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DISCORSO SUGLI ODIERNI FAUSTI AVVENIMENTI

Nel documento Opere complete. Opere minori Volume 2 (pagine 159-169)

Ea demum tuta potentia est, quae viribus suis modum imponit.

VALERIUS MAXIMUS 1

Se epoca vi f u mai avventurosa nell'istoria, in cui un animo del bene de' suoi simili acceso nutrir possa sincera brama di esaltarne la memoria, certamente si è la presente, madre feconda di imprese le più nobili, somme e magnanime e di avvenimenti i più fortunati e maravi-g l i s i ; ed a me fosse pur conceduto di poterla demaravi-gnamente encomiare. N é già presumo io tanto, anzi nulla presumo, imperocché tant'opera dovrebbe tutta spargersi d'idee recondite, peregrine, grandiose, intes-sersi de' più bei fiori di facondia, assunto soltanto proprio di que' rari sublimi ingegni che sanno ne' loro scritti elevarsi con magnifico stile all'altezza de' più eminenti subbietti; di quei dicitori grandissimi, che della loro più vaga luce colorir ne possono le più eroiche gesta, i più invidiati tempi; o meglio ancora degl'istorici illustri, a cui fama im-pone di tramandare alla posterità le glorie dei grandi eroi, i fasti delle nazioni ; se pure avvi ingegno al mondo sì preclaro ed eccelso che possa, non dirò celebrare dignitosamente, ma anche solo descrivere tanta nostra felicità. C h e se il tentativo di esprimere le pubbliche esultanze è meta alle mie forze troppo alta e da cui anzi mia fredda mente mi disanima, mi sia non pertanto conforto l'universale letizia ed ammi-razione, e ben mi lusingo che, se macchia di nota adulatrice giammai non tradì mia debile voce, non possa il m i o dire demeritarsi, almeno per questo, la pubblica indulgenza.

D a impenetrabile divina provvidenza condotto l'uomo, potrebbe egli mai non riconoscere l'eterno di lui autore, e se non sempre gli sembra benefico, se | alcuna volta il prova severo, potrà nulladimeno, allorché 4 egli tutto a lui deve quant'è, quando ogni momento è dono di sua

be-a. Si previene il lettore essere stato il presente discorso scritto sulla fine del cessato mese di giugno, e che alcune imprevedute circostanze ne hanno sin qui ritardata la pubblicazione 2.

1. Facta et dieta memorabilia, IV, 1, extema exempla, 8.

2. Il Discorso fu pubblicato a Modena verso la fine del 1814, ma era stato composto nel mese di giugno, poco prima del rientro degli Estensi in Modena. Vedi più avanti, p. 685, n. 4.

neficenza, non adorarne sempre l'onnipotenza, non sottomettersi rassegnato, quantunque di fulmini e di flagelli lo scorga armato contro i mortali, con que' fulmini e flagelli con cui la sua immensa possa scuote da cima a fondo la terra e per cui talora ne vien fatta a brani e ricoperta di rovine, di desolazione? E come potrebbe un vivente fievole e fiacco a ciò indignarsi ed essere ritroso in un solo istante a' suoi immutabili decreti; quando gli astri, i cieli, gli esseri più sublimi, quegli istessi che gli stanno d'intorno al soglio, piegano umili e in alto silenzio la fronte ad ogni suo cenno?

A h , perché mai i deboli ed incauti mortali congiurano essi stessi più sovente a loro danno, aggirati da turbini di colpevoli affetti e dal-l'oblio di que' doveri senza la cui osservanza non è dato loro che di trarre giorni infelici? Le nazioni ancora per funesta emulazione di po-tere, per brama di gloria, per voglie ambiziose, per odi malnati, si affrontano in lotta crudele. L'Eterno istesso in alcuna stagione imparte vita agli uomini di genio belligero, che quali astri sanguinosi turbano la felicità dei popoli, seminano gli imperi di strage e di devastazione, allorché per compiere i suoi inalterabili disegni e per punire gli umani trascorsi getta un conquistatore sulla terra; questi esseri la cui esistenza da fortuna maligna ed invida del bene della schiatta umana viene pre-parata e nutrita, che dessa ammanta di splendore, di gloria e di funesti trionfi e persino circonda d'insidiose mentite virtù, ma ai quali pro-sperità e vita di innumerabili popolazioni sono un nulla a fronte di loro immensa cupidigia, o da loro si riguardono come un dovuto sacrifizio alla loro grandezza.

U n tanto disastro ha luogo soprattutto in quegli infelici tempi di abusi e di vizi ne' regni, in quegli istanti fatali ove i moderatori degli 5 imperi, disdegnando quelle virtù che sono l'unico sostegno dei troni, giustizia e fede, si danno incautamente in preda a' seducenti vezzi del fasto, di colpevole voluttà, si circondano di perfidi adulatori od ab-bandonano le redini a perversi ministri, che manumettono ordini, leggi e sostanze dei sudditi: allora i migliori cittadini forzati sono al silenzio, allontanati dalla reggia; la debolezza de' regnanti aggrava vieppiù le pubbliche disavventure, cessa allora nei popoli ogni amore verso i loro sovrani e sovente ne procede disprezzo, malcontento, odio; allora vano si rende ogni freno de' magistrati, ogni rispetto alla religione viene infranto. In questo mentre sorge la popolare licenza agitata da infidi capi, e seco al fianco discordia, delitto, atrocità. Quale orribile spettacolo non presenta intanto un'insana e furibonda moltitudine ! Ahi, quale tremenda vista mi si ritrae alla mente, quale orrendo misfatto, che gli animi tutti alla sola ricordanza di orrore agghiaccia e che ogni vivente vorrebbe

ricoprire di un velo per onore di nostra età! Misfatto, che da tutti gli altri popoli trasse ribrezzo ed alto pianto e per cui anzi pietà, religione si cinsero di lutto, rivolsero altrove i rai disdegnosi, e ciò allorché il più benefico monarca, l'ottimo padre del suo popolo, che preferito avea di perdere e vita e trono piuttosto che spargere il sangue di un solo sud-dito, spirò trucidato barbaramente per mano di una turba forsennata, dalle trame di pochi perversi fatta assassina del più virtuoso e del più tradito dei re, la cui sovrumana virtù nella più dolorosa ed iniqua morte fino perdona a' suoi crudeli persecutori.

La licenza popolare simile si mostra all'onde di un vasto mare avvolto di dense tenebre, agitato dal contrasto di nemici fieri venti. Allora immensi flutti s'innalzano, si sconvolgono in furia e finalmente urtano e rovesciano quelle formidabili barriere che natura avea opposto agli oceani per appartarli da terra. Tutto in questa in un momento preda diventa d'i Inondazione e di rovina. Così negli Stati e fra le nazioni 6 la licenza popolare, e seco errore, imprudenza, rovesciando i troni scuote i fondamenti del sociale ampio edifizio, i baluardi di comune salvezza, e cagione si rende di orrori, di spavento, d'interminabili di-sastri, e ben presto da se stessa si punisce con versare i fiumi del proprio sangue, rendendo tutti vittima di malvagità, di devastazione e di mi-seria : severa ma giusta pena de' misfatti dei popoli.

Ma la vendetta del cielo non è ancora paga. Alla feroce agitazione succede un'infida calma. La stanchezza, le angustie, le perdite, il ri-mordimento, il sangue sparso, tutte le pene che lacerano gli animi colpevoli, gettano questi traviati popoli nell'abbattimento. Degli agita-tori infinti con sembianze di fallace virtù li lusingano di insidiose spe-ranze di pace, di beni, di grandezza e di una nuova prosperità. Queste nazioni allora quasi Tantali sono che, straziati da sete ardente, stendono la mano all'onda desiata che tanto più li fugge, quanto più essi vi si appressano. L'antica sapienza, non illuminata da una religione santissima, raffigurò il fato autore nel cuore umano di più gravi colpe, tutte im-maginò arbitrio di fortuna le pene istesse dei mortali, quando il tutto non è che l'adempimento de' giusti decreti del cielo per loro freno, ren-dendo ministro di sue terribili vendette contro dell'uomo l'uomo istesso.

Conciossiacosaché dalle vetuste favole Circe ci vien rappresentata qual immagine d'infida deità, che attrae ne' suoi regni marittimi i na-viganti incauti per farne strazio; essa ci vien dipinta di leggiadre sembianze, tutta respirante vezzi e maestà nei passi e ciascun atto suo ricoprendo sotto l'aspetto di beneficenza, quando soltanto medita contro degli uomini estremo danno, mentre li seduce per trasformarli in belve stupide, in vili piante, o li abbandona capricciosa e crudele

all'eccidio. Guai a chi, sconsigliato, troppo si avvicina alle sue isole; 7 in un momento, quasi tocco il | capo da magica verga, si sente compreso da ignoto letargo, da insidioso incanto. Allora rimane attonito, sordo alla voce di verità, che con un raggio di sua chiara luce tenta pure d'illuminarlo ne' pericoli, di rattenerlo dal vicino precipizio. M a egli sprezza di scorgere gli intorno dispersi manifesti segni di sue perfidie, rivolge altrove disdegnoso sguardo, orecchi, che per tutto e sentire e riscontrare potrebbero le opere de' suoi nefandi tradimenti, i gemiti, i lamenti di quegli animali, di quelle piante trasformate, le sarte, le tavole, i cadaveri, avanzi d'innumerabili naufragi. Questo mostro di forme così avvenenti per vieppiù aggirare l'uomo si compone in aria di modestia, di pietà, di virtù, si vanta sostegno di santa giustizia e della divinità e copre le sue trame con fama menzognera, che a favor de' suoi regni sparge lusinghiere promesse di opulenza e di felicità presso i popoli più lontani. Bella sul suo trono, nello splendore delle gemme di cui è adorna, apparisce anche la colpa ; i rei consigli, favoriti dall'aura seconda degli eventi, si vantano genio, grandezza, magnanimità; ogni opra vien detta conseguenza di sublime accorgimento, quando tutto non è che indirizzato all'esterminio dei mortali.

In tal guisa quella che dalle menti nostre nel corso degli eventi figurata chiamasi fortuna, sembrava, quasi scherzando sulle sorti umane, aver posto compagna al carro di un novello Achille la vittoria e superbo lo rendea di coraggio, di folti allori, d'alti trofei, anzi di multiplici conquiste: tanto il cielo permise onde delle nazioni e de' potenti esperimentare la costanza e ridonarli col mezzo d'avversità alla primiera virtù. Questa con l'aura propizia delle vicende tanto per alcuni anni gli sorrise e ne secondò le ardimentose imprese, anche quando l'ardire, cangiato in temerità, posto l'avea sull'orlo di pronta ruina, che più oltre fra i maggiori pericoli ed in basso stato gli spiana le vie al comando di multiplici nazioni, lo innalza al trono sul più florido 8 seggio d'Eu|ropa. Egli stesso ordina leggi; fonda il pubblico

reggi-mento ed offre sull'ara dell'Eterno i giuramenti per la pubblica sal-vezza e libertà; e quasi grata l'umanitade alle sue armi, alla sua cupi-digia, alle sue violenze ne collaudò gli sforzi e gli usurpi, e ne fu am-mirato dai molti. O h dei mortali spensieratezza!

Ma la nube che cingeva intorno tanta perversità, qual fra l'ombra fuggevol lampo, ratto si dileguò. E che sono i giuramenti in cuore dell'ambizioso? Cosa è virtù, giustizia in alma empia, in un petto dove non si destò mai senso benigno? D o p o pochi istanti l'universo lo vide già avido, anzi macchiato del sangue cittadinesco, spergiuro a' suoi popoli, assassino fra le nazioni, e ben presto da lui furono rotti i

trat-tati e spezzati i sacri diritti, conculcati quegli ordini di cui si era accla-mato in faccia agli uomini ed al cielo scudo e difensore.

D o p o tante sue colpe un'insaziabile brama di universale dominio, che non sa pascersi che di sangue e di devastazione, gli investe l'anima; egli allora altro nella sua mente non v o l g e che di correre trionfante sopra insanguinata quadriga, di calpestare su vasti campi di battaglia corpi estinti o ancor palpitanti, fra le confuse grida di feriti, di mori-bondi, vinti o vincitori. Questo u o m o da fortuna fatto vittorioso, nel suo temerario orgoglio più non si ritiene un mortale. Sparge quali oracoli i suoi detti, si fa chiamare di provvidenza figlio, vuol essere riguardato qual della divinità opera prediletta, oggetto in tal guisa si fa di empio canto e, fino insultando l'onnipotenza dell'Altissimo, pretende essere arbitro dei regni e che a lui siano commessi i destini delle nazioni. All'orgoglio si fa compagna la scelleratezza. Egli già si circonda di non più veduto fasto, della più superba magnificenza. Fra pochi saggi, ma timidi, che sol per vana ostentazione ei mostra, chiama a sostegno del suo trono i più conformi al suo cuore, che ne' suoi voleri iniqui o sacrileghi, sotto il n o m e di leggi, editti, bandi, | decreti non iscorgono che sapienza, grandezza, magnanimità, e già 9 per loro hanno vanto della più sublime virtù l'audacia, le più ree per-fidie, ogni sua più ingiusta pretesa. In tanta viltà egli stesso vuol es-sere riputato onnipotente, per cotanta sua sete di dominio, raccapriccio in pensarlo!, egli ordisce rea trama di porre i re, le loro famiglie e padri e figli in discordia, sospingendo nell'istesso tempo armate poderose contro i loro popoli innocenti, leali e generosi; insidiosamente ne oc-cupa le provincie, le città, le fortezze sotto il velame di santa amicizia, di benefica difesa. Tanto tradimento eccita già il loro più alto disdegno, e ad onta di essere circondati da' suoi eserciti, essi oppongono impavidi armi ad armi, guerra a guerra. C h i il crederebbe? nella sua immode-rata ambizione ne loda in un punto i loro generosi sforzi quando fa loro delitto il valore, i tanti sacrifizi, il loro coraggio e fermezza; ed, oh eccesso di rabbia ambiziosa!, egli insulta fino de' popoli l'onore e la dignità, volendo che aggradir dovessero, quasi tratti di clemenza e di bontà, i suoi ingiusti voleri, il suo terribile giogo.

E lieve oggetto di sua immensa possa crede egli tal guerra, che anzi fa sua delizia di provocar pericoli, di multiplicare imprese guerriere, ed in pari tempo ei stesso si m o v e con nuovi e più numerosi eserciti a travagliare la fiera Germania, minacciando i suoi monarchi di ca-duta; ed, oh per lui non meritata troppo fausta sorte! crudele fortuna di quei saccheggi, di quel sangue, di quella ruina con cui afflisse le na-zioni, gli diede fino nobil palma! D o p o tanti attentati, dopo tanto suo

non meritato esito felice, i suoi popoli, stanchi dei loro sforzi, sacrifizi e di tanto sangue sparso, speravano pace, alleviamento. M a quale invece ne fu l'ingrato frutto? Un'azienda fiscale creata simile ad un m o -stro, anzi qual idra a più teste divoratrice di tutti gli averi pubblici e privati, che tese quai lacci inique leggi, fabbricò quai macchine | d'in-sidie tutti i voleri dell'oppressore. Ministri infami con raffinata cru-deltà si fecero un piacere di attizzare i sudditi con intollerabili pesi per eccitarli a resistenza, onde punirli per vieppiù farli miseri, e ne' funesti tempi premio ebbero fino del sangue innocente che spargere aveano fatto sotto tale pretesto all'ombra stessa dei magistrati, quasi provocando la pubblica vendetta.

M a quai nuove rovine va meditando ancor l'altero? Mentre tutto inspirava concordia, che i monarchi, pietosi di quel sangue che erano stati ahi troppo forzati di versare, porgeano e sollievo e conforto ai loro popoli con candida pace, egli stesso, quasi da furia agitato a danno dell'umanità, ogni anno raddoppia le leve, anzi ad ogni stagione strappa la nuova gioventù alle famiglie, e seco tutti i sostegni d'industria, i suoi coltivatori al suolo, e ne compone immensi eserciti e va ardente di fare il conquisto della terra. N e l tempo istesso i suoi vili consiglieri, paghi di divorare seco la parte di preda che a loro getta il despota, van-tavano, oh infamia!, la pubblica felicità. Sì, dessi al cospetto delle na-zioni, quando i popoli erano forzati dal terrore delle carceri e dei sa-telliti a rimaner nel silenzio in mezzo ad infiniti disastri e per cui le lagrime erano venute meno nelle loro sorgenti o già dagli occhi cadeva l'ultima stilla di pianto, proclamavano con inaudito eccesso de' sudditi l'amore, la grata devozione; chiamavano clemente e benefico il domi-natore perché tutto non avea rapito, perché rimaneva ancor qualche goccia di sangue nelle nostre vene; ed, oh impudente vergogna! fabbri si fecero di esecrande menzogne, negando perfino ciò che era più chiaro della luce del sole, l'evidente raddoppiamento delle gravezze da lui fatto, esaltandolo anzi quale provvido nume e padre de' popoli. Ben larghi comunque infami premi ne ottennero essi pure. Per loro frode ancora si presentano le scienze mascherate con veli ingannatori per farne pomposi ornamenti | del suo trono, mentre la timida verità fuggia smarrita e che di partire in atto era ancor giustizia. Guai a chi nella pubblica afflizione ardì innalzare lamenti, che di spirito generoso tentò di sollevare un lembo di quel nero velo che ricopriva le comuni sven-ture! Ei n'ebbe infamia, carcere e morte. Folle l'usurpatore, che non sentì come non oltraggiasi impunemente la verità, che non vide in quel fatale decreto, che muto rendeva per ispavento ogni labbro, come ei stesso si velava gli occhi di fatale benda, che l'esponeva al precipizio.

Sì, questo u o m o fu grande, chi negar lo può te? M a per le miserie no-stre, ma per isciagura del genere umano, e molto più fu tale per le infamie vostre, per le vostre scelleratezze, o rei ministri, da cui non v'ha scusa perché niuno di queste può farsi artefice, che onore e religione il vieta; di voi anzi è maggior colpa, a cui era sacro dovere portare al trono i gemiti dei popoli, eccitarne la pietà, il comune sollievo, difen-derne i santi diritti e i cui nobili rifiuti e sacrifizi vi avrebbero meri-tato gloria immortale.

Allorché la posterità scorrerà gli annali di nostra istoria, stupirà al certo come un u o m o solo potesse coi delitti istessi sollevarsi a tanta possanza, a così esteso dominio, calpestare i popoli, insultare i più po-tenti monarchi, minacciare di un giogo di fèrro la terra, condannando milioni di mortali al disagio, all'eccidio, e per cui in tanti mali poco mancò che la faccia del globo non divenisse tutta una tomba, che fosca notte non immergesse di nuovo l'Europa nell'ignoranza. M a opera, ripeto, riguardar si deve tutto ciò di divina vendetta contro gli umani traviamenti. Il cielo ne lasciò preda all'audacia, estolse sopra le nazioni lo smodato orgoglio qual flagello del vindice suo terribile sdegno, facendo però ancora sentire che la vantata fortuna dell'empio ha per ultimo termine la sua rovina. C h e se di tanta possanza e grandezza e della comune nostra pazienza penetrare si voglia anche nell'ordine delle umane vicende la cagione, ope|ra dirolla di quella ingrata ricordanza 12 d'immensa sofferta procella di sangue, d'incendi, di distruzioni che atterriva ancora gli animi alla sola idea di nuovi cangiamenti, all'or-rendo nome di rivoluzione. Sì, il ribrezzo che sentivano i popoli di ricadere ne' trascorsi delitti, nelle passate atrocità potè solo assopire gli spiriti generosi su' presenti danni, ridurre a tanta fievolezza i cuori, forzarli a sì lunga sofferenza, a tanta pubblica vergogna.

M a ai nembi che sconvolgono di tempo in tempo nostra terrestre mole, per ordine provvido di natura succede ognora un avventurato sereno, e dove i mali sono nell'uomo di vicenda momento, costanti sono i divini benefizi a prò dei mortali. L'ambizione, che non con-sente di venir riguardata qual di celeste ira istrumento, si scava da sé la tomba cogli eccessi del suo orgoglio reso insano da prosperità infida, da ingiusto ingrandimento. Quel D i o che per bocca de' profeti fece sentire un giorno ai popoli suoi santi oracoli, egli nel sogno dell'altiero Nabucco, in quella statua gigantesca che sembrava insultare il cielo e ferma restare agli urti delle intemperie, ma che fabbricata coi piedi di creta e tocca da un picciol sasso piombò in un momento sul suolo ro-vesciata, infranta, l'immagine ci mostra di un u o m o innalzato alla più eccelsa grandezza per danno dell'umanità. Sì, l'orgoglio, giudicandosi

per assoluta autorità onnipotente, di sé diventa il più accerrimo nemico e più non iscorge i pericoli e l'abisso che si apre sotto i suoi passi.

N o n bastò che tutti i suoi popoli, che gli alleati medesimi bandis-sero da' loro Stati l'ubertoso commercio che di dovizie li colmava,

Nel documento Opere complete. Opere minori Volume 2 (pagine 159-169)