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L'antefatto: le liberalizzazioni europee e la scelta italiana di privatizzare

Il potere autoritativo, tipico della Pubblica Amministrazione, a partire dagli anni '90 perde progressivamente la sua importanza.

Il potere pubblico sviluppa una logica di cooperazione con il privato, perdendo in parte il suo potere gerarchico.

Questa situazione si realizza, da un lato, per il processo di aziendalizzazione della pa in atto1, e dall'altro, come riflesso dell'adesione italiana all'Unione europea. In sede europea infatti, si sceglie di organizzare il diritto pubblico dell'economia secondo uno schema anglosassone, dove lo Stato non interviene più direttamente come imprenditore ma come Stato-regolatore2.

1 Vedi Cap. 1 par. 1.

2 Lo Stato definisce le “regole del gioco” e predispone appositi apparati che godo di un certo grado di autonomia rispetto allo Stato centrale, le autorità amministrative indipendenti dette anche autorithies, che svolgono un attività di controllo in senso ampio che ricomprende anche attività di indagine, sanzionatorie oltre che di tipo amministrativo e parzialmente contenziosa.

Sulla stessa lunghezza d'onda, in Europa si decide a partire dagli anni'90, di avviare un processo di liberalizzazione che porta alla glorificazione del valore della concorrenza3 e all'apertura al mercato di settori che fino a quel momento era stati dominati dal monopolio pubblico.

A questa idea di potere pubblico si riconducono anche i vincoli di bilancio del trattato di Maastricht che l'Italia, come gli altri Stati membri, è chiamata a rispettare. Le finanze pubbliche italiane versano in condizioni non buone in virtù soprattutto di un alto debito pubblico: per questo il governo italiano decide di avviare in parallelo dei processi di privatizzazione4 che determinano, da un lato, l'erosione dell'interventismo pubblico nell'economia a favore dei privati, dall'altro, si cerca di ridurre i centri di spesa per contenere le finanze pubbliche in modo da poter sviluppare un processo di allineamento ai parametri di Maastricht5.

3 Roviglio, Società degli enti locali: una riforma a metà o un modello sbagliato?,

Amministrazione civile, n 6, 2008, p. 136-147.

4 Il processo di privatizzazione può essere di due tipi. È formale, quando si prevede la trasformazione di enti pubblici economici in società di diritto privato, es. spa, srl. È sostanziale, quando il soggetto pubblico cede almeno il pacchetto di maggioranza di una società controllata ai privati).

Queste “grandi manovre” si ripercuotono anche sulle realtà di governo diverse dal governo centrale, condizionando quindi l'esercizio del potere pubblico a tutti i livelli, in particolare per quanto riguarda l'erogazione dei servizi pubblici. In questo modo si vorrebbe raggiungere anche l'obiettivo di avere, soprattutto a livello locale, servizi pubblici efficienti e di qualità per i cittadini.

Le famose “municipalizzate”6 hanno lasciato il posto alle società partecipate7, prevalentemente in house8.

Recentemente, le sezioni di controllo della Corte di conti con parere 2/2014 sul caso SMAT di Torino9, chiamate in causa dalla Sezione Regionale Piemonte, hanno affrontato due quesiti collegati al tema delle modalità di erogazione dei servizi pubblici.

Con il primo quesito, si chiedeva alla Corte dei conti se 6 Aziende speciali, enti senza personalità giuridica strumentali all'Ente locale, con autonomia statutaria e imprenditoriale. Forniscono servizi pubblici “fuori mercato” rispettando parametri di trasparenza, efficienza e universalità (art. 114-115 TUEL). 7 Seguono gli schemi privatistici delle società ma sono controllate o collegate dal potere

pubblico.

8 Società a capitale interamente pubblico affidatarie in modo diretto, quindi senza gara, dell'erogazione di servizi pubblici.

9 Il Comune di Torino ha inoltrato, tramite il Consiglio delle autonomie locali, una richiesta di parere concernente la possibilità di operare la trasformazione eterogenea della Società Metropolitana Acque Torino Spa– SMAT – a totale partecipazione pubblica, che gestisce la produzione e l’erogazione del servizio idrico integrato, in un’azienda speciale consortile di diritto pubblico.

potesse realizzarsi nel caso di specie, in mancanza di apposita normativa, la trasformazione eterogenea della società SMAT in azienda speciale consortile.

Con il secondo quesito, si chiedeva in caso di risposta negativa al primo, se la procedura in due fasi rispettivamente di estinzione/messa in liquidazione della spa e di nuova costituzione dell’azienda speciale consortile incorra nel divieto per gli enti locali di cui all’art. 9, comma 6, d.l. n. 95/2012, conv. nella l. n. 135/2012 (c.d. spending review) .

Con riferimento al primo quesito, la Sezione remittente, pur rappresentando la presenza di orientamenti dottrinali e di una prassi favorevoli all’iniziativa prospettata dalla Città di Torino, aveva espresso perplessità sulla coerenza dell’operazione di trasformazione eterogenea, alla luce dell’art. 35, comma 8, l. 448/2001, che impone agli enti locali di trasformare le aziende speciali e i consorzi che gestiscono i servizi di rilevanza economica in società di capitali.

preoccupazione di arginare fenomeni elusivi soprattutto dei vincoli di finanza pubblica.

Nella stessa ottica va il ragionamento con cui è stato affrontato il secondo quesito: la Sezione regionale ha espresso una valutazione non favorevole circa la possibilità di realizzare l’operazione prospettata mediante scomposizione in fasi, ritenendo che tale evenienza, oltre a contrastare con l’obiettivo della soppressione e, in ogni caso, della riduzione degli oneri finanziari connessi agli organismi partecipati (art. 9, comma 1, d.l. n. 95/2012), nonché con il divieto di istituzione di tali enti (art. 9, comma 6, d.l. n. 95/2012), “si presenta come elusiva ”.

A onor del vero, la Sezione remittente riferisce di un orientamento dottrinario, talora inverato nella prassi amministrativa, favorevole all’operazione prospettata dalla Città di Torino, fondato sull’abrogazione, con d.p.r. 113/2011, a seguito del referendum popolare “acqua pubblica”, dell’art. 23-bis, d.l. 112/2008, convertito dalla l. 133/2008, in materia di modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;

disposizione, questa, volta a garantire la massima concorrenza nei servizi pubblici a rilevanza economica contenendo al minimo le ipotesi di affidamento diretto e di gestione in house providing.

Infatti, a seguito dell’approvazione referendaria, alla sola presenza delle norme comunitarie non si evince un divieto assoluto alla gestione diretta o mediante azienda speciale dei servizi pubblici locali.

L’ipotesi dell’abrogazione implicita dell’art. 35, comma 8, l. n. 448/2001, ad avviso della Sezione Piemonte, potrebbe essere avvalorata dall’estensione, nei confronti delle aziende speciali e delle istituzioni, delle regole sul patto di stabilità interno, operata dall’art. 114, comma 5-bis, d.lgs. n. 267/2000, comma inserito dall’art. 25, comma 2, lett. a), d.l. 1/2012 convertito in legge 27/2012 e successivamente, così modificato dall'art. 4 comma 12, d.l. 101/2013, convertito in legge 125/2013.

Di conseguenza, la Sezione remittente, trovandosi in un

empasse interpretativo ha sospeso la pronuncia ed ha chiesto

rilevanza della questione sollevata, per i profili di legittimità che si riflettono nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

Per quanto riguarda il primo quesito, la Sezione delle autonomie evidenziò che il contesto normativo di riferimento è costituito dalle disposizioni codicistiche che individuano i requisiti e i limiti della trasformazione societaria, istituto completamente ridisegnato con la riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 6/ 2003.

In particolare, ai fini che qui interessano, una funzione centrale è svolta dall'art. 2498 cc che sancisce il principio di continuità, stabilendo che “con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione” e dall’art. 2500

septies cc, rubricato “Trasformazione eterogenea da società di

capitali”, secondo cui le medesime società “possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni” ma che non consente la loro trasformazione in azienda speciale.

Quindi, nel dettato normativo non sarebbe presente espressamente la possibilità di trasformare una società di diritto privato, come la spa, in un organismo pubblico, come l'azienda speciale, ma di fatto non ci sono elementi per stabilire la tassatività delle ipotesi riconducibili all'art. 2500 septies cc: anzi è possibile prefigurare un'interpretazione analogica della disposizione in virtù del principio di continuità aziendale10 previsto all'art. 2498 cc.

In effetti, l’azienda speciale che risulterebbe dalla trasformazione della società per azioni a totale partecipazione pubblica è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando che, sia nell’organismo di partenza che in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti pubblici di riferimento.

Questo orientamento dottrinale non è stato però recepito dalla giurisprudenza prevalente11 che ha interpretato in modo restrittivo 10 l’elemento di continuità deve essere identificato nell’azienda, quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di un’attività di impresa e che la trasformazione trovi, quindi, la sua giustificazione sistematica nell’esigenza di salvaguardare la continuità dell’organismo produttivo e di evitare la disgregazione del patrimonio aziendale .

11 In tal senso è l’avviso di talune sezioni regionali di controllo che, con riferimento ai servizi pubblici di rilevanza economica, ha consentito la trasformazione di una società di capitale in azienda speciale (Sezione di controllo Puglia, 142/ 2013, concernente una multiservizi nel settore energia, e Sezione di controllo Lombardia, 460/ 2013, con riguardo alla

l'art. 2500 septies cc, infatti la Sezione delle autonomie si esprime in senso negativo sul quesito.

Mentre l'azienda speciale rientra nell'apparato amministrativo dell'Ente locale, la società partecipata è al di fuori dello stesso, soggetta all'influenza pubblica in virtù della proprietà delle “quote” sociali.

Nel rispetto del dogma della concorrenza, si rammenta che è consentito il transito da azienda speciale a società per azioni (art. 115, d.lgs. n. 267/2000, già art. 17, comma 51, l. n. 127/1997). Nulla è previsto per l’ipotesi inversa.

Per quanto riguarda il secondo quesito, la Sezione delle autonomie si espresse anche qui in senso negativo.

Come già evidenziato dalla Sezione remittente, tale soluzione è stata ritenuta incongrua sulla base del divieto posto dall’art. 9, comma 6, d.l. 95/2012, secondo cui “è fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni

fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione”.

La disposizione in esame è stata abrogata dall’art. 1, comma 562, l. n. 147/2013, per cui è superflua ogni osservazione sulla sussistenza della preoccupazione riflessa nel quesito proposto. Tuttavia, per completezza, è da rilevare che, nel periodo di vigenza della norma, il divieto poteva essere considerato non assoluto, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale con sentenza 236/2013 che ha rigettato le censure di illegittimità costituzionale proposte nei confronti del comma 6 dell'art. 9 del d.l. 95/5012 con la seguente motivazione: “ tale disposizione deve essere necessariamente coordinata con quanto stabilito nei commi precedenti e, in particolare, nel comma 1. Infatti l’obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20 per cento, anche mediante la soppressione o l’accorpamento dei medesimi. Pertanto la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti

della necessaria riduzione del 20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire che, se, complessivamente, le spese per «enti, agenzie e organismi comunque denominati» di cui ai commi 1 e 6 e il citato art. 9, restano al di sotto dell’80% dei precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6. Una siffatta interpretazione, costituzionalmente orientata, si rende necessaria anche per consentire agli enti locali di dare attuazione al comma 1 mediante l’accorpamento degli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite. In tal modo, infatti, gli enti locali potranno procedere all’accorpamento degli enti strumentali esistenti anche mediante l’istituzione di un nuovo soggetto, purché sia rispettato l’obiettivo di riduzione complessiva dei costi.”

La statuizione è stata emessa nel contesto di una sentenza che aveva decretato l’illegittimità del comma 4 dello stesso articolo 9, in quanto prevedeva l’automatica soppressione di tutti gli enti strumentali degli enti locali e, dunque, nell’ottica di favorire ogni necessaria valutazione da parte degli enti circa la migliore organizzazione del sistema degli organismi partecipati; istanza che

è stata pienamente accolta dal legislatore della stabilità, mediante la disposizione abrogante di cui all’art. 1, comma 562, l. n. 147/2013.

Questa attenzione del legislatore all'evitare margini di manovra per attività elusive del Patto di stabilità interno, è legata ad una pregressa esperienza dove si è rilevato che in molti casi fenomeni di

mala gestio degli Enti locali, che nei casi più gravi arrivavano al

dissesto12, erano legati ad uso clientelare delle società partecipate fonte di ingenti debiti per le casse pubbliche.

Questa situazione era anche incentivata da una carenza dei documenti contabili e del sistema dei controlli dell'Ente locale. In particolare, il tradizionale sistema di bilancio non riusciva a cogliere a pieno la situazione contabile delle società partecipate. Per questo l'Osservatorio sulla contabilità e finanza degli Enti locali ha elaborato il criterio numero 4 che sulla scia dei criteri IPSAS13, prevede l'introduzione dello strumento del bilancio consolidato e un'interpretazione estensiva del concetto di gruppo14, in modo da 12 Pela, Dal dissesto finanziario a una sana gestione degli enti locali: riflessi dell'esperienza

inglese sulla gestione degli enti locali, www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2009, pag.

1-11.

13 Il tema dei criteri IPSAS in generale è stato affrontato nel cap. 1 par. 3.

conferire adeguata considerazione e trasparenza nelle finanze pubbliche locali.

Il legislatore ha tempi di reazione lenti, ma ha avviato con il d.lgs. 118/2011 una fase di sperimentazione15, anche sul bilancio consolidato. Queste novità diverranno obbligatorie, per gli enti partecipanti alla sperimentazione, entro il 30 giugno 2014 e per gli altri enti nel 201516. Di conseguenza l'intervento del legislatore è da ritenersi al momento non risolutivo, ma data la complessità dell'implementazione di questo strumento contabile è necessario procedere per gradi.

dell’Ente locale, quale che sia la loro forma giuridica e quindi non solo le società di capitale, ma anche le aziende speciali e gli altri organismi di cui si detenga il controllo e viene predisposto dietro la responsabilità diretta dell’Ente locale controllante, in coerenza con quanto stabilito in sede di programmazione di gruppo ”. Vedi Cap. par. 3.1.

15 Di cui si è parlato nel cap. 2 par. 3.

16 Con popolazione superiore a 15.000 abitanti. L'argomento verrà affrontato più precisamente nel par. 3 di questo capitolo.