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ANNO NONO REPUBBLICANO »

Nel documento Opere complete. Opere minori Volume 2 (pagine 87-111)

I N M A T E R I A D I F I N A N Z E O N U O V A T E O R I A D E L L E I M P O S T E 1

I N T R O D U Z I O N E I

Una costante esperienza ha dimostrato abbastanza quanto difficile e pericolosa sia la riforma delle pubbliche amministrazioni particolar-mente in materia di finanze. L'amore delle novità fece sì che l'uomo si ab-bandonasse alle sfrenatezze, per tutto si videro dei mostri ove non vi era che dell'abuso o degl'inconvenienti inseparabili dall'umana condi-zione. N o n mi erigerò a censore delle operazioni dei nuovi legislatori: non ambisco a ciò, è questo un troppo facile e vano orgoglio, ma oso però dire che molti disordini nello stabilimento delle nuove Repubbliche furono prodotti dal non avere fissati bene i veri princìpi della scienza economica, siccome dovea essere primaria cura di chi dirige le istituzioni che sono della massima importanza negli Stati. |

Per costituire e mantenere una forza pubblica, senza cui non avvi 2 sicurezza interna né difesa contro i nemici, si rendono necessari i tributi. Questo debito è il più sacro d'ogni cittadino perché è il compenso del be-nessere di ciascuno, e quando le imposte fossero dettate da un vero biso-gno, esatte su le norme della giustizia, infine se fossero ben dirette, niuno mancherebbe di soddisfarle di buon grado.

M a sopra chi deve cadere tale aggravio? Qual è il principio che deve dirigere i governi nello stabilimento delle imposte? Questione impor-tante e che merita tutto l'esame, perché si è riconosciuto cosimpor-tantemente che le nazioni soffrono vieppiù dalla cattiva ripartizione delle medesime che dal loro eccesso, mentre quella fa cadere tutto il peso degli aggravi sopra quello che nulla deve o che manca di forze o di mezzi per soddi-sfarli, e perciò tanto più fatale ed oppressiva dell'altro abuso nell'im-posta, che a ben considerare, qualunque egli sia, non accresce a chi lo deve che una picciola somma e sempre fa pagare quando il contribuente ha più vigore e risorse. |

x. Pubblicato a Milano nel 1801. 6.

3 [Cap. I] Che i cittadini non debbono essere tassati per la loro proprietà. A primo aspetto sembra che in materia di finanze il principio più facile a discernersi sia che i tributi debbano cadere sopra le proprietà o fa-coltà dei cittadini, e che quanto più le loro fortune sono grandi, tanto maggiori aggravi abbiano a sostenere ha una certa apparenza d'equità che portò alcuni filosofi e legislatori gli uni a proporre e gli altri a sanzio-nare delle progressive contribuzioni, pretendendo che ciascuno debba essere tassato non per il necessario, ma pel superfluo; m a quando si 4 voglia riflettere seriamente e senza prevenzione su tali massime | e che

si tenta di porle in pratica, si comprende essere questa decisione contraria alla ragione, al bene della società, anzi si riscontra essere le i m p o -ste di tal natura del tutto assurde ed ingiu-ste, e nei loro effetti fune-ste ed oppressive.

La terra a abbandonata a se stessa presenta l'aspetto il più tristo e selvaggio, ingombra di foreste, sparsa di paludi, scomposta, disordinata, asilo d'insetti e di belve, in cui tutto è solitudine e silenzio e d o v e tutto dimostra che sia nel piano della natura che la mano di un essere a lei subordinato l'ordini, l'abbellisca e la coltivi. L ' u o m o istesso sembra quasi gettato sulla medesima all'azzardo per accrescere l'orrore: costituito in uno stato di debolezza, di nudità, oppresso dai disagi, si può dire che egli si trova condannato ad un continuo dolore, m a la natura istessa gli somministra dei mezzi onde togliersi alle sue pene, alla sua infelice c o n -dizione: essa perciò lo fornì di bisogni e di passioni che con stimoli 5 sempre rinascenti scuotono la sua naturale inerzia, lo ren| dono un essere

attivo, e con ciò quasi suo malgrado scorre tutti i gradi della vita. Posto l ' u o m o in tale stato di azione si unisce co' suoi simili, crea i prodigi dell'arti, inventa le scienze, perpetua la propagazione della sua specie, si stringe coi vincoli dell'ordine sociale, produce l'abbondanza, appaga la lusinga di un miglior bene, si trasforma nell'essere il più sublime. Riguardato però in tale condizione di essere attivo, si p u ò dire che egli si getta in uno stato di pena e di privazioni per fare il solo bene de' suoi simili ed in cui tutto converte a loro vantaggio: così il volerlo gravare in tale azione sarebbe un contrariare la natura, arrestare la sua marcia, renderlo inutile; è poi del tutto ingiusto il togliere con tributi la ricom-pensa a quello che travaglia a produrre o ad accrescere i mezzi di vita, il condannarlo a dei sacrifizi perché presta i più importanti servigi alla società; infine volergli imporre un peso oltre quello che viene imposto dalla natura è ini raddoppiare improvvidamente i suoi mali, inabilitarlo

a secondare i voti dell'autore del creato. C h e altro ottiene una persona in tale condizione se non se la speranza di godere esclusivamente dei mezzi di sottrarsi a' suoi mali, e che è un diritto bensì lusinghie| ro, ma 6 che nel tempo che agisce nulla ha di reale né porta il minimo danno alla società? Speranza che resta spesso dalla fortuna delusa, da mille acci-denti distrutta e che egli ben compensa con tanti affanni, con tanti sacri-fizi, mentre per tal causa egli si assoggetta alla più grave fatica, agli stenti, soffre i rigori delle stagioni, supera i monti, traversa gli oceani, penetra i profondi della terra fra mille pericoli, e con ciò anima l'indu-stria, ravviva il commercio, unisce i popoli in un interesse comune.

Q u a n d o l ' u o m o dalla fatica, dalle sue veglie e cure non ottiene un giusto compenso, l'integrità dei frutti delle medesime, invece di appli-carsi c o m e il suo dovere ed i suoi bisogni lo portano a delle utili occupa-zioni, disdegna un lavoro che troppo lo fa soffrire, si dà in braccio piutto-sto all'ozio ingrato ed al lettargo e per provvedere alla sua sussistenza ricorre alle bassezze ed ai più vili artifizi, inganna l'altrui sensibilità o si abbandona ai vizi ed al delitto, e per tali cause si popolano gli Stati d'infingardi, di cattivi e d'infelici.

La proprietà, che non è che il frutto dell'industria, in sé sola è una vera pena perché una sorgente continua di inquietudini, di agitazione, e quando il possessore dei fondi non fa | uso delle robe o dei generi da 7 loro prodotti, si deve riguardare c o m e un semplice depositario che veglia a custodire i beni della società, e invece di essere aggravato ha diritto di essere premiato, perché senza le sue cure i possessi da cui trae e comodi e sussistenza il genere umano anderebbero abbandonati o negletti. E non dobbiamo inoltre riguardare siccome benefattori comuni, al dire di Platone, quegli uomini di cui la professsione è di distribuire in un m o d o uniforme e proporzionato ai bisogni delle nazioni, dei frutti che la natura ha sparsi in tutte le regioni senza misura e senza eguaglianza2? E che mediante le loro intraprese rendono i più importanti servigi alla so-cietà, e per cui la medesima ne dovrebbe loro saper buon grado e ben guardarsi dal disgustarli con diminuirgliene in minima parte la ricom-pensa?

Q u e g l i stesso che accumula robe o denaro, spesso ingiustamente dipin-to coi più neri colori, se manca sotdipin-to dei rapporti morali, quando i suoi acquisti siano il frutto di onesti e legittimi mezzi, la società n o n lo può riguardare che c o m e un utile cittadino che raccoglie tesori per lei e che per essa si dedica al travaglio per conservarglieli gelosamente;

8 mente come quegli3 che mediante le lui4 privazioni diviene la vera causa delle ricchezze nascenti. Ingiustamente poi si è resa odiosa la con-dizione dei capitalisti, accusati siccome esseri nulli e perniciosi; eppure cosa mai più utile della loro economia e dei loro avanzi? C h i più di loro ha contribuito allo stabilimento delle tanto proficue manifatture, alle intraprese di commercio, alla migliorazione dell'agricoltura? E fino molte volte da loro stessi è dipenduto il sostegno degli Stati.

Qualunque tributo che si esiga per conseguenza su le proprietà si deve considerare come un aggravio assurdo perché colpisce e mortifica l'industria, spoglia l'uomo nell'atto che conserva le cose o le riproduce, e si può dire che aggrava la natura in uno stato di dolore; l'esigere un tributo sulle medesime sarebbe anzi un punire l'attività o la diligenza dei migliori padri di famiglia e favorire quelli che hanno negletto o dissipato il loro patrimonio; così si devono considerare tali imposte siccome isti-tuzioni che disgustano dal lavoro, deviano dall'applicazione, impediscono l'aumento delle ricchezze nazionali, distruggono i mezzi della comune sussistenza, e si può dire che mediante tali imposte uno Stato sarebbe come il selvaggio che taglia l'albero per avere i frutti. |

9 Sono poi tali contribuzioni del tutto ingiuste; ciascuno conviene che la società è formata per la conservazione della proprietà, o perché questa ne fu la causa o perché da lei dipende l'ordine e la perfezione sociale; e perché ciò non deve essere anche riguardo ai tributi? Se si potesse detrarne una porzione sotto tale pretesto, non sarebbe egli un violare la giustizia, distruggere il suo fondamento, che ammette la conservazione del tuo e del mio? Così la proprietà anche sotto il rapporto delle impo-ste deve ritenersi come un diritto che deve essere in tutta la sua eimpo-sten- esten-sione intangibile. M o l t o meno poi si deve pretendere di far cadere questi tributi sopra i soli ricchi, perché sarebbe un dire che tanto più un cittadino fu economo ed industrioso tanto più deve essere tassato, ol-trecché i governi non furono stabiliti per i soli ricchi, mentre le leggi e la forza pubblica travagliano a difendere tanto le proprietà di chi ha molto che i mezzi di soddisfare ai bisogni del povero.

Le conseguenze poi di una tale natura d'imposte sarebbero fatali, poiché mancano di solida base e norma certa, e quindi in mano dei governi o de' suoi amministratori, sarebbero ima sorgente d'ingiustizie

3. Il testo porta « quelli ».

4. Luigi Einaudi, pubblicando il cap. I del Discorso, corregge così la frase: « quegli che mediante le di lui... ». Vedi L. EINAUDI, La teoria dell'imposta in Tommaso Hobbes,

sir William Petty e Carlo Bosellini, in IDEM, Saggi sul risparmio e l'imposta, Torino, 1941,

384-e d'iniquità: | 384-ed inv384-ero qual m384-ezzo sicuro p384-er conosc384-er384-e l384-e fortun384-e d384-ei cittadini, che cambiano ogni momento? Qual freno si può opporre al magistrato contro l'abuso del suo potere, contro la brama di arricchirsi e di formarsi un patrimonio sulle pubbliche calamità, o contro la voglia di esercitare una personale vendetta od un sentimento d'odio?

L'effetto inoltre di tali tributi si è il ristagno delle ricchezze perché il ricco, temendo di svegliare troppo grande opinione della sua opulenza, nasconderebbe i suoi tesori, diminuirebbe le sue spese, e con ciò si to-glierebbe ai cittadini i più utili ed industriosi i mezzi di travaglio e di sussi-stenza; così le conseguenze delle imposte sulle fortune sarebbero la perdita dell'agricoltura, dell'industria e del commercio, l'eccitamento al mal costume e molto più la comune diffidenza.

Legislatori, guardatevi dal dettare tali tributi, perché allora segnate il rovesciamento dell'ordine, la cessazione del lavoro la ruina | de' citta-dini; il nazionale fallimento! Allora le usure divengono le più esorbitanti perché i cittadini vogliono compensarsi dei loro pericoli, così si raddoppia la pubblica miseria, anzi procurandovi con tali tasse picciole risorse e po-chi e malsicuri mezzi, vi gettate nell'impotenza e nella condizione di mancare ai vostri impegni. C h e se queste imposte sono state messe in pratica presso alcuni popoli, egli è stato perché l'uomo per la difesa della sua libertà e della patria sa fare tutti i sacrifizi, ma tali tributi non possono essere dettati che dall'estrema urgenza, lasciano sempre delle indelebili impressioni, sono ognora la causa di nuove calamità.

Possa l'uomo provocare l'intiera natura per ottenere abbondanti pro-dotti e trarre ricche messi, conservare ed accrescere le sue fortune; fino a tanto che egli ritiene solo il possesso dei fondi, che custodisce i frutti, i generi, le merci, sia senza timore di vedersi strappare mediante tasse o tributi, prestiti forzosi, requisizioni, il premio della sua industria, di tante sue pene ed inquietudini ! Niuna imposta sia diretta | sopra i cittadini perché sono proprietari ed in generale sopra le fortune, e sia massima inconcussa dei governi di dover godere le medesime di un'assoluta esen-zione dai tributi.

b. E non abbiamo veduto in Francia dopo il prestito forzato decretato

dal passato Corpo Legislativo le basse classi mancare del tutto di travaglio, e poscia riprenderlo per le migliori disposizioni del nuovo governo fran-cese?

[Cap. II] Che non sono le terre il vero fondo imponibile.

Alcuni scrittori celebri per i loro lumi e patriotismo tentarono alla metà del secolo passato di far adottare un altro principio regolatore del tributo. Tale si è quel sistema che pone per vera base d'imposta le terre. Sistema che per la celebrità dei loro autori, per le infelici esperienze tentate in alcuni Stati e per i mali che ha prodotto merita tutto l'esame.

Le terre, dicono essi, sono la sola sorgente delle ricchezze dello Stato: le imposte nel loro giro vanno tutte a cadere sopra le medesime; così sopra quelle debbono poggiare i tributi direttamente e così togliere degl'inutili dispendi. Un'imposta unica territoriale secondo tale opi-nione dovrebbe essere sostituita a tutti i tributi, particolarmente per le nazioni che sono chiamate ad applicarsi all'agricoltura ed il cui ter-ritorio può soddisfare a tutti i bisogni: imposta poi che, non essendo 13 che il risultato dell'in| trinseco valor delle terre, dovrebbe poggiare

sopra quel prodotto che risulta detratte le spese di coltura e d'anticipazione, cioè cadere sul prodotto netto, ossia sul solo profitto dei p r o -prietari; sistema che si depinge il più semplice, il m e n o dispendioso e solo proprio ad incoraggire l'agricoltura ed a promuovere la prospe-rità nazionale. Sistema però che non ha a suo favore che l'illusione di alcuni sofismi, mentre poi funeste ne sarebbero le conseguenze.

In primo luogo è del tutto falso che le terre siano la vera ed unica sorgente delle ricchezze. L'ammasso dei parziali tesori che esistono nella società viene formato dalla sola industria, sia questa applicata alla terra sia ai processi dell'arti, anche soltanto mediante la sola opera del genio. Il v e r o rapporto delle ricchezze è l'uso che fa l ' u o m o di una cosa, il che si combina con i suoi bisogni, con i suoi piaceri, con la difficoltà di ottenerla. La parola valore dipende unicamente dall'attitudine che ha una cosa di servire all'uomo, c o m e l'effetto dipende dalla sua causa. Tutto ciò che è prodotto, un servigio reso, una cosa talvolta lontana dalla natura, quando f o r m a una piacevole sensazione, ma che per ot-14 tenerla vi vuole arte e fatica, riceve valore e moltiplica | le istesse ric-chezze della natura. Quante cose in un continuo stato di uso e di per-muta, che sono del tutto indipendenti dal suolo? L'istesso commercio diventa una ricchezza dal m o m e n t o che, mediante una miglior distri-buzione, rende utile una cosa senza uso e la converte in oggetto di pub-blica utilità; così si rinviene assurda la distinzione che dichiara classe produttrice quei cittadini che si applicano alle arti meccaniche e che considera c o m e sterili le classi che si applicano alle scienze, mentre tutto ha un intimo rapporto e le arti e le scienze si compensano coi loro p r ò

-dotti fra loro 0 e p r o m u o v o n o la reciproca loro perfezione e concor-rono, più o meno, alla formazione di nuove ricchezze.

Secondariamente è del tutto falso che l'imposte vadino a cadere in ultima analisi sopra le terre, perché anche quando si ammettono im-poste di tal natura, in apparenza pagano i proprietari, ma siccome questi accrescono naturalmente il prezzo dei prodotti del suolo, così, | fuori della 15 porzione di cui fanno uso, cadono le medesime sopra le classi consu-matrici. O g n i tributo, osserva saggiamente il Verri 4, tende natural-mente a livellarsi ed a cadere sopra ogni cittadino a proporzione delle loro consumazioni, perché tale è la loro naturale forza espansiva, e simile effetto avviene anche nell'imposta sopra le terre quando siano messe entro i limiti della moderazione. C h e se per un accidente fatale o per una malintesa politica vadano tali oneri per il loro eccesso a cadere realmente sopra dei proprietari, allora diventa un aggravio sopra quello che soffre per il bene della società e che, non ottenendo alcun benefizio dalla medesima, ne dovrebbe essere esente.

U n a tale qualità d'imposte poteva in parte sostenersi presso gli an-tichi popoli, essendoché le proprietà erano egualmente divise e l'uso delle loro produzioni quasi eguale in ogni famiglia, né si conoscevano abbastanza le ricchezze prodotte dall'industria e dal commercio. M a se si dovesse far cadere le imposte al presente sopra le terre, pagherebbe allora il tributo soltanto una classe che ha poche ricchezze, ne | resta- 16 rebbero esenti i possessori di più abbondanti e preziosi beni. Tali sono i mercanti, i capitalisti, gl'ipotecari e tante altre famiglie che v i v o n o col frutto degl'impieghi e dei talenti loro e da cui ottengono più certi vantaggi con mezzi di un massimo valore, ma che non si possono porre a calcolo, quantunque li mettano in grado di entrare nel novero degli opulenti. Inoltre come ottenere in tal m o d o un tributo dal forestiere, che gode nello Stato di tutti i c o m o d i della vita senza fare verun sa-crifizio per lo Stato? C o m e far cadere l'imposta sopra il voluttuoso, che disdegna ogni genere o merce che non sia straniera e che mediante i suoi eccessi istessi si sottrae ai pubblici aggravi? Si osservi ancora che la terra non produce generalmente che degli oggetti di prima neces-sità, perciò simiglianti gravezze cadrebbero generalmente sopra la classe dei più poveri, che fanno il massimo uso di tali prodotti e che perciò soli risentirebbero l'aggravio od al certo vi contribuirebbero più dei

c. L'opera del medico, del pittore ricevono valore e soddisfazione, le cure dell'avvocato, dell'artigiano, indipendentemente dai prodotti del ter-reno.

ricchi. Infine come mai si è potuto credere di favorire l'agricoltura, quando si aggravano i proprietari di esorbitanti imposte e che si privano dei mezzi di migliorare la medesima e si rende la loro condizione più soggetta a vessazioni? |

17 Terribili poi sarebbero le conseguenze provenienti dal voler tra-sformare tutte le imposte in quell'unica sulle terre. C o m e potrebbero i proprietari ricompensarsi del danno? Accrescere i prodotti delle me-desime in proporzione dei tributi è cosa impossibile. Se volessero au-mentare il prezzo dei generi e le nazioni vicine, che non soffrono sulle terre simili aggravi, potessero vendere i medesimi ad un prezzo minore, chi potrebbe forzare i compratori a provvedersi da tali proprietari? E non sarebbe la conseguenza di tale operazione lo scoraggiamento dell'agri-coltura e l'abbandono di quelle terre alle quali si vorrebbe con tutti i mezzi affezionar l'uomo, eccitarlo alla loro migliorazione?

Cosa è poi questo prodotto netto se non se il giusto compenso delle passate colture, di privazioni sofferte, il frutto della fatica, il premio della costante custodia dei fondi? E la sola differenza fra il prodotto netto e la rendita intiera si è che il primo è la conseguenza di un diritto anteriore e perciò più sacro o che certamente merita uguale riguardo, e che deve essere ugualmente inviolabile della mercede del lavoro e degli avanzi fatti, e per cui non si deve essere più che per questi aggra-vato dai tributi. |

18 Le spese poi che ordinariamente occorrono alla conservazione degli Stati non solo eccederebbero, secondo tutti i calcoli, il valore del pre-teso prodotto netto, ma sovente abbraccerebbero l'intiera rendita e : e quale sarebbe allora la sorte dei proprietari? Gli stessi economisti con-vengono che non avvi al presente alcun popolo a cui la sua situazione permetta un tale cambiamento, perché i bisogni sono così estesi, le spese tanto moltiplicate che se tale sistema dell'imposta territoriale avesse anche la verità per appoggio, converrebbe cercare degli altri

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