentata; per analogia con altre colonie dedotte tra il 47 ed il 24 a.C. si può ipotizzare che i lotti misurassero da 25 a 30/60 iugeri ( cfr. PASQINUCCI 2003,pag.83).

13 Cfr.PARIBENI 2005;PASQINUCCI 2003;PASQUINUCCI 1995.

14 Forse furono dedotti a Pisa veterani della XIX legione, come testimonierebbe l’iscrizione funeraria relativa a

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In ogni modo, l’ambito cittadino racchiuso nel pomerium, probabilmente, si collocava alla confluenza di un ramo dell’Auser nell’Arno15; i suburbia, invece, si estendevano tutto intorno, anche oltre i due fiumi.

Della fase repubblicana, purtroppo, ci sono pochissime attestazioni; per esempio, non è stato ancora individuato il sistema murario che doveva integrare e potenziare la difesa naturale costituita dai due corsi d’acqua. Per l’età augustea, invece, ricaviamo importanti informazioni da due testi epigrafici, i decreta Pisana, emanati dalla colonia nel 2 e nel 4 d.C., al momento della morte dei figli adottivi di Augusto, Lucio e Caio Cesari (CIL, XI 1420 e 1421; Inscr.It. VII 1, Pisae, 6,7)16. Nel primo, formulato nell’Augusteum affacciato sul foro, si prevedeva che i magistrati acquistassero con denaro pubblico un luogo dove poter innalzare un altare ed un cippo per commemorare, annualmente, l’anniversario di morte del giovane Lucio Cesare; nel secondo17, invece, emanato per la morte di Gaio Cesare, si faceva riferimento a templa deorum immortalium, a balnea publica, a tabernae, a edifci per spettacoli nei quali si sarebbero tenuti ludi scaenici circiensesve. Si decretava, inoltre, l’erezione di un arco onorario, nel luogo più frequentato della colonia, , sopra cui dovevano essere collocate le statue dei due fratelli..

Le conoscenze sulla città romana sono, sfortunatamente, episodiche. A giudicare dai rinvenimenti occasionali e dagli scavi sistematici effettuati negli ultimi anni, di alcuni dei quali si attende la pubblicazione, la massima espansione urbana fu raggiunta tra il I ed II secolo d.C. L’ubicazione del foro, su cui doveva affacciarsi l’Augusteum (CIL XI 1420), è ancora ipotetica; strutture di un edificio termale di fine I secolo d.C., ristrutturato nel corso del II secolo per iniziativa di L. Venuleius Apronianus Octavius (CIL XI, 1433) e comunemente noto come “bagni di Nerone”18, a causa della tradizione antiquaria del ‘500 che l’attribuì a Nerone, sono visibili oggi nella zona di Porta a Lucca, presso il settore orientale della città medievale; ancora, scavi effettuati nel 1908 in via San Zeno, hanno portato alla luce strutture murarie curvilinee pertinenti ad un teatro o ad un anfiteatro.

Per quanto concerne il tessuto abitativo, la sua conoscenza è nota attraverso rinvenimenti in diversi settori della città. In piazza dei Miracoli19, in particolare dal suo settore orientale, cioè dall’accesso alla piazza in via Torelli, fino alla medievale Porta del Leone e dalle mura comunali a nord fino al limite sud della piazza, sono state messe in luce

15 Strabo 5.2.5; Plin. Nat.Hist.3.5.50; Rut. Nam. 1.566; Scolio a Tolomeo 3.1.4. 16 SEGENNI 2003,pag.89.

17 SEGENNI 2002.

18 PASQUINUCCI,MENCHELLI 1989.

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fasi edilizie di alcune domus di età tardo repubblicana ed augustea20; nel giardino dell’Arcivescovado21 è stata scavata una domus con un contiunum abitativo dalla fine della repubblica all’età tardoantica; nell’area di piazza Dante22 sono state messe in luce le fondazioni di un muro pertinente ad un’altra domus di età augustea; nella piazza dei Cavalieri23 e nelle sue adiacenze la indagini archeologiche documentano una continuità di frequentazione dal I secolo d.C. almeno fino al Medioevo. Inoltre, scavi recentissimi d’emergenza hanno individuato resti di un edificio di età imperiale in Via Galluppi di cui è stato possibile riconoscere alcune fasi edilizie; probabilmente nei pressi dell’edifico sorgeva un impianto produttivo di ceramica, come attesterebbero la grande quantità di frammenti di sigillata tardo italica pisana ed i numerosi scarti di produzione che, insieme a sedimenti combusti, si riscontrano su tutta l’area di scavo24 .

Diversa è la situazione del suburbio25 di epoca romana, attualmente coperto dalla periferia cittadina; sicuramente il paesaggio era caratterizzato dalla presenza di horti, cioè villae con estesi terreni in parte a giardino, in parte coltivati ed edifici periurbani, documentati nei pressi dello Stadio, in via Pietrasantina, e nella zona a sinistra dell’Arno (via Garofani). Questa era la parte della città destinata all’economia, cioè alle attività agricole, manifatturiere e commerciali; accanto alla coltivazione di verdura e frutta, alla produzione di latte e all’allevamento di pollame trovavano posto attività di cantieristica navale, attestate dalle fonti in epoca repubblicana ed imperiale26, ed un vero e proprio quartiere artigianale per la produzione di terra sigillata27, i cui centri manifatturieri28 si estendevano oltre i limiti della città direttamente nell’ager Pisanus settentrionale, sino al porto/approdo di Isola di Migliarino. Uno specchio d’acqua navigabile, inoltre, occupava la

20 Sono stati riportati alla luce ampie porzioni di muri e pavimenti in scaglie di marmo, coccociopesto

decorato e a mosaico. Grazie alla straordinaria ampiezza dell’area indagata e ai dati scientifici ricavati dallo studio archeologico delle evidenze è possibile ipotizzare almeno tre fasi di vita delle domus: ad un primo impianto riferibile all’inizio del I secolo a.C. segue, in un momento di poco SUCCESSIVO, un rialzamento dei piani di calpestio con la stesura di nuovi pavimenti, mentre una fase di riorganizzazione interna , databile ad età tardo imperiale, caratterizza l’ultimo periodo di vita degli edifici (per una sintesi: ALBERTI , PARODI 2011,p.43).

21 PASQUINUCCI,STORTI 1989. 22 PASQUINUCCI 1993. 23 BRUNI,ABELA,BERTI 2000.

24 L’intervento di scavo in Via Galluppi è stato condotto nel 2009 per i lavori di realizzazione di un parcheggio.

Le fasi di frequentazione più antica sono associate a resti di murature datate intorno al II secolo a.C., parzialmente visibili poiché al di sotto del livello dell’acqua di falda, e presto cadute in disuso. Sui livelli di distruzione si impianta, tra la fine dell’età augustea e gli inizi dell’età tiberiana, l’edificio imperiale di cui è stato possibile riconoscere due fasi di vita. Tra la fine del II e la seconda metà del III secolo d.C. le strutture vengono definitivamente abbandonate e l’area risulta frequentata solo sporadicamente fino al IV, quando si imposta l’area sepolcrale (BERTELLI 2011, ANICHINI,BERTELLI 2010).

25 PASQUINUCCI,MENCHELLI 2008.

26 Strabo 5.2.5; CIL XI, 1436; Claudius Claudianus De bello Gildonico,483.

27 Al momento sono due le fornaci individuate in città: quella di via San Zeno e l’altra in via Santo Stefano,

ubicate rispettivamente presso la riva sinistra e destra del fiume (cfr. MENCHELLI 1997;MENCHELLI 1995).

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zona a nord ovest della città.

1.3INQUADRAMENTO TOPOGRAFICO

Gli apporti alluvionali dell’Arno hanno nel tempo allontanato la linea di costa, il progressivo impaludamento della zona, dovuto all’abbandono delle difese idriche legate al sistema centuriale, unicamente all’innalzamento del livello del mare e al degrado idrologico conseguente alla crisi politica, economica e demografica che la città visse in epoca tardo-antica, nonché le successive opere di bonifica realizzate a partire dall’età medievale, hanno apportato significative e pesanti modifiche al paesaggio pisano.

Oggi la storia del comprensorio viene ricostruita attraverso indagini multidisciplinari, finalizzate allo studio diacronico della fascia costiera e del suo hinterland (per esempio aspetti naturalistici, ubicazione e natura degli insediamenti, attività produttive, dinamiche commerciali), articolate in ricerche geomorfologiche e paleogeografiche, indagini diagnostiche non distruttive (telerivelamento, geofisica, magnetometria), ricerche archeologiche e archeometriche, studio delle fonti epigrafiche, letterarie, documentarie, toponomastiche e della cartografia storica; i dati archeologici, derivanti da ricognizioni di superficie, scavi stratigrafici e verifiche di precedenti ritrovamenti, vengono, infine, correlati con i dati acquisiti dall’archeologia subacquea e navale.

A questo punto, non è fuori luogo partire delle fonti, quindi dall’esame integrale della descrizione straboniana che evidenzia alcuni punti fondamentali.

“Pisa è situata tra due fiumi, proprio alla loro confluenza, l’Arno e l’Auser. Di questi il primo, che viene da Arezzo, ha gran quantità d’acqua, non tutta insieme, ma divisa in tre bracci; il secondo scende dagli Appennini. Quando si uniscono per formare un sol corso, si sollevano l’un contro l’altro per resistenza reciproca, a tal punto che quelli che stanno sulle rive opposte non possono vedersi, così, necessariamente è difficile risalire dal mare. La risalita è di circa 20 stadi”29.

Si deducono almeno tre dati importanti. Innanzitutto, Pisa, come tantissimi altri centri antichi non naturalmente muniti, nasceva alla confluenza dei due fiumi di cui, quello principale, l’Arno, nel I secolo d.C. sfociava in tre rami30; in particolar modo, la propaggine settentrionale confluiva nell’Auser a valle di Pisa, in prossimità della costa, dove l’opposizione delle correnti fluviali con quelle marine dominanti creava non poche difficoltà alla navigazione e alla risalita del fiume ( come succede tutt’oggi a Bocca d’Arno).

29 Strabo 5.2.5.

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“…(Pisa) pare che un tempo sia stata prospera e ancor oggi gode di fama grazie alla fertilità della terra, alle cave di pietra e al legname per allestire navi, del quale si servivano in passato contro i pericoli provenienti dal mare…oggi questo legname si usa per lo più per la costruzione di palazzi a Roma e che i proprietari si fanno costruire fastosi come regge dei re persiani…”31

Strabone, facendo riferimento alla ricchezza proveniente dal legname, suggerisce un’intensa attività di disboscamento; si evince che il paesaggio di piena età romana doveva essere caratterizzato da ampi spazi aperti, disboscati e bonificati, soprattutto nell’area della divisione agraria, definita più da canali che da intinera.

Per finire, Strabone ci viene in aiuto anche per quanto riguarda la ricostruzione della linea di costa che doveva essere a ca. 6 Km a monte dell’attuale32.

Il quadro topografico che ne risulta, sia dalla lettura delle fonti che dagli studi geomorfologici33 per quanto concerne il periodo romano, presenta, quindi, una linea di costa arretrata di vari chilometri, contraddistinta dal Sinus Pisanus che si estendeva dal promontorio su cui più tardi sorgerà Livorno fin’oltre l’area di Massaciuccoli, i tre rami del delta dell'Arno che sfociavano al centro dell’ampio golfo e tutta una serie di canali, in parte naturali, in parte irreggimentati, a settentrione, riferibili al bacino idrografico dell' Auser, il cui tracciato è ben noto per l’età medievale34 ma congetturale per il periodo precedente. Infatti, nonostante i progressi tecnologici e le ricerche condotte su più piani disciplinari, non è facile ricostruire il percorso dei corsi fluviali, né datare con certezza i diversi paleoalvei che si intravedono tramite le foto aeree e satellitari35 per questo, per quanto riguarda la ricostruzione topografica del paesaggio antico di età romana, ci muoviamo ancora con una certa cautela, cercando di incrociare i dati archeologici con l’analisi topografica della cartografia storica, le proiezioni aeree e gli studi geo-pedologici.

Questo procedere su base multidisciplinare ha rilevato un problema oggettivo relativo all’individuazione dell’esatta della linea costiera. Considerando e relazionando fattori diversi come la crescita dei depositi/avanzamento della costa, l’erosione dei rilievi interni e l’intenso disboscamento a cui si accennava prima, è oggi molto più corretto parlare di una crescita dinamica del profilo costiero proprio nei momenti di maggior sfruttamento della selva, collocabili tra la fine del periodo repubblicano ed il medio impero,

31 Cfr. nota 25.

32 Cfr. PASQUINUCCI,MAZZANTI 1987; PASQUINUCCI,MAZZANTI 1983. 33 BOSCHIAN et alii 2006,pp. 102-107.

34 PASQUINUCCI 2003,pag. 94. 35 BRUNI 2003,pag. 35.

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noti dalla testimonianza straboniana e da molti confronti con situazioni simili in altri luoghi dell’Italia antica36.

L’ipotesi avanzata più volte di un paesaggio agrario fortemente acquitrinoso37, proprio del periodo medievale o forse di fasi antecedenti alla colonizzazione romana, non può essere testimoniata per il periodo romano, perché si scontrerebbe con le opere di canalizzazione che, inquadrate nella maglia centuriale, assicuravano un sufficiente drenaggio e rendevano i pesanti terreni alluvionali asciutti e facilmente coltivabili a frumento38. A prova di ciò vi è la stessa carta leonardiana39 del comprensorio pisano che mostra una rete di canali e corsi naturali nettamente rettificati che delimitano, a loro volta, un’area ben distinta dalla padula.

1.4IL SISTEMA PORTUALE PISANO

Pisa, sorta non lontano dal mare alla confluenza tra i fiumi Arno e Serchio,40 in gran parte navigabili, ha avuto un ruolo cerniera tra la fascia costiera e il retroterra, caratterizzato da un'economia in grado di sviluppare importanti attività manifatturiere volte all'esportazione dei prodotti locali.

Con il suo vasto territorio, esteso dalla Versilia ai fiumi Fine ed Era, la città ha potuto sviluppare un articolato sistema di scali dislocati lungo la costa e in prossimità dei fiumi e degli specchi d’acqua interni, riuscendo a correlare questo stesso sistema con l’evolversi delle tecniche di navigazione e di costruzione navale e con le progressive trasformazioni geomorfologiche e idrogeologiche del comprensorio.

Le evidenze archeologiche indicano che un certo numero di scali è attivo, sia a nord che a sud dell’Arno, gia tra la fine dell’VIII ed il VII secolo a. C., all’interno di un quadro più ampio, che vede nella fascia costiera compresa tra la Versilia e Livorno la nascita di una prima rete

36 Per i problemi legati al disboschi mento in Italia cfr. GIARDINA 1981;per l’analisi del fenomeno nell’antichità

cfr. WEEBER 1990.

37 CAMILLI 2004a,pp.54 – 56; CAMILLI 2004b,pp.67 – 69. In questo lavoro si sposa la lectio di A. Camilli anziché

quella di S. Bruni (cfr. BRUNI 2003,pag. 38-39) che, parlando della realtà geografica in cui sorse, descrive la zona come una vasta laguna, contornata da acquitrini e paludi di medie e minori dimensioni.

38 Plin, Nat.Hist.18, 86-87;18, 109. Del resto, in condizioni di eccessiva umidità il frumento non sarebbe potuto

crescere.

39 Per un repertorio di carte del territorio cfr. TANGHERONI 2003. 40 Plin.Nat.Hist.3, 50.

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di approdi funzionale allo sfruttamento delle correnti commerciali marittime e terrestri legate al centro etrusco di Pisa.41

Per quanto riguarda i siti attivi già a partire dalla fine dell'VIII secolo a. C. evidente appare il carattere schiettamente emporico di S. Rocchino,42 mentre rilevante appare anche la propensione marittima dell’insediamento di Poggio al Marmo, posto immediatamente a sud della foce del Serchio.43 Alcuni rinvenimenti attestano la vitalità del settore compreso tra Coltano e il promontorio di Livorno, al quale è afferente anche la vasta area di acque interne di Stagno. I materiali rinvenuti descrivono, tuttavia, una dimensione più decisamente locale, diretta principalmente allo sfruttamento delle risorse del territorio, nella quale l’assenza dei materiali di importazione presenti, ad esempio, a S. Rocchino già nei livelli della fine dell’VIII secolo a. C.,44 sembra indicare l’esclusione dei siti costieri e lagunari dell’area di Stagno-Livorno dalle correnti commerciali di maggiore importanza. La presenza, in prossimità dei margini della laguna, di insediamenti stabili già a partire dalla tarda età del Bronzo attesta inequivocabilmente il suo naturale ruolo di via interna di accesso al settore meridionale della bassa valle dell’Arno. Se il sito palafitticolo di Pratini dell’Argin Traverso (1300-800 a.C. ca.) occupa una posizione relativamente distante dal mare,45 decisamente diversa appare la scelta dell’insediamento individuato in prossimità dell’estremità sud-occidentale dell’ex Padule di Stagno.46 Una notevole quantità di materiali, caratterizzati in prevalenza da impasti scistosi, è stata rinvenuta nel corso di indagini di superficie effettuati dal Gruppo Archeologico Pisano nel 1973 in un settore che in epoca antica doveva verosimilmente corrispondere ad un’area di cordoni dunali posti tra la laguna interna di Stagno ed il mare aperto.47 Nonostante la frammentarietà deireperti

41 In generale su queste problematiche vedi BONAMICI 1995, pp. 3-44; BRUNI 1998, pp. 114-195; MAGGIANI

2006, pp. 435-453.

42 Etruscorum 1990, pp. 97-115 (si ricordano inoltre i rinvenimenti dei siti limitrofi di Migliarina,

Montramito e delle Cave di Massaciuccoli, cronologicamente inquadrabili tra VII e V secolo a. C.); BONAMICI

2006, pp. 497-511.

43 MAGGIANI 2006, pp. 435, 438.

44 Etruscorum 1990, p. 70; MAGGIANI 2006, pp. 435-436 e fig. 2 (frammenti pertinenti a due kotylai

protocorinzie).

45 In tale località, scavata stratigraficamente, è stata messa in luce parte di un vasto abitato palafitticolo

ubicato sulle sponde di una laguna salmastra, su impalcato ligneo prevalentemente in olmo (sono attestati più raramente la quercia e il frassino), con l’impiego di fascine in sorbo. Alcune caratteristiche ambientali sono attestate dalla fauna: tra i mammiferi cacciati prevale il cervo; fra gli uccelli le anatre e i gabbiani; fra i pesci sono stati identificati resti di muggine (GAMBOGI, NANNI, ZANINI 1995, pp. 93-101; Dal Bronzo al Ferro 1997, pp. 103-115).

46 Terre e paduli 1986, pp. 98-113. Su questa stessa area lagunare, tra il Bronzo medio e il Bronzo

recente/finale (1600-1200 a. C.) si affacciava anche un villaggio ubicato alle pendici meridionali di un sistema di dune pleistoceniche in località Isola di Coltano; lo scavo stratigrafico ha mostrato che nel sito si produceva sale, mediante ebollizione della salamoia ricavabile dalle acque lagunari entro contenitori in terracotta sostenute da “alari” (Terre e Paduli 1986, pp. 70-89).

47 Per la posizione del sito in relazione all’assetto geomorfologico dell’area in epoca antica vedi DALLANTONIA,

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recuperati, è stato possibile definire una cronologia compresa tra la tarda età del Ferro e il VI secolo a. C.

Nel corso della prima età del Ferro appare inoltre frequentato anche il sito di Suese - Lago Filippo, dove un ridotto nucleo di frammenti ceramici attribuibili alla seconda metà dell’VIII secolo. a. C. è stato rinvenuto in corrispondenza del margine sud-occidentale della ex-laguna di Stagno.48 Questa secondo sito viene a trovarsi solo pochi chilometri a sud del sito dell’ex Padule di Stagno, a indicare una volontà insediativa che mira al controllo degli accessi tra il mare aperto e gli specchi d’acqua interni.

Ai siti descritti si aggiunge l’insediamento scavato tra 1995 e 1996 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana nella Fortezza Medicea di Livorno49: l’area interessata dalle indagini si trova all’interno di alcuni ambienti sotterranei pertinenti alla fortezza pisana di XIII secolo e alla torre più tarda detta “di Matilde”. Gli edifici di epoca medievale risultano poggiare su un livello di panchina nel quale sono state scavate buche per pali ed una canalizzazione per lo scolo delle acque pertinenti ad almeno due capanne di forma ellittica; a tale insediamento, il cui carattere stabile appare evidente, possono essere attribuiti materiali di impasto che, nel complesso, definiscono una cronologia compresa tra il X e la fine dell’VIII secolo. a. C.50

Nel corso VII secolo. a.C. la rete di approdi che fa capo a Pisa si struttura ulteriormente; a nord della città risultano ancora attivi i siti di Poggio al Marmo e l’emporion di S. Rocchino, mentre nuovi scali si sviluppano in Versilia, presso Torrente Baccatoio e Querceta-Baraglino,51 nel settore orientale della Liguria, presso Fiumaretta alla foce della Magra e a S. Venerio all’interno del golfo di La Spezia.52

Ai siti menzionati si deve infine aggiungere lo scalo situato presso S. Piero a Grado sviluppatosi nel terzo quarto del VII sec. a. C. in corrispondenza della foce del braccio principale dell’Arno;53 nel corso del VI secolo a.C., di fronte allo scalo di Poggio al Marmo, un nuovo approdo è presente presso la località di Isola di Migliarino; lo scalo, da porre

48 Dal Bronzo al Ferro 1997, pp. 158.

49 Dal Bronzo al Ferro 1997, pp. 165-168; PASQUINUCCI, GAMBOGI 1997, pp. 985-1004; BRUNI 2006, pp.

513-534.

50 Una cronologia diversa è fornita da S. Bruni (BRUNIa 2006, p. 517), secondo il quale l’inizio della

frequentazione del sito è da individuare nella fine del VII secolo a. C., con lacune nel corso dell’età del Ferro e tutta l’età classica. A sud di Livorno, infine, deve essere segnalata la presenza dell’insediamento dell’età del Ferro di Quercianella, (MANTOVANI 1884, p. 84, nota 4; Dal Bronzo al Ferro 1997, pp. 172-180).

51 Etruscorum 1990, pp. 122-125 e 134-135. 52 BONAMICI 1995, pp. 33-36 figg. 6-8. 53 BRUNI 2001, pp. 81-99.

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evidentemente in connessione con la via fluviale costituita dal fiume Serchio, si svilupperà ulteriormente in età repubblicana, rimanendo attivo ancora in età tardoantica.54

All’interno della rete di approdi afferente a Pisa, costituitasi compiutamente in età orientalizzante-arcaica e sostanzialmente stabile ancora per tutto il V secolo a. C., appare integrata anche l’area costiera situata tra Coltano e Livorno. Una rotta di cabotaggio, che collega l’Etruria meridionale alla Liguria e alla Francia meridionale, tocca anche il tratto di costa antistante il settore in oggetto, caratterizzato dalla costa alta e rocciosa situata immediatamente a sud di Livorno e dalla zona di secche dette della Meloria più a nord. Diversi rinvenimenti attestano, in particolare per il periodo compreso tra l’ultimo quarto del VI e il terzo quarto del V secolo a. C., non solo la vitalità di tale direttrice commerciale ma anche quella degli scali ad essa connessi nel settore meridionale del territorio di Pisae. Tre distinti rinvenimenti di anfore di tipo Py 4 dall’area delle Secche della Meloria devono essere presumibilmente riferiti ad un primo relitto databile, sulla base dell’unica evidenza fornita dalla anfore stesse, tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C.55 Due giacimentisono inoltre ubicati presso la Torre del Boccale, poco a sud di Livorno; di un primo giacimento risultano note solamente 4 anfore di tipo Py 4a, databili tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a. C. Una cronologia analoga caratterizza anche il secondo sito, nel quale, oltre ad anfore di tipo Py 4a, sono state recuperate un’anfora massaliota, un’anfora fenicio-punica e pithoi frammentari56.

L’integrazione dei siti costieri dell’area di Stagno-Livorno nel sistema portuale di Pisae appare ancora più evidente se messa in relazione con lo sviluppo degli insediamenti situati nelle aree ad essi contigue. Appare in questo senso rilevante la presenza, alla fine del VI secolo a. C., di un’area di culto presso Mortaiolo, in prossimità dei margini sud-orientali della laguna di Stagno.57 I materiali, affiorati in occasione di lavori per la costruzione di una cabina dell’E.N.E.L. alla metà degli anni ‘80, sono stati in gran parte dispersi immediatamente dopo la scoperta; un piccolo nucleo di reperti successivamente rinvenuti in loco in seguito a indagini di superficie e le foto di un bronzetto di offerente costituiscono gli unici elementi validi per una definizione delle caratteristiche dell’insediamento. Se la funzione a vocazione religiosa appare certa sulla base della presenza del bronzetto (ultimo quarto del VI secolo a.C.), i materiali ceramici, costituiti da olle e piccoli dolia con impasto a

54MENCHELLI,VAGGIOLI 1987,pp. 507-534

55 GRAS 1985, pp. 340-341; CIBECCHINI 2006, p. 537, fig. 1.a. 56 CIBECCHINI 2006, pp. 540-541, 546.

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scisti microclastici, coppe in bucchero e un frammento di kylix attica a figure nere, concorrono a definire una cronologia di età tardo-arcaica.

Il sito di Mortaiolo è stato messo in relazione con un approdo ubicato lungo il paleoalveo del braccio meridionale dell’Arno, che, in quest’area, sarebbe confluito nella laguna di Stagno;58 non è tuttavia da escludere che esso facesse riferimento anche ad una viabilità terrestre, volta a collegare l’area costiera, con gli approdi posti all’imbocco della laguna e nell’area di S. Stefano ai Lupi, al settore interno delle Colline Livornesi. È possibile sottolineare, a questo proposito, la stretta relazione esistente tra i santuari suburbani o rurali e la viabilità che, nel settore orientale del territorio di Pisae (area del Bientina, Ponsacco)59 e nel vicino territorio di Velathri.60 Nel caso in oggetto il percorso potrebbe indicare non solo l’esistenza di un asse viario tra la costa e l’interno ma anche tra il centro di Pisae e il settore meridionale del suo territorio. Questo ipotetico percorso potrebbe, con i debiti distinguo, aver ricoperto il ruolo di quello che, in epoca romana, mette in comunicazione il settore di Portus Pisanus con il tracciato della via Aemilia Scauripassando nella zona tra Il Cisternino e Nugola.61

A partire dal VI secolo. a. C. risulta inoltre insediata la duna pleistocenica di Coltano che, posta ad una quota di non più di 2 m , delimita a nord l’area della laguna di Stagno e costituisce un’area estremamente favorevole all’insediamento umano almeno fino alla prima metà del V secolo d. C.62 I materiali attestati a Coltano (ceramica a scisti microclastici e bacini a impasto sabbioso di probabile origine etrusco-meridionale), rinvenuti nel corso di ricognizioni effettuate nella prima metà degli anni ’70 e pertinenti ad almeno sei diversi siti, sembrano connotare l’insediamento in quest’area in senso marcatamente rurale. Per il V secolo a. C. evidenze di notevole importanza provengono nuovamente dall’area di Suese;63 due frammenti di ceramica attica a figure rosse, rispettivamente pertinenti ad un cratere a volute e ad un cratere a calice, sono stati rinvenuti all’inizio degli anni ’90 dai membri del locale Gruppo Archeologico in un’area sottoposta a importanti opere di sbancamento nel ventennio precedente. I due frammenti, oltre a costituire una importante testimonianza della diffusione della ceramica attica a figure rosse anche nell’area di Stagno - Livorno, potrebbero attestare la presenza nella necropoli di Suese di un tratto tipico del

58 BRUNI 2005, p. 348.

59 CIAMPOLTRINI 2005, pp. 339-343; CIAMPOLTRINI 2007, pp. 224-228. 60 MAGGIANI 1991, pp. 985-998.

61 Per la viabilità di epoca romana e medievale in questo settore dell’ager Pisanus vedi PASQUINUCCI, CECCARELLI,

LEMUT 1991, pp. 111-138.

62 Terre e paduli 1986, pp. 107-112. Una cronologia diversa, che vede l’avvio dell’occupazione dell’area di

Coltano solo a partire dall’inizio del IV secolo a. C., è stata recentemente proposta da S. Bruni (BRUNI 2001, p.

98, nota 65).

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rituale funerario di ambito pisano, che prevede l’impiego di un cratere –in ceramica o in marmo - come vaso cinerario.64 Data l’estrema frammentarietà dei dati relativi alla necropoli di Suese, non è tuttavia possibile escludere che i due crateri abbiamo in realtà semplicemente fatto parte del corredo; è questo, ad esempio, il caso di una sepoltura a incinerazione rinvenuta in Via G. Pisano a Pisa, nel cui corredo è compreso un cratere a volute pertinente alle prime produzioni attiche a figure rosse (fine del VI secolo a. C.).65 Alla stessa area sepolcrale può inoltre essere attribuito un cippo del tipo a clava, rinvenuto in una zona contigua a quella nella quale sono stati recuperati i due frammenti di crateri a figure rosse.66

Per quanto frammentari, i rinvenimenti effettuati a Suese nei primi anni ’90 devono essere certamente messi in relazione con la presenza di un insediamento di carattere stabile, ubicato, come già nel corso della tarda età del Ferro, in prossimità del margine sud-occidentale della laguna di Stagno. Tale comunità, della quale ignoriamo la cronologia iniziale e finale, ha tuttavia accesso all’acquisizione di beni di prestigio - i crateri di produzione attica – e, adottando tra gli elementi del rituale funerario il cippo a clava, dimostra di essere pienamente inserita nella realtà sociale ed economica che caratterizza Pisae nel corso del V secolo a. C.

È nell'ambito del contesto topografico che abbiamo descritto che, tra il VI ed il V secolo a. C., si inseriscono le prime tracce materiali della frequentazione dell'area di S. Stefano ai Lupi, costituite in questa fase da scarsi materiali ceramici provenienti dai livelli sabbiosi riconducibili ad un fondale marino.67

La vitalità del sistema portuale di Pisa persiste nei secoli successivi fino al termine dell’età repubblicana (V - I secolo a. C.), anche oltre la crisi che colpisce l'Etruria nel corso del V e di parte del IV secolo a. C.;68 una fase di evidente ripresa è archeologicamente attestata a partire dalla fine del IV secolo a. C. Se a nord, dopo una fase di abbandono di un secolo circa, si assiste alla ripresa della frequentazione dello scalo di S. Rocchino, nel settore meridionale del territorio sono note le necropoli dei siti di Quercianella e Castiglioncello, centri che aggiungono alla funzione di scali portuali quella militare, legata alle necessità di un migliore controllo del confine con il limitrofo stato di Volterra.69 A questi si aggiunge il

64 Per le attestazioni vedi BRUNI 1998, p. 193. 65 MAGGIANI 1990, p. 39.

66 ESPOSITO 1992, pp. 23-28. Per la problematica ininerente l’impiego dei cippi a clava nelle sepolture di VI e V

secolo a. C. in area pisana vedi CIAMPOLTRINI 1980, pp. 74-82 e Etruscorum 1990, pp. 151-167

67DUCCI et alii 2008, pp. 43-63. 68 MAGGIANII 1990, pp. 23-49.

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sito di S. Stefano ai Lupi, presso il quale si sviluppa un approdo aperto, in particolare, alle correnti commerciali che legano la costa etrusca con l'area campano-laziale.70

L’ingresso di Pisa nell’orbita dello stato romano nei primi anni del III secolo, infine, contribuisce all’accrescersi della sua importanza strategica ed economica, in particolare durante le lunghe e difficili guerre contro i Liguri.71

Le evidenze archeologiche attualmente disponibili, non ultimi i nuovi dati dall'area di S. Stefano ai Lupi e dal cantiere di Pisa-S. Rossore consentono di apprezzare il pieno coinvolgimento di Pisae e dei suoi porti nei secoli successivi, quando il sistema portuale descritto mantiene intatte tutte le sue funzioni.72 A fronte del definitivo abbandono di alcuni degli approdi più antichi tra il III ed il I secolo a. C. (S. Rocchino, Poggio al Marmo), si registra una notevole continuità a Isola di Migliarino, S. Piero a Grado73 e S. Stefano ai Lupi, che vengono a configurarsi come gli scali principali dell'ager Pisanus per l'età tardo-repubblicana e per l'intera età imperiale.74

Già a partire dalla fine del II secolo a.C. Pisa aggiunge al ruolo di centro recettore di merci di importazione quello di centro produttore; Plinio ricorda che il territorio della città è noto per l'abbondante produzione di grano comune (siligo)75 e del cereale denominato in latino alica76. Un ruolo di primaria importanza nell'economia della città deve essere inoltre attribuito al vino, coltivato nell'ager Pisanus nella varietà nota come uva Pariana77. Ai cereali e al vino, quest'ultimo veicolato per mezzo di anfore di tipo Dressel 1 e, a partire dall'età augustea, Dressel 2-4 prodotte nel retroterra del Portus Pisanus78, si aggiungono il commercio di legnami pregiati e di pietra da costruzione.79 A partire dai decenni finali del I secolo a. C. la stessa Pisa è protagonista della produzione delle terra sigillata italica, attività

70 DUCCI et alii 2005, pp. 29-44; DUCCI,PASQUINUCCI,GENOVESI 2006, pp. 110-114; DUCCI,PASQUINUCCI,

GENOVESI 2007, pp. 238-241;DUCCI et alii 2008, pp. 43-63.

71 Pol. 2, 27; 3, 4, 2; 5, 56; Liv., XXXIII, 43, 9; 43, 5; XXXIV, 56, 1-2; XXXV, 3, 1-2: 4, 1; 6, 1; XXXVIII, 35, 8; XXXIX,

2, 5; 32, 2; XL, 1, 3; 17, 7; 25, 7; 25, 10; 26, 6; 41, 3; 41, 7, 41, 10.

72 PASQUINUCCI 2003a, pp. 92-97.

73 Molti sono i dubbi relativi al ruolo svolto dall'approdo presso S. Piero nel corso dell'età imperiale; se una

certa continuità insediativa è innegabile, va comunque sottolineato che la maggior parte delle evidenze archeologiche individuate nell'area non vanno oltre il I secolo d. C. (BRUNI 2001, p. 89).

74 Ancora ignota rimane la localizzazione precisa e, soprattutto, la “consistenza” del cosiddetto Porto delle

Conche, uno scalo ubicato nell'area posta a sud della foce antica del Serchio, menzionato in un documento del 1306 (collibus de conchis) successivamente ricordato da Antonio Roncioni e Palla Rucellai, i quali vi avrebbero visto sarcofagi e iscrizioni funerarie (PASQUINUCCI 2003a, pp. 96-97).

75 Plin., N. H., 18, 86-87. 76 Plin., N. H., 18, 109. 77 Plin., N. H., 14, 39.

78 MENCHELLI 1990-1991, pp. 169-184. Ricordiamo, ad una distanza di circa 4 km ad est del sito di S. Stefano

ai Lupi, il quartiere artigianale di Cà Lo Spelli, attivo tra la fine del II secolo a. C. e l'età augustea (PICCHI et alii

2010).

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che si protrae fino alla metà del II secolo d.C. con i vasai tardo-italici.80 Non casuale, appare, a tale proposito, la localizzazione degli ateliers; mentre l'attività manifatturiera della sigillata è attestata nell'area dell'attuale Porta S. Zeno, in prossimità dell'antico alveo dell'Auser, e presso l'approdo di Isola di Migliarino, la produzione di contenitori da trasporto risulta concentrata nel retroterra di Portus Pisanus. Una tale dislocazione sottende, con ogni probabilità, una volontà organizzativa tesa a favorire i meccanismi di sbarco e di imbarco delle merci in relazione alla complessa situazione morfologica della pianura pisana. I recenti scavi presso il cantire di S. Rossore e altri rinvenimenti – quali quello presso Campo -81 hanno mostrato come il sistema portuale esterno fosse strettamente integrato con una serie di scali interni, attraverso i quali si poteva più facilmente procedere alla redistribuzione delle merci verso il centro urbano ed il territorio. Alle complesse condizioni paleoambientali è, inoltre, legata la problematica connessa alla navigabilità dell'Arno la cui corrente, come ricorda lo stesso Strabone, era particolarmente pericolosa in corrispondenza del settore terminale del corso del fiume.82 La difficoltà che le onerariae di maggiori dimensioni incontravano nella risalita del fiume deve aver quindi favorito un meccanismo che prevedeva la rottura dei carichi presso gli approdi marittimi ed il successivo trasporto delle merci per mezzo di imbarcazioni di minore tonnellaggio. Nel caso di Pisa la menzione contestuale del porto e dell’approdo alla foce dell’Arno nell’Itinerarium maritimum (a portu Pisano Pisis, fluvius, m(ilia) p(assum) VIIII)83 sembra sottendere tale assetto.

Portus Pisanus (S. Stefano ai Lupi) , unico fra i porti di Pisae dotato di un bacino marittimo di grandi dimensioni e a possedere adeguate risorse di acqua dolce,84 deve aver beneficiato di questa sua caratteristica in particolare nel corso della tarda età imperiale; la fortuna dello scalo deve essere stata inoltre determinata dalla sua maggiore distanza dai principali corsi d'acqua della regione (Arno e Serchio), presso i quali si trovavano invece gli approdi di S. Piero e di Isola di Migliarino. La portuosità di questi ultimi, che rimangono comunque attivi ancora nel corso della tarda età imperiale, sarebbe stata quindi minore proprio perché maggiormente esposti all'insabbiamento e alle correnti dei rispettivi corsi d'acqua.

80 MENCHELLI 2003b, pp. 100-101. 81 PASQUINUCCI 2003a, p. 95. 82 Strabo, 5, 2, 5.

83 Itin. Marit., 508.

84 Oltre alla sorgente naturale attualmente nota come Fonte di S. Stefano, va ricordato l’acquedotto del

Limone, realizzato tra la fine dell’età repubblicana e l’età augustea, certo a causa di accresciute esigenze da parte del porto e del relativo insediamento (GALOPPINI, MAZZANTI, MENCHELLI, TADDEI, VIRESINI 2003, pp. 123-141).

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L'attuale località di S. Piero conserva nel nome quella che appare essere la caratteristica principale dello scalo antico; come attesta un passo di Livio relativo all'approdo commerciale di Roma lungo il Tevere, gradus viene originariamente impiegato per indicare la scalinata di accesso alle banchine85. Successivamente, soprattutto nel corso della tarda età imperiale e in età medievale, il termine passa ad indicare un punto di passaggio tra due acque diverse, con particolare riferimento alle foci dei fiumi e alle lagune in comunicazione con il mare. Canonici sono, per le due tipologie indicate, i casi della foce del Rodano, indicata nell'Itinerarium maritimum con l'espressione ad Gradum Massilitanorum, fluvius Rhodanus86, e dello scalo di Grado, dove assai verosimilmente deve essere localizzato il porto marittimo di Aquileia87.

Nel tempo l’approdo posto presso S. Stefano ai Lupi, sviluppatosi in età repubblicana, deve aver quindi visto aumentare la sua importanza fino a divenire lo scalo principale della città, ossia il “Portus Pisanus” menzionato nelle fonti88.La manutenzione della viabilità costiera che collegava la città al porto è attestata dal miliario attualmente conservato nel Camposanto Monumentale di Pisa e rivenuto presso la basilica di S. Piero a Grado;89 la contestuale menzione nel testo del divus Valentinianus e di Valente fornisce una cronologia precisa, compresa tra la morte del primo (376 d. C.) e la morte del secondo nella battaglia di Adrianopoli (378 d. C.). L’attenzione rivolta a questo tratto della via Aurelia, lo stesso percorso da Rutilio Namaziano solo alcuni decenni dopo, viene a costituire una ulteriore testimonianza dell’importanza rivestita dal Portus Pisanus in questa fase dell’età tardoantica.90

Le evidenze archeologiche note in relazione al popolamento dell'ager Pisanus sembrerebbero indicare una generale contrazione del popolamento che, già evidente nel

85 Liv., XLI, 27, 8 (193-174 a.C.): et extra portam Trigeminam emporium lapide straverunt stipitibusque

saepserunt, et porticum Aemiliam reficiendam curarunt, gradibusque ascensum ab Tiberi in emporium fecerunt.

86 Itin. Marit., 507, 7. Cfr. anche Amm., XV, 11, 18: Rhodanus...spumeus Gallico mari concorporatur, per patulum

sinum quem vocant Ad gradus.

87 UGGERI 1968, pp. 235-236; FRANZOT 1999, pp. 54-56. 88PASQUINUCCI2003b, p. 93.

89 C.I.L. XI, 6665: Imp(eratori) Caes(ari) D(omino) n(ostro) F[lavio Valent]i / pio felici semp(er) A[ug(usto)] /

Imp(eratori) Caes(ari) D(omino) n(ostro) Fl(avio) Gr[atia]no / pio fel(ici) semp(er) Aug(usto) / Divi Valentiniani Aug(usti) filio / [Im]p(eratori) Caes(ari) D(omino) n(ostro) Fl(avio) Valentiniano / [pi]o fe[l(ici)] semp(er) Aug(usto) / Divi Valentiniani Aug(usti) filio / Civit(as) Pisana / m(ilia) p(assum) IIII. Vedi anche PASQUINUCCI–CECCARELLI LEMUT, cit., Fonti antiche e medievali, pp. 111-138.

90 L’attenzione dei Valentiniani per la viabilità dell’ager Pisanus appare inoltre attestata dal miliario di

Rimazzano (C.I.L. XI, 6664=I.L.S. 5824), pertinente al tracciato interno della via Aemilia Scauri, dedicato una prima volta da Antonino Pio (142-43 d. C.) e, tra il 364 ed il 367 d. C., da Valentiniano e Valente: [Imp(erator)]

Caes(ar) T(itus) Ae[lius] Hadrianus Antoninus Aug(ustus) Pius p(ontifex) m(amimus) / tr(ibunicia) p(otestate) VI, co(n)s(ul) III, imp(erator) II, p(ater) p(atriae), viam Aemiliam vetustate dilapsam operib(us) ampliatis restituendam cur(avit). A Roma m(ilia) p(assuum) CLXXXVIII. - Pro(pagatoribus) Roma(ni imperii) et rei p(ublicae) d(ominis) n(ostris) Fl(aviis) Valentiniano et Valente victoriosissimis semper Aug(ustis), m(ilia) p(assuum) CLXXXVIII.

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corso della seconda metà del V sec. d. C., porta all’abbandono della maggior parte degli insediamenti entro la fine del VI sec. d. C.

Una flessione nel volume degli scambi a partire dalla metà del V secolo d. C., peraltro in linea con le tendenze riscontrate in altri centri del Mediterraneo occidentale (Luni, Porto Torres, Roma),91 appare evidente in diversi settori del territorio. Le fattorie situate nell’area di Coltano, attive già nel VI secolo. a. C., vengono abbandonate nel corso del V secolo d. C.;92 le più tarde fasi di frequentazione appaiono caratterizzate dalla presenza di anfore e ceramiche da mensa e da cucina di produzione africana attribuibili a tipi la cui commercializzazione cessa nel corso del secolo.93

L’approdo situato presso Isola di Migliarino, come attesta un frammento di anfora vinaria di tipo Late Roman 1, rimane attivo ancora nel VI sec. d. C.; anche in questo caso, tuttavia, è possibile registrare un momento di cesura nei dati quantitativi delle merci importate attorno alla metà del V sec. d. C., quando si registra la fine delle importazioni di anfore africane del tipo Keay XXV e delle ceramiche da mensa e da cucina che le accompagnavano.94 I dati relativi agli insediamenti rurali individuati nel corso di indagini di superficie nell’hinterland di Isola di Migliarino, costituiscono una ulteriore conferma della progressiva riduzione dei traffici di questo approdo. 95 I quattro siti, la cui frequentazione ha inizio attorno alla metà del I sec. a C., continuano ad essere piuttosto vitali fino ai decenni iniziali del V sec. d. C., mentre per il VI sec. d. C. una frequentazione più limitata è attestata dalla presenza di ceramica da mensa di produzione africana D, riconducibile alla forma Atlante I, XLV, 6. 96

Nel settore orientale dell’ager Pisanus, nell’area centuriata situata a sud-ovest della confluenza dell’Era nell’Arno (comuni di Pontedera e Ponsacco), i dati forniti da indagini di superficie mettono in evidenza come su 10 siti noti frequentati fino al V secolo d.C., solo quattro sopravvivono fino al VII97. L’importanza di tale area è legata anche al fatto che la presenza delle merci di importazione ampiamente diffuse nella fascia litoranea, in particolare di quelle di produzione africana, permette di avere un sicuro riscontro delle tendenze del popolamento; è significativa, per esempio, la presenza in quest’area di esemplari di anfore africane di tipo Keay LXII, sicuro indizio di un popolamento successivo alla fine del V secolo d. C.

91 REYNOLDS 1995, pp. 55-57.

92 MENCHELLI 1984, pp. 225-270; Terre e paduli 1986, p. 122. 93 Terre e paduli 1986, pp. 118-123.

94 MENCHELLI, VAGGIOLI 1987, pp. 507-534, in particolare pp. 519-521. 95 VAGGIOLI 1990, pp. 125-164, in particolare pp. 141-160.

96VAGGIOLI1990, p. 149.

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Questa flessione generalizzata nel volumi dei traffici nei porti (Portus Pisanus, Isola di Migliarino) e nel territorio di Pisae può essere forse riscontrata anche nel caso dell’approdo suburbano della cantire di S. Rossore; i materiali pubblicati consentono, al momento, di definire una frequentazione del bacino fino al V sec. d. C. Sono presenti anfore di produzione sud-italica di tipo Keay LII e contenitori africani di tipo Keay XXV e XXVI, la cui associazione, come negli altri siti del territorio pisano, consente una datazione compresa tra il IV e la metà del V secolo d. C.98 L’imbarcazione più tarda, la nave D, è stata datata per mezzo di analisi radiometriche99 al VII secolo d.C., ma al momento non sono pubblicati i dati sulla datazione del carico o del materiale di bordo. In attesa di dati quantitativi precisi sulle merci di importazione presenti presso l’approdo di S. Rossore, è solo possibile proporre, come ipotesi di lavoro, che anche qui come in altri settori dell’ager Pisanus la carenza di materiali posteriori alla metà-fine del V sec. d. C. sia il riflesso di un importante momento di cesura nell’assetto economico della città e nei traffici marittimi ad essa collegati.

Recenti indagini, condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, in Via Marche, presso Porta a Lucca, sembrano confermare le ipotesi sin qui prospettate per quanto riguarda l’ambito urbano.100 Una vasta necropoli, frequentata già nel corso dell’età villanoviana (VIII - inizio VII secolo a. C.), viene abbandonata entro la fine del VI e rioccupata come tale nel III sec. d. C. Delle numerose tombe di questa nuova fase (199 in tutto)101 fanno parte anche sepolture ad enchytrismós, per le quali vengono impiegate anfore di produzione lusitana (tipo Almagro 51c) e africana (africane IIA, C, D, Keay XXXV, XXXVI e XXVII). Le anfore di tipo Keay XXXV e XXVII, sembrano segnare l’estremo periodo di vita della necropoli che, sulla base della cronologia di tali contenitori, deve essere collocato entro il V secolo d. C.

Tale ipotesi, ovviamente, non presuppone una totale scomparsa dei commerci; come dimostrano gli scarsi, ma presenti, frammenti anforici rinvenuti presso l’edificio della Paduletta a Livorno e a Isola di Migliarino, le importazioni di derrate alimentari dalle province africane e dall’Oriente proseguono anche oltre la fine del V secolo d. C.102 Si intende, tuttavia, mettere in evidenza una flessione economica e del popolamento che deve

98 BRUNI 2000a, pp. 154-160; CAMILLI et alii 2006, pp. 72-74, nn. 81-84. 99 CAMILLI et alii 2006, pp. 15-16; BENVENUTI et alii 2006, pp. 863-876. 100 PARIBENI et alii 2007, pp. 209-213.

101 Sono presenti sepolture in fossa terragna semplice, con protezioni di vario tipo (con tegole, coppi, anfore,

lastre litiche), alla cappuccina.

102 I dati archeologici e la fonte letteraria costituita dalla Passio Sancti Torpetis (Acta Sanctorum, Maii, IV,

Antverpiae 1688, p. 6) indicano che in età tardoantica è attivo anche lo scalo ad gradus Arnensens di S. Piero a Grado, il cui reale ruolo commerciale è tuttavia, almeno per questo periodo, del tutto ipotetico (BRUNI 2001, pp. 81-99,in particolare 82-83; PASQUINUCCI 2004a, pp. 61-86, in particolare p. 69).

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